All’ombra del Ministero e dentro l’UNAR

All’ombra del Ministero e dentro l’UNAR

Il punto non è, naturalmente, quello che indicano il Corriere e Repubblica. Non è, cioè, che l’U.n.a.r  (leggasi Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali stretto da un rapporto organico e continuativo con il MIUR) abbia utilizzato fondi pubblici per finanziare club di sesso omo a pagamento. Da tempo, infatti, siamo abituati al fatto che lo Stato utilizza il nostro denaro per finanziare le finalità più dubbie: aborti, “unioni civili”, consiglieri e funzionari nullafacenti delle regioni a statuto speciale, onlus un tanto a migrante, cinematografari le cui pellicole non sono guardate neanche dalle loro madri, mediatori culturali, educatori di strada, quotidiani di partiti estinti, associazioni vegane.   Dunque, tutto a posto: che si finanzino con le tasse del cittadino circoli in cui gli omosessuali si prostituiscono è cosa che, in questa nostra Italia dalla società liquida e dal pensiero debole –  ma dal contributo forte –  può ben starci. Ne abbiamo viste e sentite tante, siamo uomini di mondo.
Ma, come dicevamo, il punto è un altro. Questo U.n.a.r. è uno degli ispiratori (insieme al “Gruppo Nazionale di Lavoro LGBT” cui fanno capo 29 associazioni accomunate dall’ideologia gender) della politica ministeriale che, con particolare intensità dopo il varo della renziana legge 107, si propone di cancellare il principio antropologico della distinzione fra i sessi e quello della famiglia naturale fondata sulla relazione fra uomo e donna, e quindi aperta alla procreazione. Quella politica che si avvale di diverse strategie: interventi di “esperti” che si sovrappongono alle obsolete lezioni di Italiano e Matematica, letture fortemente inquinate, drammatizzazioni  in cui i bambini “giocano” a cambiare sesso, e via proseguendo.
Dunque l’opera di finanziamento di club nei quali gli omosessuali si esibiscono nelle loro performances per il solluchero di spettatori paganti  non è solo un qualcosa che rimane riservato agli affezionati del genere: se così fosse, nulla quaestio. È invece una prassi che, data la cooperazione dell’Ufficio con l’attività educativa della scuola di Stato, proietta un’ombra su tutta intera l’Istituzione.
E non è – sia chiaro – l’avvenuta  giubilazione del responsabile dell’U.n.a.r. (giubilazione che comunque il sottosegretario Boschi ha circondato di cautele e riserve) a sanare la situazione.  Si può ben dubitare, infatti, che le contribuzioni in favore di realtà  quali il circolo gay scoperto dalle “Iene” siano il prodotto della generosità individuale del direttore. E non, piuttosto, il prodotto di un atteggiamento più diffuso nell’U.n.a.r.  e in altri uffici prossimi al Ministero. Tanto da far esclamare ai padri e alle madri (padri e madri, non genitore1 e genitore2) la classica locuzione “in che mani sono i nostri figli!”.
Alfonso Indelicato
Responsabile del Dipartimento Scuola della Lombardia
di FdI – AN

Bullismo dilagante: siamo sicuri che sia solo colpa dei dirigenti scolastici?

BULLISMO DILAGANTE: SIAMO SICURI CHE SIA SOLO COLPA DEI DIRIGENTI SCOLASTICI?

Bullismo dilagante. E’ anche colpa dei presidi. Questo il titolo apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 17 febbraio 2017 a firma dell’ex Provveditore agli Studi di Bari G. Lacoppola, da cinque anni in pensione, sullo stato dell’arte della scuola italiana. Non se ne comprendono le finalità, se non quella di voler rivendicare un periodo di grande efficentismo della scuola pubblica barese durante il suo interregno, seguito da un lungo periodo di oscurantismo post pensionamento.

Di certo è sembrata una polemica veramente ingenerosa e gratuita, tanto più perché estesa all’intero corpo docente, che all’unisono con la dirigenza scolastica si sobbarca l’estenuante compito di educare e formare le nuove generazioni in un epoca di totale degrado sociale e di dismissione dei propri compiti educativi da parte delle famiglie.

Come spiegare ad una persona in pensione da cinque anni il ginepraio normativo che ha ingabbiato le scuole italiane in una congerie di adempimenti burocratici, ma prive di un’adeguata tecnostruttura per poterli corrispondere: anticorruzione e trasparenza, accesso civico, stipula di contratti pubblici e privati, sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, chiamata diretta dei docenti, bonus premiale (per citarne solo alcuni); a fronte dei quali i dirigenti scolastici sono quotidianamente esposti a pesanti responsabilità amministrativo-contabili, foriere ahimé – e molti colleghi ne fanno quotidianamente le spese – di pesanti sanzioni penali, civili, amministrative e disciplinari.

Veramente curioso e deprimente il pistolotto finale con il quale l’ex Provveditore agli Studi di Bari tira dentro tutti, ma proprio tutti: il sistema delle regole, la famiglia, la società, perfino la chiesa. Il sistema, appunto, con le sue mille contraddizioni, inefficienze, veti sindacali, cavilli normativi, con il quale i dirigenti scolastici convivono ogni giorno.

Bravo dott. Lacoppola: si è fatto una domanda e si è dato anche una risposta, senza nemmeno accorgersene! Purtroppo tardiva. Bastava pensarci un po’ prima, un po’ meglio, con un po’ più di onestà intellettuale e morale. Capire, cioè, che i dirigenti scolastici non sono gli artefici del denunciato degrado, ma l’anello debole di un sistema letteralmente impazzito, che gira all’incontrario, e che fagocita proprio coloro che quotidianamente e per primi sono infangati in trincea e, per di più, puntati dal fuoco amico.

 

Francesco G. Nuzzaci

Segretario DIRIGENTISCUOLA-Puglia

Il Dirigente scolastico e i reati penali contro la Pubblica Amministrazione

Il Dirigente scolastico e i reati penali contro la Pubblica Amministrazione

di Pietro Boccia

 

Introduzione

Il diritto penale è un insieme di norme che descrivono i reati, nei quali un cittadino incorre, e le pene consequenziali, che da essi derivano. Esso appartiene al diritto pubblico. La società, attraverso lo Stato, ha, come finalità, di preservarsi. Essa, impedendo, perciò, che i suoi membri si comportino in un certo modo nel compiere dei reati, salvaguarda, minacciando una sanzione afflittiva, i valori che la fondano. Ogni sanzione si distingue per il tipo di comportamento illecito che viene commesso. Un illecito amministrativo è diverso da quello civile e ambedue sono diversi da quello penale. In Italia, il sistema penale si basa su due sanzioni: una consiste nella pena, che tende a punire il fatto illecito compiuto, l’altra a prevenire le condotte illecite del reo. La seconda si fonda quindi sulla pericolosità sociale della personalità del reo.

 

I principi del diritto penale

Il diritto penale si basa su alcuni principi, vale a dire:

  1. il principio di legalità (nullum crimen sine lege), che non solo è sancito dagli artt. 1 (“Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”) e 199 (“nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”) del Codice penale, ma anche e soprattutto dall’art. 25, commi 2 e 3 della Costituzione, nel quale si afferma al comma 2 che un cittadino non “può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” e al comma 3 che un cittadino non “può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. La Costituzione è una fonte sovraordinata e, quindi, il principio di legalità non può essere violato da legge ordinaria, pena la sua incostituzionalità. Nel principio di legalità è, poi, insita, l’esigenza di applicare dei “sotto principi”. Il primo è rappresentato dalla riserva di legge della fonte penale; il secondo dall’irretroattività della norma penale; il terzo dalla sufficiente determinatezza e dalla tassativa applicazione della norma penale e l’ultimo dal divieto di analogia in malam partem di norma non eccezionale (art. 14 disp. prel. Codice civile – “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”–);
  2. il principio di materialità (nullum crimen sine actione), che è sancito dall’art. 25 della Costituzione. Tale principio ritiene che un reato può essere ravvisato soltanto, quando la volontà a commetterlo si manifesta in un comportamento esterno (cogitationis poenam nemo patitur);
  3. il principio di offensività (nullum crimen sine iniuria), sancito nell’art. 49, comma 2 del Codice penale, afferma che la volontà a commettere un reato debba concretarsi in una condotta esterna che leda i beni protetti dalla norma. Si possono avere, a tal proposito, reati monoffensivi (l’offesa per un solo bene giuridico, per esempio, omicidio) e reati plurioffensivi (l’offesa per più beni giuridici, per esempio, rapina);
  4. il principio di precisione, che conferisce al legislatore d’imporre una norma con precisione sia per quanto riguarda il reato sia per quanto concerne le sanzioni penali, in modo da definire l’ambito di discrezionalità dell’autorità giudiziaria e tutelare i diritti di libertà del cittadino. Tale principio si ricollega a quello di legalità sotto la specie di tassatività e determinatezza;
  5. il principio di determinatezza, che impone ai giudici la descrizione di fatti suscettibili di essere verificati ed esaminati nel processo con i criteri messi a disposizione dalla scienza e dall’esperienza;
  6. il principio di soggettività (nullum crimen sine culpa). È un principio che evidenzia il fatto che un comportamento diventa reato, nel momento in cui esso è riferibile alla volontà del soggetto agente. Non è sufficiente un nesso causale, ma è, quindi, necessario un nesso psichico tra il soggetto agente e l’evento criminoso;
  7. il principio di colpevolezza (nullum crimen sine culpa). Questo principio nasce all’interno del principio di soggettività, nel 1988, quando la corte costituzionale, con la sentenza n. 364, sostiene che la colpevolezza è il principio cardine del sistema penale italiano. Il principio di colpevolezza si desume dall’art. 27, comma 1 (“la responsabilità penale è personale”), della Costituzione italiana;
  8. il principio di frammentarietà, che consiste nel fatto che l’applicazione del diritto penale si presenta, per l’autonomia di scelta del legislatore su che cosa debba considerarsi reato, in maniera puntiforme.

 

Gli elementi fondamentali del diritto penale

I pilastri, per il diritto penale, che tende a collegare una sanzione a una condotta, riconosciuta come un episodio legalmente criminoso, sono tre (fatto, personalità e conseguenze):

  1. il fatto è l’elemento di oggettività del diritto penale;
  2. la personalità è un elemento ingegnoso e sottile del diritto penale italiano. Tale elemento, sancito come pilastro cardine della persona, nell’art. 27 della Costituzione, intende stabilire formalmente che un soggetto deve essere considerato imputabile e non colpevole finché non è condannato con sentenza definitiva;
  3. le conseguenze sono rappresentate, dopo la violazione della normativa penale, dalle sanzioni.

L’ordinamento del diritto penale prevede, in Italia, norme che delimitano, a livello spaziale e a livello personale, l’applicazione della legge penale. Esso accoglie, per quanto concerne i limiti spaziali, quattro principi (territorialità, difesa o tutela, universalità e personalità).

Il principio di territorialità stabilisce che la norma penale deve punire il cittadino che commette atti criminosi nel territorio dello Stato di riferimento. Il principio di difesa o tutela considera che la legge penale debba essere applicata a chi commette un reato contro beni o cittadini che appartengono allo Stato di riferimento. Il principio di universalità convalida la certezza che la legge penale si applica a tutti i reati, in ogni luogo e da chiunque commessi. Il principio di personalità assicura che la legge penale viene applicata, a prescindere dal locus commissi delicti, a ogni reato che è commesso da un cittadino dello Stato di riferimento. Per quanto riguarda i limiti personali, la norma penale recepisce che essi si manifestano con il principio di obbligatorietà. Tale principio assoggetta alla legge penale chiunque si trovi sul suolo del territorio italiano. Anzi, in casi specifici, sono sottoposti a essa, anche cittadini e stranieri che, commessi atti criminosi in Italia, si trovano in un paese estero.

 

Il Dirigente scolastico e i reati penali contro la pubblica amministrazione

Il Dirigente scolastico per il diritto italiano è un pubblico ufficiale; egli, pertanto, operando in una scuola pubblica o paritaria, svolge una funzione pubblica, legislativa, giudiziaria o amministrativa. La figura di pubblico ufficiale deve, comunque, essere distinta da quella di soggetto incaricato per svolgere un pubblico servizio. “Agli effetti della legge penale – recita l’art. 357 del Codice penale – sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”. È, quindi, pubblico ufficiale, chi concorre a formare la volontà di una pubblica amministrazione ed è munito di un potere: decisionale, di certificazione, di attestazione, di coazione (Cass. pen., sez. VI, 81/148796) e di collaborazione, anche sporadica (Cass. Pen. Sez. VI n. 84/166013).

Il Dirigente scolastico, come pubblico ufficiale, può, nello svolgimento della sua funzione, incorrere nei seguenti reati penali:

peculato e malversazione. Il peculato è normato dall’art. 314 del Codice penale, che recita: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo, per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente alla pubblica amministrazione, se l’appropria, ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri, è punito con la reclusione da tre a dieci anni”, con una multa e con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nel caso in cui la pena, per circostanze attenuanti, sia inferiore a tre anni, allora l’interdizione diventa temporanea. La malversazione è un reato che viene commesso, ai sensi dell’art. 315 del Codice penale, dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, “che si appropria o, comunque, distrae, a profitto proprio o di un terzo, denaro o qualsiasi cosa mobile, non appartenente alla pubblica amministrazione, di cui egli ha il possesso per ragione del suo ufficio o servizio”. La differenza tra il reato di peculato e quello di malversazione è che il denaro o le cose sottratte, nel secondo caso, non appartengono alla pubblica amministrazione;

concussione e corruzione. Il reato di concussione è previsto dall’art. 317 del Codice penale che recita: “Il pubblico ufficiale, che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni” e con una multa. A tale reato è assoggettato soltanto il pubblico ufficiale e non l’incaricato al pubblico servizio. Il reato di corruzione rientra, invece, nella categoria di crimini che si fondano sul “concorso necessario”, vale a dire sulla compartecipazione di più soggetti. Nel 1997, lo studioso Robert Klitgaard nello studio International Cooperation Against Corruption ha sostenuto che “la corruzione è un reato basato sul calcolo, non sulla passione. Le persone tendono a corrompere o a essere corrotte quando i rischi sono bassi, le multe e punizioni minime, e le ricompense grandi”. Egli afferma che la propensione alla corruzione può essere schematizzata in una formula, ovvero C = M + S – R, dove C, la corruzione, è tanto più plausibile quanto più elevata è la somma di M, monopolio, più S, segretezza, meno R, responsabilità civile e penale.

La corruzione è una categoria generale di reati, che viene, nel 2012, dal ministro Severino spacchettata, introducendo l’induzione indebita, e descritta nella Legge n. 190/2012, recante “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, e “nei seguenti articoli del Codice penale: art. 318 (corruzione per l’esercizio della funzione, reato punibile con la reclusione da uno a cinque anni e con una multa), art. 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, reato punibile dai quattro ai otto anni di reclusione), art. 319-ter (corruzione in atti giudiziari, che è una figura criminosa introdotta dall’art. 9 della Legge n. 86/1990 e costituisce una circostanza aggravante della corruzione, disciplinata dall’art. 319), art. 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, reato punibile con le stesse pene degli articoli precedenti), art. 321 (pene per il corruttore, reato punibile in base alla prima parte dell’art. 318), art. 322 (istigazione alla corruzione, reato punibile con le pene, previste dagli articoli 318 e 319, ridotte di un terzo);

abuso d’ufficio. L’abuso d’ufficio per un pubblico ufficiale o per l’incaricato di un pubblico servizio, nello svolgimento delle funzioni o di un servizio, è un reato previsto dall’art. 323 del Codice penale; tale articolo recita: “Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette, per recare ad altri danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, è punito con la reclusione fino a due anni” o con una multa;

rivelazione dei segreti d’ufficio. L’interesse alla segretezza d’ufficio è tutelato dall’art. 326 del Codice penale. “Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie d’ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza” è punibile con una reclusione da sei mesi a tre anni;

omissione, ritardo e rifiuto di atti d’ufficio. L’omissione, il ritardo e il rifiuto di atti d’ufficio sono reati, previsti dall’art. 328 del Codice penale; tale articolo recita: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta, omette e ritarda un atto dell’ufficio o del servizio” è sottoposto a una pena di reclusione fino a un anno e a una multa. L’omissione si produce quando un atto d’ufficio non viene definito entro l’arco di tempo espressamente o implicitamente stabilito per il suo adempimento.

Il ritardo si ha quando l’atto viene, senza un legittimo motivo, espletato dopo il tempo stabilito. Il rifiuto di un atto d’ufficio ricorre quando un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio nega illegittimamente il rilascio di un atto, ufficialmente richiesto da un cittadino.

Il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio non sono, tuttavia, punibili di reati contro la pubblica amministrazione, quando, senza alcun nesso e collegamento, operano fuori dall’ambito del loro ufficio e delle loro funzioni.

La formazione in servizio

LA FORMAZIONE IN SERVIZIO
UN FORMAT TOTALMENTE DA RIVEDERE

di Giuseppe Guastini

Tra i chiaro-scuri della legge 107/2015 uno degli aspetti cromaticamente più interessanti è quello della maggiore disponibilità di risorse per la formazione degli insegnanti. Tuttavia, se non verranno introdotti aggiornamenti strutturali nei format formativi si tratterà ancora una volta di una spesa perlopiù improduttiva, con scarsissime ricadute sulla processualità scolastica. In effetti il format più ricorrente è quello del “relatore + platea di ascoltatori”; in taluni casi vengono proposte esperienze laboratoriali; entrambi i modelli (ascolto o laboratorio) sono ampiamente superati in quanto centrati sul soggetto che apprende (il formando, ossia il docente) quale attore, protagonista e unico beneficiario della formazione. L’iniziativa di formazione è un’opportunità; sta poi alla capacità del singolo docente acquisire e tesaurizzare l’esperienza e farne un elemento di qualità del proprio curricolo professionale. Si tratta, come si vede, di un modello perfettamente coerente con la ideologia del merito, del bonus e della “scelta” da parte dei dirigenti. Il retro-pensiero non dichiarato alla base del modello è che la competizione e il miglioramento (individuale) professionale porteranno benefici alla scuola: migliorando i singoli si avrà un miglioramento di sistema.
Ma è così che funzionano le organizzazioni umane? Il pensiero complesso di Edgar Morin non ha insegnato nulla? Sostiene Morin: “Il tutto è più che la somma delle parti”; si tratta di una verità assoluta ma che contiene uno sgradevole corollario: il tutto può risultare anche (molto) “meno” della somma delle parti. La qualità Q espressa da un’organizzazione professionale può essere schematicamente ricondotta alla combinazione di due macro-fattori e formalizzata nella formula: Q = S + R dove S rappresenta la sommatoria delle (diciamo) intelligenze professionali dei singoli e R l’intelligenza di relazione, che dipende dal particolare modo in cui gli attori interagiscono, fra di loro e con l’ambiente esterno e che può anche assumere un valore algebricamente negativo, in grado di abbassare notevolmente l’intelligenza finale potenziale. Si tratta di una relazione che può essere descritta anche in termini di informazione: informazione dei singoli + informazione di relazione che si riscontra anche nei sistemi non umani:

…un violino Stradivari e un asse da lavare sono fatti con lo stesso materiale: quello che cambia è la diversa “messa in forma”. Anche una lavatrice e un satellite artificiale sono fatti sostanzialmente con gli stessi materiali: cambia anche qui l’informazione.
Piero Angela “Viaggi nella scienza” Garzanti

Il limite più disdicevole di quasi tutti i format formativi (e della L. 107/2015) è che puntano sul solo fattore S (la qualità dei singoli) trascurando il fatto che il fattore fondamentale, determinante e strategico è invece il fattore R, quello che fa la differenza fra un asse per lavare e un violino e che può rendere scarsamente permeabile un sistema ai miglioramenti individuali.
Ciò che serve allora è che i format siano concepiti, studiati e progettati all’origine non soltanto come iniziative a favore di insegnanti sparsi ma come pattern in grado di essere implementati nelle scuole. Può anche darsi il caso dell’insegnante unico proveniente dalla scuola X ma, al termine dell’esperienza, questo dovrà essere equipaggiato di materiali, indicazioni di lavoro, slide, contatti etc ed essere messo in condizione di tornare alla sua scuola e promuovere ed adattarvi modelli migliorativi strutturali, permanenti e migliorabili. A questo fanno da pendant organizzazioni scolastiche (e ministeriali) in grado di apprendere. L’insegnante moderno: attore dell’import-export migliorativo.

MANIFESTAZIONE A MONTECITORIO

PROGRAMMA MANIFESTAZIONE A MONTECITORIO

Giovedì 23 febbraio dalle 14 alle 19 a Montecitorio ci sarà un presidio, organizzato dalla “Rete del 65 movimenti”, contro i decreti attuativi della legge 107 del 2015, che presto saranno licenziati dal governo Gentiloni.

La rete dei 65 movimenti comprende associazioni per la scuola pubblica e associazioni per la disabilità, docenti, famiglie e Comitati Genitori.

Numerose le adesioni pervenute anche da parte degli studenti (UDS), di  tutti i sindacati di base e di alcuni sindacati confederali.Hanno aderito anche tutte le consulte disabilità dei Municipi di Roma e alcuni partiti nazionali.

Contemporaneamente dalle ore 14:00 alle ore 15:00 ci sarà una conferenza stampa nella sala Nassirya del Senato in cui gli esponenti della rete dichiareranno le istanze dei gruppi.

Il giorno dopo invece dalle ore 8:30 alle ore 14:30 ci sarà un seminario di formazione per docenti sulla delega inclusione, organizzato dalla rete dei 65 movimenti e dall’Associazione Nazionale per la scuola della Repubblica

Numerosi i relatori, numerosi gli interventi, prevista anche una grossa affluenza, nonche’ la presenza di diversi onorevoli, del sottosegretario all’Istruzione Vito De Filippo e di Ferdinando Imposimato giudice onorario della Suprema Corte di Cassazione

La rete dei 65 movimenti.

Touch generation: istruzioni per l’uso

Cyber pedagogia: che cos’è? Come va gestito il rapporto tra i ragazzi e il web? Se ne parla alle Montessori

 

Venerdì 24 febbraio alle 20.30 appuntamento a ingresso libero alla scuola Montessori Percorsi per Crescere di Calcinate del Pesce (Varese) con Matteo Locatelli, pedagogo esperto in adolescenza e tecnologia, che parlerà dell’educazione ei tempi di Internet

 

Siamo nella società dell’Informazione e i suoi veri protagonisti sono i ragazzi, non solo perché il loro approccio alle alla tecnologia, al web e alle app è più immediato e diretto rispetto a quello dei grandi, ma anche perché lo sviluppo della Rete è destinato ad accompagnare la loro esperienza di vita, permeandone tutti i momenti: gioco, apprendimento, lavoro. Tuttavia, a volte le dinamiche che coinvolgono i giovani e Internet rimangono un mistero che preoccupa e spaventa genitori ed educatori, bisognosi di una guida esperta.

 

Per questo la Scuola Montessori Percorsi per Crescere di Calcinate del Pesce (Varese) ha organizzato un incontro intitolato Touch generation: istruzioni per l’uso, che si terrà venerdì 24 febbraio alle 20.30 nella sede divia Maggiora 10. Relatore sarà Matteo Locatelli, responsabile scientifico del Consorzio Unison di Gallarate, specialista in Pedagogia Clinica, esperto di adolescenza e tecnologie, che si occupa di servizi innovativi rivolti ai minori e di formazione per docenti e genitori sul tema del digitale.

«Il dottor Locatelli ci introdurrà alla cyber pedagogia –spiega Maria Angela Ferioli, presidente della Cooperativa Percorsi per Crescere che gestisce la scuola di Varese–. Una disciplina che esplora il mondo dell’educazione e della scuola con le molteplici connessioni che la tecnologizzazione di massa sta offrendo. L’incontro sarà un’occasione di riflessione e condivisione per promuovere una cultura della consapevolezza e della saggezza digitale».

Il metodo montessoriano, in particolare, si rivela adatto alle esigenze che il nuovo contesto tecnologico sta imponendo nella quotidianità delle famiglie.

 

Touch Generation: istruzioni per l’uso

Venerdì 24 febbraio

Ore 20.30

Scuola Montessori Percorsi Per Crescere

Via Maggiora 10, Calcinate del Pesce (Varese)

Ingresso libero

 

Scuola Montessori di Percorsi per crescere (www.percorsipercrescere.it) La scuola Montessori Percorsi per crescere è nata nel 1998: inizialmente solo come nido, quindi negli anni per far fronte alle crescenti richiesti si è estesa anche alla scuola dell’infanzia e, dal 2006, alla primaria. Le insegnanti sono specialiste del metodo Montessori, grazie a una formazione specifica, mentre la supervisione pedagogica è affidata a Grazia Honegger, una delle ultime allieve di Maria Montessori. L’asilo nido e la scuola dell’infanzia si trovano in via Maggiora 10, mentre l’ingresso della scuola primaria è in via Duca degli Abruzzi 118, sempre a Calcinate del Pesce (Varese).

 

Graffiti

Il 16° convegno internazionale dell’ADi lancia nuove ardite condizioni per l’innovazione nella scuola pubblica

Un convegno importantissimo quello che l’ADI, Associazione Docenti e Dirigenti Scolastici Italiani, terrà a Bologna  il 24 e 25 febbraio p.v.,dal titolo GRAFFITI. Tracce della scuola che verrà. Dopo una panoramica delle scuole  più innovative a livello internazionale, verrà esposta da Carlo Marzuoli, ordinario di diritto amministrativo all’università di Firenze, la proposta di legge dell’ADI che consente  ai docenti e  dirigenti scolastici, che ancora hanno voglia di mettersi in gioco, di costruire una scuola che ponga al centro gli studenti e abbandoni definitivamente il modello organizzativo del secolo scorso. La posta in gioco, ormai chiara, è la stessa sopravvivenza dell’istituzione pubblica, destinata ad essere fagocitata dal mercato, se non saprà cogliere i pressanti cambiamenti globali in atto. Una proposta, quella dell’ADi di grandissima autonomia nella gestione dei curricoli e nel rapporto di lavoro degli insegnanti, una scuola liberata dai ciarpami della burocrazia, non autoreferenziale e in stretto rapporto con il mondo esterno.
Fra le scuole presenti  al convegno ci sarà la famosissima High Tech High di San Diego, California, nota in tutto il mondo per avere costruito con successo un apprendimento che collega mente, mano e virtuale. Ci sarà la berlinese ESBZ, la scuola senza voti e senza aule, salita agli onori della cronaca anche in Italia. Poi le scuole in Danimarca, il Paese più felice del mondo, dove si curano le emozioni, la socializzazione, il benessere degli alunni tanto quanto l’apprendimento. E ancora le “scuole internazionali” e i loro programmi, a cui dovrebbero ispirarsi i nuovi licei quadriennali. E tante altre relazioni, che insieme indicheranno i nuovi paradigmi dell’istruzione in questo secondo decennio del 21°secolo.

Alessandra Cenerini
Presidente nazionale ADi, Associazione Docenti e Dirigenti scolastici Italiani

Abolizione delle tasse scolastiche i maturandi risparmiano 45 euro

da Il Messaggero

Abolizione delle tasse scolastiche i maturandi risparmiano 45 euro

Se il testo dell’atto del governo 381, riguardante l’effettività del diritto allo studio, resta così com’è senza subire modifiche, non ci sarà più bisogno per nessuna famiglia di versare le tasse scolastiche o di chiedere le esenzioni per reddito.

Spariranno le tasse scolastiche dal dizionario degli studenti italiani. La novità, inserita dei decreti attuativi per le leggi delega della Buona scuola, interviene sul diritto allo studio e abolisce il pagamento delle tasse di iscrizione e di frequenza anche al di fuori dell’età dell’obbligo. Salteranno anche i contributi dovuti all’esame di Stato e al ritiro del diploma di maturità.
Fino ad oggi sono stati esentati dal pagamento di iscrizione e frequenza tutti i ragazzi fino al terzo anno delle scuole superiori. Per quelli dell’ultimo biennio, l’esonero era invece previsto in base al reddito, e solo in caso di gravi situazioni di indigenza della famiglia. Ora si cambia. Se il testo dell’atto del governo 381, riguardante l’effettività del diritto allo studio, resta così com’è senza subire modifiche, non ci sarà più bisogno per nessuna famiglia di versare le tasse scolastiche o di chiedere le esenzioni per reddito.

IL COSTO PER LO STATO

Nella relazione tecnica depositata alla Camera, ora al vaglio delle commissioni parlamentari, si prevede infatti l’esonero dalle tasse per il quarto anno a partire dall’anno scolastico 2018-2019 e per il quinto anno a partire dal 2019-2020. Per lo Stato significa rinunciare a entrate per una cifra complessiva di 30 milioni di euro: per la precisione 29,7 milioni a regime dall’anno 2019, mentre per il 2018 il costo di questa misura sarà di 10,4 milioni.
IL RISPARMIO PER GLI STUDENTI

Così dall’anno prossimo i ragazzi del quarto delle superiori saranno esonerati dal pagamento di 6,04 euro per la tassa di iscrizione e 15,13 euro per la tassa di frequenza. Per un totale di 21,17 euro a testa, esteso a oltre 490mila ragazzi. Poi, dal 2019, anche gli iscritti al quinto anno potranno beneficiare della riforma risparmiando la tassa di frequenza da 15,13 euro, altri 12,09 euro per la tassa di esame e 16,13 euro per la tassa di diploma. Per un totale di 43,35 euro a testa per 454mila ragazzi.
Resterà invece il contributo volontario: quella somma chiesta dalle singole scuole, approvata dal consiglio di istituto, per portare avanti la normale attività scolastica. Un contributo che, seppur volontario, viene percepito come una vera e propria tassa che va a coprire le spese più disparate: dalla pittura delle pareti all’acquisto della cancelleria per le attività dei ragazzi e delle segreterie. Dai 30-40 euro chiesti alle elementari si arriva anche a superare i cento euro alle scuole superiori.
LA PRECISAZIONE

Sulla questione dei contributi scolastici il Ministero dell’istruzione è intervenuto con una circolare nel 2012, in risposta alle proteste delle famiglie che arrivavano agli uffici scolastici regionali di tutta Italia. Nella nota il Miur precisava che la scuola deve chiarire la non obbligatorietà del contributo e che i soldi così raccolti non possono essere utilizzati per le attività curricolari ma per ampliare l’offerta formativa.
L.Loi.

Le leggende sullo stipendio dei dirigenti scolastici

da La Tecnica della Scuola

Le leggende sullo stipendio dei dirigenti scolastici

Di tanto in tanto tornano nel web le discussioni sugli stipendi dei dirigenti scolastici, con le immancabili “leggende metropolitane”.

Intanto va detto che gli stipendi dei ds sono assolutamente pubblici e sono disponibili nel sito istituzionlae del Ministero dove si possono trovare le “schede” dei singoli dirigenti, con tanto di dati anagrafici, titoli di studio e curriculum.
La retribuzione dei ds si compone di tre voci: stipendio tabellare (43mila euro circa), retribuzione di posizione (è commisurata alle dimensioni e alla complessità dell’istituzione scolastica diretta, può variare tra i 10 e i 15mila euro), retribuzione di risultato (è pari al 15-20% dello stipendio di posizione e quindi aggira di fatto intorno ai 2mila-2.500 euro).
Ovviamente le cifre sono al lordo delle ritenute erariali: in pratica lo stipendio  netto “in busta paga” non arriva a 2.800 euro, i ds di nomina più recente non superano a stento i 2.500 euro.
C’è però la convinzioneche i dirigenti percepiscano una sorta di bonus per il merito, ma in realtà non è così: il “merito” dei ds è la retribuzione di risultato che però è di fatto uguale per tutti ed è pari appunto al 15-20% della rispettiva posizione.
Un’altra leggenda metropolitana riguarda il fatto che i ds percepirebbero una “percentuale” sui progetti che si realizzando nella scuola: la notizia non corrisponde al vero, anzi le norme contabili attualmente in vigore vietano espressamente che le scuole possano emettere mandati di pagamento a nome del ds o del dsga (per il dsga, per la verità, c’è una eccezione e riguarda la possibilità di emettere mandati per la gestione del fondo per le minute spese).
Una ulteriore precisazione;  c’è chi fa qualche conteggio “a braccio” e dice: se un docente con un lordo di 27mila euro guadagna al netto 1.500-1600 euro vuol dire che un ds con un lordo di 60mila (più del doppio di 27mila) prenderà sicuramente più di 3.000-3.200 euro al mese. E’ ovvio che questo calcolo è assolutamente sbagliato perchè non tiene conto del fatto che le aliquote Irpef non sono costanti ma sono progressive: su uno stipendio di 27mila euro l’aliquota massima arriva al 27%, sugli stipendi da 28mila a  55mila si sale al 38% mentre oltre i 55mila si arriva al 41%.
Un ultimo particolare importante: i ds hanno la qualifica di dirigenti di seconda fascia, esattamente come altri dirigenti statali che partono anch’essi da un tabellare di 43mila euro. Ma i dirigenti de Miur di seconda fascia godono di uno stipendio di posizione che può arrivare anche a 30mila euro e un risultato di 30-35 mila euro: in pratica i dirigenti del Ministero arrivano quasi sempre a 90-100 mila euro.

Abolizione delle tasse scolastiche

da La Tecnica della Scuola

Abolizione delle tasse scolastiche

Tasse scolastiche addio? Pare di sì. Nei decreti attuativi sulla delega della Buona scuola viene abolito il pagamento delle tasse di iscrizione e di frequenza anche al di fuori dell’età dell’obbligo. Salteranno anche i contributi dovuti all’esame di Stato e al ritiro del diploma di maturità.

Se il testo dell’atto del governo 381, scrive Il Messaggero, riguardante l’effettività del diritto allo studio, resta così com’è senza subire modifiche, non ci sarà più bisogno per nessuna famiglia di versare le tasse scolastiche o di chiedere le esenzioni per reddito.

Nella relazione tecnica depositata alla Camera, si prevede infatti l’esonero dalle tasse per il quarto anno a partire dall’anno scolastico 2018-2019 e per il quinto anno a partire dal 2019-2020. Per lo Stato significa rinunciare a entrate per una cifra complessiva di 30 milioni di euro: per la precisione 29,7 milioni a regime dall’anno 2019, mentre per il 2018 il costo di questa misura sarà di 10,4 milioni.

Dall’anno prossimo, riporta Il Messaggero, i ragazzi del quarto delle superiori saranno esonerati dal pagamento di 6,04 euro per la tassa di iscrizione e 15,13 euro per la tassa di frequenza. Per un totale di 21,17 euro a testa, esteso a oltre 490mila ragazzi. Poi, dal 2019, anche gli iscritti al quinto anno potranno beneficiare della riforma risparmiando la tassa di frequenza da 15,13 euro, altri 12,09 euro per la tassa di esame e 16,13 euro per la tassa di diploma. Per un totale di 43,35 euro a testa per 454mila ragazzi.

Resterà invece il contributo volontario che viene percepito come una vera e propria tassa che va a coprire le spese più disparate: dalla pittura delle pareti all’acquisto della cancelleria per le attività dei ragazzi e delle segreterie. Dai 30-40 euro chiesti alle elementari si arriva anche a superare i cento euro alle scuole superiori.