TFA Sostegno

TFA Sostegno: illegittimo escludere dall’accesso diretto gli idonei alla precedente selezione

Il Decreto Ministeriale n. 948/2016, nella parte in cui consente l’iscrizione in soprannumero al corso di specializzazione, senza dover sottoporsi nuovamente alle prove selettive, solo ai vincitori della selezione precedente e non a tutti i candidati risultati idonei, risulta illegittimo e l’Anief ha avviato le procedure di adesione al ricorso rivolto proprio alla categoria di quei docenti risultati idonei cui il MIUR vuole negare l’accesso diretto al nuovo corso di specializzazione per le attività didattiche di sostegno. Adesioni aperte fino al prossimo 9 gennaio.

MEMORIA PER IL MINISTRO

MEMORIA PER IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, SENATRICE VALERIA FEDELI E PER IL MINISTRO PER LA SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, ONOREVOLE MARIANNA MADIA

 

IN OCCASIONE DEGLI INCONTRI DEL 22 DICEMBRE 2016, ORE 10.00 E ORE 15.30

 

 

1.In un recente articolo su La Tecnica della Scuola è stato evidenziato come l’atteso regolamento e conseguente bando concorsuale per il reclutamento di dirigenti scolastici confermino la necessità di una preparazione di tipo manageriale, ancor di più di altre figure apicali della pubblica amministrazione, di chi è chiamato alla conduzione di istituzioni scolastiche quali enti-organi dotati di personalità giuridica, e figuranti in Costituzione all’art. 117, per il pieno dispiegamento della propria autonomia funzionale.

Ne costituiscono riprova i contenuti della bozza, già sottoposti positivamente al vaglio del Consiglio di Stato, che pure comprendono argomenti legati, in senso lato, alla didattica, ma che in misura preponderante afferiscono alle modalità di organizzazione del lavoro e del personale, al diritto civile, al diritto amministrativo, al diritto penale, alla contabilità di Stato.

E’ la guadagnata consapevolezza di una dirigenza pleno iure, tipica figura organizzatoria e generalista, ma da cui ancora trarre compiutamente le doverose conseguenze.

L’articolo difatti prosegue criticando, giustamente, il revirement del Legislatore che, dopo aver affidato il reclutamento e la formazione dei dirigenti delle istituzioni scolastiche alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione, li ha poi inopinatamente restituiti al MIUR. E anche se ciò non cambia molto la sostanza delle cose, però confina l’immagine del DS a figura di dirigente della pubblica amministrazione che resta ancora negli angusti spazi del suo settore di appartenenza, ovvero quello scolastico, e poco proiettata ad un possibile utilizzo in altri ambiti della PA.

Resta però, per l’appunto, la sostanza delle cose, da ultimo e in modo incontestabile codificata dalla legge 107/15 sulla c.d. Buona scuola; alla cui stregua non può di certo riproporsi quella strampalata teoria in voga nei risalenti anni Settanta del decorso secolo, in un assetto istituzionale pre-autonomistico, che il dirigente scolastico resti sostanzialmente un mero coordinatore della didattica, una sorta di primus inter pares e la cui funzione parteciperebbe dell’unicità della funzione docente, costituendone una forma differenziata!

  1. Il comma 78 dell’articolo unico della predetta legge ha inteso dare piena attuazione all’autonomia scolastica e alla realizzazione del sistema di istruzione, conseguentemente – più che rinforzarli – rendendo espliciti i poteri del dirigente scolastico, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali e fermi restando i livelli unitari e nazionali del diritto allo studio, al fine di garantire un’efficace ed efficiente gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali, nonché gli elementi comuni del sistema scolastico pubblico, assicurandone il buon andamento. E a tale scopo svolge compiti di direzione, gestione, organizzazione e coordinamento ed è responsabile delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio secondo quanto previsto dall’articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché della valorizzazione delle risorse umane.

Il testuale richiamo dell’appena menzionato articolo 25 vale a significare, e confermare, che quella del dirigente scolastico – pur sussistendo una continuità nelle competenze attribuite in progresso di tempo – è una figura ben diversa dei suoi predecessori direttore didattico e preside; perché – va rimarcato – è diversa la funzione, eminentemente organizzatoria, nella combinazione ottimale e dinamica della gestione efficace ed efficiente, dunque rendicontabile in termini di risultato, delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali, in larga parte assegnate ma anche reperibili in forza di una sua richiesta, e valutata, capacità politico-imprenditoriale: funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di un ente dotato di propria soggettività nell’ambito dell’autonomia conferitagli, ed ora costituzionalmente riconosciuta, e nel contempo organo dello Stato che fissa – imponendone il rispetto ed esigendone la garanzia – i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi comuni dell’intero sistema scolastico pubblico.

Nel contempo, già la più ampia formula definitoria integralmente riportata e il conseguente, e coerente, suo sgomitolamento nei commi precedenti e successivi della novellata trama normativa, testimoniano irrefutabilmente che quelli attribuiti al dirigente scolastico sono dunque i tipici poteri-doveri di ogni dirigente pubblico, puntualizzati negli articoli 4, 5 e 17 del D. Lgs 165/01 come modificati ed integrati dal D. Lgs 150/09, c.d. riforma Brunetta.

Che questi tre articoli riguardino anche la dirigenza esercitata nelle istituzioni scolastiche è da tempo fuor di dubbio, per pacifiche e consolidate dottrina e giurisprudenza, che hanno evidenziato la vacuità – ma trattasi di una palese scorrettezza ermeneutica – di stravaganti teorizzazioni tendenti a dilatare la specificità della dirigenza scolastica siccome autonomamente, e compiutamente, regolata dal solo articolo 25 e dunque con l’inapplicabilità della disciplina generale: il che è a dire che quella scolastica, pur conservandone il nomen iuris, è una non dirigenza!

Il dirigente scolastico è a tutti gli effetti un dirigente pubblico; per l’esattezza, è un dirigente statale dipendente dal MIUR. Lo ha precisato la Corte dei conti della regione Sicilia ricusando, con delibera del 04.03.14, la registrazione dei contratti che l’Ufficio scolastico regionale aveva stipulato con i propri dirigenti scolastici senza assegnare loro, a pretesto dell’ apodittica specificità, i previ e non generici obiettivi alla cui stregua valutarli e, all’esito positivo, corrispondere la retribuzione di risultato, non rinunciabile perché costituente elemento essenziale del contratto.

In precedenza le sezioni riunite di controllo della Corte dei conti, nell’adunanza del 07.04.06, in sede di certificazione dell’afferente contratto collettivo nazionale di lavoro, richiamando e condividendo il parere del Consiglio di Stato (Comm. Spec. P.I., 16.10.03), avevano affermato che l’apertura di questo corpo di dirigenti (scolastici) alla dirigenza statale trova riscontro, infatti, nella collocazione delle disposizioni del d. lgs. 165 del 2001 che ad essi si riferiscono, nel contesto proprio della dirigenza statale ed, in termini impliciti, negli articoli 1, comma 2, e 13 dello stesso decreto legislativo. E più avanti, nello stigmatizzare la non ancora compiuta configurazione dirigenziale dei già presidi e direttori didattici, proseguiva che ora questi sono chiamati a comporre, nella propria figura professionale, le prestazioni di contenuto prettamente manageriale richieste dalla gestione finanziaria, amministrativa e contabile degli istituti scolastici, con le funzioni di guida e di coordinamento del servizio didattico, da esprimersi, in particolare, nella formulazione e nell’attuazione del piano dell’offerta formativa…oggi con ancor più forte insistenza in ragione dell’evoluzione degli assetti organizzativi del sistema scolastico, innescata dalle evoluzioni introdotte nell’ordinamento amministrativo e costituzionale nel corso dell’ultimo decennio, che legano, molto di più che in passato, la scuola al contesto territoriale in cui opera, richiedendo ai suoi dirigenti una diretta interazione con le autonomie territoriali.

Lo stesso Organo di controllo, nel sottoporre al proprio vaglio il successivo contratto collettivo, tuttora vigente in regime di prorogatio, nell’adunanza del 14.07.10 ha ripreso le proprie precedenti argomentazioni e reiterato l’invito a procedere al – sistematicamente promesso e sistematicamente mancato – riallineamento delle retribuzioni del personale dell’area V con quelle del restante personale dirigenziale e ad incrementare la parte della retribuzione variabile (di posizione e di risultato) destinata a retribuire il risultato della prestazione sulla base dell’effettivo conseguimento degli obiettivi e delle capacità e competenze organizzative dimostrate nella gestione degli obiettivi concordati.

Analogamente, con identica terminologia, la più attenta dottrina (cfr. L. PAOLUCCI, Il diritto per il dirigente scolastico, Spaggiari, 2102, p. 167; A.M. POGGI, Relazione al Seminario nazionale ANDIS, Roma, 24 ottobre 2014) avverte che la – reale o supposta – specialità della dirigenza scolastica non fa venir meno il fatto che essa partecipa della comune funzione dirigenziale pubblica ed in particolare statale, come attesta la collocazione sistematica degli artt. 25 e 29 che il D. Lgs. n. 59 del 1998 ha inserito dapprima nel D. Lgs. n. 29 del 1993 e poi nel D. Lgs. n. 165 del 2001, interpolando il Capo della ‘Dirigenza’ (Capo III).

  1. La legge 107 rende pertanto di solare evidenza che:
  2. la dirigenza scolastica partecipa del principio – statuito nell’art. 4 del D. Lgs. 165/01 – di separazione tra funzioni di indirizzo-controllo, intestate alla sfera politica o, in generale, al committente (con conseguente potere di valutazione e di esigibilità della prestazione professionale: responsabilità dirigenziale) e funzioni esclusive ed autonome di gestione, intestate ad ogni dirigenza pubblica, che possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative;
  3. ai sensi dell’ articolo 5, comma 3, nell’ambito delle leggi e degli atti di macro organizzazione, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici (in senso lato di ogni struttura pubblica) e le misure inerenti la gestione del rapporto di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organismi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati. Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane, nonché la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici;
  4. da ultimo, per dettato dell’articolo 17, tra le altre prerogative quivi esplicitate, ogni dirigente concorre all’individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio…anche al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale; effettua la valutazione del personale assegnato…nel rispetto del principio del merito…nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti; per specifiche e comprovate ragioni di servizio può delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, le competenze…a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati.

I contenuti compendiati sub a)-c), e in particolare quelli segnalati in grassetto, vanno ora raffrontati con alcuni passaggi della legge 107, laddove attribuisce al dirigente scolastico i nuovi poteri concernenti:

  1. la definizione degli indirizzi per – tutte – le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione per il PTOF, poi elaborato dal Collegio dei docenti ed approvato dal Consiglio d’istituto (comma 4);
  2. l’individuazione del personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia (comma 18) e la proposta degli incarichi ai docenti dell’ambito territoriale (comma 79), con la stipula dei relativi contratti (comma 81);
  3. la facoltà di individuare nell’ambito dell’organico dell’autonomia fino al 10% dei docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell’istituzione scolastica (comma 83);
  4. previ criteri del Comitato di valutazione, facoltà di assegnare annualmente al personale docente, con adeguata motivazione, una remunerazione accessoria (comma 127) riveniente da un apposito fondo nazionale (comma 126).

Indipendentemente dalla circostanza fattuale che possano risultare neutralizzati dalle pressioni di soggetti che riescano a trovare delle sponde politiche o da un loro annacquamento per via amministrativa, si converrà che questi poteri asseriti impropri, o addirittura eversivi secondo i detrattori di una legge votata dal Parlamento della Repubblica, altro non sono che gli stessi normali poteri di ogni dirigente pubblico. E difatti sono stati fatti salvi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 284/16, depositata il 21 dicembre 2016 e in corso di pubblicazione in gazzetta ufficiale!

Certamente, in ragione della peculiarità del luogo di esercizio della funzione dirigenziale, sono poteri da esercitare – e che ora il Legislatore li vuole, per esplicito, effettivamente esercitabili – nel rispetto della libertà d’insegnamento e delle competenze degli organi collegiali.

Quanto alla libertà d’insegnamento, qui può solo evidenziarsi che, sotto l’aspetto tecnico-giuridico, non è dall’ordinamento considerata e protetta come un diritto soggettivo di cui si abbia la piena disponibilità, bensì alla stregua di una funzione (cfr. art. 395 del D. Lgs. 297/94, Testo unico delle leggi della pubblica istruzione, che così espressamente la qualifica), vale a dire di un complesso di poteri doverosamente e correttamente agibili per realizzare non un interesse proprio, ma un diritto altrui, dell’alunno o studente di essere formato, educato e istruito. Dunque sottoponibile a verifica e valutazione in ordine al corretto perseguimento del suo scopo, primariamente da chi risponde dei risultati dell’istituzione scolastica cui è preposto in posizione apicale.

Quanto alla salvezza delle competenze degli organi collegiali, occorrerebbe verificare quali oggi siano quelle effettive, al di là di ciò che ancora si legge negli articoli del citato decreto legislativo 297/94. Al riguardo risulta ancora fondamentale il parere del Consiglio di Stato ( Sez. II, n. 1021/00, richiamante il proprio precedente, n. 1603/99 e la pronuncia dell’Adunanza generale n. 9/99). Vi è sostanzialmente scritto che sono attratte alle prerogative della nuova figura dirigenziale tutte le pregresse disposizioni attributive di potere agli organi collegiali, e ad altri soggetti istituzionali, ogniqualvolta risultino confliggenti con gli autonomi poteri di direzione, coordinamento, organizzazione richiesti al dirigente scolastico dal nuovo assetto autonomistico di cui alla legge 59/97 e norme di attuazione.

Di conseguenza, devono – o dovrebbero – ritenersi abrogate per implicito tutte le preesistenti disposizioni di legge, regolamentari e contrattuali attributive di competenze al Collegio dei docenti che esulino dalla progettazione e attuazione dei processi di insegnamento-apprendimento (art. 16, comma 3, DPR 275/99), dalla cura della programmazione dell’azione educativa e consequenziale valutazione della sua efficacia in rapporto agli obiettivi programmati (art. 7, comma 2, D. Lgs. 297/94), ovvero dall’elaborazione del POF-PTOF per gli aspetti pedagogico-didattici (comma 14, L. 107/15 e art. 26, comma 3, CCNL Scuola).

E l’abrogazione implicita vale – dovrebbe valere – per tutte quelle competenze tuttora formalmente intestate al Consiglio d’istituto (cfr. in particolare art. 10, D. Lgs. 297/94 e art. 33, D.I. 44/01) non sussumibili nei (soli) poteri di indirizzo politico: approvazione del POT-PTOF e degli inerenti strumenti finanziari di attuazione e controllo (al momento ancora il Programma annuale e il Conto consuntivo).

Si è volutamente usata la forma condizionale perché – nella perdurante assenza di un intervento legislativo – la compatibilità delle semisecolari disposizioni, datate al 1974, fondamentalmente ad opera del DPR n. 416, con quelle ora licenziate è affidata primariamente all’interpretazione, per definizione precaria e controvertibile, di chi deve applicare la norma, ciò è a dire al dirigente scolastico, esposto alle pressioni delle diverse corporazioni e costantemente minacciato di essere trascinato davanti al giudice. Vi provvederà de plano la decretazione delegata prevista dalla legge 107?

  1. Dopo l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre u.s. è verosimile supporre l’insistenza dei sindacati di comparto per concretizzare i contenuti dell’Intesa stipulata il 30 novembre u.s. tra la Funzione Pubblica e i vertici di CGIL-CISL-UIL, concordemente dichiarata innovativa, in discontinuità con il passato, per cui viene, sempre concordemente, qualificata cifra dignitosa gli 85 euro lordi mensili spalmati nel triennio contrattuale 2016-2018, ma in larga parte da reperire quale impegno a futura memoria, e secondo la logica della piramide rovesciata o alla Robin Hood, fondamentalmente una misura assistenziale per la salvaguardia degli stipendi più bassi, fino a 26.000 euro annui lordi, già beneficiati dal bonus degli 80 euro mensili. In cambio dovrebbe procedersi allo smontaggio, con interventi legislativi ad hoc ovvero surrettiziamente per via pattizia, dell’intero dispositivo della Riforma Brunetta in punto dei rinforzati poteri datoriali della dirigenza pubblica e – nello specifico, per quanto concerne la dirigenza scolastica – degli istituti introdotti dalla legge 107/15: il bonus premiale del merito (che si pretende contrattare), la chiamata diretta dei docenti (con il sostanziale smantellamento degli ambiti e il pieno ripristino della mobilità selvaggia) e infine non escludendosi l’annacquamento delle sanzioni disciplinari, sull’abbrivo di una montante, e stravagante, giurisprudenza che vuole il dirigente scolastico facoltizzato, nei confronti dei docenti, alla sola irrogazione dell’evanescente avvertimento scritto e della non meno indolore censura.
  2. Ciò nonostante, e come dai richiami giurisprudenziali e dottrinari poc’anzi riproposti, permarrebbe comunque la cristallina chiarezza della normativa antecedente la legge 107, vale a dire l’insussistenza – nell’ordinamento giuridico – della conclamata, presunta, specificità di una non-dirigenza; che all’opposto configura una dirigenza normale e in più connotata da peculiari tratti di complessità, del tutto estranei, o quasi, ai profili della comune dirigenza pubblica, sia essa dirigenza amministrativa che dirigenza tecnica.

Perché, se ci si vincola al rigore della norma cogente , risulterà irrefragabile che ogni dirigente preposto alla conduzione di un’istituzione scolastica o formativa:

  1. è organo di vertice, con rappresentanza legale e rilevanza esterna di un’amministrazione pubblica, la singola istituzione scolastica siccome dotata di autonoma soggettività giuridica, quindi distinta benché non separata (e non contrapposta) dallo Stato-amministrazione (nello specifico, il MIUR), a tenore dell’art. 1, comma 2, D.LGS. 165/01 (cfr. altresì l’art. 14, comma 7-bis, D.P.R. 275/99);
  2. nei limiti dell’autonomia funzionale dell’istituzione scolastica e nel rispetto dei vincoli di sistema (del Sistema pubblico nazionale di istruzione e formazione) per il doveroso (non già libero) perseguimento del comune scopo istituzionale (istruire, educare e formare), il dirigente di un’istituzione scolastica non soggiace ad alcun rapporto di gerarchia in senso stretto (cfr. art. 14, comma 7, D.P.R. 275/99, cit., circa la regola della definitività delle sue determinazioni), né al generale principio – codificato nell’art. 4 del D.LGS. 165/01 per tutta la dirigenza ministeriale, compresa quella di prima fascia – che vuole istituzionalmente separate le funzioni di indirizzo politico e amministrativo dalle funzioni di gestione. Benché le prime siano formalmente intestate – per quanto di rispettiva competenza – agli organi collegiali, è pur vero che il dirigente delle istituzioni scolastiche vi incide nella sostanza in virtù del suo potere di proposta nel Consiglio d’istituto (artt. 8-10, D.LGS. 297/94) e, più ampiamente, di presidenza dei Consigli di classe (art. 5), del Collegio dei docenti (art. 7), del Comitato per la valutazione del servizio dei docenti (art. 11). Il che è a dire che egli, sia sotto il profilo strettamente giuridico che sul piano dell’effettività, è non solo organo di gestione, ma anche (e in più) organo di governo. Se ne ha testuale riscontro nell’art. 25, comma 6 del pluricitato D.LGS. 165/01, in cui è scritto che il dirigente scolastico presenta periodicamente al Consiglio di circolo o d’istituto – organo d’indirizzo politico per antonomasia, in quanto soggetto esponenziale della c.d. comunità scolastica, ex art.3, comma 1, D.LGS. 297/94 – motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell’attività formativa, organizzativa e amministrativa al – solo – fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per l’esercizio delle competenze degli organi della istituzione scolastica; mentre è valutato, nell’ambito della responsabilità dirigenziale, dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale, deputato altresì all’assegnazione di specifici obiettivi integranti quelli istituzionali, deducibili dalla norma generale, in sede di conferimento dell’incarico;
  3. è, naturalmente, responsabile della generale ed unitaria gestione delle risorse strumentali e finanziarie (in ciò avvalendosi del direttore dei servizi generali e amministrativi, assegnandogli gli obiettivi e impartendogli le relative direttive di massima, ex art. 25, comma 5, D.LGS. 165/01), e delle risorse umane, con l’obbligo di valorizzarle (ivi) e conseguenziale interfacciamento con non meno di sessanta-settanta soggetti professionali, ma che possono oggi tranquillamente raddoppiarsi dato che le nuove norme sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche impongono una media di novecento alunni-studenti;
  4. deve attivare e coordinare i rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio (art. 3, comma 4, D.P.R. 275/99), compresi famiglie e studenti: il che è a dire direttamente sovraesposto socialmente nei confronti di un’utenza, diretta ed indiretta, potenzialmente illimitata;
  5. esercita le funzioni già di competenza dell’Amministrazione centrale e periferica (ex Provveditorati agli studi) relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni-studenti, all’amministrazione e gestione del patrimonio e delle risorse, nonché allo stato giuridico ed economico del personale che non siano riservate, da specifiche e numerate disposizioni, all’Amministrazione centrale e periferica (ora Uffici scolastici regionali e dipendenti Ambiti territoriali), oltre alle attribuzioni già rientranti nella competenza delle istituzioni scolastiche nel loro assetto pre-autonomistico (art. 14, comma 1, D.P.R. 275/99): con gli inerenti provvedimenti dotati del carattere di definitività, escluse le specifiche disposizioni in materia di disciplina del personale e degli alunni-studenti (art. 14. comma 7, D.P.R. 275/99, ante);
  6. è titolare delle attività negoziali sulla base di un autonomo bilancio e, di regola, senza altro vincolo di destinazione che quello prioritario per lo svolgimento di attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie dell’istituzione scolastica interessata, come previste e organizzate nel Piano dell’offerta formativa (art. 1, comma 2, D.I. 44/01);
  7. in forza della sua qualificazione, giuscivilistica e penalistica, di datore di lavoro, è – ancora – titolare delle relazioni sindacali (art. 5, comma 2, D.LGS. 165/01) ed, ampliamente, è assoggettato a tutte le norme di tutela dei lavoratori in materia di comportamento antisindacale, ex legge 300/70 (con afferente legittimazione processuale), di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D.LGS.. 81/08), di privacy (D.LGS.196/03): con dirette e personali responsabilità penali e amministrative, trattandosi per lo più di norme sanzionatorie soggiacenti al principio della personalità, quand’anche depenalizzate alla stregua della legge 689/81 (deve, insomma, pagarsi in proprio un avvocato).

Per contro, le funzioni dei dirigenti normali sono elencate nell’articolo 17 del D.LGS. 165/01 s.m.i., congiuntamente al D.P.R. 17/09, Regolamento di organizzazione del MIUR, in particolare artt. 8 e 10 (ora sostituito dal DPCM 11.02.14, n. 98).

Vi si legge che i dirigenti (non aggettivati) formulano proposte ed esprimono pareri al direttore generale, al quale sono gerarchicamente subordinati; attuano i singoli progetti e le inerenti gestioni ad essi assegnati, unitamente all’adozione dei relativi atti e provvedimenti amministrativi; svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati; coordinano e controllano l’attività dei dipendenti uffici (rectius: dei presìdi territoriali dell’unico organo-ufficio di livello dirigenziale generale, ovvero dei settori interni – potremmo qualificarli struttura semplice? – in cui lo stesso è organizzato), con poteri sostitutivi in caso di inerzia; provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri (meri) uffici. E non vi è chi non veda che si è di fronte a una dirigenza cui sono estranei tutti (o quasi) quei profili di complessità (e di responsabilità) propri della dirigenza delle istituzioni scolastiche: di una dirigenza non connotata dall’immedesimazione organica con un autonomo (e autoconsistente) organo-ufficio pubblico a rilevanza esterna, senza un proprio bilancio da gestire, datrice di lavoro – se datrice di lavoro – alquanto soft, priva di esposizione sociale, avvalentesi dell’opera di non più di una decina di persone (e spesso molte di meno) per l’esercizio di competenze raramente autonome e/o precostituite ex lege , bensì prevalentemente delegate e/o di supporto per la realizzazione di obiettivi e programmi circoscritti, ben scanditi, in definitiva semplici .

La dirigenza tecnica poi è addirittura priva di una struttura fisica da governare – e delle correlate risorse umane, strumentali e finanziarie da gestire –, e l’esercizio della funzione è determinato con apposito atto d’indirizzo del ministro (art. 9, D.P.R. 17/09, ora art. 9 del DPCM 98/14, cit.), essa esplicandosi in un contributo di promozione e nel coordinamento di attività di aggiornamento del personale della scuola, nelle proposte e nei pareri in tema di programmi d’insegnamento, di sussidi didattici e tecnologie di apprendimento, di iniziative di sperimentazione, di assistenza tecnica e consulenza alle istituzioni scolastiche (art. 397, comma 3, D.LGS. 297/94), ovvero – nella più sintetica formulazione dell’art. 19, comma 10, D.LGS. 165/01 – in attività ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi speciali previsti dall’ordinamento: laddove qui è decisamente problematico rintracciare i tipici contenuti, strutturali e funzionali, di qualsivoglia dirigenza. Tal che, nella sostanza è – essa sì – non dirigenza, se non quoad pecuniam.

Eppure, questi dirigenti normali, insieme ai non dirigenti tecnici – sol perché semplicemente, e casualmente, inseriti nella generale e generica area della dirigenza ministeriale – lucrano , non solo e non tanto, una retribuzione media doppia rispetto ai loro colleghi specifici (retribuzioni reali di 110 mila euro annui lordi a fronte di retribuzioni, sempre reali, di 55.000 euro annui lordi: cliccare sui siti Trasparenza per credere!), ma godono – essi soli! – di una ordinaria mobilità, in orizzontale e in verticale, e pur provenendo anch’essi dalla docenza.

  1. Naufragato il decreto legislativo, di attuazione dell’art. 11 della legge 124/15, istitutivo del ruolo unico, che peraltro inconferentemente vi escludeva la più gestionale – quella scolastica – di tutte le dirigenze pubbliche, dovrà nell’immediato essere il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro – secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 178/15 – a realizzare quel giusto bilanciamento tra le esigenze di riequilibrio della finanza pubblica (presidiate dal riscritto articolo 81 della Carta fondamentale) e il principio della libertà sindacale ex art. 39, che nel pubblico impiego c.d. privatizzato ha il necessario completamento nell’autonomia negoziale.

6.1. Di certo l’armonizzazione dei trattamenti retributivi – nel caso di specie, la perequazione retributiva con la restante dirigenza pubblica di analoga seconda fascia – soggiace ai limiti delle risorse rese disponibili con le leggi finanziarie. Ma non è men vero – proseguono gli Ermellini del Palazzo della Consulta – che la contrattazione dev’essere utile; cioè deve potersi esprimere nella sua pienezza su ogni aspetto riguardante le condizioni di lavoro, che attengono immancabilmente anche alla parte qualificante dei profili economici…, ovvero deve essere preordinata a contemperare in maniera efficace e trasparente gli interessi contrapposti delle parti e concorrere a dare piena attuazione al principio della proporzionalità della retribuzione, con riguardo alla quantità e qualità del lavoro svolto (art. 36, comma 1 Cost.) e criterio non più oscurabile, ponendosi per un verso come strumento di garanzia della parità di trattamento e, per altro verso, come fattore propulsivo della produttività e del merito.

6.2. Potrebbe obiettarsi che per i dirigenti scolastici la legge 107, comma 86, ha incrementato il Fondo unico nazionale per la retribuzione di posizione, fissa e variabile, e della retribuzione di risultato (e i cui effetti si vedranno – se si vedranno – quando andrà effettivamente in porto il sistema di valutazione disegnato dalla medesima legge nei commi 93-94). Ma lo ha fatto, testualmente, in ragione delle – ulteriori –   competenze attribuite, non già per sanare l’originaria sperequazione retributiva nei confronti di tutte le altre aree dirigenziali, peraltro accentuatasi in progresso di tempo.

Sicché, alla quarta tornata, e decorsi più di tre lustri dal conferimento della qualifica dirigenziale ai già capi d’istituto, non può riproporsi l’estenuante, ed irritante, litania consacrata nelle sterili dichiarazioni a verbale e negli altrettanto sterili ordini del giorno pure votati all’unanimità dal Parlamento della Repubblica nel corso di questo lungo, e avarissimo, arco temporale: che la, minimale, equiparazione retributiva si concorda – sempre – di rinviarla al prossimo giro!

6.3. Sull’abbrivo della pronuncia della Consulta la piena equiparazione retributiva va dunque realizzata nel triennio di vigenza contrattuale 2016-2018.

Se infatti un datore di lavoro concorda con la rappresentanza dei lavoratori – sottoscrivendo congiunte dichiarazioni a verbale replicate in fotocopia in calce agli ultimi tre contratti della (ora ex) quinta area della dirigenza scolastica – che il suo trattamento economico, da quindici anni e passa, è ingiusto e che tale ingiustizia va sanata, non si può più tergiversare ad libitum, per utilizzare il termine impiegato nella citata sentenza 178/15.

Provvedervi è diventato un obbligo giuridico per le parti contraenti. Perché un datore di lavoro non può lucrare un sinallagma che persiste alterato per un tempo indefinito, avvalendosi di una riconosciuta prestazione dirigenziale e continuando a corrisponderle una remunerazione da quadro, cioè la metà di una retribuzione dirigenziale.

Altrimenti questo datore di lavoro attua un comportamento non conforme alla correttezza e alla buona fede, siccome statuite negli artt. 1175 e 1375 del codice civile , per unanime giurisprudenza dotate di valore normativo e dunque integranti i contenuti del contratto.

Tal che, se dovesse persistere la necessità di interloquire i giudici nostrani – sino al grado della Cassazione per poi, all’occorrenza, virare infine verso la Corte europea dei diritti dell’uomo – essi dovranno orientare le loro decisioni sul dettato della Corte costituzionale, secondo criteri di giustizia sostanziale.

Vale a dire che non potranno più allegare la signoria del contratto – del nuovo e parimenti non satisfattivo contratto che dovesse essere sottoscritto – siccome, per una presunzione iuris et de iure, giusto/equo in quanto prodotto della libera autonomia negoziale delle contrapposte parti: giurisprudenza invero singolare, che ammette il vaglio di costituzionalità di leggi ritenute affette da profili di irragionevolezza e, per contro, afferma l’intangibilità di una fonte normativa – il contratto – gerarchicamente inferiore!

Detto diversamente, risultando ancora disatteso l’obbligo senza soluzione di continuità, il nuovo contratto dovrebbe essere annullato dal giudice adito (per quella analoga illegittimità sopravvenuta che la Corte costituzionale ha posto a fondamento della censurata ulteriore moratoria contrattuale), essendosi esso, in concreto, dimostrato inidoneo a realizzare la sua funzione tipica, di tutela dei lavoratori, che attiene anche ed immancabilmente alla parte qualificante dei profili economici…e all’attuazione del principio di proporzionalità della retribuzione…e dunque essere realmente – e non per una sorta di fictio iuris – uno strumento di garanzia della parità di trattamento (Corte cost., ante).

Finora la maggior parte delle sentenze rese in primo grado dai giudici del lavoro, e quelle arrivate in appello, hanno rigettato i ricorsi per la perequazione esterna, con la fondamentale, e pigra, motivazione che, essendo previste diverse e autonome aree dirigenziali, la pretesa omogeneizzazione retributiva ne vanificherebbe in radice la ragione della loro sussistenza: motivazione non meno discutibile di quella della sovranità assoluta del contratto ed anch’essa improntata a quell’esasperato formalismo giuridico completamente sradicato dal dato di realtà.

Il dato di realtà testimonia che tutti i dirigenti delle Pubbliche Amministrazioni, ex art. 1, comma 2 del D. Lgs. 165/01, percepiscono quantomeno uguale retribuzione di posizione parte fissa, attribuibile per il sol fatto che si esercita una qualsivoglia funzione dirigenziale, indipendentemente dall’Amministrazione di appartenenza e dalla complessità della struttura organizzativa (che, per contro, astrattamente possono giustificare una differenziata retribuzione di posizione variabile). Tutti, tranne i dirigenti scolastici, la cui detta retribuzione di posizione fissa ammonta a 3.556,58 euro lordi annui, a fronte del corrispondente importo dei pari grado (cioè non preposti alla conduzione di uffici dirigenziali generali), di euro 12.155,61.

Parrebbero, per il vero, sussistere altre eccezioni, riferibili alla dirigenza sanitaria e alla dirigenza medica (ex Area 3 e Area 4), che peraltro sono dirigenze sui generis, autonomamente e organicamente regolate da una fonte normativa – il D. Lgs. 229/99 – esterna alla generale disciplina ora raccolta nel plurimenzionato D. Lgs. 165/01. E comunque le predette eccezioni sussistono solo per il livello iniziale di quella che è una carriera interna; e che godono di indennità non presenti nelle altre aree dirigenziali, quali l’indennità specifica medica e/o l’indennità di rapporto esclusivo.

6.4. La differenza della retribuzione di posizione parte fissa tra dirigenza normale e dirigenza specifica è intorno agli 8.500 euro annui, più o meno equivalente alla differenza media della retribuzione di posizione variabile. Fanno 17.000 euro, che aggiunti alla retribuzione di risultato pari alla media di 30.000 euro (ultimi dati disponibili al novembre 2014), quindici volte superiore a quella dei dirigenti scolastici!, mettono capo ad una retribuzione complessiva esattamente doppia.

Ebbene, può ancora dirsi che un contratto che, dopo oltre quindici anni, non realizzi – al minimo! – l’equiparazione retributiva qui adempia alla sua funzione di tutela, di garanzia e di parità di chance dei lavoratori? Che è lo scopo per cui la legge e ancor prima la Costituzione conferiscono a soggetti privati (tali sono per il diritto i sindacati: art. 36 cod. civ.) e a soggetti pubblici agenti iure privatorum (D. Lgs. 29/93 e s.m.i.) l’autonomia negoziale?

  1. Ad ogni buon fine, il mantra delle diverse aree dirigenziali, di per sé legittimante palesi sperequazioni disancorate dai dati di realtà, giuridica e fattuale, non può più essere opposto.

Per quanto prescritto dal D. Lgs. 150/09, è stata rimessa alla competenza del CCNQ la definizione di non più di quattro aree dirigenziali, con l’esplicita autonoma disciplina della sola Presidenza de Consiglio dei ministri e – in parte, con riguardo al dispositivo della performance – della dirigenza medica, che difatti fa riferimento alla poc’anzi precisata organica norma speciale. E senza che mai figuri nel suo corposo articolato il minimo accenno alla dirigenza scolastica per una sua ipotetica caratterizzazione: neanche con riguardo alla generale materia della valutazione e del merito, essendo state previste (nell’art. 74) eccezioni solo per il personale docente.

Risultando dunque, per ius superveniens, abrogate dalla predetta fonte legale in parte qua le pregresse disposizioni di pari grado, è ora ripristinata quell’armonia di sistema intaccata dalla legge 59/97, il cui articolo 21, comma 17 – in difformità con la definizione delle aree dirigenziali da parte del predetto CCNQ – aveva prescritto che il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici fosse disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree.

Questa surrettizia collocazione ha costituito un cedimento alle corporazioni sindacali generaliste, che hanno sempre osteggiato una dirigenza vera sin da quando la dirigenza pubblica fu istituita con il DPR 748/72 e poi riscritta funditus dal D. Lgs. 29/93: perché i suoi poteri – per definizione – avrebbero inevitabilmente inciso la fitta rete di tutele, tipicamente impiegatizie, del personale docente e ATA.

E che sono riuscite ad imporre la formula che altro non è che la trasposizione dell’articolo 32 del preistorico Contratto collettivo nazionale della scuola del 4 agosto 1995, all’epoca comprendente il personale direttivo; abusivamente prenotante una distinta area della specifica dirigenza scolastica nell’ambito del comparto scuola e non assimilabile alla dirigenza – tutta la restante dirigenza pubblica – regolata dal D. Lgs. n. 29 del 1993.

  1. Come che sia, in conseguenza della novella brunettiana Il nuovo Contratto collettivo nazionale quadro colloca ora nella stessa area i – non più specifici – dirigenti delle istituzioni scolastiche e formative e i dirigenti – mai teorizzati specifici – delle università e degli enti di ricerca, allo scopo, testuale, di armonizzarne e integrarne le discipline contrattuali.

Accanto a questa parte comune sono possibili eventuali parti speciali o sezioni, dirette a normare taluni peculiari aspetti del rapporto di lavoro che non siano pienamente o immediatamente uniformabili o che necessitino di una distinta disciplina. Le stesse possono anche disciplinare specifiche professionalità che continuino a richiedere, anche nel nuovo contesto, una peculiare regolamentazione (art. 8, comma 2, CCNQ).

Alla lettera: parti speciali o apposite sezioni non sono obbligate ma eventuali, e comunque riguarderebbero solo alcuni peculiari aspetti normativi, non già i trattamenti economici, che sono la fondamentale, immediata e diretta conseguenza dell’integrazione e armonizzazione delle discipline contrattuali; ad iniziare dall’identica retribuzione di posizione fissa, attualmente pari a euro 12.155,61 e portati in dote dai nuovi commensali provenienti dall’Area VII.

Non possono dunque abusivamente reintrodursi, dilatando a dismisura le parti o sezioni speciali, le barriere, anche economiche, che formalmente si vogliono smantellare o almeno contenere; e che pure potrebbero non dispiacere alle dirigenze forti: praticamente i 149.100 dirigenti non scolastici a fronte dei poco più di 7.000 parenti poveri provenienti dalla riserva indiana della defunta e non rimpianta Area V.

Questi numeri, ufficiali, sono di per sé eloquenti per sfatare la leggenda metropolitana che costringerebbe(sic!) a pagare per la metà la più rognosa dirigenza pubblica perché gli appartenenti sono troppi, e che questa stessa ragione abbia loro impedito di essere inseriti nel ruolo unico passato a miglior vita al primo vagito.

Ma che non siano affatto troppi, bensì troppo pochi, oltre che in cifre assolute è deducibile ex adverso dal rapporto dirigente-numero dei dipendenti che gestisce: in media 1 a 100 per la dirigenza scolastica e meno di 1 a 10 per tutte le altre!

  1. Prima dell’apertura delle trattative necessiterà dunque lo stanziamento di apposite e congrue risorse finanziarie per realizzare una giustizia distributiva che faccia davvero corrispondere responsabilità e carichi di lavoro alla determinazione del correlato trattamento economico, la cui quantificazione è dettagliata nelle Linee guida per il nuovo contratto della dirigenza istruzione e Ricerca messe a punto da DIRIGENTISCUOLA.Di.S.Conf., che contiene altresì le proposte per la non meno necessaria perequazione-equiparazione normativa, mobilità professionale inclusa, in evidenza sul sito www.dirigentiscuola.org.

In particolare, sempre nel triennio contrattuale, dovrà riallinearsi la retribuzione di risultato. E, in assenza o in carenza di apposito finanziamento, i circa settemila cirenei dirigenti di istituzioni scolastiche dovrebbero chiedere, extrema ratio, agli oltre centoquarantanovemila colleghi di concorrere ad una redistribuzione solidaristica delle risorse già prevista dalla legge 124/15, sebbene all’interno degli abortiti ruoli unici – , peraltro di natura accessoria ed eventuale, né pensionabili né buonuscibili, pertanto difficilmente rivendicabili come diritti acquisiti.

Non sussistendo altre soluzioni, la proposta non può dirsi irragionevole. E nessuno ne uscirebbe dissanguato.