Il pensiero di una DS: come non condividerlo?

Il pensiero di una DS: come non condividerlo?

di Maurizio Tiriticco

 

Copio (com’è noto, io sono una gran copione) da FB il pensiero di una Dirigente Scolastica: “Ma a nessuno viene in mente che quest’anno i DS saranno valutati e che sarebbe controproducente ‘scegliere’ insegnanti meno validi di loro? A nessuno vengono in mente le mille difficoltà che incontrano nel cercare di condividere con il collegio le scelte di formazione e di didattica, visto che la valutazione si baserà sugli obiettivi da perseguire scritti nel RAV e nel PDM? A nessuno viene in mente che non hanno alcun interesse nel favorire tizio o caio, che guadagnano poco più di un docente e che lavorano dalle 8 alle 12 ore al giorno? Scusate sono una DS”.

Cara DS! Di che ti meravigli? Ormai, con una 107 (un solo articolo e 212 commi, una quaresima di adempimenti) che anno dopo anno procede come una schiacciasassi, che cosa potremmo aspettarci? E siamo solo all’inizio! E con questa mania della valutazione di sistema (preciso: non sono affatto contrario alla valutazione di un sistema: sarebbe assurdo se anche una modesta fabbrichetta non valutasse che cosa fa, quanto vende e quanto guadagna), si scaricano sulle istituzioni scolastiche autonome (autonome? Si fa per dire!) adempimenti che più impasticciati e faticosi non potrebbero essere. Adempimenti che poi ricadono soprattutto sul “povero” insegnante incaricato di redigere in via definitiva Rav, Pdm e quant’altro, per non dire dell’analisi degli esiti delle prove Invalsi, comparata con le valutazioni effettuate quotidianamente dagli insegnanti.

Sulla valutazione di processo, di prodotto, di sistema ci sono una vasta letteratura e una ricca strumentazione, più straniere, ovviamente – basta ricordare il Gantt e il Pert – ma che forse sono poco note ai nostri “riformatori centosettini” del Miur. Per non dire del metodo valutativo di cui alla RPWT (Ranked Positional Weight Technique), una procedura adottata nel mondo della produzione industriale. Guai, oggi, se un produttore, qualunque fosse la dimensione e il valore del prodotto, non considerasse – o meglio, non valutasse concretamente – l’impatto che il prodotto provoca e le sue ricadute. Sono, invece, operazioni note a un Marchionne – ad esempio – altrimenti il “nostro” non avrebbe potuto trasformare una Fiat nella Fca (Fiat Chrysler Automobiles). Quindi, nulla da obiettare al fatto che un’istituzione scolastica, in forza della sua autonomia (dato che i programmi scolastici dettati un tempo dal ministero ormai non esistono più), è tenuta a progettare, programmare (sono due operazioni diverse: con la prima si enfatizzano gli obiettivi di sistema; con la seconda si scandiscono le operazioni da effettuare step to step) e valutare sia i processi che i prodotti.

Le “dotte” citazioni sui processi valutativi di cui al precedente capoverso non dovrebbero meravigliare più di tanto. Si tratta di operazioni che in una qualsiasi organizzazione – anche nella bottega del salumiere, se esiste ancora – si effettuano con criteri più o meno scientifici, a seconda della natura e degli scopi prefissati. Ma la questione di fondo è un’altra, almeno a mio parere. Il RAV che le istituzioni scolastiche sono tenute a compilare, secondo la definizione data dal Servizio Nazionale di Valutazione, “inizia (sarebbe più corretto scrivere “ha inizio”: nda) con l’autovalutazione. Lo strumento che accompagna e documenta questo processo è il Rapporto di autovalutazione (RAV). Il rapporto è composto da più dimensioni ed è aperto alle integrazioni delle scuole per cogliere la specificità di ogni realtà senza riduzioni o semplificazioni eccessive. Il rapporto fornisce una rappresentazione della scuola attraverso un’analisi del suo funzionamento e costituisce inoltre la base per individuare le priorità di sviluppo verso cui orientare il piano di miglioramento. Tutti i RAV saranno pubblicati nell’apposita sezione del portale Scuola in Chiaro dedicata alla valutazione”.

Insomma, alle scuole, agli insegnanti e ai dirigenti vengono richieste fatiche non da poco rispetto ad un passato neanche troppo lontano. Ma queste fatiche aiutano la scuola a migliorare i suoi processi per rendere più efficaci i suoi prodotti? Se è vero che le ricerche internazionali sulle competenze linguistiche e matematiche – literacy e numeracy – della nostra popolazione sono sempre per noi penalizzanti, che cosa dobbiamo pensare? Si tratta di adulti – è vero – quindi di soggetti che hanno frequentato una scuola ancora non riformata da una 107 e dalle tante disposizioni applicative. Ma è anche vero che, se andiamo a leggere gli impegni che “Europa 2020” ci propone, a fronte degli esiti fino ad oggi raggiunti, non c’è da essere allegri.

Le Conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 in materia di Education and Training per il 2020 sono le seguenti. Sono stati fissati cinque obiettivi relativi ai traguardi che l’UE ed ovviamente i singoli Paesi membri dovrebbero raggiungere entro il 2020:

► abbandoni – inferiori al 10%

► competenze di base – i 15enni insufficienti in literacy, matematica e scienze inferiori al 15%

► diplomati dell’istruzione superiore – almeno il 40% tra i 30 e i 34 anni di età

► istruzione della prima infanzia – almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età dell’istruzione primaria debbono partecipare all’istruzione per l’infanzia

► apprendimento permanente – almeno il 15% degli adulti devono partecipare ad attività di apprendimento

Oggi, a quattro anni di distanza, sappiamo che noi in Italia siamo ancora lontani dal raggiungimento di tali obiettivi. Ma – potrebbero obiettare i nostri responsabili Miur – c’è una 107 in azione, per cui si può essere ottimisti. Se son rose fioriranno! Purché alla nostra dirigente non venga richiesto di scrivere – anzi di far scrivere ai suoi insegnanti – RAV, PDM e quant’altro!

Se i nostri insegnanti fossero impegnati più nelle aule con le loro classi di età, e meno distratti da impegni altri, noiosi, macchinosi e spesso inutili, sarebbe molto meglio. Anche perché i ragazzi di oggi non sono – come si suol dire – quelli di una volta! Sono costretti ad apprendere in strutture edilizie e in arredi che dai tempi di Casati e di Coppino hanno cambiato in poco o in nulla! Ah! Dimenticavo! Ci sono le Lim! Ma ci sono anche i cellulari che sotto i banchi non cessano mai di funzionare!

Cara dirigente! Se tu potessi lavorare meno ore al giorno e le potessi dedicare alle mille difficoltà che i tuoi insegnanti giorno dopo giorno debbono affrontare, sarebbe molto meglio! Anche e soprattutto perché la scuola non è un’azienda! O meglio, non dovrebbe esserlo!

E il panino finisce in Cassazione

E il panino finisce in Cassazione

di Cinzia Olivieri

Dopo aver varcato i confini nazionali il panino è giunto in Parlamento, oggetto di una interrogazione (la n. 5/09557 presentata il 23 settembre), nella quale si apprezza il valore della mensa (rectius: servizio mensa) quale “conquista sociale per le famiglie” e “garanzia della salute dei bambini sotto il profilo di una completa e corretta alimentazione bilanciata dal punto di vista nutrizionale”.

L’importanza della mensa, quale momento di socializzazione e formazione, come si è spesso ripetuto, è indiscussa e non è né contraddetta né svilita dal pasto domestico, né il valore del tempo mensa può ridursi nella identica somministrazione di vitto a pagamento secondo tariffe.

All’atto dell’iscrizione i genitori optano per un tempo scuola e non per un servizio, peraltro facoltativo (a domanda individuale D.M. 31 dicembre 1983).

È la mensa (rectius: tempo mensa) portatrice di una “funzione pedagogica, sociale e di educazione alimentare” e non il servizio.

Sotto il profilo argomentativo tuttavia, appare oggettivamente opinabile che solo la refezione garantisca ai bambini una sana alimentazione, così che tutti quelli che non se ne servano siano destinati ad avere problemi nutrizionali, giacché i genitori sono ritenuti evidentemente inidonei ad assicurare una alimentazione equilibrata.

Non si tratta di valutare cosa sia preferibile (servizio di refezione/pasto domestico) ma semplicemente di garantire un diritto di scelta.

Il principio non è innovativo, giacché la sentenza della corte di Appello di Torino ha semplicemente riconosciuto un diritto esistente ma evidentemente non correttamente applicato e pienamente esercitato. Dunque nessun vuoto. Solo un diverso orientamento.

Per l’effetto la vera discriminazione è separare, o peggio escludere dalla mensa, chi desidera portare il pasto da casa.

Sebbene tutto questo sia stato ribadito fino allo sfinimento, permangono resistenze ed invocate ragioni ostative al pieno esercizio di tale diritto, tra le quali: esigenze organizzative, carenza di personale ATA; adattamento dei locali; pareri di idoneità igienico sanitaria; necessità di sopralluoghi ….

L’ente locale continua a rivendicare la propria autonomia decisionale sulla destinazione del refettorio in orario scolastico, nonostante il quadro normativo evidenzi dell’altro ed infatti:

  • L’art. 94 del Dlgs 297/94 prevede che sia il consiglio di circolo o di istituto a consentire l’uso delle attrezzature da parte di altre scuole che ne facciano richiesta, per lo svolgimento di attività didattiche durante l’orario scolastico;
  • l’art. 96 del Dlgs 297/94 stabilisce che fuori dell’orario del servizio scolastico gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere utilizzati su temporanea concessione del comune o della provincia ma previo assenso dei consigli di circolo o di istituto;
  • l’art. 2 del DPR 567/96 (art. 9 della direttiva 133/ 96) dispone che “Gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere utilizzati, a tal fine, fuori dell’orario scolastico, di norma nel pomeriggio e, ove possibile, nei giorni festivi, secondo le modalità previste dal consiglio di circolo o d’istituto e in conformità dei criteri generali di utilizzazione assunti dal consiglio scolastico provinciale nonché di quelli stabiliti dalle necessarie convenzioni con gli enti proprietari dei beni”;
  • la L 23/96 (art. 3) assegna a Comuni e Province la realizzazione, fornitura e manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici; le spese di ufficio e per l’arredamento nonché quelle per le utenze elettriche e telefoniche, per la provvista dell’acqua e del gas, per il riscaldamento ed ai relativi impianti;
  • il dlgs 112/98 ha trasferito (art. 139) ai comuni ed alle province le funzioni relative al piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, ma elaborato d’intesa con le istituzioni scolastiche;
  • l’art. 50 DI 44/01  dispone che l’utilizzazione temporanea dei locali dell’istituto può essere concessa a terzi, previa deliberazione del Consiglio di istituto su criteri e limiti per lo svolgimento, da parte del dirigente, di tale attività negoziale (articolo 33, comma 2, lettera c)), a condizione che ciò sia compatibile con la destinazione dell’istituto stesso ai compiti educativi e formativi.

Stante tuttavia la persistente contrapposizione, a mediare il conflitto è intervenuto intanto l’Ufficio Regionale del Piemonte, il quale con la nota del 14.10.16 ha stabilito che In attesa che sul riconoscimento del diritto alla fruizione del pasto c.d. “domestico” si pronunci definitivamente la Corte di Cassazione, si ritiene che l’unica modalità applicativa idonea a tutelare i diritti e le scelte di tutte le famiglie, salvaguardando al contempo la continuità dell’erogazione dell’offerta formativa e i valori educativi e di socializzazione propri del tempo pieno e del tempo prolungato, sia costituita dalla possibilità di consumare il pasto domestico nei locali adibiti a refezione scolastica, anche attraverso l’individuazione di apposite aree dedicate”.

Dopo aver specificato che il servizio di pulizia, laddove necessario, deve assicurato dal personale ATA e la sorveglianza e l’assistenza educativa dal personale docente, è stata inoltre annunciata l’istituzione presso l’USR di un Osservatorio regionale per “riaprire un dialogo costruttivo tra le parti”.

Ciò non è bastato però a rendere disponibili tutte le scuole al pasto domestico “promiscuo”, tant’è che il 21 ottobre con una nuova nota l’Ufficio ha sollecitato le scuole a permettere la consumazione nei locali adibiti alla refezione.

L’Osservatorio è stato quindi costituito e progressivamente integrato. Tra i compiti quello di ridefinire e proporre un nuovo patto di corresponsabilità educativa che tenga conto delle esigenze derivanti dalla possibilità per le famiglie di portare i cibi da casa.

Non si può però fare a meno di chiedersi il senso dell’impegno nella elaborazione di un accordo (che implica il riconoscimento del diritto di scelta) destinato ad operare potenzialmente, nelle stesse intenzioni di una delle parti, solo in via transitoria. Infatti il ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino è stato intanto notificato, prima dal Comune (sebbene nel report dell’ASAPI della riunione del 5 luglio 2016 si legga “il Comune risulta non essere nella condizione di poter fare ricorso”) e quindi dal Ministero.

Quale patto se, nonostante la questione sia stata posta da Torino a livello nazionale e non esista oggettivamente alcuna norma, al di là delle tante argomentazioni idealistiche e/o di opportunità, che obblighi ad utilizzare un servizio di refezione (peraltro a pagamento nella scuola dell’obbligo), i genitori devono onerarsi anche dei costi della Cassazione per far valere un riconosciuto diritto di scelta?

Mentre l’amministrazione non fornisce risposta a tale dubbio, a breve saranno discussi nuovi ricorsi a Milano e a Lucca ed altri Tribunali potrebbero essere investiti della questione.

Ma per il panino è tempo di affrontare una nuova avventura.

Non sono determinabili con esattezza i tempi, tuttavia nelle more è stata organizzata una raccolta fondi per sostenere questa impegnativa fase del contenzioso, accessibile su: https://buonacausa.org/cause/caromensa.

Un patto non si addice ad una mera tregua momentanea.

Una Scuola senza carta

C. DE NITTI – B. CENTRELLI – D. GALLITELLI – V. LIUZZI
V. M. LOMBARDI – G. PILOLLA – M. VILELLA

UNA SCUOLA SENZA CARTA
LA DIGITALIZZAZIONE E LA DEMATERIALIZZAZIONE
DEGLI ARCHIVI DI UNA P.A.: UN PARADIGMA POSSIBILE

A cura di CARLO DE NITTI