I nostri figli autistici, come maiali all’ingrasso per il business del welfare

Vita.it del 06-12-2016

I nostri figli autistici, come maiali all’ingrasso per il business del welfare

di Luigi Croce

Gianluca Nicoletti, giornalista e padre di un ragazzo con autismo è stato intervistato dal professor Luigi Croce, neuropsichiatra, in chiusura del convegno di Anffas a Rimini. Un’intervista personale, senza reticenze, a un padre, con le sue preoccupazioni e le sue fatiche.

“Dentro la disabilità”: il professor Luigi Croce, neuropsichiatra e presidente del Comitato Scientifico di Anffas, ha intervistato sabato 3 dicembre Gianluca Nicoletti, giornalista e padre di un ragazzo con autismo, in chiusura del convegno internazionale “Disabilità Intellettive e del Neurosviluppo: diritti umani e qualità della vita”. Ecco la trascrizione di un’intervista a ruota libera.

Gianluca, parlaci dei familiari di persone con disabilità. Tu hai l’opportunità di essere “da tante parti” contemporaneamente, sei il giornalista di successo che certe volte butta fiele sulle associazioni e sei anche tu un famigliare: ci dici cosa pensi dei famigliari delle persone con disabilità?
Ci sarebbe qualche differenza da fare, conosco più che altro famigliari di persone con autismo, che sono a tutti gli effetti persone con una disabilità intellettiva ma che appartengono a una “sottospecie” definita, perlomeno questo è ciò che pensano. Immaginano di appartenere a un sottogruppo definito, al cui interno ci sono altri sottogruppi, un’infinità di sottogruppi: ci sono quelli ad alto funzionamento, a basso funzionamento, gli Asperger che non vogliono essere definiti ad alto funzionamento… ho perso il conto, sinceramente. Ci sono quelli che possono guarire, quelli che sono diventati autistici perché hanno fatto i vaccini, quelli che si intossicano con le diete, quelli che fanno le camere iperbariche, quelli che vanno in pellegrinaggio dalla madonna, quelli che i genitori se li tengono incollati addosso tutto il giorno e il giorno dopo cercano di trasformarli in esseri capaci di affrontare il mondo. Ne ho frequentati parecchi, di tutti i tipi. E sinceramente cerco anche di evitarlo, perché se uno si concentra sul figlio è difficile concentrarsi sui parenti degli amici del figlio. Sempre che possano essere chiamati amici e ammesso che il figlio autistico possa frequentare soltanto persone come lui. La conclusione alla fine è che siamo soli e dobbiamo rendercene conto. Rendersene conto con orgoglio, con gioia, con divertimento, con quel senso di avventatezza, se siamo avventati ci salviamo la vita. Ogni persona che ci conosce e ci guarda negli occhi e ci fa un sorriso è una conquista, una benedizione, una botta di culo, perché la nostra condizione è quella che non ci aspettiamo niente da nessuno. Questa è la partenza.

“Genitori di figli autistici ne ho frequentati parecchi, di tutti i tipi. E sinceramente cerco anche di evitarlo. La conclusione alla fine è che siamo soli e dobbiamo rendercene conto. Con orgoglio, gioia, divertimento, con quel senso di avventatezza, perché se siamo avventati ci salviamo la vita. Ogni persona che ci conosce e ci guarda negli occhi e ci fa un sorriso è una conquista, una benedizione, una botta di culo, perché la nostra condizione è quella che non ci aspettiamo niente da nessuno”. Gianluca Nicoletti

Siamo soli. L’associazionismo allora che ruolo ha?
Io su questo parlo per me, perché la nostra equazione individuale prevale su tutto. Io non mi sono mai associato a niente nella vita, non ho fatto nemmeno i boyscout perché non volevo mettermi i pantaloni come gli altri. Mi hanno detto di tutto, democristiano, anarchico, terrorista, ma non perché cambiassi giacchetta ma perché già da bambino la sovrascrittura, il fatto di fare ogni giorno reset di tutto ciò che ho detto e pensato e ricominciare daccapo fa parte di me. Io sono uno che fa l’upgrade quotidiano delle proprie convinzioni, idee, pregiudizi: è una maniera salutare per sopravvivere. Questo lo faccio anche di fronte a un sistema che in realtà avrebbe dei punti di riferimento, dei padri fondatori. Mi sento felicemente solo, ma è anche vero che sono entrato tardi nella grande famiglia dei famigliari con figli autistici e quando ho iniziato a occuparmi di mio figlio l’ho fatto in maniera mia, come faccio tutte le cose: o me ne sbatto completamente o lo faccio perinde ac cadaver, come dicono i gesuiti, profondamente. Questo l’associazionismo me lo rimprovera continuamente, dove eri tu nel 1985, nel 1789 quando noi già dicevamo questo? Dov’ero? Facevo le cose mie, sapevo che avevo un figlio un po’ strano, ma cercavo di arginare. Si andava per tentativi. Mi hanno parlato di analisi comportamentale che Tommy aveva già 18 anni, c’era poco da fare, non per cattiveria ma perché quello era. Me ne sono iniziato a occupare con quella “maniacalità” con cui mi dedico al lavoro, quando Tommy aveva 16 anni e la mamma non ce la faceva più. All’inizio non capivo, la madre che vede il figlio alzare le mani su di lei, lei piangeva, singhiozzava, ne ho prese tante anche io ma non è che mi ferivano l’anima, cercavo di contenerlo, mi sembrava anche bello, epico, un padre che insegna a un figlio a combattere… poi ho cominciato a capire un po’ di cose, a essere meno approssimativo, ho avuto la fortuna di fare subito la scelta giusta. Sarà che a naso i cialtroni li ho sempre fiutati. Così ho cominciato a occuparmene e non trovavo modo migliore che raccontare il mio quotidiano occuparmene. Sono diventato quello che tutte le redazioni chiamano quando non sanno chi chiamare, sono diventato un professionista del racconto dell’autismo. È difficile invece raccontarmi con altri genitori, difficile perché la mia giornata è limitata.

Ci siamo divisi i compiti con mia moglie, lei fa le riunioni con gli altri genitori, io cerco di portare a casa i progetti, cercare i soldi in giro e curare le relazioni a livelli più alti. Il problema della famiglie è che se si concentrano nel microcosmo quotidiano perdono di vista l’aggiornamento, diventano un po’ come il medico condotto di paese a cui sembra di saper tutto, ha sempre curato i pazienti nella stessa maniera e poi invece hanno scoperto gli antibiotici e lui non lo sa. Si perde di vista il mondo che cambia e per noi è importantissimo invece tenere d’occhio il mondo che cambia, bisogna guardare sempre più in là. Poi esiste anche la categoria opposta, i genitori che per vocazione guardano sempre più in là: sono quelli che creano i gruppi su facebook che sanno tutto su tutto, sulla scienza alternativa, genitori che pagano mille euro un flacone di uova di maiale, ma che è sta roba, non hanno saputo dirmelo, sfiamma il cervello, svelena i veleni dei vaccini, fanno collette per comprare le uova di maiale e danno le gocce ai figli… L’altro che ha fatto 90 camere iperbariche, ma non hai un figlio, hai un astronauta. Queste cose non avvengono in Nepal, con lo sciamano, avvengono qui. Come è possibile che accada questo? Che ci siano ritorni indietro al medioevo, al tempo delle streghe e delle superstizioni? Farebbero tutto ai loro figli per farli guarire, ma non c’è niente da guarire, sono autistici, è come se io volessi guarire dall’avere due braccia. Tutto questo lo dico adesso, ma dirlo faccia a faccia alle persone ti crea nemici, sei saccente, sembri quello che si crede chissà chi, mi dicono che faccio i soldi sulla testa di mio figlio, mi trovo in una condizione di imbarazzo per cui preferisco esprimermi attraverso un libro che non faccia a faccia.

“Ci sono genitori che pagano mille euro un flacone di uova di maiale. Come è possibile che accada questo? Che ci siano ritorni al Medioevo, al tempo delle streghe e delle superstizioni? Farebbero tutto ai loro figli per farli guarire, ma non c’è niente da guarire, sono autistici, è come se io volessi guarire dall’avere due braccia. Tutto questo lo dico adesso, ma dirlo faccia a faccia alle persone ti crea nemici”. Gianluca Nicoletti

Usciamo un po’ dalla tua esperienza, tirar fuori la parte più pubblica. Si sta parlando tantissimo di autismo, forse anche usandolo. Non è che c’è un business?
Dopo i cucciolotti abbandonati hanno capito che anche l’autismo, con quell’aspetto indifeso, tira. Dopo aver assecondato per anni la filosofia del “chiudere dentro”, negli “istituti per fanciulli minorati” che ancora c’è scritto su alcune porte. Se ne parla tanto, sì, mentre un anno fa il mio lavoro era scovare notizie dove c’era un’ingiustizia o una vessazione, anche lessicale, ora devo andare a “filtrare” le storie, perché mi arrivano tantissime segnalazioni di casi da “denunciare”, dove c’è un problema e quelle che sono paranoie dei genitori dinanzi a quella quota di imprevedibile e indecifrabile che accade a tuti. Qualche giorno fa girava su facebook il video della maestra cattiva che alla recita della scuola strappa il microfono al bambino autistico: guardando con attenzione vedevi che non c’era niente di strano, che il vestito del bambino era come quello dei compagni, colo che lui l’aveva tirato sulla testa e sembrava che avesse una cresta da gallo, lui ha fatto tutta la sua recita e siccome come tanti nostri figli quando inizia parlare non smette più, la maestra a un certo punto ha detto giustamente ciao basta. Stiamo attenti a questo, ci si rivolta contro. È vero che sul linguaggio noi siamo ancora in una zona limitrofa, non abbiamo ancora piena dignità nel rispetto lessicale, qualcosa ho fatto ma vorrei fare qualcosa di ancora più concreto: perché dal viaggio che ho fatto in Italia per il film, devo dire che c’è la conferma di quanto è stato detto qui oggi. Esiste un non detto estremamente doloroso, spaventoso, concordo con quanto dice Roberto Speziale. Lui dice che un figlio non è una rendita. È così, è questo il problema, i nostri figli diventeranno improvvisamente importanti per qualcuno perché sono la ragione del loro lavoro e del loro stipendio, è come se lo stessero aspettando, come quelli che vengono a vedere il maiale all’ingrasso e già se lo immaginano trasformato in salsicce. Oggi a cavallo, la settimana bianca, poi il mare… nessuno di noi ha fatto una vita come quella che fanno i nostri figli, vivono felicemente, ma ci vorrebbe che noi diventassimo immortali per continuare a farli stare così. Invece i nostri figli c’è chi li guarda come le rappresentazioni delle mucche e dei maiali dal macellaio, il filetto, il controfiletto… questo qui basta rimpinzarlo per bene e fra un tot di anni, pezzo per pezzo, diventa il nostro business. Non sto esagerando. Tutte le volte che dico questa cosa c’è qualcuno che si alza in piedi e dice “Nicoletti venga a vedere i nostri bei centri”. Mettici tuo figlio nel bel centro, faccelo stare una settimana e poi vediamo.

“Speziale dice che un figlio non è una rendita. È così, è questo il problema, i nostri figli diventeranno improvvisamente importanti per qualcuno perché sono la ragione del loro lavoro e del loro stipendio, è come se lo stessero aspettando, come quelli che vengono a vedere il maiale all’ingrasso e già se lo immaginano trasformato in salsicce”. Gianluca Nicoletti

È la sfida del dopo di noi e del durante noi. Dentro e fuori è il titolo dell’intervista di oggi. Anche Francescutti ci ha dato uno spunto finale… Che ne facciamo dei servizi? Che significa fare inclusione? Ormai ci stiamo schierando chiaramente, ci sono meravigliose gabbie dorate dove si fanno un sacco di cose ma non si guarda allo sviluppo delle persone. Li chiudiamo tutti i servizi, un po’ alla volta? Come la vedi la funzione pubblica?
Ma stiamo scherzando? La nostra vita è appesa a un filo, dove pensi che vada mio figlio? Mia moglie quanto può reggere da sola? Io forse sono anche un privilegiato, per certi versi, ma i miei problemi sono gli stessi di tutti. In questo giro d’Italia ho incontrato una mamma calabrese, vedova, con un figlio di 45 anni, “i parenti mi hanno rinnegato, che ci faccio con questo ragazzo?”. Lo mettiamo insieme ai vecchi? Un ragazzo abituato a stare in riva al mare? È lo stesso problema che ha un industriale del Trentino, realizzatissimo, con due figlie gemelle autistiche, ha fatto un bellissimo centro ma ha faticato non so quanto, ha trovato i soldi, ma non basta, non sono i soldi il problema, c’è una questione culturale. Non vorrei che il dopo di noi venga risolto come è stata risolta l’inclusione scolastica: mi dicono che abbiamo la legge più avanzata d’Europa, di cui andiamo fieri, sì, bene, ma ditemi su 10 dove davvero c’è inclusione scolastica. È così. Sapete tutti quanto è difficile trovare un insegnante di sostegno che abbia la minima consapevolezza di cosa sia l’autismo. Che poi devo anche dire che Tommy ha 18 anni, spero che lo boccino, altrimenti da giungo che farà la mattina? Nonostante tutto andare a scuola è una gioia per lui, ci sono altri ragazzi, è sempre meglio che stare da soli, trova ambiente in cui sta bene, m quando finisce? E qual è lo sforzo della scuola perché questo per lui sia un percorso formativo e non solo un bel parcheggio per vivere la socialità? Dovrò inventarmi qualcosa che somigli alla scuola, dove lui possa andare ogni giorno come io vado al lavoro. Forse sarebbe meglio che si dedicasse a questo la scuola, invece di fargli fare le aste mentre gli altri studiano trigonometria: dalla prima media in poi tutto deve essere un avviamento alla scuola-lavoro, alla bottega, perché comincino a pensare di lavorare… È inutile che pensino di fare gli studenti se tanto è finto, meglio che pensino di essere dei ragazzi di bottega. La scuola fatta così come oggi è una vacanza, che poi finisce, nel bene e nel male.

“Non vorrei che il dopo di noi venga risolto come è stata risolta l’inclusione scolastica: mi dicono che abbiamo la legge più avanzata d’Europa, di cui andiamo fieri, sì, bene, ma ditemi su 10 dove davvero c’è inclusione scolastica. È un casino veramente, viene da pensare che sarebbero quasi meglio le scuole speciali, è una bestemmia e me ne vergogno, viene la tentazione di pensare che almeno lì se ne occuperebbe qualcuno a cui non devo spiegare io giorno per giorno cosa ha mio figlio”. Gianluca Nicoletti

La famiglia come vede i professionisti, quelli che possono dare una mano? Noi ci siamo accorti ad esempio che le persone che hanno più bisogno di sostegno, i “gravi”, sono quelli che hanno meno sostegno informale. È un po’ come se noi prendessimo i casi “facili”, che vengono fuori bene e quelli che hanno più bisogno li mettessimo ancora nei vecchi posti magari con le lucine colorate sulla porta. Io e la mia famiglia da trent’anni campiamo con i soldi delle persone con disabilità…
Perché dici così? Tu offri un servizio, mica li rubi. Non devi fare il volontario, offri una prestazione professionale qualificata e aggiornata. Non è che non ci sono i soldi per pagare le persone, l’esempio più calzante è il primo giorno di ADI, quando ti arriva qualcuno che non scegli tu eppure si prende un bel pezzo di soldi pubblici. Io sono stato molto fortunato, ho cercato la persona giusta, è un ragazzo bravo, che ha studiato molto, è diventato l’amico adulto di mio figlio, che ha fatto molti passi avanti. Dovrebbe esserci una vera formazione, andrebbe pensata e strutturata meglio. Perché affidarci sempre all’insegnante di sostegno? Perché per i fragili non ci deve essere una professionalità specializzata? Tutti noi veniamo cacciati se non facciamo bene il nostri lavoro…

Un ruolo ulteriore dei media, quale può essere?
Ho finito ora di girare il film per raccontare i ragazzi con autismo e le loro famiglie, chi pensa sono tutte chiacchiere e che ci piangiamo addosso adesso avrà un quadro completo. Intanto si vede che in tutto il Paese c’è il problema, dicono tutti le stesse cose, c’è una costante. C’è un abbandono totale da parte di chi scientificamente dovrebbe occuparsi di questo tema, vuoi per pregiudizio nostro e per poca attenzione. C’è uno scollamento totale con le amministrazioni e la scuola ne esce pessimamente, è la cosa che ne esce peggio. È un casino veramente, con i nostri figli viene da pensare che sarebbero quasi meglio le scuole speciali, è una bestemmia e me ne vergogno, ma viene la tentazione di pensare che almeno lì se ne occuperebbe qualcuno a cui non devo spiegare io giorno per giorno cosa ha mio figlio. Sai cosa ci vorrebbe? Un’ora alla settimana per tutti, in cui imparare a relazionarsi con un essere mano diverso da me. È qualcosa che serve a tutti, per la vita.

#IMiei10Libri


Alessandro D’Avenia, Niccolò Ammaniti, Roberto Saviano sul podio della scuola secondaria. ‘Il Piccolo Principe’, ‘Le avventure di Pinocchio’, ‘La fabbrica di cioccolato’, i più amati alla primaria.

Si sono chiuse lo scorso 1° dicembre le votazioni del concorso #Imiei10libri lanciato dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini in occasione del Salone del Libro di Torino. Un’iniziativa voluta per promuovere la lettura tra i bambini e i ragazzi ribaltando la prospettiva. Dando cioè la parola agli studenti che hanno potuto indicare, classe per classe, i dieci libri più amati da mettere poi a disposizione nelle biblioteche scolastiche. Il risultato finale è frutto del dibattito che in questi mesi si è svolto nelle aule.
Il concorso era articolato in due sezioni:
– Generazione 2000. I contemporanei in classe: riservata agli alunni delle scuole secondarie di I e II grado che hanno potuto indicare 10 titoli di autori italiani pubblicati dal 2000 ad oggi.
– #iMiei10Libri: per gli alunni della primaria, che hanno potuto scegliere tra 10 volumi della letteratura per l’infanzia e per i ragazzi appartenenti alla cultura italiana o europea. I libri potevano essere un classico, una sua rivisitazione contemporanea o un testo recente legato alla produzione di qualità nell’ambito dell’editoria per l’infanzia e per i ragazzi della cultura italiana ed europea.
Ogni classe ha potuto esprimere fino a 10 preferenze ordinate. Le preferenze son state poi “pesate” in base all’ordine: il libro indicato come prima preferenza prendeva 10 punti, il libro indicato come seconda preferenza ne prendeva 9, il terzo ne prendeva 8 e così via. Il punteggio finale somma quindi tutte le preferenze ponderate espresse dalle classi. Il regolamento prevede che in caso di più libri dello stesso autore tra i primi 10, ne venga acquistato solo uno per autore.
In particolare, per la primaria, la scelta era libera, per lasciare ai bambini la possibilità di spaziare tra le fiabe, che non hanno tempo per definizione, e tra testi che appartenessero ad una tradizione più ampia di quella nazionale. Per la secondaria, lo scopo non era organizzare una gara ad individuare i capolavori della letteratura italiana del Novecento, ma un viaggio alla scoperta di libri recenti, un incoraggiamento a scoprire autori contemporanei. Dai risultati emerge che alcuni libri piacciono particolarmente ai ragazzi, ma non ci sono stati plebisciti. I due autori più votati alla secondaria non superano le 1.500 classi ciascuno, a fronte di oltre 70 mila classi partecipanti. Il concorso è stato quindi un’occasione per scoprire e parlare di tanti autori e testi diversi. Fra primaria e secondaria sono stati quasi 10.000 i titoli inseriti nel sistema.
Alle votazioni, aperte l’1 giugno 2016 e chiuse lo scorso 1 dicembre, hanno partecipato 138.000 classi, per un totale di 3,5 milioni di ragazzi. Nel dettaglio, hanno votato 68.381 classi della primaria e 70.107 della secondaria. Hanno votato anche realtà particolari, come 8 sezioni ospedaliere e 2 sezioni inserite in case circondariali.

Campania e Puglia sono le regioni dove si è riscontrata la più alta partecipazione con il 60% delle classi che hanno votato i loro libri preferiti. A seguire, Basilicata, Umbria e Sicilia. In Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Veneto ha votato più di un terzo delle classi.

“Leggere non deve essere un compito obsoleto, ma una scelta consapevole che apre curiosità e creatività – sottolinea il Ministro Stefania Giannini commentando i risultati dell’iniziativa – Le nostre ragazze e i nostri ragazzi ci chiedono storie: storie di fantasia e sogno nella scuola elementare; e storie di sentimenti, di crescita e di coscienza civile nella scuola secondaria. Credo che a fare tesoro di questo concorso saranno anche i più grandi, le famiglie e soprattutto gli insegnanti, perché un rafforzamento delle competenze di base passa necessariamente da un nuovo racconto della lettura, non solo dalla lettura di nuovi racconti. L’alta partecipazione – conclude Giannini – è un segnale positivo: dimostra che, cambiando prospettiva e lasciando ai giovani la parola, la scuola può scoprire una generazione di lettori attenti e intercettare i loro gusti e le loro ambizioni”.
Con un investimento complessivo di 1,3 milioni di euro, che concretizza l’impegno a diffondere la lettura, tutte le scuole riceveranno 150 euro ciascuna (anche quelle in cui non si è votato) per l’acquisto dei libri prescelti, anche in formato digitale.
Il Miur sta per assegnare i 7,5 milioni per le biblioteche scolastiche innovative (750 in tutta Italia), un bando lanciato contemporaneamente a #IMiei10Libri.


Una lingua in decadimento?

Una lingua in decadimento?

 di Maurizio Tiriticco

A tutti è noto che la competenza linguistica è costituita delle seguenti abilità: ascoltare, parlare, leggere, scrivere, tradurre (da una lingua a un’altra, da un dialetto a una lingua), transcodificare (tradurre in lingua messaggi non verbali). Un parlante normale, dalla nascita alla maturità, apprende nella misura in cui il “campo di comunicazione” glielo consente. Tale campo è dato dai parlanti che lo allevano fisicamente e lo “alimentano linguisticamente”, dalla madre e dal padre, nonché dal gruppo parentale e dal milieu socioculturale in cui il nuovo nato cresce, si sviluppa e apprende. Ad ambiente “povero” sotto il profilo della elaborazione linguistica corrisponde un apprendimento povero e viceversa.

Si tratta di studi ormai datati. Già negli anni Sessanta dello scorso secolo il ricercatore inglese Basil Bernstein aveva individuato essenzialmente due codici linguistici. Uno è il codice “elaborato”, ricco sia sotto il profilo del vocabolario (un alto numero di parole note e correttamente utilizzate) che della grammatica (un ampio uso soprattutto delle proposizioni subordinate); l’altro è il codice “ristretto” (un numero basso sia di parole che di legami sintattici). Per quanto riguarda un nuovo nato, questi è “fortunato”, se nel corso del suo apprendimento e sviluppo linguistici vive, cresce, opera e apprende in un ambiente socio-familiare linguisticamente ricco; altrimenti è dichiaratamente “sfortunato”. Occorre anche sottolineare che l’imprinting linguistico avviene nei primissimi mesi dopo la nascita. Pertanto ad un milieu sociofamiliare povero corrisponde uno sviluppo linguistico povero e viceversa.

Queste annotazioni le sto facendo perché negli ultimi tempi la televisione – grande veicolo di apprendimento linguistico per chi vede/ascolta; e, di fatto, anche di apprendimento comportamentale – ci espone sempre più ad una sorta di progressivo impoverimento linguistico. Ma non è stato sempre così. Tutti – proprio tutti, forse, no – ricordiamo la TV degli anni Cinquanta dello scorso secolo, quando il maestro Manzi con la pazienza tipica dell’insegnante elementare convinto del suo ruolo, insegnava a leggere, scrivere e far di conto, con tanto di gesso e di lavagna (ma usò anche la lavagna luminosa!!!) ai tanti italiani che non avevano fruito di un’istruzione di base efficace. Oggi un maestro Manzi sarebbe impensabile! Ormai tutti, proprio tutti, leggono, scrivono e fanno di conto, dato l’uso diffuso di tablet e cellulari (che, forse, indirettamente, insegnano più della scuola!!!). Ma c’è lingua e lingua! C’è una lingua che è strumento del pensiero, quindi di arricchimento culturale, e una lingua che, invece, è mero consumo del trito, se non addirittura del… nulla! C’è una competenza linguistica funzionale e c’è una competenza linguistica strumentale! Qui il discorso sarebbe complesso e lo lascio ai competenti in materia.

Tornando alla “vecchia” TV, ricordo anche che lo stesso Direttore generale Ettore Bernabei era molto attento al fatto che la televisione assumesse un ruolo indiretto di educazione linguistica e di educazione a dati valori! Questi ultimi, ovviamente, discutibili quanto si vuole! Comunque, altri tempi, certamente! Anche perché la TV era solo quella dello Stato e non aveva concorrenti! E fu una TV anche “educativa”! Va sottolineato che la transcodifica televisiva dei grandi romanzi fu un’operazione culturale di grande successo. Ricordo i Promessi Sposi, La Cittadella, di Cronin, Canne al vento, Cime tempestose, di Jane Eyre, Piccolo mondo antico, Francesco di Assisi. C’è anche da dire, forse, che la TV di allora era sì di Stato, e che lo Stato era – se così si può dire – di marca DC; ma qui il discorso si farebbe complesso e sarebbe fuori tema. Comunque, per almeno due decenni la TV di Stato fu una sorta di seconda maestra di lingua e, se vogliamo, anche di vita! Niente cosce al vento! Però, quando apparvero le gambe della sorelle Kessler… insomma, le polemiche non mancarono! Oggi farebbero solo sorridere! In seguito, negli anni Settanta è nata la TV cosiddetta commerciale: quindi niente canone, libera concorrenza, se no, spietata, pubblicità a iosa. E, soprattutto, la legge del mercato! Occorre dare al pubblico ciò che il pubblico vuole! Altrimenti questo cambia canale!!! Lo zapping: un’operazione monstrum da battere! Occorre inchiodare il pubblico a “quel” canale, comunque! Altri orizzonti, quindi, rispetto alla TV di Stato degli anni Cinquanta.

Inutile dire che la larga diffusione di una TV “libera” e “indipendente”, non “statale”, che dovesse andare incontro alle “attese del popolo” era garantita soltanto se queste attese fossero state soddisfatte. Insomma, è come se la maestra in una prima classe, invece di insistere sulla lingua italiana, avallasse tutti i dialetti e li promuovesse anche! Ne conseguirebbe una babele linguistica! Ebbene, questa babele è stata effettivamente avviata: ed è un fenomeno per ceti versi preoccupante! Fatta salva, ovviamente, la libertà di informazione. Non è un caso che la competenza linguistica degli italiani è una delle più basse a livello mondiale. Mi viene in mente quanto ci ricordava Don Milani: “È solo la lingua che rende uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intendere l’espressione altrui.” Certamente! Ma quale lingua rende uguali? La “lingua del maestro”, avrebbe aggiunto Don Milani! E come li bacchettava i suoi alunni se non si fossero impadronititi della lingua corretta, che era anche quella del padrone! Ma non è così, oggi! La lingua che si adotta è la “lingua dell’alunno”! E’ molto più facile raggiungere l’alunno con la sua lingua e convincerlo così a qualsiasi cosa! Quindi… ci troviamo davanti a una corsa sfrenata alla semplificazione, all’impoverimento sintattico e morfologico: poche frasi, pochi verbi, pochi sostantivi, soprattutto poche congiunzioni subordinate!

E un Salvini è un maestro in tale campo! Un Don Milani alla rovescia! Salvini è il primo della classe di un’intera scuola di politici dei giorni nostri! Addio ai funambulismi di un Aldo Moro o al parlar forbito di un Umberto Terracini! Si leggano i discorsi tenuti all’Assemblea Costituente! Tutti di alto profilo! Una lingua italiana corretta oltre misura. Come corretta oltre misura è la lingua di quella nostra Carta costituzionale che anche un bambino di scuola primaria può leggere e comprendere senza particolari difficoltà. Ma un conto è un “parlar semplice”, che nasce sempre da un pensare complesso! Altra cosa, invece, è un “parlar povero”, che nasce da un altrettanto “pensar povero”. E’ tempo di populismi! Di semplificazioni! Di imbarbarimenti linguistici! Uno spettro di aggira per l’Europa, diceva un Manifesto: quello del comunismo. Un nuovo spettro si aggira oggi, quello del populismo, del parlare povero, che non è il parlar semplice! E che è anche e soprattutto il pensar povero! E’ il tempo dei Salvini! E un Salvini ha mille alunni – linguisticamente parlando e, purtroppo, anche politicamente – pronti a seguirlo, perché lo capiscono, perché parla come loro.

E’ evidente che all’impoverimento della competenza linguistica corrisponde l’impoverimento culturale, e civico, anche! Anche perché tale impoverimento viene premiato da un lato da politici balbettanti, dall’atro da trasmissioni come la Zanzara in cui la parolaccia è il sostituto del pensar poco e pulito. Si tratta di fenomeni interessanti, che il buon De Mauro è in grado di comprendere e studiare con piena cognizione di causa! Fenomeni di decadimenti linguistici e culturali che io mi limito a registrare

Stavo per chiudere quando Alessandra Cenerini mi informa che dai recenti dati OCSE-PISA, snapsot of performance in science, reading and mathematics, l’Italia è ancora, come sempre, pressoché al palo: 35° posto, se non ho contato male (anch’io scarseggio in competenze di base). Il che significa che noi, Patria, con tanto di maiuscola, di illustri letterati come Dante e Manzoni, nonno e padre della nostra bella lingua, se si può dir così, ora, all’inizio di un nuovo millennio, che non farà sconti a nessuno, ci dobbiamo misurare con un impoverimento linguistico e culturale veramente preoccupante. Una sfida per la nostra scuola! Una sfida che non so se la legge 107 sia stata in grado di comprendere e raccogliere!

Comunque, per parafrasare un noto titolo, io speriamo che me la cavo!

OCSE PISA – IEA TIMSS – TIMSS ADVANCED

pisa_2015

Il 6 dicembre 2016 sono stati presentati, presso il Liceo Classico Ennio Quirino Visconti di Roma, i risultati delle indagini internazionali 2015 OCSE PISA – IEA TIMSS e TIMSS ADVANCED

Programma



DIDATTICA E PSICOPEDAGOGIA DEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO

RomaTre. Master di I livello in DIDATTICA E PSICOPEDAGOGIA DEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO

Il Master di I livello si propone di formare i docenti delle scuole statali e paritarie, i dirigenti scolastici delle scuole statali e i coordinatori didattici delle scuole paritarie in materia di Disturbo dello spettro autistico.
In particolare, verranno fornite conoscenze e competenze atte all’individuazione dei segnali delle difficoltà dello spettro autistico, alla progettazione didattica, all’utilizzo di strumenti e metodologie didattiche idonei e alla valutazione nei casi di alunni con Disturbi dello Spettro Autistico in contesto scolastico.
Il Master si propone, inoltre, di fare acquisire ai corsisti un insieme strutturato di conoscenze, capacità e competenze in ambito didattico e psicopedagogico per i Disturbi dello Spettro Autistico relativo alla scuola dell’infanzia, alla scuola primaria, alla scuola secondaria di I e di II grado.
Il numero massimo di richiedenti ammessi al Master è 120, di cui 100 potranno usufruire del finanziamento del MIUR  (tipologia A) e 20 seguiranno il Master  a  pagamento (tipologia B).
INFO: http://www.uniroma3.it/schedaPostLauream16.php?pl=722&facolta=009440

Scuole a prova di fuoco entro il 2016

da Il Sole 24 Ore

Scuole a prova di fuoco entro il 2016

di Dario Aquaro

Entro il prossimo 31 dicembre gli edifici scolastici e i locali adibiti a scuole, esistenti alla data del 26 maggio 2016, dovranno adeguarsi a una serie di requisiti di sicurezza antincendio, già previsti dal Dm 26 agosto 1992. Si tratta di requisiti che avrebbero dovuto in origine essere osservati entro il 1997, ma che – di proroga in proroga (per 19 anni) – sono stati differiti nel tempo.

L’Anci ha evidenziato che, in base ai più recenti dati dell’Anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica (dell’agosto 2015), oltre la metà degli edifici non è adeguata ai requisiti e di conseguenza è probabile che molti non potranno essere a norma neanche al termine di quest’anno.

Le regole

La scadenza del 31 dicembre 2016 è stata fissata dal Dm 12 maggio 2016: decreto che è entrato in vigore il 26 maggio (giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta) e che contiene le prescrizioni «per l’attuazione, con scadenze differenziate, delle vigenti normative in materia di prevenzione degli incendi per l’edilizia scolastica».

Sono esentati dall’obbligo gli edifici già in possesso del certificato di prevenzione incendi (in corso di validità) o dove sia stata presentata la Scia per l’adeguamento (ex Dpr 151/2011). Mentre devono presentare la segnalazione certificata entro il 31 dicembre gli edifici per cui siano in corso lavori di adeguamento al Dm del 1992, con progetto approvato dai vigili del fuoco. Dal gennaio 2017 vi potranno essere sopralluoghi ispettivi.

Il percorso di attuazione per gli edifici che non sono in regola sul fronte antincendio è articolato in step, con misure da raggiungere entro tre e sei mesi a partire dal 26 maggio scorso (quindi con due scadenze: 26 agosto e 26 novembre). Ma che – precisa il decreto – «devono comunque essere attuate entro il 31 dicembre 2016».

Le fasi

Il primo step riguarda:

gli impianti elettrici, da rendere conformi ai criteri della legge 186/68, e dotare di interruttore generale con comando di sgancio a distanza;

i sistemi di allarme, in grado di avvertire in caso di pericolo;

gli estintori portatili, disposti in modo da averne almeno uno per ogni 200 metri quadrati di pavimento, con un minimo di due per piano;

la segnaletica di sicurezza (norme del Dpr 524/82);

le norme di esercizio, relative alla predisposizione del registro controlli periodici e del piano di emergenza.

Sugli altri adeguamenti da effettuare, si fanno alcune distinzioni. Sono infatti riportate misure comuni a tutte le scuole oggetto del decreto, e altre dalle quali sono invece esclusi gli edifici realizzati prima dell’entrata in vigore del Dm 18 dicembre 1975 («Norme tecniche relative all’edilizia scolastica»). Tra le prime rientrano:

la separazione dei locali per attività scolastiche (tramite strutture con determinate caratteristiche) da quelli adiacenti ma di uso diverso;

l’utilizzo, nei diversi ambienti, di materiali conformi alle classificazioni di reazione al fuoco previste dal Dm 26 giugno 1984;

le misure per l’evacuazione in caso di emergenza (affollamento, deflusso, vie di uscita);

il rispetto delle norme per gli impianti di produzione del calore e delle norme specifiche per spazi di esercitazione, di deposito, per l’informazione e le attività parascolastiche (come l’auditorium), per servizi logistici (mense, dormitori);

la dotazione di reti di idranti, di un impianto elettrico di sicurezza alimentato da una fonte distinta, e di impianti fissi di rilevazione e/o estinzione incendi.

Gli esoneri

Gli edifici costruiti prima dell’arrivo del Dm del 1975 non sono invece soggetti ad altri requisiti, previsti per le restanti strutture. Vale a dire l’osservanza di tutte le norme di comportamento al fuoco, la suddivisione in compartimenti e le prescrizioni per scale, ascensori e montacarichi, e il rispetto delle norme specifiche per tutte le tipologie di impianti e servizi tecnologici presenti nell’edificio.

Le regole a cui si intende finalmente dar seguito sono – a parere degli stessi operatori – indubbiamente “datate”. E l’elenco delle misure richiamate dal Dm 12 maggio 2016 non esaurisce comunque per intero le disposizioni antincendio contenute nel Dm 1992, visto che questo decreto tocca anche altri aspetti (ad esempio, le caratteristiche costruttive). Viene quindi precisato che solo le scuole realizzate «successivamente alla data di entrata in vigore del decreto del ministro dell’Interno del 26 agosto 1992 attuano tutte le misure ivi previste».

Per gli asili nido messa a norma divisa in tre fasi

da Il Sole 24 Ore

Per gli asili nido messa a norma divisa in tre fasi

Per gli asili nido un primo termine è da poco trascorso. Il 7 ottobre scorso era infatti la data limite per adeguarsi alla regola tecnica di prevenzione incendi (Dm 16 luglio 2014): decreto predisposto dal ministero dell’Interno per minimizzare le cause di incendio, limitarne la propagazione, garantire stabilità delle strutture, evacuazione degli occupanti e operazioni di soccorso sicure.

La scadenza delle disposizioni al 2016 è stata così differita per effetto dell’articolo 4 comma 2-bis del Dl 192/2014 (il cosiddetto Milleproroghe convertito in legge 11/2015). L’adeguamento è previsto per gli asili nido con oltre 30 persone presenti – calcolati tra bambini/neonati e personale operativo nella struttura – esistenti alla data del 28 agosto 2014 (entrata in vigore del decreto). Per gli asili con meno di 30 presenti, il decreto rimanda infatti a criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro. L’obbligo di adeguarsi non è però richiesto nel caso vi siano atti abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti antincendio; oppure se siano in corso o siano stati pianificati lavori di ristrutturazione o ampliamento sulla base di un progetto approvato dai comandi dei vigili del fuoco.

La normativa attuale detta in sostanza tre termini per mettersi in regola, con scadenze il 7 ottobre 2016, 2018 e 2021: date entro cui dovrà essere quindi presentata la Scia antincendio (ex articolo 4 del Dpr 151/2011). Il termine del 7 ottobre scorso si riferisce ai requisiti di sicurezza elencati dal Dm all’articolo 6 comma 1 lettera a). E dunque riguardanti: strutture di separazione e comunicazioni tra le parti e gli ambienti degli edifici; resistenza al fuoco dell’attività; caratteristiche di scale, uscite di sicurezza e vie di esodo; conformità degli impianti di sollevamento (ascensori o montacarichi); realizzazione e installazione di impianti elettrici e illuminazione di sicurezza; dotazione di estintori e sistemi di allarme; tipologie di segnaletica di sicurezza; organizzazione e gestione della sicurezza in caso di incendio.

La successiva scadenza prevista è quella del 7 ottobre 2018, quando scatterà il momento di adeguarsi ad altri requisiti elencati nel Dm: reazione al fuoco dei materiali; impianto idrico antincendio (previsto solo per gli asili con oltre 100 persone presenti); impianti fissi di rivelazione, segnalazione e allarme. Tra cinque anni (il 7 ottobre 2021) sarà invece la volta di rispettare anche l’obbligo dei restanti requisiti. Quelli relativi per esempio a ubicazione delle strutture; dimensionamento del sistema di esodo, in considerazione della densità di affollamento; locali adibiti a depositi o per il lavaggio; impianti di produzione di calore e confezionamento dei pasti.

Oltre il 52% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni è vittima di bullismo

da Il Sole 24 Ore

Oltre il 52% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni è vittima di bullismo

Il 52,7% degli 11-17enni nel corso dell’anno ha subito comportamenti offensivi, non riguardosi o violenti da parte dei coetanei. La percentuale sale al 55,6% tra le femmine e al 53,3% tra i ragazzi più giovani, di 11-13 anni. Quasi un ragazzo su cinque (19,8%) è oggetto di questo tipo di soprusi almeno una volta al mese, eventualità più ricorrente tra i giovanissimi (22,5%). Su internet sono le ragazze a essere oggetto in misura maggiore degli attacchi dei coetanei cybernauti (24,9%). A tracciare il quadro del fenomeno sempre più diffuso del bullismo è il Rapporto 2016 del Censis.
Il 47,5% degli oltre 1.800 dirigenti scolastici interpellati dal Censis indica i luoghi di aggregazione giovanile come quelli in cui si verificano più frequentemente episodi di bullismo, poi il tragitto casa-scuola (34,6%) e le scuole (24,4%). Ma è in internet che il bullismo trova ormai terreno fertile, secondo il 76,6%. Nel corso della propria carriera il 75,8% dei dirigenti scolastici si è trovato a gestire più casi di bullismo: il 65,1% di bullismo tradizionale e il 52,8% di cyberbullismo.
Per l’80,7% dei dirigenti, quando i propri figli sono coinvolti in episodi di bullismo, i genitori tendono a minimizzare, qualificandoli come scherzi tra ragazzi, e solo l’11,8% segnala atteggiamenti collaborativi da parte delle famiglie, attraverso la richiesta di aiuto della scuola e degli insegnanti. Il 51,8% dei dirigenti ha organizzato incontri sulle insidie di internet con i genitori, avvalendosi prevalentemente del supporto delle Forze dell’ordine (69,4%) e di psicologi o operatori delle Asl (49,9%). All’attivismo delle scuole non ha corrisposto però un’equivalente partecipazione delle famiglie, che è stata bassa nel 58,9% dei casi, media nel 36% e alta solo in un marginale 5,2% di scuole.

In aumento gli iscritti ai percorsi formativi di breve durata

da Il Sole 24 Ore

In aumento gli iscritti ai percorsi formativi di breve durata

Il sistema dell’istruzione e formazione professionale (Iefp) si rivolge ai giovani che per l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione-diritto/dovere all’istruzione e alla formazione optano per percorsi di breve durata e professionalizzanti. In soli tre anni, a partire dal 2011-2012 gli iscritti al triennio sono cresciuti del 56,5%, e nel 2013-2014 sono in totale 316.000. Tra il 2012 e il 2014 gli iscritti con disabilità ai percorsi triennali risultano essere tendenzialmente in crescita, essendo passati dai 14.340 del 2012-2013 ai 17.117 del 2014-2015. E’ quanto si legge nel 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2016.
Cresce anche la loro incidenza sul totale degli iscritti, passata dal 5,2% al 6,5%: valori significativamente più elevati di quelli rilevabili nel primo triennio di scuola superiore, dove nel 2012-2013 e nel 2013-2014 la presenza di alunni con disabilità è stata pari rispettivamente al 2,1% e al 2,2%. Sono i corsi per operatore della ristorazione quelli che riscuotono il maggiore gradimento (32%), seguiti a distanza da quelli per operatore del benessere (8,8%) e operatore amministrativo-segretariale (7,1%).
Sono soprattutto le istituzioni formative ad accogliere questa tipologia di allievi (7,5% degli iscritti), mentre nei percorsi Iefp attivati nelle scuole la quota si attesta al 6%. Le istituzioni formative svolgono nei confronti dei disabili una preziosa funzione di inclusione. Ma l’approccio formativo serve anche per l’acquisizione di competenze di base e specialistiche in grado di fornire professionalizzazione e occupabilità.

Scuola post referendum: e se tornassimo al cacciavite?

da La Tecnica della Scuola

Scuola post referendum: e se tornassimo al cacciavite?

Dopo le dimissioni di Renzi, c’è da governare il post referendum. La maggioranza degli italiani non vuole più saperne del renzismo parolaio e leopoldino. Il mondo della Scuola in particolare aspettava questo momento per far sentire il peso di un coro di no.

Alcune fonti giornalistiche dicono che il presidente Mattarella sia al lavoro per un governo, diciamo di transizione, che ci accompagnerà alle prossime elezioni, cercando la collaborazione in particolare degli ex Dc, che adesso si trovano tanto nel Pd quanto nel centrodestra, con l’intenzione di ricucire le lacerazioni lasciate dalla sconsiderata campagna referendaria.

E se rispuntasse all’istruzione Beppe Fioroni, quello del “cacciavite”?  Fu ministro della pubblica istruzione dal 2006 al 2008, all’epoca del governo Prodi. Si trovò a governare una situazione con due maxi riforme opposte generate nel giro di un quinquennio, quella di Berlinguer e poi quella della Moratti. Pensò bene di non avviarne una terza, ma di lavorare di cacciavite, secondo alcune priorità, fra cui l’istruzione tecnico professionale e l’innalzamento dell’obbligo di istruzione.

Certo che in questa fase di transizione, qualche segnale distensivo al mondo della Scuola bisogna pur darlo.

La Scuola, apparentemente rassegnata,  proprio non ha mandato giù una riforma che ha dato il colpo di grazia alla Scuola istituzione, ai docenti che vi lavorano e alle stesse nuove generazioni, perché la finalità dichiarata è di formare non “cittadini” consapevoli, ma lavoratori “adattabili”, dotati delle “soft skills” funzionali alle esigenze del capitalismo 4.0, quello della quarta rivoluzione industriale.

Da Gelmini a Giannini, passando per Profumo e il governo Monti, al peggio non c’è mai stato fine. Prima l’Istruzione è stata considerata semplicemente come oggetto di contenimento della spesa pubblica, poi con Renzi-Giannini il colpo di grazia destrutturante.

Già alle elezioni politiche del 2013, la Scuola ha espresso un notevole malcontento per la scarsa considerazione ricevuta da Bersani nella campagna elettorale. L’allora segretario del PD aveva capito benissimo che non si potevano dare altri “ceffoni” ai docenti, ma niente ha fatto per cambiare tendenza. Diciamo che, se Bersani non vinse nettamente, fu anche per la defezione di una parte crescente del suo tradizionale elettorato, scontento del fiacco e non convincente programma sulla Scuola. Responsabile del settore Scuola del PD era la senatrice Francesca Puglisi, diventata subito dopo una dei più convinti sostenitori di Renzi e della legge 107.

Le parti assolutamente più indigeste della legge 107 riguardano la titolarità su ambito, la chiamata diretta con incarico triennale, la mobilità, la premialità con esigui bonus elargiti dai dirigenti, i super poteri dei dirigenti. Sono inoltre rimaste in sospeso molte deleghe importanti che potrebbero portare ad una attuazione spinta di quello che è stato impostato finora. Si va dal reclutamento alla valorizzazione della professione docente, dalla revisione dei percorsi dell’istruzione professionale alla valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, agli esami di stato, al riordino organico di tutte le disposizioni normative.

Italian Teacher Prize: ecco i nomi dei docenti 50 finalisti, il più giovane ha 28 anni

da La Tecnica della Scuola

Italian Teacher Prize: ecco i nomi dei docenti 50 finalisti, il più giovane ha 28 anni

un nome le 26 donne e i 24 uomini 50 finalisti dell’Italian Teacher Prize, il Premio Nazionale degli Insegnanti lanciato il 29 maggio dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.

Il finalista più giovane del premio, introdotto anche in Italia sulla scia del Global Teacher Prize, ha 28 anni, il più anziano 66.

Le regioni più rappresentate sono la Lombardia, il Lazio e la Toscana con 6 docenti ciascuna, seguono l’Emilia Romagna e la Puglia con 4 insegnanti rispettivamente.

“I docenti, scrive il Miur, avevano tempo fino al 18 ottobre per candidarsi o essere candidati. Complessivamente sono stati 11.000 gli insegnanti che hanno partecipato alla selezione, il 67% donne, il 53% docenti in istituti secondari di II grado, principalmente di età compresa tra i 50 e i 59 anni”.

Rispetto al totale, 7.426 docenti sono stati proposti dai propri alunni, dalle famiglie o da persone che fanno parte della loro comunità scolastica, i rimanenti 3.372 si sono autocandidati.

Cosa accadrà ora? Selezionati i 50 finalisti, a partire dal 15 dicembre una Giuria Nazionale, composta da personalità del mondo della scuola e non, valuterà i profili per decretare i 5 vincitori.

Il primo classificato riceverà un premio di 50mila euro. Agli altri 4 saranno corrisposti 30mila euro ciascuno: come da regolamento, i premi verranno assegnati alle scuole dei docenti vincitori per la realizzazione delle attività e dei progetti promossi e coordinati dai premiati.

L’obiettivo del premio è valorizzare il ruolo del docente nella nostra società, individuando le esperienze di eccellenza di coloro che siano riusciti ad ispirare i propri studenti favorendone la crescita come cittadini attivi e, in generale, che abbiano prodotto un cambiamento positivo nella comunità di appartenenza.

Il Premio Italiano, così come quello globale, punta infatti a sottolineare l’importanza della professione di docente, nella profonda convinzione che gli insegnanti di tutto il mondo meritino di essere riconosciuti e celebrati.

Per scoprire i nominativi, le scuole dove prestano servizio e le foto dei 50 finalisti dell’Italian Teacher Prize cliccare qui.

Video guida Tfa Sostegno: tutte le info per partecipare

da La Tecnica della Scuola

Video guida Tfa Sostegno: tutte le info per partecipare

Nella giornata del 1° dicembre il Miur ha pubblicato il D.M. 948 che riguarda i percorsi di formazione per la specializzazione sul sostegno nella scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di I grado e di II grado.

L’ammissione alle prove di accesso e ai relativi percorsi è riservata ai candidati in possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento per il grado di scuola per il quale si intende conseguire la specializzazione su sostegno.
L’art. 4 del D.M. prevede che le prove siano organizzate dagli Atenei, tenendo conto delle specifiche esigenze dei candidati con disabilità o DSA.

VIDEO GUIDA AL BANDO 

 

Per quanto riguarda i test preliminari e le prove scritte di accesso ai corsi, sono predisposti al fine di garantire l’anonimato. Inoltre saranno calendarizzati in date uniche per ciascun indirizzo di specializzazione, secondo quanto disposto dal MIUR con apposito decreto.

Il calendario delle prove scritte o pratiche sarà pubblicato dalle commissioni entro 10 giorni dalla pubblicazione dei risultati del test preliminare, mentre le prove orali non inizieranno prima dei sette giorni successivi alla data in cui il calendario è pubblicato.

Saranno ammessi in soprannumero, prioritariamente presso il medesimo Ateneo, i candidati risultati vincitori nelle selezioni dei precedenti corsi di specializzazione.

Inoltre, coloro che per qualsiasi ragione abbiano sospeso di frequentare i percorsi attivati negli anni passati potranno, a domanda, riprendere la frequenza nei corsi che saranno attivati quest’anno, col riconoscimento dei crediti eventualmente già acquisiti.

Il test preliminare, in base alle indicazioni del D.M. 30 settembre 2011 è costituito da 60 quesiti  formulati  con cinque opzioni di  risposta, fra le quali il candidato ne deve individuare una soltanto. Almeno 20 dei predetti quesiti sono volti averificare le competenze linguistiche e la comprensione dei testi  inlingua italiana. La risposta corretta a ogni domanda vale 0,5 punti, la mancata risposta o la risposta errata vale 0 punti. Il test ha ladurata di due ore.
Sono ammessi alle prove i candidati, che hanno conseguito una votazione non inferiore a 21/30 nella prova pari al doppio dei posti disponibili per gli accessi. In caso di parità di punteggio prevale il candidato con maggiore anzianità di servizio di insegnamento sul sostegno  nelle  scuole. In caso di ulteriore parità, ovvero nel caso di candidati che non hanno svolto il predetto servizio, prevale il candidato anagraficamente più giovane.

L’articolazione delle prove è stabilita dalle Università e la loro valutazione è espressa in trentesimi.

Per essere ammesso alla prova orale il candidato deve conseguire una votazione non inferiore a 21/30. Nel caso di più prove, la valutazione è ottenuta dalla media aritmetica  della  valutazione nelle singole prove, ciascuna delle quali deve essere comunque superata con una votazione non inferiore a 21/30.

La prova orale, anch’essa valutata in trentesimi, è superata se il candidato riporta una votazione non inferiore a 21/30.
In attesa di altre eventuali indicazioni da parte del Miur valgono queste regole stabilite dal D.M. 30 settembre 2011.

Arrivano i primi prof di cinese di ruolo

da La Tecnica della Scuola

Arrivano i primi prof di cinese di ruolo

Arrivano i primi tredici docenti di cinese di ruolo della scuola italiana dopo che  lo scorso 21 novembre si sono svolti gli orali del concorso pubblico con cui sono stati varati  i 13 insegnanti «certificati» di mandarino che verranno assunti con contratto a tempo indeterminato.

Lo scrive Il Corriere della Sera che sottolinea pure come l’insegnamento del cinese nelle nostre scuole è ormai una realtà consolidata.

Infatti  secondo l’ultimo report del ministero dell’Istruzione, sono duecento le scuole secondarie di secondo grado coinvolte, 4 mila gli studenti di istituti tecnici e licei, 149 le classi, 51 le cattedre da quando nel 2012 sono stati attivati i primi corsi per abilitare i docenti a insegnare cinese, giapponese e arabo attraverso i Tfa.

Emilia Romagna, Lombardia e Veneto sono le regioni in cui lo studio della lingua è più diffuso, complice la realtà produttiva del Nord-Est dove la lingua parlata nel mondo da quasi 900 milioni di persone è considerata importantissima. E dallo scorso anno i tecnici di viale Trastevere hanno anche stilato il Sillabo, un quadro di riferimento per i docenti di lingua e cultura cinese per progettare al meglio le attività di insegnamento e apprendimento degli alunni. Dall’ortografia alla fonetica fino alla grammatica, con l’obiettivo di portare i ragazzi, con 100 ore all’anno di insegnamento, a raggiungere un livello B1.

Formazione docenti neo-assunti, apre la piattaforma Indire per l’a.s. 2016/2017

da La Tecnica della Scuola

Formazione docenti neo-assunti, apre la piattaforma Indire per l’a.s. 2016/2017

Come già anticipato nei giorni scorsi, è aperto da oggi, 5 dicembre 2016, l’ambiente neoassunti.indire.it/2017, la piattaforma digitale che accompagnerà quest’anno l’ingresso in ruolo di circa 25.000 insegnanti distribuiti nelle varie regioni.

Il percorso formativo, come gli anni passati, si articolerà in quattro diverse fasi:

  • Incontri propedeutici (6 ore)
  • Laboratori formativi, almeno 4 (12 ore)
  • Momenti di osservazione fra pari in classe (12 ore)
  • Formazione online (20 ore)

La durata della formazione online è stimata forfettariamente in 20 ore. Per le attività online, i docenti saranno invitati a compilare un portfolio composto da bilancio iniziale delle competenze, curriculum formativo, documentazione di due attività, bilancio finale delle competenze e rappresentazione dei propri bisogni formativi per il futuro, oltre che da una serie di questionari per il monitoraggio di tutte le fasi della formazione.

Gli insegnanti avranno anche a disposizione forum online di discussione per lo scambio di materiali ed esperienze.

A disposizione dei docenti anche una serie di FAQ con tutte le informazioni su iscrizione e primo accesso.

Agli staff regionali, provinciali e di scuola polo, così come a tutti i dirigenti scolastici delle scuole che accolgono docenti in anno di formazione e prova, sarà fornito prossimamente un apposito link per la registrazione all’ambiente online come utente-ospite. Anche i tutor potranno iscriversi all’ambiente solo in seguito, a partire dalla data che verrà comunicata.

La procedura di registrazione può essere attivata, senza scadenze, anche nelle prossime settimane. L’ambiente online resterà a disposizione dei docenti fino alla fine del mese di luglio.

Genitori che aggrediscono insegnanti: ecco perché è un boomerang

da Tuttoscuola

Genitori che aggrediscono insegnanti: ecco perché è un boomerang

In questi giorni nella homepage di Tuttoscuola.com campeggiano due notizie di analoga gravità: “Papà entra a scuola e picchia il bidello” e “Mamma picchia preside: chi ha ragione?”. Colpiscono da una parte la ricorrenza del verbo picchiare riguardo a fatti che avvengono tra le mura di una scuola dall’altra il continuo e inarrestabile susseguirsi di episodi di aggressività da parte di genitori verso il personale scolastico.

Questo fenomeno negli ultimi anni è in continuo aumento al punto che in una nazione a noi vicina, la Francia, è comune che gli insegnanti si assicurino riguardo ad un’eventuale aggressione di uno studente o di un genitore per garantirsi una tutela legale e un supporto psicologico.

Come mai le insoddisfazioni che a volte legittimamente i genitori possono avere si esprimono in alcuni casi sotto forma di aggressioni agli insegnanti?

Il quesito è complesso ma certamente nella società attuale la figura dell’insegnante e la stessa scuola sono percepite come poco autorevoli e non espressione diretta di un sistema educativo che rappresenta lo Stato.

La percezione di scarsa autorevolezza dell’istituzione scolastica consente a genitori che hanno già di per sé familiarità con un’interazione aggressiva di considerare il rapporto con la scuola come un confronto in cui se c’è un contrasto si è autorizzati a difendersi e a volte ad attaccare da soli, con le buone o con le cattive.

Rinunciando alla ragionevolezza del confronto seppur aspro, alcuni genitori non si accorgono di distruggere nell’idealità dei loro figli, un bene prezioso, che invece è insito nel sano processo educativo e cioè che qualunque sia il contrasto c’è sempre la possibilità di arrivare ad una soluzione in modo dialettico e costruttivo.

Invece, il genitore che ha esercitato un atteggiamento aggressivo verso qualunque persona dell’istituzione scolastica si ritrova lo sguardo di un figlio che ha capito che l’aggressività è la forma vincente di interazione sociale. Un boomerang che travolgerà da lì a poco lo stesso genitore.