SAPER LEGGERE E SCRIVERE : UNA PROPOSTA CONTRO IL DECLINO DELL’ITALIANO A SCUOLA

LETTERA DI 600 DOCENTI UNIVERSITARI SULLE CARENZE IN ITALIANO DEI LORO STUDENTI

Presentiamo la lettera di oltre 600 docenti universitari che chiedono al governo e al parlamento interventi urgenti per rimediare alle carenze in italiano dei loro studenti.


Al Presidente del Consiglio
Alla Ministra dell’Istruzione
Al Parlamento

SAPER LEGGERE E SCRIVERE : UNA PROPOSTA CONTRO IL DECLINO DELL’ITALIANO A SCUOLA

È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana.
A fronte di una situazione così preoccupante il governo del sistema scolastico non reagisce in modo appropriato, anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico più o meno da tutti i governi. Ci sono alcune importanti iniziative rivolte all’aggiornamento degli insegnanti, ma non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema.
Abbiamo invece bisogno di una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né il generoso impegno di tanti validissimi insegnanti né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti. Dobbiamo dunque porci come obiettivo urgente il raggiungimento, al termine del primo ciclo, di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici di base da parte della grande maggioranza degli studenti.

A questo scopo, noi sottoscritti docenti universitari ci permettiamo di proporre le seguenti linee di intervento:
– una revisione delle indicazioni nazionali che dia grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tutti gli ambiti disciplinari. Tali indicazioni dovrebbero contenere i traguardi intermedi imprescindibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni;
– l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano.
– Sarebbe utile la partecipazione di docenti delle medie e delle superiori rispettivamente alla verifica in uscita dalla primaria e all’esame di terza media, anche per stimolare su questi temi il confronto professionale tra insegnanti dei vari ordini di scuola.

Siamo convinti che l’introduzione di momenti di seria verifica durante l’iter scolastico sia una condizione indispensabile per l’acquisizione e il consolidamento delle competenze di base. Questi momenti costituirebbero per gli allievi un incentivo a fare del proprio meglio e un’occasione per abituarsi ad affrontare delle prove, pur senza drammatizzarle, mentre gli insegnanti avrebbero finalmente dei chiari obiettivi comuni a tutte le scuole a cui finalizzare una parte significativa del loro lavoro.

Iniziativa promossa dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità Email: gruppodifirenze@libero.it


ALCUNI COMMENTI DEI FIRMATARI

 

Aderisco incondizionatamente. Circa i tre quarti degli studenti delle triennali sono di fatto semianalfabeti. È una tragedia nazionale non percepita dall’ opinione pubblica, dalla stampa e naturalmente dalla classe politica. Apprezzo che finalmente si ponga il problema.

 

Ahimè, ho potuto constatare anch’io i guasti che segnalate, dal momento che il mio esame è scritto e ne vengono fuori delle belle…

 

È francamente avvilente trovarsi di fronte ragazzi che vogliono intraprendere la professione di giornalista e presentano povertà di vocabolario, scrivono come se stessero redigendo un sms, con conseguenti contrazioni di vocaboli, o inciampano sui congiuntivi. Fortunatamente si incontrano anche ragazzi in gamba e preparati.

 

Dedico ormai una buona parte della mia attività di docente a correggere l’italiano delle tesi di laurea. Purtroppo l’insegnamento di base, invece di concentrarsi su poche ed essenziali competenze, tende ad ampliarsi e a complessificarsi a dismisura, coi risultati che constatiamo. Le maestre elementari – spesso bravissime e motivatissime – devono obbedire a un sacco di circolari che le inducono a fare le assistenti sociali. La situazione, poi, è resa oggettivamente problematica dalla latitanza di troppe famiglie, che mandano a scuola bimbi incapaci di una normale convivenza.

 

Anche la mia università ha organizzato corsi di recupero, ma non possono sanare le lacune remote dei nostri studenti.

 

Spero che le esigenze alla base della lettera/appello che mi ha inviato siano condivise da molti, dentro e fuori la scuola! Certamente lo sono da me.

 

Proprio in questi giorni mi sono opposto, nel mio Dipartimento, alll’istituzione di corsi di recupero di italiano, e proprio adducendo come mia motivazione che questo è il compito della scuola e non dell’università. Insomma, sono d’accordo.

 

È evidente che rimediare alle gravi deficienze degli studenti universitari è quasi impossibile. Occorre intervenire  sugli anni della scuola secondaria di primo e di secondo grado e da questo punto di vista conoscerete l’iniziativa dei Lincei per una nuova didattica.

 

La questione che voi sollevate mi prende sempre molto. Anzi, è il vero problema della scuola! Quindi aderisco con entusiasmo alla vostra iniziativa, che spero trovi il seguito che merita!

 

Mi confronto purtroppo quotidianamente con questo ‘regresso’ della conoscenza dell’italiano scritto (e spesso anche parlato…). Per cui aderisco toto corde.

 

Mi è capitato di incontrare in treno una studentessa che non riusciva a capire cosa significasse “penultima” lettera del PNR del suo biglietto.

Da parte mia avevo proposto di introdurre un “esame” di valutazione per l’immatricolazione all’università consistente nell’accertamento della conoscenza della lingua italiana (e anche di conoscenze di base).

 

Constato quotidianamente il problema delle competenze linguistiche.

 

Vi segnalo che, anni fa, avevo aperto un dibattito sul giornale dell’università, con un articolo sul tema dell’eccessiva indulgenza verso gli studenti privi di nozioni di base.

 

Sottoscrivo con convinzione! Problema drammatico…

 

Aderisco all’iniziativa, sottoscrivendo la denuncia delle carenze linguistiche di base nella popolazione più giovane, precisando che tali carenze riscontro quotidianamente, in ragione del mio ambito professionale, tanto negli studenti universitari (purtroppo anche negli iscritti alle Facoltà giuridiche) quanto nei funzionari della pubblica amministrazione; e sia nella comunicazione verbale, sia nella redazione dei testi scritti (compiti, tesi, provvedimenti amministrativi).

 

Sono d’accordo su tutto. Vorrei anche che si riuscisse, se possibile, a controllare la
pubblicità che si sente in televisione come ad es. quella di qualche mese fa: se portavi il casco questo non ti succedeva… E ho sentito varie pubblicità dove ogni uso del congiuntivo e del condizionale è completamente ignorato.

 

Aderisco. Ritengo anzi che l’italiano debba essere curato anche nel secondo ciclo
scolastico, dove invece si pensa addirittura di insegnare alcune materie
fondamentali in inglese (tra l’altro, senza che i docenti abbiano le necessarie competenze linguistiche per poterlo fare). Un Paese che perde la sua lingua perde la sua identità.

 

Aderisco provando una certa vergogna per la stessa necessità di questo appello.

 

A dire il vero mia figlia ha avuto ottimi insegnanti di italiano alle elementari e soprattutto alle medie. Alcuni miei studenti hanno una buona padronanza dell’italiano, ma il problema esiste. La maggior parte degli studenti ha delle carenze gravissime che non si riescono più a colmare all’università e tanto meno con la redazione della tesi.

 

La situazione appare davvero drammatica e bisognerà pur trovare un rimedio alla deriva.

 

Ritengo che quanto richiesto nell’appello sia un’esigenza imprescindibile per la crescita civile e culturale del nostro Paese.

Un riscontro davvero drammatico si ha, ad esempio, nella correzioni dei temi anche a livello di Dottorato, quando l’allievo non dispone di pc né di libri, ma solo di un dizionario: la massima parte non arriva al livello della scuola media che frequentai negli anni ’60, pur essendo evidente, a volte, che i contenuti sono conosciuti anche bene. È come essere muti.

 

Approvo e lodo l’iniziativa. Le carenze che evidenzia sono gravi e manifeste (e non lo dico solo da insegnante).

 

Proprio in questi giorni, dopo aver corretto decine di test scritti, ho pensato che il livello delle conoscenze di base e di esposizione si è visibilmente abbassato. Memore delle esperienze fatte insegnando al liceo, mi chiedevo se non fosse opportuno adottare un piano di recupero sia per la scrittura che per l’esposizione orale. Unico problema è che noi siamo archeologi e avremmo anche dei programmi corposi da seguire.

 

Sottoscrivo con ferma convinzione questo appello. Per esperienza so delle carenze ortografiche e lessicali degli studenti universitari.

 

Sono docente di (analisi) matematica e la conoscenza della lingua non può che essere un aiuto vitale per la mia disciplina.

Aderisco perché lo scadimento linguistico degli studenti universitari è arrivato a livelli intollerabili e non possiamo formare cittadini che non siano padroni del primo strumento civico: la capacità di espressione delle loro idee in maniera corretta e la comprensione critica di quelle degli altri.

Aderisco assai volentieri a questa lodevolissima iniziativa! Quella che descrivete è una vera emergenza.

Durante gli anni di insegnamento universitario ho sempre proposto ai miei studenti delle esercitazioni scritte e ho riscontrato – specie nell’ultimo ventennio – che una notevole percentuale di essi aveva delle difficoltà, in qualche caso assai gravi, ad esprimersi correttamente. D’altronde ormai analoghe difficoltà capita non di rado di osservarle anche sulla carta stampata, per non parlare del web.

L’università non è il luogo dove recuperare queste lacune. Mi rifiuto di pensarlo e – di certo – mi rifiuto di agire in tale direzione. Quando mi capita uno studente che non sa scrivere, le/gli dico: “Si faccia aiutare e faccia rivedere la sua tesi a qualcuno che sa scrivere in italiano!”. Rifiuto di fare il “Maestro di Vigevano”.

 

Finalmente! Aderisco in pieno e con entusiasmo! Nelle tesi non usano il congiuntivo o lo confondono col condizionale, sbagliano la “consecutio temporum”, ignorano i periodi ipotetici.

 

Sono anni che mi lamento del fatto che nelle tesi di laurea (al sesto anno di Medicina) devo correggere ortografia, grammatica e sintassi.  E qualche studente mi ha pure risposto con sufficienza: “Devo fare il medico, mica lo scrittore…”.

 

Aderisco al vostro appello in difesa dell’indispensabile ruolo centrale nella didattica delle competenze linguistiche di base.

 

La mia attuale esperienza di Coordinatore del Corso di Studi triennale in Lettere conferma pienamente la valutazione espressa nella lettera-appello; aggiungo che finora i “progetti” studiati e attuati per aiutare le matricole in difficoltà a colmare le lacune di italiano NON hanno sortito effetti significativi, né confortanti, segno che il problema esiste ma non può essere risolto a livello universitario.

 

Aderisco con entusiasmo al vostro appello per la difesa della centralità della didattica delle competenze linguistiche di base; i corsi di recupero che vengono organizzati annualmente e con grande difficoltà, considerata anche la penuria delle risorse di ogni tipo, rappresentano una conferma dei problemi che vengono messi in luce nella lettera.

 

Aderisco ben volentieri alla lettera/appello sottoscrivendone totalmente i principi ispiratori. Non può immaginare come noi universitari dobbiamo confrontarci quotidianamente con le carenze di base degli studenti che fanno rabbrividire specialmente in facoltà umanistiche.

 

Aderisco in qualità di pedagogista, dopo aver studiato per anni le condizioni
apprenditive ottimali della lingua italiana nelle sue varie competenze e di altre abilità di base nel corso del Novecento sia nella Scuola Primaria sia nell’ambito dei Corsi secondari.

 

Sono un matematico, e, proprio per questo, ritengo necessario porre al centro dell’insegnamento l’apprendimento linguistico. Leggere, scrivere, esprimersi con precisione, sapendo quel che si dice, sono capacità essenziali, nella vita quotidiana come nella scienza. Subito dopo, come importanza, viene il pensiero matematico.

 

Insegno al primo anno di Scienze della comunicazione e riscontro quotidianamente le carenze evidenziate dalla lettera.

 

Purtroppo ciò che la lettera dice è drammaticamente vero.

 

All’interno dell’anno scolastico troppo tempo viene dedicato ad attività che ben poco hanno a che fare con i programmi, favorendo il diffondersi di una sciatteria didattica, a cui più tardi non c’è più modo (o tempo) per porre rimedio.

 

Credo che la deriva dell’istruzione sia legata anche ad una  svalutazione degli insegnanti e alla difficoltà di far seguire comportamenti utili all’apprendimento agli studenti.

 

Posso affermare che il problema esiste e di anno in anno assume risvolti dire quasi “drammatici”, che emergono nel momento in cui gli studenti devono affrontare per l’esame una prova scritta o durante la stesura della tesi di Laurea. Sono stati proposti anche qui corsi di recupero, ma da più parti è stato fatto notare che le competenze linguistiche gli studenti avrebbero dovuto acquisirle nei cicli scolastici e non al momento del loro ingresso all’Università.

 

Con riferimento alla lettera in oggetto, convintamente ADERISCO,  esprimendo la necessità di una programmazione didattica sulle  competenze linguistiche di base che si fondi sulle migliori evidenze della ricerca scientifica e non rincorra innovazioni didattiche prive di fondamento o giustificazione razionale.

Aderisco a questa iniziativa estremamente opportuna, nella speranza che la scuola italiana sia ancora in tempo per invertire una tendenza sciagurata, consolidatasi nell’arco di diversi decenni.

Aderisco pienamente a tutte quelle iniziative che possano eliminare nei giovani
questa ormai diffusa intollerabile incapacità d’usare e praticare  correttamente la nostra lingua.

 

Ritengo profondamente aberrante che alcuni Atenei siano indotti a organizzare corsi di recupero e penso che le competenze linguistiche di base – insieme a quelle logico-matematiche e alle conoscenze storiche e geografiche – dovrebbero avere, o recuperare, centralità nell’insegnamento a livello primario e secondario inferiore.

 

Si vorrebbe insegnare a ragazzi di undici o dodici anni a collaborare nella scrittura di testi; Spesso si coinvolgono i ragazzi della scuola media in iniziative di ricerca molteplici, frammentarie, che investono la geografia, la storia, ecc., di solito richiedendo di attingere notizie e nozioni dal web, e così via. Non dico che queste iniziative siano tutte criticabili; però la loro mole, frequenza, varietà, la loro calibratura spesso velleitaria, pesa moltissimo, a mio modo di vedere, sulla didattica, sottraendo spazi preziosi ad una solida costruzione delle competenze linguistiche

 

Come docente universitario di una materia umanistica verifico continuamente le gravi lacune della maggioranza degli studenti nell’uso della lingua scritta, lacune che, anche con la più eroica abnegazione personale (e non dovremmo essere tenuti ad essere eroici), è impossibile colmare al momento dell’elaborazione delle tesi. Sostengo dunque appieno la vostra iniziativa e spero che possa avere successo.

 

Ogni giorno riscontro lacune sempre più gravi tra gli studenti, incapaci ormai di scrivere o analizzare le  frasi più semplici. Dobbiamo ritornare all’analisi logica e  grammaticale e, dall’altra parte, al piacere della lettura fine a se stessa.

 

Aderisco con convinzione e piacere a questa “battaglia” sacrosanta contro lo scadimento della pratica della lingua italiana a tutti i livelli e lo scarsissimo conto in cui sempre più essa è tenuta.

 

Numerosissimi i “Sottoscrivo con entusiasmo”. Molti i docenti che hanno anche contribuito a diffondere la lettera-appello.

Nuovo esame di terza media, per alunni disabili avere la licenza sarà più difficile

da Il Fatto Quotidiano

Nuovo esame di terza media, per alunni disabili avere la licenza sarà più difficile

Scuola
Agli studenti con disabilità che frequentano gli istituti di secondaria di primo grado non sarà più concesso di sostenere delle prove differenziate: saranno valutati sulla base di test ministeriali, analoghi a quelli dei loro compagni. “Siamo preoccupati per il futuro dei nostri ragazzi. Senza il diploma avranno problemi per l’inserimento nel mondo professionale”, spiega Nicola Tagliani dell’Associazione italiana persone down

di Lorenzo Vendemiale | 4 febbraio 2017
Più informazioni su: Diritti dei Disabili, Disabili, Disabilità, Scuola Media
Esami più difficili per i disabili: presto per decine di migliaia di ragazzini con handicap anche la licenza media diventerà un traguardo irraggiungibile. Il decreto sui nuovi esami di Stato contiene una novità clamorosa: in futuro agli studenti disabili delle scuole medie non sarà più concesso di sostenere delle prove differenziate; saranno valutati sulla base di test ministeriali, analoghi a quelli dei loro compagni. Come già avviene al liceo. Così molti non prenderanno più il diploma, solo un attestato. “E le conseguenze sarebbero gravissime: per la nostra società rischia di essere un salto indietro di decenni”, commenta Salvatore Nocera della Federazione italiana per il Superamento dell’Handicap (Fish).

Per la delega sugli esami di Stato si è parlato molto dell’abolizione della sufficienza obbligatoria in tutte le materie per accedere alla maturità, e del passaggio a due sole prove scritte senza più la terza prova. Un altro passaggio molto delicato è passato sottotraccia: all’articolo 12, che tratta la valutazione degli alunni con disabilità, si dice che “le prove differenziate, se equipollenti a quelle ordinarie, hanno valore ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma finale”. La grande novità è proprio la parola “equipollente”, che non compariva nella precedente normativa.

A seconda della gravità dei casi, il docente di sostegno può predisporre infatti due tipi diversi di programmazione didattica per i propri studenti disabili: semplificata o ridotta, in cui l’insegnante aiuta l’alunno con degli accorgimenti ad affrontare gli stessi argomenti degli altri; differenziata, dove il ragazzino affronta un percorso di crescita tarato sulle proprie capacità e slegato dal programma ministeriale. In base a ciò cambia anche l’esame: nel primo caso, lo studente affronta una prova “equipollente”, appunto semplificata o ridotta rispetto a quella degli altri (il testo da analizzare può essere più breve, ad esempio, oppure le domande possono essere a crocette invece che a risposta aperta), in cui però viene valutato lo stesso tipo di saperi; nel secondo caso, invece, la prova è completamente diversa e personalizzata. In certi casi limite può consistere anche nel mettere una croce all’interno di un quadrato, perché già il fatto di sapere riconoscere ed eseguire un ordine per un ragazzino con un deficit intellettivo molto alto può essere considerato dimostrazione di apprendimento e di progresso.

Con questo tipo di sistema, quasi tutti gli studenti disabili riuscivano a prendere il diploma di licenza media: circa il 90% dei 65mila ragazzini con handicap che frequentano gli istituti di secondaria di primo grado del nostro Paese. Diverso il discorso alle superiori, dove la percentuale si abbassa drasticamente. Ed è quello che succederà anche alle medie con la riforma: “Per noi la novità rappresenterà un cambio radicale”, spiega Nicola Tagliani dell’Associazione italiana persone down. “Nella categoria da noi assistita quasi nessuno prendeva la maturità e praticamente tutti la licenza media: ora i ragazzini down non avranno più neanche questo titolo. Siamo preoccupati, nessuno sa quali saranno gli effetti futuri”.

Il dibattito è aperto. Al Ministero, tra chi sostiene la riforma, si sottolinea la necessità di superare l’ipocrisia di una sufficienza concessa ad un ragazzino disabile per essere stato in grado di scrivere il proprio nome su un foglio di carta, mentre un suo compagno viene rimandato per aver sbagliato una difficile equazione. A chi sosterrà prove differenziate, come già al liceo, verrà comunque concesso un attestato, che permette di proseguire gli studi ma non ha valore legale. “È una questione delicata: ci sta che non tutti arrivino al diploma di maturità, ma per la licenza media è diverso. Così passa l’idea sottile che i disabili, pur essendo nella stessa classe, fanno un percorso parallelo di Serie B. Non è vera inclusione”, commenta Tagliani. Anche perché la Fish evidenzia un rischio a lungo termine, forse sottovalutato dal Miur: “Quel titolo era importante per l’inserimento nel mondo professionale, specie per i concorsi pubblici, dove anche per i posti riservati alle categorie protette a volte viene richiesta la licenza media”, spiega Salvatore Nocera. “O si adegua la normativa, o questo diventerà un problema sociale“. Di sicuro c’è che in futuro l’Italia si ritroverà con un esercito di disabili senza neppure la licenza media.

Il nuovo abito della Scuola

IL NUOVO ABITO DELLA SCUOLA

di Carmela Russo

 

Le tante riforme di questi anni hanno dato vita ad una scuola diversa, dove organizzazione, didattica, ruolo del docente, ordinamenti, strutture e programmi hanno subito consistenti modificazioni, cambiando volto ad un sistema rivisto e pensato tante volte.

In questo momento storico ─nel quale la società si presenta come società della conoscenza, dell’inclusione, dei diritti del cittadino, dell’apertura a nuove forme di sapere e all’integrazione─ è d’obbligo domandarsi se la scuola abbia raggiunto le mete perseguite e abbia dato le risposte esaurienti alle domande del nostro tempo in ordine alla formazione della persona.

Il lungo percorso di riflessione pedagogica ha generato l’immagine di una istituzione che va alla ricerca di una consapevolezza e di un ruolo maggiormente definito, contestualizzato e valoriale, e che rivolge l’attenzione soprattutto ai metodi dell’apprendere e dell’insegnare, ai luoghi della formazione, ai diversi codici espressivi ed interpretativi, con particolare riferimento alle relazioni umane, in un mondo che presenta esigenze sempre più complesse, nuovi bisogni e obiettivi da perseguire.

Ciò si percepisce all’interno delle classi, nei discorsi dei docenti ed anche nel mondo delle famiglie e degli studenti.

In questi anni i docenti hanno dovuto adeguarsi a normative in continua evoluzione, anche se non sempre condivise, che li hanno costretti ad interagire in maniera a volte veloce ed improvvisata.

Pertanto, i docenti spesso fanno un uso inadeguato della didattica in classe e delle tecnologie digitali, oltre che a gestire difficoltà organizzative e didattiche, anche legate ai più evidenti e riconosciuti deficit di apprendimento di alcuni alunni.

Le aule diventano, così, ogni giorno il luogo dove si avverte il peso di troppe innovazioni teoriche, non maturate nel tempo necessario e nel modo giusto, per la necessaria metabolizzazione.

Questo discorso ci presenta un quadro che è importante comprendere per poterne affrontare i vari aspetti.

Comunque, il punto centrale è la funzione docente.

Le grandi complessità del momento storico hanno generato in tale funzione, che pur segue un processo di evoluzione iniziato da molto tempo, la ricerca di una migliore identità.

Oggi, probabilmente motivata dalla sua autonomia, essa avverte l’esigenza di sempre nuove competenze culturali e professionali.

L’insegnante ─soprattutto se la propria biografia professionale si presenta ricca di esperienze, di progetti, di corsi di formazione─ sa di dover essere professionista autorevole.

Sente che deve mettere in gioco tutte le sue risorse cognitive ed emotive.

Capisce che il suo non è un mestiere semplice, perché richiede competenze, responsabilità e consapevolezze notevoli.

Poiché l’attività educativa e didattica è un lavoro che ricade direttamente sulla classe, intesa come insieme di persone, la formazione professionale dei docenti comprende la capacità di organizzazione degli spazi, dei tempi, dei contenuti, delle dinamiche relazionali ed educative, nonché la padronanza degli strumenti più aggiornati della didattica.

Per queste motivazioni, il docente oggi ha impellente bisogno di riflettere profondamente sul proprio ruolo, per poter affrontare le nuove sfide e riuscire a controllare l’incertezza dovuta ai continui cambiamenti.

Nella strutturazione di un’identità professionale forte, che lo renda sensibile alle diverse situazioni dei contesti scolastici, il docente può essere aiutato dal sistema, mantenendo tuttavia su di sé il compito più importante: imparare ad integrare la dimensione personale con quella professionale, attraverso una riflessione ponderata ed una formazione continua, nel senso che deve continuamente mettersi in gioco e trasformarsi.

Tutto ciò potrà arricchirlo di nuove potenzialità, soprattutto se ha a disposizione i tempi, i modi e i mezzi utili ad impossessarsi dei nuovi orientamenti della ricerca didattica e metodologica.

Il nuovo abito della scuola passa, dunque, attraverso i docenti.

Nel loro percorso di aggiornamento professionale e nella loro disponibilità a rendere la professione un campo di sperimentazione del proprio agire e del proprio sentire, in relazione ai diversi contesti e alle diverse opportunità, sta la scuola del domani.

Sono, quindi, i docenti coloro che realizzeranno per la scuola italiana quel nuovo vestito che ne ridisegnerà i tratti, dove il passato comunica con il futuro, dove le novità pedagogico-didattiche e metodologiche scendono nelle aule, e dove essi, tra spazi condivisi e nuove esigenze, si troveranno a vivere, nella vera “casa dell’apprendimento”, il posto migliore dove operare.

EDUCAZIONE CIVICA 4.0

EDUCAZIONE CIVICA 4.0
vivere bene con gli altri anche in rete

Safer Internet Day 2017

In occasione della 14ª Giornata mondiale della sicurezza in rete, Fondazione Mondo Digitale e Microsoft Italia, con il patrocinio dell’Assessorato Roma Semplice e in collaborazione con De Agostini Scuola, promuovono l’evento “Educazione civica 4.0: vivere bene con gli altri anche in Rete”, una giornata di confronto per riflettere su rischi e opportunità offerti dalla rete. L’appuntamento è per il 7 febbraio alle 10 in Campidoglio. Intervengono l’assessora a Roma Semplice, Flavia Marzano, e l’assessora alla Persona, Scuola e Comunità solidale, Laura Baldassarre.

Come insegnare a ragazze e ragazzi a distinguere informazioni vere e fonti affidabili da bufale e fake? Quali sono gli strumenti più efficaci per prevenire o contrastare fenomeni come cyberbullismo e sexting? Come si educa a convivere con gli altri anche in Rete?

Sono chiamati a rispondere a queste domande esperti, operatori, decisori, genitori che si confronteranno con docenti e studenti in Campidoglio martedì prossimo, 7 febbraio alle 10, nel corso dell’evento “Educazione civica 4.0: vivere bene con gli altri anche in Rete”, promosso da Fondazione Mondo Digitale e Microsoft Italia, con il patrocinio dell’Assessorato Roma Semplice e in collaborazione con De Agostini Scuola, in occasione del Safer Internet Day. L’obiettivo è ragionare soprattutto sulle opportunità offerte dalla rete per costruire un nuovo ecosistema per l’educazione e la formazione basato sulla cittadinanza 4.0, attiva, responsabile e inclusiva.

Intervengono: Flavia Marzano, assessora Roma Semplice, Mirta Michilli, direttore generale della Fondazione Mondo Digitale, Carlo Rinaldi, Digital & Social Marketing Leader di Microsoft Italia, Massimo Bruno, vice questore aggiunto della Polizia di Stato del Dipartimento Polizia Postale Lazio, Alberto Pellai, autore per De Agostini del libro “Tutto troppo presto”.

In platea oltre 250 studenti, tra cui i protagonisti del progetto Sonet-Bull, promosso dalla Fondazione Mondo Digitale, che testimonieranno la loro esperienza nella realizzazione di una policy per contrastare il fenomeno del bullismo e cyberbullismo a scuola. Conclude la mattinata di confronto Laura Baldassarre, assessora alla Persona, Scuola e Comunità solidale di Roma Capitale.

Digitale dei miracoli

DIGITALE DEI MIRACOLI di Umberto Tenuta

CANTO778

ANNUNCIO MESSIANICO: IL DIGITALE!!!

IL DIGITALE SALVERÀ LA SCUOLA

 

L’ultima buona novella.

Il DIGITALE salverà la scuola.

La BUONA SCUOLA.

Tutti i problemi risolti!

Libri digitali, quaderni digitali, penne digitali, lavagne digitali, gessetti digitali…

Maestre digitali!

Avatar.

La Maestra se ne sta a casa: il suo AVATAR la sostituisce a scuola.

A scuola: anche gli alunni sono sostituiti dai loro avatar.

Maestre digitali.

Alunni digitali.

Lezioni digitali.

Lavagne digitali.

Libri digitali.

Quaderni digitali.

Penne digitali.

Bagni digitali.

Aule digitali.

Edifici scolastici digitali.

Le monde digital de 2015 à 2025 : « Toute résistance est inutile, vous serez assimilés ! » Le monde digital de 2015 à 2025 : « Toute résistance est inutile, vous serez assimilés ! »

Il DIGITALE è il prossimo destino dell’uomo.

Prossimo!

Intanto siamo qui, con le nostre sneakers.

Ancora mangiamo pane e beviamo latte.

Pane e latte, burro e cacao, argilla e pietre, erbe ed alberi, fiumi e mari…

Ancora qui.

Ancora da qui dobbiamo partire.

Ancora Piaget, ancora Bruner!

Dal CONCRETO all’ASTRATTO, al SIMBOLICO, al DIGITALE.

Piaget ha affermato che “L’intelligenza è un sistema di operazioni… L’operazione non è altro che azione: un’azione reale, ma interiorizzata, divenuta reversibile. Perché il bambino giunga a combinare delle opera­azioni, si tratti di operazioni numeriche o di operazioni spaziali, è necessario che abbia manipolato, è necessario che abbia agito, sperimentato non solo su disegni ma su un materiale reale, su oggetti fisici” .

Così il Bruner ha esplicitato questo itinerario: “All’inizio il mondo del fanciullo è noto a lui principalmente attraverso le azioni abituali, che egli usa, per affrontarlo. Successivamente si aggiunge una tecnica di rappresentazione attraverso l’immagine, che è relativamente libera dall’azione. Gradualmente si aggiunge un nuovo e potente metodo di tradurre azioni ed immagini nel linguaggio che favorisce un terzo sistema di rappresentazione”.

(http://www.rivistadidattica.com/metodologia/metodologie_60.htm).

Prima il mondo concreto.

Poi quello iconico.

Infine quello simbolico.

Dalla REALTÀ CONCRETA non si può, non si deve fuggire.

Le cianfrusaglie agazziane ed i materiali strutturati della Montessori sono il punto di partenza di ogni apprendimento.

Sono le fondamenta dell’apprendimento.

Ignorarle significa costruire sulla sabbia, sul vuoto!

O mie BELLE DIGITALI, che per le scuole ve ne andate a portare la lieta novella digitale, ricordatelo sempre ai vostri incantati ascoltatori:

─Gli alunni cominciano ad imparare con le mani e con i piedi!

Mani e piedi che il buon Dio ha dato a tutti i fanciulli.

Prima che voi portaste loro i Tablet.

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:
http://www.edscuola.it/dida.html
Altri saggi sono pubblicati in
www.rivistadidattica.com
E chi volesse approfondire questa o altra tematica
basta che ricerchi su Internet:
“Umberto Tenuta” − “voce da cercare”