Ripensare il Clil: è se venisse reso facoltativo?

da Il Sole 24 Ore

Ripensare il Clil: è se venisse reso facoltativo?

di Flavia Foradini

Il neonato Piano Nazionale di Formazione dei docenti prevede fra le altre cose un generale miglioramento delle competenze di L2, in particolare dell’inglese, da elevare a livello B1 o B2, mentre per i docenti di discipline non linguistiche si punta al livello C1 nel triennio fino al 2019, con un focus al potenziamento del CLIL (Content and Language Integrated Learning). Alla presentazione del 3 ottobre scorso, l’ex ministro Giannini aveva incluso la formazione linguistica “fra i pilastri del Piano”, ipotizzando la partecipazione di 130.000 insegnanti.
Come traguardo per l’innalzamento delle competenze linguistiche, il Piano stesso prevede “particolare at¬tenzione” al CLIL: “percorsi di metodologia CLIL sono fondamentali per attuare pienamente quanto prescritto dai Regolamenti di Licei e Istituti Tecnici, nonché per ampliare l’offerta formativa attraverso contenuti veicolati in lingua straniera in tutte le classi delle scuole secondarie di primo e secondo grado e, in misura crescente, delle scuole primarie.”

Le indicazioni ministeriali
Il MIUR continua dunque a ritenere che il CLIL sia cosa buona e giusta per l’odierno sistema scolastico italiano. Tuttavia, i dati forniti all’opinione pubblica sull’effettiva applicazione delle relative disposizioni, raccontano di una macchina che nella pratica fatica ad andare a regime. Sul sito del ministero, i documenti più aggiornati sono datati autunno 2015, manca un elenco esaustivo delle scuole che effettivamente dispongono di docenti DNL con livello C1, pienamente formati per il CLIL, e che lo praticano su DNL per il monte ore previsto. Mancano anche dati sugli esiti a livello di discenti, in termini di reali, appurati vantaggi derivati dall’apprendimento di una DNL in L2, mentre sul sito INDIRE si legge in materiali recenti che nel 2010/11 un sondaggio aveva constatato l’interesse di 16.000 docenti, ma i corsi di perfezionamento offerti dal 2012 al 2016 hanno formato metodologicamente al CLIL meno di un migliaio di insegnanti, e linguisticamente al livello C1 di una L2, prevalentemente inglese e francese, poco più di 300 docenti. Anche ipotizzando percorsi metodologici alternativi e corsi di formazione linguistica individuali presso i classici centri che erogano certificazioni internazionali, i numeri degli insegnanti dotatisi fin qui di tutti i requisiti per l’insegnamento CLIL sono necessariamente assai modesti.

La fotografia sul campo
La sensazione è che in questi anni, in annunci e circolari a ogni livello, si sia tenuto l’acceleratore premuto sul CLIL, senza aver fatto il punto della situazione con dati concreti alla mano, che però trapelano in modo drammatico dai numeri impressionanti di docenti ancora da formare anche solo ad un livello base in L2, condizione ineludibile per il CLIL. (Del resto lo certificano tutti gli studi internazionali: in Italia la popolazione ha un livello minimo di competenza L2.)
Si è dunque messo il carro davanti ai buoi: palesemente le risorse umane non ci sono ancora in modo congruo per poter offrire percorsi CLIL a tutta l’utenza, epperò li si prescrive.

Il confronto internazionale
Un modo di procedere che fa pensare anche ad una profonda non conoscenza da parte dei legislatori, dei tempi di apprendimento di una lingua straniera e di come la si trasmetta. Lo suggeriscono i corsi che sono stati offerti in passato ai docenti di scuola elementare per imparare l’inglese, prima di catapultarli ad insegnarlo. Lo suggerisce il fatto che nelle scuole secondarie superiori sono stati incoraggiati docenti di DNL con livello anche solo B1 ad entrare in classi di pari livello linguistico o magari già in livello B2, cioè non di rado superiore (almeno sulla carta) a quello degli insegnanti. E di nuovo nella nota MIUR del 13 ottobre scorso, per il “Progetto Eccellenza CLIL A1 “, si stanziano soldi per iniziative nella secondaria di primo grado, prevedendo contestualmente la possibilità di insegnare una DNL con un livello B1. Come a dire: facciamoci del male tutti, a cominciare dai discenti, dei quali sembra non si vogliano tenere in considerazione i diritti ad una buona glottodidattica né gli svantaggi di base rispetto ai loro coetanei del Lussemburgo, dell’Olanda o dei Paesi scandinavi, che crescono anche con programmi TV per esempio in inglese, non sottotitolati, e che quindi a 16 anni hanno una fluidità di comprensione, di interazione e di eloquio, almeno da tranquillo B2: se ascolti di tutto anche in L2 da quando avevi 4 anni, è chiaro che alle scuole superiori non vuoi annoiarti nelle ore di lingua straniera e quindi accetti di buon grado che ti spieghino anche un po’ di matematica, di fisica, o di storia, o di economia aziendale, o filosofia, o storia dell’arte in L2: il CLIL diventa naturale, visto che anche i docenti hanno elevate competenze linguistiche.
In realtà il solco tra quei Paesi e l’Italia è ben più profondo, visto che là sono stati raggiunti da tempo i traguardi europei del trilinguismo. Gli adolescenti di quelle nazioni hanno competenze solide perché naturalmente immersi, come i loro docenti, in contesti multilingue.

Gli aggiustamenti continui
In Italia non è così. Alla maturità mezze classi non hanno un solido livello B2, qualcuno neanche B1.
Nel frattempo, dal punto di vista delle disposizioni ministeriali è continuato il gioco al ribasso, nel tentativo di conservare l’etichetta CLIL, cercando di rendere il progetto più realizzabile. E’ stato ridotto drasticamente il monte ore dall’originario 100% della DNL al 50%, laddove un recente studio della Cattolica di Milano svela che circa tre quarti del CLIL avviene a tutt’oggi per meno del 50% delle ore di una disciplina non linguistica. Dunque il CLIL, se attivato, viene di fatto realizzato appieno solo in circa un quarto delle scuole.
In mancanza di risorse umane CLIL, il MIUR ha concesso anche la possibilità di realizzare semplici moduli ovvero percorsi pluridisciplinari, che coinvolgono quindi più materie: però questo tipo di attività veniva già realizzato prima dell’avvento del CLIL, senza bisogno di ulteriori denominazioni, e certamente i percorsi pluridisciplinari possono essere solo “con utilizzo di metodologia CLIL”, ma non sono CLIL.
Questi continui aggiustamenti in corso d’opera stanno via via ridimensionando la cornice attuativa, riportandola in un alveo meno roboante, ancorché sempre più pasticciato.
Ciò che invece si continua ad ignorare, è il fatto che un insegnante DNL che non abbia un adeguato livello linguistico può fare grandi guai dal punto di vista glottodidattico, oltre a rischiare di scadere in autorevolezza, se venisse a trovarsi in evidente difficoltà davanti alla classe: l’estate scorsa un sondaggio dell’Università Cattolica di Milano ha appurato che la maggior parte degli insegnanti DNL che hanno provato attività CLIL, ha un livello che non supera il B2. E’ da questo dato che bisognerebbe partire, per sanarlo, prima di imporre l’impossibile.

L’importanza della lingua straniera
In tutto ciò si continua inoltre a considerare gli insegnanti di lingua straniera come semplice supporto ai docenti DNL, benché da sempre essi trattino contenuti CLIL, soprattutto nei tecnici, come certifica un semplice sguardo ai programmi ministeriali, che comprendono interi moduli di civiltà, di storia, di economia, di geografia, di diritto, di questioni globali. E presentano il vantaggio di creare, nei più disparati settori, set di conoscenze e competenze paralleli all’italiano, e non sostitutivi. Come accade appunto quando sei bilingue o trilingue.
Un effetto secondario del ruolo dei docenti di lingua come mero supporto al CLIL, è stata finora anche la proliferazione di corsini e moduletti di fatto affidati a lettori madrelingua già in forza nelle scuole, ovvero a personale più o meno qualificato esterno: due modalità che essendo in perfetta violazione formale delle disposizioni CLIL, impediscono la denominazione di quelle attività come CLIL.
Le disposizioni CLIL alle scuole continuano a escludere anche una fondamentale considerazione delle più impellenti necessità dei discenti, che nel sistema educativo italiano sono soprattutto quelle – certificate più e più volte dall’OCSE – di acquisire in primo luogo adeguate competenze alfanumeriche di base, e anche competenze in lingua straniera, in mancanza delle quali non si fa altro che frustrare i ragazzi con lezioni di fisica o diritto o filosofia in un idioma che essi non padroneggiano a sufficienza per poter ottenere un qualche vantaggio.
E semplicemente non è vero che il CLIL sia un gran successo ovunque in Europa. Vi sono dibattiti internazionali da oltre un decennio anche sulle ricadute negative di programmi CLIL in Paesi non pronti. L’Italia palesemente non lo è, né dal punto di vista dei discenti né in larga misura per quanto concerne i docenti (a meno che non si voglia fare degli insegnanti formati nel CLIL e competenti linguisticamente, dei globetrotters che girino l’Italia proponendo i loro contenuti a tutte le scuole). Data la situazione italiana, a parte le debite lodevoli eccezioni, il CLIL continua ad essere in troppi casi un ostinato “vorrei ma non posso e però lo faccio lo stesso”, è a dire: velleitario, approssimativo, didatticamente inconcludente se non dannoso.

La proposta
Sensato sarebbe sospendere l’obbligatorietà del CLIL, almeno fintanto che non vi siano le condizioni per una generale attuazione, lasciando che venga realizzato, su base volontaria e condivisa da docenti, studenti e genitori, in quelle scuole dove vi siano tutte le risorse necessarie e ve ne sia il desiderio.
Sensato è certamente incoraggiare sia i docenti che i discenti all’acquisizione di competenze in L2 che siano le più alte possibile. Ma se hai una competenza adeguata e padroneggi una lingua straniera in tutte le sue abilità, il lessico specifico di una materia lo impari velocemente senza nemmeno bisogno di un docente. Se capisci un grafico e lo sai descrivere e commentare in italiano, e hai una buona competenza in una lingua straniera, con qualche ora di studio del lessico specifico sei in grado di spiegare grafici e tabelle anche in quell’idioma. Se invece lo impari solo in inglese, vivrai il paradosso di aver bisogno del vocabolario per spiegarlo a qualcuno nella tua lingua materna.
E mentre si aspetta che il sistema scolastico italiano emendi i propri deficit in termini di lingue straniere, sarebbe altrettanto utile ripensare all’opportunità didattica, e alle ricadute culturali e sociali, di veicolare in tutti gli ordini di scuole certi contenuti solo o prevalentemente in inglese o in altra lingua. Perché non è così che si arriva al trilinguismo giustamente auspicato per i cittadini europei di domani.

Scuola, nuova maturità e riforma asili Fedeli comincia con un rinvio

da Corriere della sera

Scuola, nuova maturità e riforma asili Fedeli comincia con un rinvio

La neo ministra ha annunciato che chiederà una proroga di due mesi per le deleghe previste dalla riforma Renzi. Obiettivo: ascoltare i sindacati e limare i testi

Tutto rinviato. La nuova maturità, le linee guida per la formazione dei docenti, la tanto attesa riorganizzazione delle scuole per la fascia 0-6, dagli asili nido alla materna resteranno ancora per un po’ sul tavolo della ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. Ad annunciarlo, all’indomani della decisione della Corte Costituzione che ha bocciato due punti della riforma detta della Buona scuola – il metodo decisionale per l’edilizia scolastica e la competenza per lo 0-6 – è stata proprio la ministra durante il nuovo round di colloqui con i sindacati.
Aggiustamenti

Fedeli ha dato mandato agli uffici del Miur di studiare una proroga delle nove deleghe previste dalla Buona scuola, in scadenza il 15 gennaio. Chiederà al Parlamento altri due mesi di tempo per leggere bene i testi, ascoltare le proposte dei sindacati – usciti soddisfatti dal confronto – e proporre eventuali modifiche. Se ne riparlerà dunque non prima di marzo. Per quell’epoca la ministra dovrebbe avere pronte anche le modifiche che riguardano la mobilità che i sindacati chiedono a gran voce: togliere il vincolo dei tre anni di permanenza in un posto di ruolo prima di poter cambiare, rinviare e/o correggere la norma che sostituisce le cattedre con gli ambiti territoriali tanto per cominciare. Interventi apparentemente di piccola correzione che invece potrebbero cambiare radicalmente i connotati della riforma.

Buona scuola, la Consulta boccia le norme su edilizia e asili 0-6

da Corriere della sera

Buona scuola, la Consulta boccia le norme su edilizia e asili 0-6

Valentina Santarpia

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime due norme della legge sulla Buona scuola: quella che affida competenze statali nell’ambito dell’edilizia scolastica e degli interventi di riqualificazione architettonica, impiantistica e tecnologica, senza prevedere che la ripartizione delle risorse sia fatta dopo aver sentito la Conferenza unificata Stato-Regioni; e quella sull’individuazione degli standard strutturali degli asili nido, su cui pure la Corte ha riconosciuto una competenza regionale. La sentenza, di cui è relatore il giudice Giuliano Amato, ha invece dichiarato non fondata la gran parte dei rilievi sulla Buona Scuola che alcune Regioni avevano mosso nei loro ricorsi.

I punti chiave

In particolare, la Corte Costituzionale ha «bocciato» il punto della riforma inerente all’edilizia scolastica innovativa (articolo 1, comma 153) poiché «non prevede che il decreto del ministero dell’Istruzione che provvede alla ripartizione delle risorse sia adottato, sentita la Conferenza unificata». L’altro punto bocciato riguarda la previsione (articolo 1, comma 181, lettera e) della delega al governo anche sui servizi della scuola dell’infanzia: «L’individuazione degli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia va ricondotta alla competenza del legislatore regionale», precisano i giudici della Consulta. La Corte Costituzionale ha invece dichiarato non fondate le numerose questioni sollevate su altri punti della legge, quali i poteri del dirigente scolastico, l’offerta formativa dei percorsi di istruzione e formazione professionale – la cui definizione, prevede la legge, spetta al Miur – le linee guida per favorire le misure di promozione degli istituti tecnici, e i ruoli del personale docente «articolati in ambiti territoriali», la cui ampiezza viene definita dagli uffici scolastici regionali, su indicazione del ministero.

Puglisi: «Non c’è incostituzionalità»

La questione ora è se la decisione della Corte rischia di far slittare ancora i tempi delle deleghe (in scadenza il 15 gennaio) previste dalla legge della Buona Scuola, che dovranno essere riscritte nelle parti modificate dalla Consulta, soprattutto per quanto riguarda il disegno di legge ormai pronto sullo 0-6, che rientra appunto nella delega al governo della 107 sugli asili nido e la scuola dell’infanzia. Non la pensa così Francesca Puglisi che non crede ci sia il rischio, come invece è avvenuto per la riforma Madia, di farle scadere.«A parte che la delega ormai è già pronta- dice Francesca Puglisi, senatrice Pd e anima del disegno di legge- ma secondo me è del tutto legittima perché disegna solo i livelli di qualità e le norme generali, lasciando a Regioni e Comuni l’organizzazione dei servizi. L’altra cosa importante è che prevede che prima di adottare gli standard ci siano intese con gli organi locali, quindi non vedo alcuna incostituzionalità»

Atto d’indirizzo Miur, nel piano Fedeli 2017 si parla di completa attuazione della Legge 107/15

da La Tecnica della Scuola

Atto d’indirizzo Miur, nel piano Fedeli 2017 si parla di completa attuazione della Legge 107/15

Il 23 dicembre, il Miur ha pubblicato l’atto d’indirizzo politco del nuovo ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli per il 2017.

Da una prima interpretazione, non si evincono particolari scostamenti rispetto alla linea intrapresa del precedente primo “inquilino” di Viale Trastevere, Stefania Giannini.

Anzi, al primo punto esaminato nell’atto di indirizzo (“Miglioramento del sistema scolastico”, riguardante “formazione inziale/reclutamento, formazione in servizio, autonomia e valutazione”), si esordisce con l’intento di “proseguire nel processo d’implementazione e completa attuazione della Legge 107 del 2015”.

In tal caso, cadrebbe quindi clamorosamente la teoria di chi sosteneva che l’approdo al Miur di un’ex sindacalista, sarebbe servito proprio a romprere con il recente passato e a “ricucire” con la piazza, ad iniziare da docenti e Ata.

Questo obiettivo, infatti, non è compatibile con la piena attuazione della Legge 107/15, soprattutto sul versante del reclutamento (per il quale la Buona Scuola non ha tenuto minimamente conto del personale Ata, degli abilitati fuori GaE e altre tipologie di lavoratori). E lo stesso dicasi per l’autonomia scolastica e la valutazione dei docenti, che tante polemiche hanno creato negli ultimi mesi, per via sia della spesso mancata considerazione per le decisioni degli organi collegiali (collegio docenti in primis), sua dell’eccessivo potere acquisito dal comitato di valutazione.

E parlare di “completa attuazione della Legge 107 del 2015”, ci sembra una posizione chiara. Soprattutto perchè la firma è del nuovo ministro Fedeli.

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Ecco, in breve, le priorità indicate per il 2017 dal Ministero dell’Istruzione

Miglioramento del sistema scolastico: formazione iniziale/reclutamento, formazione in servizio, autonomia e valutazione. Secondo il MIUR va ottimizzata l’utilizzazione dell’organico dell’autonomia, va data certezza e stabilità di governance con il concorso a DS e DSGA, occorre poi ridefinire il rapporto funzionale tra formazione iniziale e reclutamento del personale docente. Occorre inoltre avviare la costituzione di un sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita ai 6 anni e occorre rivedere i percorsi dell’istruzione e della formazione professionale per implementare il sistema duale.

Inclusione scolastica: Occorre incentivare culture e prassi inclusive, integrare gli alunni stranieri e sostenere le classi multiculturali, ridurre la dispersione scolastica, prevenire il disagio giovanile con particolare riferimento alla parità di genere, ai fenomeni di bullismo e alla lotta alle dipendenze, garantire a tutti il diritto allo studio.
Potenziamento e miglioramento dell’offerta formativa attraverso l’innovazione didattica in una dimensione internazionale. Occorre migliorare l’apprendimento attraverso l’innovazione della didattica anche in un’ottica internazionale; sostenere la flessibilità scolastica curricolare, potenziare l’alternanza scuola lavoro e l’apprendistato per lo sviluppo dell’occupazione, rafforzare la filiera tecnico- scientifica comprensiva della formazione tecnica superiore.

Attuazione del programma nazionale per la ricerca: Occorre dare efficace attuazione alla strategia del Programma Nazionale per le Ricerca. Avviare gli strumenti di partenariato strategico tra ricerca e sistema delle imprese in piena collaborazione con i territori.

Autonomia responsabile delle istituzioni della formazione superiore e della ricerca: Occorre semplificare l’atuale quadro normativo che regola il funzionamento del sistema universitario.Dare piena attuazione lla riforma dell’Autonomia degli Enti Pubblici di Ricerca, intervenire sull’autonomia del sistema AFAM.

Investire sul capitale umano nel sistema della formazione superiore e la mobilità di studenti e docenti. Semplificare le figure pre-ruolo del sistema universitario, intervenire aggiornando le norme che regolano il dottorato di ricerca.

Innovazione digitale: occorre continuare l’innovazione tecnologica del sistema nazionale di istruzione , in coerenza con i principi del Piano Nazionale per la Scuola Digitale.

Edilizia scolastica: occorre proseguire nell’opera di riqualificazione del patrimonio edilizio sotto il profilo della sicurezza dell’agibilità e della funzionalità, portando avanti il piano nazionale attivato nel 2014.

Prevenzione della corruzione, trasparenza e miglioramento della qualità dei servizi erogati: occorre migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi, informatizzare le procedure, sviluppare piani e misure di prevenzione e repressione della corruzione a tutti i livelli.

 

Scarica l’Atto di indirizzo (CLICCA QUI)

Formazione personale ATA: i percorsi si svilupperanno in tre fasi

da La Tecnica della Scuola

Formazione personale ATA: i percorsi si svilupperanno in tre fasi

Con decreto del 22 dicembre il Miur ha ripartito per ambiti regionali in proporzione al numero dei soggetti da formare lo stanziamento € 2.300.000,00 per la formazione del personale ATA, indicando anche criteri e modalità di gestione dei corsi formativi da realizzare.

Le iniziative formative, realizzate all’interno della rete d’ambito, dovranno essere suddivise in tre fasi fondamentali:

1. Incontri di formazione in presenza della durata complessiva di 12/14 ore aventi l’obiettivo di trasmettere nuove competenze di carattere teorico-pratico ai corsisti. Le lezioni dovranno garantire l’utilizzo di metodologie didattiche innovative e l’interazione fra corsisti.

2. Laboratori formativi dedicati della durata complessiva di 6 ore (ad eccezione della qualificazione relativa all’area professionale B) con l’obiettivo di favorire lo scambio di esperienze e di stimolare la collaborazione con tutta la comunità scolastica: personale ATA, docenti, Dirigenti scolastici, alunni e genitori.

3. Redazione di un elaborato finale nel quale verrà analizzato un argomento/problema pratico con il coinvolgimento anche dei docenti e del dirigente scolastico della scuola in cui il corsista presta servizio.

Sarà destinatario delle attività formative il personale ATA appartenente alle seguenti Aree:

  • Area D – Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA);
  • Area B – Assistente Amministrativo, Assistente Tecnico, Guardarobiere, Cuoco e Infermiere;
  • Area A – Collaboratore Scolastico.

Al termine del percorso formativo verrà rilasciata una certificazione individuale delle attività svolte e degli apprendimenti conseguiti. Per le aree A e B, tale certificazione sarà utile come punteggio nell’attribuzione delle posizioni economiche.

Definito il piano di formazione per i Dirigenti scolastici in servizio e neoassunti

da La Tecnica della Scuola

Definito il piano di formazione per i Dirigenti scolastici in servizio e neoassunti

Con la nota prot. n. 40586 del 22 dicembre il Miur ha fornito indicazioni per la progettazione delle iniziative formative per i dirigenti scolastici in servizio e neoassunti dall’a.s. 2016-2017.

Con la stessa nota sono anche state comunicate le risorse finanziarie assegnate per la realizzazione dei percorsi.

Il Miur ricorda che le diverse azioni previste dal Piano nazionale di formazione e dalle sue priorità vedranno coinvolti, a vari livelli, anche i dirigenti.

Chi riguarda

Potenzialmente, tutti i dirigenti scolastici attualmente in servizio, compresi quelli neoassunti con decorrenza dall’anno scolastico 2016-17 per i quali costituisce parte integrante del periodo di formazione e prova, potranno partecipare alle iniziative formative programmate. Le attività assumeranno uno spiccato carattere operativo e laboratoriale e vedranno il diretto coinvolgimento dei dirigenti scolastici, in veste di promotori della loro formazione, attraverso iniziative di ricerca-azione, confronto sulle pratiche organizzative, produzione di materiali utilizzabili nei contesti di lavoro.

In ogni regione si costituiscono elettivamente gruppi di formazione tematici, composti mediamente da 25 dirigenti scolastici, che operano di norma su base provinciale, ferma restando la possibilità di aderire ad un gruppo attivato in ambito territoriale diverso, in relazione al tema di ricerca prescelto. In media ad ogni gruppo potrà essere attribuito un budget finanziario di circa 3.500,00 euro per le attività formative.

A livello regionale viene predisposto un catalogo di contenuti tematici, tra i quali ogni dirigente scolastico potrà scegliere due di maggiore interesse.

Ogni gruppo di ricerca-azione-formazione dovrà individuare al proprio interno un coordinatore dell’attività ed una seconda figura di supporto per la dimensione digitale del lavoro collaborativo, che sarà facilitato da agili piattaforme predisposte a livello regionale.

Il percorso formativo

Il percorso si svilupperà in tutto l’anno 2017, articolandosi in due unità formative (moduli):

1) attività in presenza, per un ammontare complessivo di circa 25 ore, corrispondenti a 6-8 incontri;

2) attività di studio, ricerca e produzione on line, con un riconoscimento forfettario complessivo di 25 ore.

Il mentor per i neoassunti

I dirigenti scolastici neoassunti parteciperanno alle attività formative rivolte alla generalità dei colleghi in servizio (per la quota prevista di 50 ore), ma saranno destinatari di ulteriori azioni specifiche (per 25 ore) progettate dall’USR, per un impegno complessivo pari a 75 ore di formazione. In linea con quanto già previsto negli anni precedenti, ad ogni dirigente scolastico neoassunto, durante il periodo di tirocinio previsto, verrà fornito il supporto di un’attività di mentoring. In questa fase della formazione, un dirigente scolastico di comprovata esperienza metterà a disposizione le proprie competenze professionali al fine di orientare e sostenere il neoassunto nella fase di ingresso nel nuovo ruolo, attraverso momenti di confronto e scambio tra pari.

La figura del mentor verrà individuata dal Direttore Generale o dal Dirigente titolare dell’USR tra i dirigenti scolastici con riconosciuta qualificazione professionale ed esperienza, cui verrà corrisposta una quota di 350 euro per ciascun neoassunto dirigente scolastico a lui assegnato.

Il rapporto numerico fra i mentor e nuovi Dirigenti Scolastici è, orientativamente, di 1 a 4.

I mentor sono tenuti a redigere una relazione finale, da trasmettere al Direttore Generale (o Dirigente titolare) dell’USR, che documenti le attività svolte.

Da legge 107 a inclusione, ecco le priorità del ministro per il nuovo anno

da Tuttoscuola

Da legge 107 a inclusione, ecco le priorità del ministro per il nuovo anno

Dalla “completa attuazione” della legge 107 all’inclusione scolastica, dal rinnovo dei contratti nazionali al sostegno all’autonomia: sono tante le priorità politiche definite dal nuovo ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli nell’Atto di indirizzo per l’anno 2017 pubblicato oggi sul sito del Miur. La prima priorità politica riguarda il miglioramento del sistema scolastico. Si parla di “proseguire nel processo di implementazione e completa attuazione della legge 107”, “ridefinire il rapporto funzionale tra formazione iniziale e reclutamento del personale docente”. Ancora, “dare piena attuazione al Piano nazionale per la formazione dei docenti e al sistema di formazione per favorire la crescita e lo sviluppo professionale di tutto il personale della scuola”. Personale che va valorizzato “anche attraverso lo strumento del rinnovo dei contratti nazionali”.

Fedeli vuole poi “sostenere il processo di consolidamento dell’autonomia scolastica e del sistema nazionale di valutazione” e “ottimizzare l’utilizzazione dell’organico dell’autonomia”. Ancora, svolgere i concorsi per dirigente scolastico e direttore dei servizi, avviare un sistema integrato di educazione dalla nascita ai sei anni, “rivedere i percorsi dell’istruzione professionale e raccordarli con quelli dell’istruzione e della formazione professionale”.

Altra priorità del ministro è quella di “incentivare culture e prassi inclusive” con particolare attenzione agli alunni disabili e svantaggiati e “integrare gli alunni stranieri e sostenere le classi multiculturali”. Ancora, “migliorare e potenziare i risultati di apprendimento degli studenti attraverso processi di innovazione didattica anche in un’ottica internazionale” e “potenziare l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato”. Il ministro intende inoltre attuare il Programma nazionale per la ricerca nonché una “autonomia responsabile delle istituzioni della formazione superiore e della ricerca”. Ancora: “Investire sul capitale umano nel settore della formazione superiore in una prospettiva di internazionalizzazione e di semplificazione delle norme”.

Altra priorità, l‘innovazione digitale, da proseguire “in coerenza con i principi del Piano Nazionale per la Scuola Digitale“, proseguire nell’opera di riqualificazione del patrimonio edilizio scolastico e infine realizzare azioni volte a garantire una maggiore prevenzione della corruzione, una una maggiore trasparenza e il miglioramento della qualità dei servizi erogati.

Liceo occupato, per studenti sospensioni e ‘multe’ fino a 450 euro

da Tuttoscuola

Liceo occupato, per studenti sospensioni e ‘multe’ fino a 450 euro

Sanzioni disciplinari e multe agli studenti che si sono resi protagonisti di danneggiamenti all’istituto. È il pugno duro usato dalla dirigente scolastica del liceo scientifico “Pitagora” di Rende, in provincia di Cosenza, dopo l’occupazione studentesca, portata avanti tra il 3 il 7 novembre scorsi.
I provvedimenti sono stati messi nero su bianco su una circolare, che sta creando non poco scompiglio all’interno del liceo: sospensione per tre giorni e “contributo” da 70 euro per chi si è assentato un giorno; 5 giorni di sospensione e 140 euro di penale per chi è mancato due giorni; 15 giorni di sospensione e 450 euro per chi si è assentato tre giorni. «Contributi – si legge nella circolare – richiesti a fronte dei danni che sarebbero stati causati nel corso dell’occupazione». Il riferimento è un «atto vandalico» di cui si sarebbero resi protagonisti gli studenti nei giorni dell’occupazione ovvero l’aver reso impraticabile alcune aule attraverso lo spargimento di creolina. Per riparare al danno, che ha causato «enormi spese», come quantificato «un esperto perito», l’8 novembre scorso, «unitamente a una commissione costituita ad hoc da un docente, cinque genitori, due genitori e due personale Ata». Tutte le misure, spiega la dirigente Elisa Policicchio, sono state decise «sulla base delle delibere degli organi collegiali».

E qui, tuttavia, si apre il caso. Già, perché nei verbali delle riunioni del collegio dei docenti del Consiglio d’istituto, convocati lo scorso 2 dicembre, non si fa nessun riferimento alle sanzioni stabilite dalla dirigente. I genitori degli studenti del Pitagora sono sul piede di guerra. Per loro i contenuti della circolare sono «abnormi, in quanto travalicano i principi stabiliti dalla normativa dello Statuto». Davanti al muro che si è trovato di fronte, la dirigente ha lasciato la porta aperta a un possibile compromesso: chi non può pagare, può in alternativa svolgere lavori utili per il liceo. Solo così lo studente sanzionato potrà prendere parte alle gite organizzate dal “Pitagora”. Poche speranze, invece, per il voto in condotta degli studenti protagonisti dell’occupazione: il massimo a cui si potrà aspirare sarà un 7.

I genitori, comunque, non ci stanno e contestano alla dirigente un abuso di potere. A loro avviso, l’adozione di misure disciplinari spetta ai Consigli di classe. Insomma, è scontro aperto. Il caso del “Pitagora” di Rende ripropone il tema delle sanzioni da irrogare agli studenti in caso di comportamenti sui generis. Sul tema, nei mesi scorsi, si era espresso anche Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della Sera. «In  scuole italiane – scrive Galli della Loggia -, complici quasi sempre le famiglie e nel vagheggiamento di un impossibile rapporto paritario tra chi insegna e chi apprende, domina un permissivismo sciatto, un’indulgenza rassegnata. Troppo spesso è consentito fare il comodo proprio o quasi, si può tranquillamente uscire ed entrare dall’aula praticamente quando si vuole, usare a proprio piacere il cellulare, interloquire da pari a pari con l’insegnante. Ogni obbligo disciplinare è divenuto opzionale o quanto meno negoziabile, e l’autorità di chi si siede dietro la cattedra un puro orpello. Mentre su ogni scrutinio pende sempre la minaccia di un ricorso al Tar». Una revisione del rapporto tra scuola e famiglie e del ruolo (ed efficacia) delle sanzioni educative sono certamente temi che le neo ministra Valeria Fedeli non potrà ignorare.

Nomine sottosegretari: addio certo per Davide Faraone

da Tuttoscuola

Nomine sottosegretari: addio certo per Davide Faraone

Un’attesa che va oltre il previsto. Mentre il Governo è stato composto in tempi brevissimi, la nomina dei sottosegretari, invece, si fa ancora attendere a due settimane dall’insediamento del nuovo Esecutivo. Si parla di incarichi entro la fine dell’anno.

Al palazzo della Minerva in viale Trastevere da giorni è attivo il toto-sottosegretari, e, come di consueto, si parla soprattutto di partenze, mentre permane l’incognita degli arrivi.

In uscita certamente Davide Faraone, braccio destro (non sempre gradito) del ministro Giannini, in funzione quasi di vice ministro. Si parla per lui di incarico di sottosegretario in altro dicastero. Sembrano invece essere confermati Gabriele Toccafondi e Angela D’Onghia, ma ancora non si sa per certo.

I nomi che corrono sono quelli di Marco Rossi Doria, già sottosegretario con il ministro Profumo e con il ministro Carrozza, e quello dell’on. Simona Flavia Malpezzi (PD). Sembra invece improbabile la nomina della sen. Francesca Puglisi, alla quale con il ministro Giannini venne preferito l’on. Faraone.

Incontro ministro – sindacati: e i dirigenti scolastici?

da Tuttoscuola

Incontro ministro – sindacati: e i dirigenti scolastici?

C’erano tutti e cinque i sindacati rappresentativi della scuola ieri al Miur nell’incontro con il ministro per conoscerne le linee d’azione e riprendere il filo delle relazioni sindacali.

C’erano tutti e cinque a sentir parlare – musica per le loro orecchie – anche di contratto. E tutti e cinque, con toni diversi, a richiedere modifiche o attenuazioni nell’attuazione della Buona Scuola.

Convitato di pietra, non presente all’incontro (scelta del ministro? Appuntamento diverso?) il sindacato rappresentativo dei dirigenti scolastici. Eppure molte innovazioni introdotte dalla 107/15 ruotano proprio attorno al ruolo del dirigente scolastico che, come variabile non indifferente del cambiamento, non può essere messo da parte in quella che sembra annunciarsi come operazione ‘cacciavite’ per rimettere a punto la macchina del sistema.

Per capire di cosa parliamo basti pensare alle nuove funzioni che la legge ha attribuito al capo d’istituto in materia di chiamata diretta e di attribuzione del bonus per il merito. Ma c’è anche la questione del contratto dei dirigenti scolastici da affrontare non solo nei termini generali che riguardano tutti i dipendenti pubblici (compreso il personale della scuola), ma anche nell’obiettivo, affermato ma mai realizzato, di perequazione retributiva con la dirigenza pubblica.