Audizione Senato

Audizione Senato – Ugl Scuola: “Necessario apportare modifiche all’impalcatura della Buona Scuola”

Questo pomeriggio, presso l’Ufficio di Presidenza della 7^ Commissione (Istruzione) del Senato, le OO.SS. Ugl Scuola, Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Cgil FP, Cisl FP, Uil FP, Cobas, Snals Confsal, Cisal, Gilda e Unicobas, hanno partecipato all’audizione inerente i decreti attuativi della Legge n. 107/2015 (Deleghe “Buona Scuola”).
La delegazione dell’Ugl Scuola è stata guidata da Ornella Cuzzupi.
Nel documento, che è stato depositato agli atti della Commissione, l’Ugl Scuola ha ribadito la necessità di apportare alcune modifiche all’impalcatura della “Buona Scuola”, indispensabili per valorizzare il sistema scolastico italiano, nonché per eliminare il clima di incertezza che oramai regna sovrano nelle scuole.
Inoltre, ha posto particolare rilievo alle problematiche inerenti la formazione iniziale e l’accesso all’insegnamento, sull’inclusione scolastica degli studenti disabili, sull’istruzione professionale e sugli esami di stato.

DELEGHE LEGGE 107

DELEGHE LEGGE 107, GILDA ABBANDONA AUDIZIONE IN SENATO

“Per protesta nei confronti del presidente Andrea Marcucci, che ha deciso di ascoltare separatamente i sindacati confederali, compresi quelli della Funzione pubblica, dagli altri rappresentativi, abbiamo deciso di consegnare il documento con le nostre osservazioni e di abbandonare l’audizione”. A dichiararlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Federazione Gilda-Unams, che era stato convocato oggi pomeriggio in Commissione VII del Senato per esprimere il parere sulle deleghe della legge 107/2015.

“La Presidenza della Commissione – afferma Di Meglio – non ha tenuto conto della differenza tra le organizzazioni rappresentative e non rappresentative, compiendo un grave atto di sgarbo istituzionale e dimostrando scarso rispetto anche nei confronti delle migliaia di insegnanti che aderiscono al nostro sindacato”.

Guida al Bullo 2.0

“Safer Internet Day 2017, azioni e strumenti a contrasto del cyberbullismo: presentazione aggiornamento Guida al Bullo 2.0”

Martedì 7 Febbraio 2017 ore 10.00

Regione Lazio, Sala Tirreno, Via Rosa Raimondi Garibaldi 7

In occasione della Giornata Nazionale contro il Bullismo e del Safer Internet Day, giornata internazionale per la sicurezza in rete, l’associazione studentesca Future Is Now, con il patrocinio della Regione Lazio, ha organizzato un convegno dal titolo “Safer Internet Day 2017, azioni e strumenti a contrasto del cyberbullismo: presentazione aggiornamento Guida al Bullo 2.0”. L’evento, a cui parteciperanno circa 400 studenti delle scuole superiori di Roma e Provincia, si terrà il 7 febbraio 2017 alle ore 10 nella Sala Tirreno della Regione Lazio in Via Rosa Raimondi Garibaldi, 7. Secondo il rapporto 2016 del Censis, il 52,7% degli studenti tra gli 11 e i 17 anni ha subito comportamenti offensivi, non riguardosi o violenti da parte dei coetanei nel corso dell’anno. La percentuale sale al 55,6% tra le femmine e al 53,3% tra i ragazzi più giovani (11-13 anni). In considerazione di questi dati, dopo gli interventi dei relatori, sarà presentato l’aggiornamento della Guida al Bullo 2.0 che, a cura di esperti come psicologi e avvocati, contiene consigli per affrontare il bullismo. Il Lazio è la prima istituzione, sia a livello regionale che nazionale, ad aver legiferato su questo delicato tema, approvando nel maggio scorso la legge ‘Disciplina degli interventi per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del bullismo’. “Come cittadino e padre di tre figli – dichiara Michele Baldi, Capogruppo della Lista Civica Nicola Zingaretti al Consiglio Regionale del Lazio – vado molto fiero di questa legge grazie alla quale sosteniamo programmi e progetti per il rispetto della dignità della persona, la valorizzazione delle diversità e il contrasto di tutte le discriminazioni. Diamo un sostegno particolare alla tutela dell’integrità psico-fisica di bambini e adolescenti, alla diffusione della legalità e all’utilizzo consapevole degli strumenti informatici e della rete, specie a scuola. Per fare questo abbiamo istituito un fondo, con uno stanziamento di 750 mila euro per il triennio 2016/2018, a beneficio di comuni e municipi, istituzioni scolastiche, aziende sanitarie locali e associazioni, per iniziative culturali, sociali e sportive sui temi del rispetto della diversità. O, ancora, per iniziative di promozione di uno stile di vita familiare che sostenga lo sviluppo di un senso critico nel minore, di gruppi di supporto per i genitori, corsi di formazione per personale scolastico, operatori sportivi ed educatori, campagne di sensibilizzazione e informazione per studenti, insegnanti e famiglie. Senza dimenticare che sono previsti contributi anche per programmi di sostegno in favore di vittime di atti di bullismo”. ” E’ necessario seguire e promuovere campagne di sensibilizzazione – dichiara Vittorio Di Vincenzo, Presidente Nazionale Future Is Now – volte a indirizzare gli utenti, e in particolare i più giovani, al giusto utilizzo di internet per una navigazione più sicura. Il cyberbullismo rappresenta una pericolosa piaga sociale in costante crescita che deve essere prevenuta fin dall’età scolare”.

Incontro della Commissione parità con il Ministro Fedeli

Agesc,  Cdo Opere Educative, Fidae
COMUNICATO STAMPA CONGIUNTO

Incontro della Commissione parità con il Ministro Fedeli: un buon inizio che fa sperare

La Commissione Parità, composta dai rappresentanti delle associazioni dei gestori, dei genitori e degli studenti delle scuole paritarie, ha incontrato ieri per la prima volta, presso la sede del Miur, il nuovo ministro all’istruzione Valeria Fedeli.

L’incontro, caratterizzato da un clima di grande cordialità, si colloca all’interno del lavoro della Commissione parità, nella quale le associazioni e i rappresentanti del Miur si confrontano periodicamente sui temi  della parità scolastica.

Il Ministro, coadiuvato dal sottosegretario Gabriele Toccafondi, ha espresso parole di apprezzamento per la presenza delle scuole paritarie, che costituiscono “una delle due gambe del medesimo sistema nazionale di istruzione”. Ha sottolineato inoltre che la parola “paritarie” per lei significa pari valore tra tutte le scuole.

Il sottosegretario Toccafondi ha poi illustrato lo stato di attuazione delle disposizioni contenute nella legge di bilancio 2017 (revisione dell’accordo di partenariato con la Commissione Europea per l’accesso ai fondi PON a pieno titolo anche delle paritarie, assegnazione dei fondi per l’alternanza scuola lavoro anche alle paritarie, assegnazione di risorse aggiuntive per disabili e scuole dell’infanzia…).

Le associazioni hanno apprezzato la disponibilità al dialogo manifestata dal Ministro e hanno sottolineato il cambio di rotta registrato con la  legge di bilancio 2017.
Hanno chiesto inoltre di bandire al più presto il TFA per tutte le classi  di concorso al fine di garantire ai giovani laureati di poter conseguire l’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria.
E’ stato anche segnalato che in alcune Regioni si sono accumulati gravi ritardi nella erogazione dei contributi e non risultano ancora assegnati i saldi dell’a.s. 2015/16.

Le scriventi associazioni si sono infine dichiarate disponibili a collaborare alla realizzazione dell’alleanza educativa proposta dal Ministro nelle sue linee programmatiche e rilanciata al termine dell’incontro.

Fedeli incontra il Forum Associazioni Genitori

Scuola, Fedeli incontra il Forum Associazioni Genitori
“Continuità didattica è un valore per tutti, lavoriamo per garantirla
nel prossimo anno scolastico”

(Roma, 2 febbraio 2017) I decreti attuativi della legge 107, la continuità didattica, i problemi delle scuole delle aree colpite dal sisma in Centro Italia. Questi i principali temi al centro dell’incontro che si è tenuto oggi pomeriggio al Miur tra la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli e le rappresentanti e i rappresentanti del Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori.

L’incontro è stato un’occasione di confronto e di ascolto con una componente importante del mondo della scuola, con particolare riferimento all’iter dei decreti attuativi della Buona Scuola ora in discussione in Parlamento.

Sul fronte della continuità didattica, la Ministra ha voluto rassicurare le rappresentati e i rappresentanti del Forum. “La continuità – ha sottolineato – deve essere un valore per tutte e tutti coloro che operano e vivono nel mondo della scuola. Per questo  abbiamo avviato un cronoprogramma molto preciso per centrare l’obiettivo fondamentale di iniziare il prossimo anno scolastico con tutte le procedure necessarie avviate e completate”.

Nel corso dell’incontro, sono stati affrontati anche il tema del necessario rafforzamento dei rapporti tra scuola e famiglie e le problematiche legate al terremoto.

Fedeli: cordoglio per lavoratore deceduto a Napoli

Fedeli: cordoglio per lavoratore deceduto a Napoli

(Roma, 2 febbraio 2017) La Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli esprime “profondo cordoglio e vicinanza alla famiglia” dell’uomo, un addetto alle pulizie scolastiche, deceduto dopo aver inseguito l’auto pirata che stamattina ha travolto il sit-in di manifestanti in presidio sotto l’Ufficio scolastico regionale della Campania.

La Ministra esprime anche “apprensione per le condizioni di salute dei due manifestanti rimasti feriti a seguito dell’incidente”.

Istruzione, decentramento amministrativo e lep

L’istruzione, il decentramento amministrativo e i livelli essenziali di prestazione nella riforma costituzionale (Legge n. 3/2001)

di Pietro Boccia

 

  1. Introduzione

La Costituzione italiana, che, con una metafora, a me piace rappresentarla come un giovane e rigoglioso albero (le radici: i primi dodici articoli dei principi; il tronco: i diritti e i doveri dei cittadini – articoli da 13 a 54 -; i rami: gli organi dello Stato – articoli da 55 a 139 – e i frutti, rappresentati, tramite un’amministrazione efficace, efficiente, basata sul buon andamento e servente, come prevede la legge n, 241/1990, nei confronti tutti i cittadini, dalla pluralità delle istituzioni pubbliche – art. 97 -), prevede, all’art. 5, che la “Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Questo si fonda sul passaggio di alcuni poteri dagli organi centrali a quelli periferici. Il decentramento amministrativo può essere autarchico, quando il potere di tutelare, in maniera autonoma, alcuni interessi pubblici viene commissionato ad una persona giuridica pubblica, e gerarchico o burocratico, nel momento in cui il trasferimento dei poteri avviene dagli organi centrali a quelli locali. In ambedue i casi, lo Stato si riserva il potere di dare direttive generali agli organi interessati e di vigilare sull’attività da essi svolta. Non possono essere oggetto di decentramento amministrativo le materie nazionali che non si collegano con problemi locali o che non concordano con comportamenti differenziati.

Il territorio all’interno del quale i poteri decentrati possono essere esercitati è denominato circoscrizione territoriale, che può essere regionale e provinciale. Il principale organo che rientra nella circoscrizione regionale è il Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie (ex Commissario del Governo), che è il prefetto del capoluogo di Regione e svolge il compito di sovrintendere le funzioni amministrative, che lo Stato esercita, a livello regionale e di coordinarle con quelle espletate dalle Regioni. Il Rappresentante dà, inoltre, tempestiva informazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Ministeri interessati, degli statuti regionali approvati e delle leggi regionali deliberate, per le finalità, di cui agli artt. 123 e 127 della Costituzione, e degli atti amministrativi regionali, emanati agli effetti dell’arti. 134 della Costituzione.

I principali organi, che rientrano nella circoscrizione provinciale, invece, sono: la Prefettura – Ufficio territoriale del Governo (UTG) che, pur dipendendo dal Ministero dell’interno, ha competenze di carattere generale. Le prefetture hanno sede in ogni capoluogo di Provincia e sono governate da un prefetto, che rappresenta il Governo nella circoscrizione provinciale ed è, per questo, una delle maggiori autorità provinciali. Il prefetto è coadiuvato da vice-prefetti, di cui uno svolge funzioni vicarie. I prefetti sono coadiuvati nelle nuove complesse funzioni da una Conferenza permanente (D.P.R. 3 aprile 2006, n. 180), presieduta dai medesimi e composta dai responsabili delle strutture periferiche dello Stato; la Questura, che è un organo con competenze dirette non solo alla tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, ma anche al coordinamento delle forze di polizia che operano sul territorio provinciale; l’Ufficio scolastico provinciale (USP), attualmente denominato Ufficio con competenza per ambito territoriale (AT), che dipende dal Ministero della pubblica istruzione. È un organo che ha competenze d’indirizzo e di vigilanza sulle scuole della Provincia; la direzione territoriale del lavoro (DTL), erede dell’Ispettorato del lavoro e dell’Ufficio provinciale del lavoro, che dipende dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale; riassume le “nuove” competenze nelle sue due anime, rappresentate dai due principali servizi che la compongono: il Servizio politiche del lavoro (SPL) e il Servizio ispezioni del lavoro (SIL); l’Ufficio della motorizzazione civile, organo periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Esso ha competenze concernenti i problemi della motorizzazione civile a livello provinciale; la Soprintendenza ai beni culturali e ambientali, che è alle dipendenze dell’omonimo Ministero ed è un organo con competenze che si riferiscono alla tutela e alla gestione dei musei, dei monumenti, degli scavi archeologici e degli archivi.

 

2. La riforma costituzionale (Legge n. 3 del 18 ottobre 2001) e i livelli essenziali di prestazione dell’amministrazione pubblica per l’esercizio del diritto civile

Negli anni Ottanta del secolo scorso, i partiti di governo di allora (Dc, Psi, Psdi, Pli e Pri), avendo compreso che, in Italia, fosse presente una forte instabilità di governo e un eccessivo potere centrale dello Stato, hanno posto nei loro programmi la riforma istituzionale. Essi nominano, così, nel 1983, una Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, che, in due anni, conclude, con una serie d’ipotesi di riforma, i lavori. La riforma non ha, però, attuazione per la crisi del pentapartito. L’ipotesi di una riforma della Costituzione viene, tuttavia, ripresa negli anni Novanta, quando, da un lato, il Presidente della Repubblica, Oscar L. Scalfaro, propone alle Camere di istituire un’Assemblea costituente e, dall’altro, il movimento politico “Lega Nord” imposta la sua ideologia sull’obiettivo di trasformare l’Italia in Stato federale. Nel 1996 viene, così, istituita una Commissione bicamerale per la modifica della Costituzione. Tale Commissione conclude i lavori nel 1997. Il progetto non è, tuttavia, portato avanti. Nello stesso anno si riforma, per quanto concerne il decentramento, la pubblica amministrazione. Vengono, così, ampliati i compiti e le funzioni delle Regioni e degli Enti locali. Tranne in alcuni settori, come, ad esempio, difesa, ordine pubblico, scuola, università, giustizia e sanità, numerose funzioni amministrative sono passate, così, alla competenza degli Enti locali, permettendo ai cittadini (principio di sussidiarietà) di essere più vicini agli amministratori e realizzando, in parte, il federalismo amministrativo.

Il cambiamento effettivo in senso federalista si ha con la Legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, che modifica il Titolo V della Costituzione e fissa, per ogni istituzione, i principi generali, le norme generali e i livelli essenziali di prestazione per l’esercizio del diritto civile. Lo Stato italiano, come gli altri Stati europei, in ottemperanza alle disposizioni del trattato di Maastricht, perde, con tale legge, sovranità e diventa semplicemente regolatore. Con le modifiche di tale legge gli articoli della Costituzione che riguardano le autonomie territoriali recitano che la Repubblica è costituita dai Comuni e dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento (art. 114).

Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano (art. 116).

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; immigrazione; rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; cittadinanza, stato civile e anagrafi; giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; norme generali sull’istruzione; previdenza sociale; legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane; dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Le materie di legislazione concorrente sono quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

La potestà legislativa. in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, spetta alle Regioni. Queste e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato (art. 117).

Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’art. 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà (art. 118). I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Città metropolitane e Regioni. I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti (art. 119)

La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale. Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione (art. 120).

Gli organi della Regione sono: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo presidente. Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può fare proposte di legge. La Giunta regionale è l’organo esecutivo delle Regioni. Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica (art. 121).

Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi. Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e al Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo. Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un Presidente e un ufficio di presidenza. I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta (art. 122). Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione. Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi. In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali (art. 123).

Il Governo, qualora ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione, nel caso in cui ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge (art. 127).

Si può, con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse. Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che i Comuni che ne facciano richiesta siano staccati da una Regione e aggregati ad un’altra (art. 132).

La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni (art. 133).

In conclusione le maggiori novità della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 concernono: maggiori poteri alle Regioni nell’ambito dell’istruzione e della sanità; maggiori competenze regionali in campo legislativo; introduzione del federalismo fiscale; introduzione del principio di sussidiarietà. Su tali basi, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nella seduta del 14 dicembre 2004, approva, per l’attuazione del Titolo V della Costituzione nel settore istruzione, il Master plan (documento che viene predisposto per il piano delle azioni da intraprendere).

 

3. Le competenze costituzionali delle Autonomie locali nell’istruzione e nella formazione

Gli Uffici scolastici regionali (USR) hanno, nel campo dell’istruzione e della formazione funzioni e competenze a volte esclusive e, altre volte, concorrenti. Essi sono, nel complesso, un autonomo centro di responsabilità amministrativa e attuano le direttive dei Dipartimenti generali. Nello stesso tempo, hanno un ruolo di supporto e di consulenza verso le singole istituzioni scolastiche. Tutto ciò è svolto in base alle disposizioni costituzionali. L’art. 117 della Costituzione attribuisce, infatti, allo Stato la competenza legislativa esclusiva per quanto riguarda, tra le altre materie, le norme generali dell’istruzione e la determinazione dei livelli essenziali di prestazione che devono essere assicurati dalle Regioni nel settore assegnato alla loro competenza esclusiva, vale a dire quello dell’istruzione e formazione professionale; fanno eccezione le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, che hanno una maggiore autonomia. Lo stesso art. 117 della Costituzione assegna alle Regioni la competenza legislativa esclusiva sul sistema d’istruzione e di formazione professionale, nel rispetto dei livelli essenziali di prestazione, stabiliti dallo Stato, e fatti salvi i compiti di collegamento con l’Unione europea. I livelli essenziali di prestazione che le Regioni devono assicurare comprendono il rispetto degli standard formativi minimi, in altre parole la durata dei corsi, la validità nazionale delle certificazioni e il rispetto dei criteri nazionali di accreditamento dei soggetti che mettono in bilancio ed erogano i corsi. Solo in materia d’istruzione scolastica lo Stato e le Regioni hanno anche competenza legislativa concorrente. In tal caso, da un lato, lo Stato stabilisce i principi generali, come la durata e tipologia dei corsi, gli esami e le certificazioni, il valore legale dei titoli di studio, gli obiettivi di apprendimento e i crediti, e, dall’altro, le Regioni assicurano l’organizzazione sul territorio. L’art. 117 della Costituzione sancisce, inoltre, l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Questo significa che ogni singola scuola, anche attraverso una rete di altre scuole, può decidere, nel rispetto delle norme nazionali e regionali, autonomamente in materia didattica, organizzativa e di sperimentazione, ricerca e sviluppo. La Costituzione del 1948 all’art. 33 attribuisce, infine, anche alle università e alle istituzioni di alta cultura, autonomia, perché ravvisa in loro il diritto di darsi ordinamenti pienamente autonomi.

Il trasferimento da parte dello Stato di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti locali concerne, secondo l’art. 1, co. 2 della Legge n. 59 del 1997 “tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto, esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, in altre parole tramite enti o soggetti pubblici”. Sono esclusi da tale trasferimento, come recita l’art. 1, co. 3, della stessa legge l’istruzione universitaria, gli ordinamenti scolastici, l’organizzazione generale dell’istruzione scolastica e lo stato giuridico del personale. La disciplina legislativa, che regola le funzioni e i compiti trasferiti alle Regioni dalla Legge “Bassanini”, spetta alle stesse Regioni. È di competenza delle Regioni anche la disciplina legislativa che riguarda la materia prevista nell’art. 117, primo comma, della Costituzione. Secondo l’art. 4, le Regioni, poi, “conferiscono alle Province, ai Comuni e agli altri Enti locali tutte le funzioni che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale”. L’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi, trasferiti dalla Legge n. 59 del 1997, competono, per la relativa disciplina, alle Regioni e agli Enti locali. Il Governo, in base al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, all’oggetto: Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali, in attuazione del Capo I della Legge 15 marzo 1997, n. 59, ha esercitato una delega dell’art. 1, co. 1, della Legge n. 59/1997. Tale decreto, prima di procedere all’individuazione delle competenze e dei servizi da trasferire al sistema delle Autonomie locali, definisce alcuni principi generali di cornice entro cui comprendere la disciplina del trasferimento di funzioni e compiti.

I principi, in esso enucleati, sono: gradualità e certezza del termine per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi conferiti; conferimento amministrativo, che “comprende anche le funzioni di organizzazione e le attività connesse e strumentali all’esercizio delle funzioni e dei compiti, quali tra gli altri, quelli di programmazione”; “le funzioni e i compiti non espressamente conservati allo Stato con le disposizioni del presente decreto legislativo sono conferiti alle Regioni e agli Enti locali”; viene fatto salvo il trasferimento di compiti amministrativi alle istituzioni scolastiche, previsto dall’art. 21 della Legge n. 59/1997. Si fa, poi, divieto d’interpretare la disciplina del decentramento amministrativo, contenuta nel D.Lgs. n. 112 del 1998 “nel senso dell’attribuzione allo Stato, alle sue amministrazioni e ai suoi enti pubblici nazionali, di funzioni e compiti trasferiti, delegati, o in ogni modo attribuiti alle Regioni e agli Enti locali e alle autonomie funzionali”. Con tale divieto si stabilisce che, nel momento in cui viene definito e avviene il trasferimento amministrativo di funzioni e compiti alle Autonomie locali, l’amministrazione dello Stato non potrà più rivendicarne né la titolarità né l’esercizio.

Le competenze delle Regioni e degli Enti locali sono assunte per delega, in base all’art. 138 del D.Lgs. n. 112/98. Questo definisce e delega alle Regioni, sulla base dell’art. 118, co. 2, della Costituzione (nel testo antecedente al 2011), le seguenti funzioni amministrative: la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istituzione e formazione professionale; la programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali (D.P.R. 233/1998), assicurandone il coordinamento; la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli Enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa; la determinazione del calendario scolastico; i contributi alle scuole non statali; le iniziative e le attività di promozione, relative all’ambito delle funzioni conferite.

L’esercizio delle funzioni delegate è, però, operante “dal secondo anno scolastico immediatamente successivo alla data di entrata in vigore del regolamento di riordino delle strutture dell’amministrazione centrale e periferica”. L’art. 139 del D.Lgs. n. 112 del 1998 ha per oggetto il trasferimento di compiti e funzioni agli Enti locali, sempre in materia scolastica, ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione (nel testo antecedente alla novella del 2011). In particolare, dopo l’approvazione della legge n. 56/2014, sono attribuiti ai Comuni o alle Regioni i compiti e le funzioni che riguardano: l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione; la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche; i servizi di supporto organizzativo del servizio d’istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio; il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, d’intesa con le istituzioni scolastiche; la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti; le iniziative e le attività di promozione, relative all’ambito delle funzioni attribuite; la costituzione, i controlli e la vigilanza, compreso lo scioglimento, sugli organi collegiali scolastici, a livello territoriale.

Il D.P.R. n. 233 del 18 giugno 1998, che ha in sé le norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, afferma, poi, che “agli Enti locali è attribuita ogni competenza in materia di soppressione, istituzione, trasferimento di sedi, plessi, unità delle istituzioni scolastiche che abbiano ottenuto la personalità giuridica e l’autonomia. Tale competenza è esercitata, su proposta e, in ogni modo, previa intesa, con le istituzioni scolastiche interessate” con particolare riguardo alle disponibilità di organico (art. 4, co. 2) e al raggiungimento degli obiettivi didattico- pedagogici programmati (art. 1, co. 2) per garantire l’efficace esercizio dell’autonomia (art. 1, co. 1).

I Comuni, anche in collaborazione con le Comunità montane, ciascuno in relazione ai gradi d’istruzione di propria competenza, infine, esercitano, anche d’accordo con le istituzioni scolastiche, funzioni in materia di: educazione degli adulti; interventi integrati di orientamento scolastico e professionale; azioni orientate a realizzare le pari opportunità d’istruzione; azioni di supporto, orientate a promuovere e a sostenere la coerenza e la continuità in verticale e orizzontale tra i diversi gradi e ordini di scuola; interventi perequativi; interventi integrati di prevenzione della dispersione scolastica e di educazione alla salute.

L’art. 139, al terzo e ultimo comma del D.Lgs. n. 112 del 1998, sostiene che “la risoluzione dei conflitti di competenze è conferita alle Province, ad eccezione dei conflitti tra istituzioni della scuola materna ed elementare, la cui risoluzione è conferita ai Comuni”. Il conflitto, che permette agli Enti locali d’intervenire in maniera risolutiva, è quello che si riferisce alle competenze amministrative. La riorganizzazione funzionale delle competenze si regolerà, a livello ordinamentale, con tempi in parte lunghi. Il legislatore è consapevole di ciò e, pertanto, ha previsto meccanismi di correzione in corso d’opera della riforma amministrativa dello Stato, per renderla coerente ed efficace.

Il regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, D.P.R. n. 275 del 1999, delinea, in ogni modo, il nuovo sistema di poteri da attribuire alle istituzioni scolastiche in ambito didattico-curricolare, organizzativo e di ricerca, sviluppo e sperimentazione. Nel nuovo quadro funzionale, il rapporto tra Enti locali e scuole si adombra in termini di un reciproco rispetto e di un’indicativa cooperazione. Nel primo articolo del regolamento, si riscontra un’affermazione di principio, che conferma che le “istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale e provvedono alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa, nel rispetto delle funzioni delegate alle Regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli Enti locali, ai sensi degli articoli 138 e 139 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112. A tal fine interagiscono tra loro e con gli Enti locali, promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema d’istruzione”. Si hanno, in tal modo, le seguenti disposizioni: l’esercizio dei poteri, in materia di autonomia, dovrà esplicarsi nel rispetto delle funzioni delegate alle Regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli Enti locali; le istituzioni scolastiche interagiscono con gli Enti locali; non si dice “possono interagire”, ma “interagiscono”, ponendo, quindi, un vincolo a scuole ed Enti locali che, appunto, dovranno impostare una fattiva collaborazione tutte le volte che questa è richiesta o da apposite disposizioni legislative, dai propri obiettivi istituzionali, da esigenze di congiuntura e, infine, dalla realizzazione dei propri fini di educazione e d’istruzione.

Gli Enti locali e l’autonomia delle istituzioni scolastiche hanno, pertanto, il compito d’interagire e di collaborare allo scopo di realizzare fini istituzionali, educativi e formativi. Le interazioni proficue sono realizzate dal Piano dell’offerta formativa che le scuole forniscono sul territorio. Il POF, descritto dal regolamento, come “il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche”, che le istituzioni scolastiche “elaborano e adottano nell’ambito della loro autonomia” (art. 3, co. 1), mostra “le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale” e tiene conto “della programmazione territoriale dell’offerta formativa” (art. 3, co. 2). Spetta al Dirigente scolastico promuovere “i necessari rapporti con gli Enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio” (art. 3, co. 4) per una corretta e mirata elaborazione del piano dell’offerta formativa. Si desume, in tal modo, non solo il vincolo di collaborazione sussistente tra le istituzioni scolastiche e gli Enti locali, per poter progettare e attuare l’offerta formativa, ma anche l’esigenza che il Piano dell’offerta formativa esprima i diversi bisogni del territorio e dell’ente locale. Per quanto concerne particolarmente l’autonomia didattica, le istituzioni scolastiche hanno, inoltre, il compito di tutelare in ogni modo “la realizzazione di iniziative di recupero e di sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale, coordinandosi con le iniziative eventualmente assunte dagli Enti locali in materia di interventi integrati a norma dell’articolo 139, co. 2, lett. b, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112” (art. 4, co. 4). Questa norma vincola, in maniera inderogabile, le istituzioni scolastiche non solo a realizzare iniziative di recupero, di sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale, ma anche a coordinare le proprie attività con le iniziative che, per quanto concerne gli interventi integrati (art. 139, co. 2, lett. b, del D.Lgs. n. 112 del 1998), sono assunte dagli Enti locali. Nella deliberazione del curricolo opzionale/ obbligatorio, che ogni istituzione scolastica deve ipotizzare e organizzare, il legislatore ha stabilito che tale indicazione del curricolo debba tener conto, tra le altre cose, delle “esigenze e delle attese espresse […] dagli Enti locali” (art. 8, co. 4). Anche in questo passaggio s’intravede l’importanza del contributo dell’ente locale nella fase progettuale del curricolo locale e il vincolo dell’istituzione scolastica a tener conto delle sue esigenze e attese, purché ovviamente siano espresse e comunicate al Dirigente.

Il legislatore mette, poi, in evidenza che la progettazione del curricolo locale può essere stabilito “anche attraverso un’integrazione tra sistemi formativi sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali negli ambiti previsti dagli articoli 138 e 139 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112” (art. 8, co. 5). Per quanto concerne, invece, l’ampliamento dell’offerta formativa, a favore dei giovani e degli adulti, la disposizione regolamentare prospetta la possibilità che le istituzioni scolastiche possano attuarla “coordinandosi con eventuali iniziative promosse dagli Enti locali” (art. 9, co. 1). Il curricolo scolastico può altresì arricchirsi “con discipline e attività facoltative, che per la realizzazione di percorsi formativi integrati le istituzioni scolastiche programmano sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali” (art. 9, co. 2). Le istituzioni scolastiche “possono [inoltre] promuovere e aderire a convenzioni o accordi, stipulati a livello nazionale, regionale o locale, anche per la realizzazione di specifici progetti” (art. 9, co. 3). Per quanto concerne le iniziative, che hanno finalità d’innovazione, le Regioni e gli Enti locali possono ricoprire un ruolo di rilievo riguardo alla proposta. Nell’art. 11, co. 1, del D.P.R. n. 275/1999 – Iniziative finalizzate all’innovazione – la disposizione afferma che: “Il Ministro della pubblica istruzione, anche su proposta […] di una o più Regioni o Enti locali, promuove, eventualmente sostenendoli con appositi finanziamenti disponibili negli ordinari stanziamenti di bilancio, progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione e durata, l’integrazione fra sistemi formativi” e i processi di continuità didattica e di orientamento nel campo lavorativo.

Scuola, 830 milioni per dieci azioni di crescita dei giovani

da la Repubblica

Scuola, 830 milioni per dieci azioni di crescita dei giovani

ROMA – La ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, a quaranta giorni dal suo insediamento lancia le dieci azioni – finanziate con 830 milioni di euro – per far crescere gli studenti italiani sul piano culturale e didattico, ovviamente, ma anche sul fronte ambientale, dei diritti e della capacità di crearsi un lavoro. Nella sala delle Comunicazioni del Miur l’attenzione, prendendo slancio dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, si sposta da graduatorie da esaurire e supplenze da gestire per cogliere un altro aspetto della futura buona scuola, al di là della legge così contestata e ancora da realizzare in pieno. “Oggi lanciamo un grande investimento sulle competenze dei nostri ragazzi”, dice la ministra, “la scuola come strumento di pari opportunità e mobilità sociale, formatrice di futuri cittadini globali”.

Da ieri sul sito del Miur si può vedere un avviso quadro, generale. Nell’arco di due mesi saranno via via pubblicati dieci avvisi sui singoli temi per consentire alle scuole, attraverso i loro dirigenti scolastici, di partecipare ai bandi.

Competenze di base (180 milioni, avviso dal 20 febbraio). L’investimento è destinato agli studenti in ritardo sulla didattica. Mira a compensare gli svantaggi culturali, economici e sociali, a ridurre una dispersione scolastica in calo ma ancora alta in Italia (15 per cento). Il potenziamento si concentrerà sull’Italiano, la lingua straniera, le scienze e la matematica “grazie a modalità didattiche innovative”.

Alternanza scuola-lavoro (140 milioni, dal 28 marzo). L’esperienza è considerata riuscita, nonostante le difficoltà riscontrate al Sud. L’alternanza scuola-lavoro, obbligatoria in terza e quarta superiore, prosegue e trova nuove fonti di finanziamento: 140 milioni extra, appunto. In particolare, si costruiranno reti locali per “un’alternanza di qualità” e ci saranno incentivi alla mobilità per gli studenti.

Competenze di cittadinanza globale (120 milioni, dal 17 marzo). Questa quota di denaro servirà a far crescere la conoscenza dell’alimentazione e in generale del cibo, il benessere, i corretti stili di vita. E, in parallelo, l’educazione motoria e lo sport, l’educazione ambientale, la conoscenza economica.

Cittadinanza europea (80 milioni, dal 24 marzo). Cultura, identità e valori europei, un approfondimento specifico. Parte di questi soldi sosterranno viaggi all’estero.

Patrimonio culturale, artistico e paesaggistico (80 milioni, dal 6 aprile). L’avviso si pone l’obiettivo di trasmettere a studentesse e studenti il valore dei patrimoni per la comunità: “Cultura, arte e paesaggio sono un bene comune e generano sviluppo sostenibile”.

Cittadinanza e creatività digitale (80 milioni, dal 3 marzo). Uso consapevole della Rete – oggi sempre più elemento di dipendenza passiva per intere generazioni – percorsi per enfatizzare la singola creatività digitale. Quindi, sostegno al pensiero logico e computazionale, alla base della programmazione informatica.

Integrazione e accoglienza (50 milioni, dal 31 marzo). Conoscenza del fenomeno migratorio, momenti di scambio con gli stranieri. “In una società complessa”, dice la ministra Fedeli, “la scuola deve costruire un modello che valorizzi le differenze, promuova l’integrazione e il dialogo interreligioso e interculturale”.

Educazione all’imprenditorialità (50 milioni, dall’8 marzo). Percorsi di educazione all’autoimpiego: l’imprenditorialità classica, quella sociale e quella cooperativa. Le azioni svilupperanno l’autonomia e l’intraprendenza degli studenti, la loro capacità di risolvere problemi, lavorare in squadra, accrescere adattabilità e perseveranza”.

Orientamento (40 milioni, dal 13 marzo). Per i ragazzi all’ultimo anno delle scuole medie e negli ultimi tre anni delle superiori: l’orientamento serve a comprendere quali siano le proprie attitudini e quale percorso può svilupparle al meglio.

Formazione per adulti (10 milioni, dal 24 febbraio). Si è fatto necessario reistruire gli adulti “per realizzare una società più inclusiva e realizzata”. L’apprendimento permanente passerà soprattutto dalla rete.

Il finanziamento delle dieci azioni, e dei relativi avvisi alle scuole, si affiderà al Programma operativo nazionale (Pon) del sistema di istruzione. L’Italia dispone di 3 miliardi e 19 milioni, di cui 2,1 miliardi per la formazione. La novità del Pon 2014-2020 è che è stato esteso a tutto il territorio nazionale.

Lavoro, ora il tutor entra a scuola

da la Repubblica

Lavoro, ora il tutor entra a scuola

Entro i prossimi due anni ce ne sarà uno in tutti i 5.400 istituti superiori e nelle 60 università È il piano del governo contro la disoccupazione giovanile che a dicembre ha superato il 40%

VALENTINA CONTE

ROMA. Un tutor in ogni scuola superiore e università per aiutare i giovani a entrare nel mondo del lavoro. Il governo accelera sulla proposta dell’Anpal, la nuova Agenzia nazionale per le politiche attive. E prepara una prima selezione di 215 “facilitatori” in aprile, da destinare in mille istituti e 30 università a partire dal prossimo anno scolastico. Con l’obiettivo poi di salire a 430 tutor entro il 2018. E a quota mille nel 2019, così da coprire tutte le 5.400 scuole e le 60 università italiane. Una scossa non più rimandabile, visti i nuovi dati Istat relativi al mese di dicembre.

L’occupazione cresce solo per gli over 50. Mentre la disoccupazione degli under 24 torna sopra il 40%. Il doppio di dieci anni fa, quando un quarto dei ragazzi lavorava contro il 16% di oggi, nove punti in meno. Situazione speculare alla fascia 25-34 anni: 60% occupati, 17,8% in cerca, 26,5% inattivi. Dieci punti di occupati bruciati in un decennio, il doppio di senza lavoro e tre punti in più di scoraggiati. In soldoni, un milione e mezzo di giovani è pronto per un impiego, ma non lo trova. «Il dato di dicembre è brutto, non c’è dubbio», ammette Maurizio Del Conte, presidente Anpal. «E si spiega anche con il lungo periodo di inattività tra la conclusione del ciclo di studi e il primo contratto di lavoro».

Domanda e offerta non si incontrano. Di più, si ignorano. L’alternanza scuola-lavoro, gli stage in impresa obbligatori introdotti dalla riforma della Buona Scuola, hanno coinvolto più di un milione di studenti nel 2016. Bastano? «Bella l’idea, ma le gambe sono fragili », ragiona Del Conte. «Occorre una persona in carne e ossa negli istituti, in grado di sbrigare le pratiche per avviare i contratti di apprendistato, ma anche di incontrare le aziende. Non sarà solo. Alle spalle c’è una struttura, l’Anpal, un progetto e soprattutto un modello. Non andrà alla cieca, si muoverà nei settori dove la domanda è vivace. Si coordinerà con le scuole del territorio e i loro uffici di placement. E orienterà i ragazzi nelle scelte». L’Agenzia si occuperà di reclutare, selezionare e poi formare i tutor a partire da aprile. Anche grazie ai fondi strutturali europei che già finanziavano un analogo piano, gestito da Italia Lavoro. E alla collaborazione con il ministero dell’Istruzione.

Ma ora toccherà correre. Se è vero, come prevede Unioncamere, che le imprese faticheranno a coprire un posto su cinque nei primi tre mesi di quest’anno per mancanza di candidati adeguati. D’altro canto, un Pil che stenta a ruggire sopra l’1% non autorizza sogni. I 242 mila posti creati nel 2016 si devono interamente alla fascia degli over 50, trattenuti al lavoro dagli allungati criteri per il pensionamento, con 410 mila occupati extra. Ai quali sottrarre i 149 mila posti bruciati nella fascia 35-49 anni. E i 20 mila dei 25-34 anni. I giovanissimi si consolano con mille occupati in più. Davvero troppo poco. «Abbiamo un problema di competenze, c’è bisogno di un lavoro di accompagnamento che aiuti i giovani ad allinearsi con i cambiamenti, con la digitalizzazione», insiste il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Sperando che basti.

Esame di Stato, e fu inglese per la terza volta…

da La Tecnica della Scuola

Esame di Stato, e fu inglese per la terza volta…

Sono state comunicate le materie di esame e, come al solito, anche quest’ anno possiamo parlare di quel pasticciaccio di viale Trastevere.

Abbiamo intervistato Marcello Finocchiaro, docente in un liceo linguistico, che, come molti altri colleghi di lingue, hanno molto di cui lamentarsi.

Perché al Liceo linguistico la formula delle materie agli esami di Stato non funziona?

Fino a quattro anni fa gli studenti del liceo linguistico agli esami potevano scegliere la lingua verso la quale avevano particolare attitudine, perché magari avevano frequentato un anno all’estero con la mobilita’internazionale, in Germania, Francia o un paese anglosassone.

Tre anni fa il ministero decise di cambiare tutto e comunicò che la lingua sarebbe stata scelta dal ministero stesso, tramite una commissione di saggi /esperti, promettendo che ogni anno ci sarebbe stata l’alternanza fra le tre o quattro lingue del corso di studio.

Ma anche quest’anno, a quanto pare, non è andata così…

Infatti. Da tre anni viene scelta come seconda prova scritta del corso linguistico l’inglese, con grave danno di una parte di studenti che non possono scegliere l’idioma straniero a loro più congeniale, cha magari non è propriol’inglese. Aspetto poi non secondario il peso e una buona parte dell’esame va così a ricadere sulle spalle dell’insegnante di inglese che deve correggersi tutte le prove scritte e fare le prove orali. Sempre gli esperti/saggi scelgono una sola prova di lingua invece delle tre prove per le lingue precedenti, e, come si è verificato un paio di anni fa (fatto che poi è stato ampiamente denunciato), la prova era la fotocopia di due pagine tratte da un libro di testo!

Non è solo questa però la penalizzazione dei docenti di inglese…

Va sottolineato che la cattedra di Inglese al linguistico è di 17 ore su cinque classi, una cattedra che non esiste per il ministero che organizza le cattedre di 18 ore. La conseguenza è che l’insegnante del linguistico deve fare i salti mortali e deve lasciare delle classi ogni anno per avere 18 ore con conseguenze immaginabili in termini di continuità didattica e processo di insegnamento-apprendimento. Tutte le cattedre delle altre lingue sono di 18 ore su cinque classi, quelle lingue che fino a quest’anno non sono state scelte per la seconda prova scritta al linguistico. Inoltre al liceo linguistico l’Italiano è sempre affidato al Commissario esterno.

In tale contesto sia gli studenti che gli insegnanti si sentono naturalmente bistrattati, disamorati e demotivati nell’organizzare un lavoro mirato, serio e produttivo.

Speriamo che il Ministero si accorga della farraginosità di questo procedimento e corra ai ripari. Per adesso non resta che dire God save the Queen…

Addio articolo 18, anzi no: per gli statali licenziamento sempre e solo per giusta causa

da La Tecnica della Scuola

Addio articolo 18, anzi no: per gli statali licenziamento sempre e solo per giusta causa

I lavoratori statali dovrebbero rimanere esclusi dalle modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori introdotte con la legge Fornero e il Jobs act.

Nel decreto sul pubblico impiego, in via di approvazione, dovrebbe infatti essere inserita una clausola ad hoc, che espliciti l’esclusione per gli statali delle modifiche.

La notizia, riportata dall’Ansa e derivante da fonti ministeriali, è più che fondata. E dovrebbe essere chiarita, nero su bianco nel Testo Unico, per cui è ormai partito il countdown.

“Si sta studiando quindi una formula in grado di specificare una volta per tutte che i dipendenti pubblici sono al riparo dagli interventi, cuciti addosso al lavoratore privato, che hanno circoscritto (ridotto ai minimi termini n.d.r.) il diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo”.

Ricordiamo che l’articolo 18 indica quali sono i diritti e i limiti per cui il lavoratore che viene messo alla porta in modo illegittimo e decide di fare richiesta al giudice (entro 180 giorni dal momento in cui viene impugnato e non più di 270, dopo la riforma del 2012) al fine di essere reintegrato o per chiedere un risarcimento. Pertanto, quando viene appurata la “illegittimità” del licenziamento, lo Statuto dei Lavoratori parla di mancata “giusta causa”, di motivo valido oppure di discriminazione.

E quando manca la “giusta causa” oppure il licenziamento è discriminatorio o nullo – adottato in disprezzo del diritto al credo religioso, alla maternità o paternità, agli orientamenti sessuali, alle adesioni sindacali o alle opinioni politiche – scatta la “tutela reale piena”: il dipendente viene ricollocato sul medesimo posto, ruolo e stipendio precedente al licenziamento illecito.

Per i dipendenti pubblici, quindi, tale norma rimarrebbe in vigore. La stessa ministra della Funzione Pubblica, Marianna Madia, sul punto ha più volte ribadito: per i dipendenti pubblici rimane la versione originale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Una posizione politica netta, che i tecnici del ministero stanno traducendo in un dispositivo-deroga.

Anche una recente sentenza della Cassazione sul tema ha scartato la possibilità di applicare le modifiche (almeno con riferimento alla legge Fornero): qualora non dovesse scatta la reintegra sul posto di lavoro, allora c’è l’equo indennizzo.

“Ma chi paga nel pubblico, a differenza del privato, è la collettività, è questo il ragionamento seguito da Madia, sin da quando si è posta la questione. Inoltre nel caso del dipendente pubblico c’è da difendere più di un valore costituzionale (imparzialità, autonomia, indipendenza)”, precisa ancora l’Ansa

Non tutti però la pensano allo stesso modo: c’è chi chi sostiene che in virtù della legge vigente le modifiche apportate dal Jobs act valgano anche per gli statali, tra questi in prima fila c’è il senatore e giuslavorista Pietro Ichino: un parere autorevole, ma con ogni probabilità insufficiente.

No della Gilda degli Insegnanti all’ipotesi di contratto sulla mobilità

da La Tecnica della Scuola

No della Gilda degli Insegnanti all’ipotesi di contratto sulla mobilità

A spiegare le ragioni del niet sono Maria Domenica Di Patre, vice coordinatrice nazionale, e Antonietta Toraldo, membro dell’esecutivo nazionale.
“Non abbiamo firmato perché l’Amministrazione continua imperterrita a portare avanti il progetto della legge 107/2015 di far confluire la maggior parte dei docenti nell’ambito territoriale, con conseguente chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici ai quali viene lasciata completa discrezionalità. Inoltre – sottolineano Di Patre e Toraldo – l’accordo  politico firmato il 29 dicembre scorso dalle altre organizzazioni sindacali è stato disatteso poiché non si è ancora svolta la trattativa parallela sulle modalità e le procedure di assegnazione dei docenti dall’ambito territoriale alla scuola, mentre l’intesa prevedeva la firma contestuale al termine delle due trattative.
L’ipotesi di contratto siglata ieri contiene anche quest’anno evidente disparità di trattamento tra docenti titolari di scuola e di ambito. Infine l’abolizione della fase comunale comporterà evidenti difficoltà nell’applicazione del contratto”.
“La decisione di non siglare questa ipotesi di contratto – concludono le dirigenti della Gilda – rispetta la volontà della maggior parte della categoria, manifestata nelle tante assemblee che si sono svolte in questi mesi in tutte le scuole d’Italia. Non aver firmato rappresenta un atto di coerenza rispetto al no che avevamo già espresso per l’accordo politico del 29 dicembre”.

Concorso dirigenti scolastici, presto il bando. Vale il servizio da precari

da La Tecnica della Scuola

Concorso dirigenti scolastici, presto il bando. Vale il servizio da precari

Il bando di concorso per dirigenti scolastici sarà di prossima emanazione. Lo ha assicurato il ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, nel corso dell’audizione alle commissioni Cultura di Camera e Senato. Dopo un’attesa estenuante, lunga più di due anni, nei prossimi giorni potrebbe arriva la fumata bianca per il nuovo bando.

Da sanare, o meglio, limitare il problema delle reggenze con presidi costretti a dirigere, in reggenza, più di 4-5 istituti con migliaia di studenti. Una situazione ormai al colasso che necessita un freno. Saranno 1500 i posti in palio, quasi l’attuale numero delle reggenze sul territorio nazionale.

Una quota – come riporta Italia Oggi, andrà a coprire i posti vacanti anche se con una spalmatura triennale che assomiglia più a un pannincello caldo per il malato. L’iter per la promulgazione del bando è iniziato. Prima il Mef, poi il regolamento in Gazzetta Ufficiale dopo via libera di Consiglio dei Ministri e Corte dei Conti. Poi l’emanazione definitiva da parte di Ministero dell’Economia e Ministero della Funzione pubblica.

Secondo indiscrezioni il regolamento non dovrebbe essere dissimile a quanto già inviato al Consiglio di Stato. La grande novità sarà che per i cinque anni di servizio minimo richiesto dai docenti sarà valido anche quello prestato da precari. Non sono mancate però le polemiche su questo assunto con questioni di legittimità sollevate da Anief che ha preannunciato un maxi ricorso da presentare al Tar del Lazio.

Prof anti – bulli e possibilità di segnalare al gestore del sito: ok del Senato a ddl su cyberbullismo

da Tuttoscuola

Prof anti – bulli e possibilità di segnalare al gestore del sito: ok del Senato a ddl su cyberbullismo

Prof anti – bulli, possibilità di segnalare la cyber violenza al gestore del sito e ammonimenti fino al compimento della maggiore età sono solo alcune delle novità introdotte nel disegno di legge sul cyberbullismo approvato al Senato con 224 sì e rimandato in quarta lettura alla Camera. Elena Ferrara (Pd): “Il fenomeno del cyberbullismo è talmente grave  che abbiamo scelto di concentrarci sui minorenni, che sono i più deboli“. Soddisfatta anche la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli: “Bene ok Senato. Finalmente problema viene affrontato in modo deciso“. Di seguito i punti chiave del disegno di legge.

Prof anti – bulli
Ogni scuola dovrà individuare un insegnante che sia addetto alla prevenzione e al contrasto del cyberbullismo. Potrà avvalersi della collaborazione della Polizia.

Tavolo tecnico
Viene istituito un Tavolo tecnico interministeriale presso la Presidenza del Consiglio. Il suo ruolo è quello di coordinare i diversi interventi e di lavorare a un Piano integrato contro il bullismo online.

Segnalazioni al gestore del sito
Il minore potrà richiedergli direttamente la rimozione o l’oscuramento della violenza virtuale, anche senza che il genitore ne sia informato. Il gestore ignora la segnalazione? Il minore, ora insieme al genitore, potrà chiedere aiuto al Garante della privacy che dovrà intervenire entro 48 ore.

Gli ammonimenti
Stabilita la procedura di “ammonimento”: i bulli sopra i 14 anni saranno convocati dal questore insieme ai genitori, Gli effetti dell’ammonimento termineranno solo quando spegneranno le loro 18 candeline. 

Un disegno di legge quello sul cyberbullismo che si concentra soprattutto sui minori, come spiega anche Elena Ferrara, prima firmataria e relatrice del ddl: “Ci siamo concentrati sui minorenni, sui più deboli. Abbiamo riproposto sostanzialmente il testo originario, quello che venne approvato a Palazzo Madama il 20 maggio del 2015 perché abbiamo preferito scollegare la tutela dei minori da quella degli adulti“.

Anche Valeria Fedeli esprime la sua soddisfazione per l’approvazione al senato del disegno di legge: “Finalmente – sottolinea la ministra – si affronta pienamente e in modo deciso un fenomeno che spesso, erroneamente, viene sottostimato. Con questo ddl mettiamo al centro la tutela delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. Dobbiamo colmare i vuoti educativi in cui si annida ogni forma di discriminazione e di violenza. Lo facciamo anche con questo ddl, che ora passa alla Camera per la definitiva approvazione. Lo facciamo, in un’ottica di prevenzione, a partire dalla scuola che è luogo principale di formazione, di inclusione e accoglienza. Finalmente abbiamo imboccato la strada giusta”.

Un disegno di legge quello sul cyberbullismo che, pur riscuotendo grande successo, al Senato non riceve l’approvazione unanime. A votare contro, per esempio, i senatori Carlo Giovanardi e Gaetano Quagliariello secondo i quali il ddl avrebbe lo scopo di introdurre la teoria gender nelle scuole.