Sul “linguaggio” della protesta dei docenti

A proposito delle dichiarazioni della Ministra Fedeli sul “linguaggio” della protesta dei docenti: non si faccia confusione fra piano della protesta e piano educativo

L’approccio politico concreto e aperto della Ministra Fedeli che, con l’assunzione della responsabilità del MIUR, ha consentito, per la sua parte, la ripresa dei tavoli negoziali, sembra venire offuscato dalle sue recenti dichiarazioni sul linguaggio usato dai docenti nella protesta contro gli effetti deleteri della legge 107/15.

Qualificare, come leggiamo dalle agenzie, alcune espressioni utilizzate da settori della categoria come “un linguaggio non degno di chi educa, di chi rappresenta la scuola” rischia di gettare cattiva luce e discredito sui docenti.
Cosa, questa sì, sbagliata in sé, per chi, come la Ministra, deve invece sapere ascoltare e semmai motivare tutto il corpo docente che ella rappresenta.
Anche perché in tal modo si confonde il piano della lotta sindacale e politica – nella quale anche espressioni mediatiche, che peraltro la FLC CGIL non condivide, hanno il loro legittimo corso – con il piano educativo che invece si esercita nelle aule scolastiche.
E su questo piano crediamo che la docenza italiana, ne siamo quotidiani testimoni, faccia bene il suo mestiere e regga da anni situazioni al limite del proibitivo.

La FLC CGIL rimane dell’idea che, al di là del linguaggio usato nella legittima battaglia rivendicativa, l’indebolimento dei poteri degli organi collegiali, la distribuzione discrezionale di premi in denaro, la chiamata diretta dei docenti senza oggettività e trasparenza, il mancato rinnovo del Ccnl da quasi 10 anni, meritano la protesta anche la più accesa. E ciò nulla a che fare con la dimensione educativa.
Se restiamo al merito delle questioni non possiamo non ribadire che quelle storture vanno superate.
Continuare il confronto è la vera e unica risposta concreta che si può dare a chi giustamente protesta.

Una norma nel Lazio a tutela dei minori con disabilita’

Superando.it del 02-03-2017

Una norma nel Lazio a tutela dei minori con disabilita’

«Nel Lazio – ricordano da “Casa al Plurale”, il Coordinamento delle case famiglia della Regione – ci sono oltre 240 bambini e adolescenti con disabilità fuori dalle proprie famiglie d’origine e sono almeno 70 quelli con disabilità ad elevata complessità assistenziale: fino a ieri rischiavano, al compimento dei 18 anni, di essere sradicati dal loro contesto di vita; ora invece, dopo una Delibera approvata dalla Regione, si potrà progettare, all’interno di un’équipe integrata di rete, la migliore soluzione per rispondere ai bisogni individuali di ciascuno di loro».

ROMA. Una volta compiuti i 18 anni – limite massimo di tutela secondo la legge – i giovani con disabilità complesse del Lazio non saranno più costretti a lasciare la struttura che li accoglie: dice sostanzialmente questo la Delibera della Regione Lazio n. 54, approvata il 14 febbraio scorso, che ne ha modificato una precedentemente prodotta nel 2004 dalla Giunta Regionale (n. 1305), riguardante appunto le modalità di ammissione e dimissioni nei servizi residenziali per minori.

«Questa modifica – commenta Marco Bellavitis, responsabile dell’Accoglienza ONLUS e consigliere di Casa al Plurale, il Coordinamento delle case famiglia per persone con disabilità, minori in difficoltà e donne con bambini in situazioni di grave fragilità sociale di Roma e del Lazio – colloca la Regione Lazio all’avanguardia nel panorama nazionale, per la tutela dei diritti dei minori con disabilità, perché si fa carico della necessità della continuità degli affetti come presupposto terapeutico prioritario nel percorso di ben-essere di ogni persona. In questo senso va il nostro plauso a Rita Visini, responsabile dell’Assessorato Regionale alle Politiche Sociali, che ha fortemente voluto queste modifiche, e ai dirigenti per l’Integrazione Sociosanitaria Antonio Mazzarotto e Vincenzo Panella, che le hanno rese possibili».
«Il provvedimento – conferma una nota di Casa al Plurale – arriva dopo un lungo lavoro congiunto di tecnici e dirigenti della Regione Lazio e di chi lavora sul campo in prima persona, come gli educatori che nelle case famiglia si prendono cura ogni giorno delle persone con disabilità ad alta intensità assistenziale».

Nello specifico della Delibera adottata dalla Regione Lazio, è previsto che «nel caso di ragazzi con disabilità ad alta complessità assistenziale, divenuti maggiorenni, nelle more di una loro accoglienza presso adeguata struttura assistenziale a carattere familiare», sia «consentita la permanenza in struttura in ragione della continuità assistenziale e delle speciali esigenze di cura e continuità affettiva, secondo quanto previsto nel piano personalizzato».
E ancora: «Le eventuali dimissioni e il conseguente inserimento del ragazzo in una nuova struttura assistenziale devono essere concordati, nei tempi e nelle modalità, dai servizi sociali territorialmente competenti, dalla famiglia o da chi ne fa le veci, e dall’équipe della struttura di provenienza e devono costituire valida risposta ai bisogni socio-assistenziali del ragazzo [grassetti nostri nelle citazioni, N.d.R.]».

«Nel Lazio – viene sottolineato in conclusione da Casa al Plurale – ci sono oltre 240 bambini e adolescenti con disabilità fuori dalle proprie famiglie d’origine e sono almeno 70 quelli la cui disabilità è connotata da elevata complessità assistenziale: fino a ieri rischiavano al compimento della maggiore età di essere sradicati dal loro contesto di vita; da oggi in poi, invece, si potrà progettare, all’interno di un’équipe integrata di rete, la migliore soluzione per rispondere ai bisogni individuali di ciascuno di loro». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@casaalplurale.org (Carmela Cioffi).

A Firenze il processo contro l’aggressione fascista agli Studenti

Rete Studenti e Udu: oggi finalmente a Firenze il processo contro l’aggressione fascista agli Studenti

Si è finalmente aperto oggi a Firenze il processo, in seduta preliminare, contro l’aggressione fascista che due anni fa, durante le giornate del Lavoro della CGIL, ha visto vittime una trentina di ragazze e ragazzi della Rete degli Studenti Medi.

Giammarco Manfreda, Coordinatore Nazionale della Rete degli Studenti Medi, dichiara:” Oggi è un momento importante. Finalmente le ragazze e i ragazzi che due anni fa hanno vissuto un momento di estremo terrore a causa degli aggressori fascisti potranno vedere iniziare un percorso che ci porterà ad avere giustizia. Quella sera siamo stati vittima di un atto di violenza vile ed inaspettato. Vile perché individui tra i trenta e i quarant’anni con tanto di svastiche tatuate sul petto si sono scagliati contro un gruppo di ragazzi tra i quindici e i vent’anni nel nome di un’ideologia razzista e discriminatoria, che trova la sua unica espressione nella violenza fisica e verbale, inaspettata perché non credevamo fosse possibile essere presi di mira così duramente solo a causa delle bandiere che portavamo sulle spalle, era impensabile prevedere che quei giorni di confronto e discussione con il Sindacato dei Lavoratori si trasformassero in tragedia.”

Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Universitari aggiunge: “Oltre a esprimere la nostra piena solidarietà ai compagni della Rete degli Studenti Medi che hanno subito questo vile atto di violenza, ci dispiace constatare che non solo per le vie delle nostre città, ma anche nelle scuole, nelle università e, spesso, anche nelle istituzioni democratiche, i fascisti hanno piena cittadinanza. Siamo convinti che episodi di questo tipo, che purtroppo sono sempre più frequenti nel nostro paese, vadano combattuti e condannati fermamente. Bisogna partire dal ricostruire una vera memoria storica e una diffusa cultura della antifascismo.”

Concludono Marchetti e Manfreda: “Per questo come Rete degli Studenti Medi e Unione degli Universitari ci impegniamo da sempre nel rendere attuali i valori della Resistenza e dell’Antifascismo, che stanno alla base della Costituzione Repubblicana e della ricostruzione democratica del nostro Paese. Lo facciamo all’interno delle nostre scuole, delle nostre università e dei nostri luoghi di discussione, partendo dal presupposto fondamentale che il Fascismo si combatte con la cultura, con la conoscenza e con l’istruzione aperta a tutte e a tutti, non con le armi ma con la forza di argomentazioni quali il rispetto degli altri, la tolleranza e l’uguaglianza sostanziale.”

La Rete degli Studenti Medi si è costituita parte civile nel processo e oggi i ragazzi sono chiamati a testimoniare quei fatti tremendi. Siamo certi che la magistratura adempierà al meglio al proprio dovere e condannerà duramente chi si è macchiato di un gesto simile a discapito di ragazze e ragazzi che tutti i giorni scelgono di prendere parte al processo di cambiamento radicale di questo paese, nel nome dei valori fondamentali della nostra democrazia: l’istruzione e il lavoro.

Gite scolastiche in Sicurezza


Rinnovata la collaborazione Miur-Polizia Stradale

Si rinnova la collaborazione tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e la Polizia di Stato in vista dei viaggi di istruzione. “Gite scolastiche in sicurezza”, questo il nome dell’iniziativa congiunta, mette a disposizione delle istituzioni scolastiche la competenza e il supporto della Polizia Stradale. A rinnovare la collaborazione, stamattina al Miur, sono stati Gabriele Toccafondi, Sottosegretario del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Rosa De Pasquale, Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, e Giuseppe Bisogno, Direttore del Servizio Polizia Stradale del Ministero dell’Interno.
Nel corso della conferenza stampa è stato ricordato che la richiesta di intervento della Polizia Stradale non è obbligatoria, ma si intende come un servizio a disposizione delle scuole. Le istituzioni scolastiche potranno segnalare alla Polizia Stradale i loro viaggi o programmare controlli lungo l’itinerario, che saranno effettuati a campione, inviando richiesta scritta tramite modulo preposto. Inoltre, le scuole potranno richiedere, prima della partenza l’intervento della Sezione polizia Stradale della provincia di appartenenza per un controllo del mezzo di trasporto e per la verifica dell’idoneità del veicolo e del conducente.
Gravi incidenti verificatisi in Italia ed all’estero, la giovane età dei trasportati e la tendenza delle gite a concentrarsi in specifici periodi dell’anno, sono elementi che fanno emergere l’importanza di porre l’attenzione alla sicurezza dei viaggi di istruzione. Il MIUR e la Polizia di Stato hanno diramato informazioni utili alle istituzioni scolastiche per l’organizzazione in sicurezza delle gite, con indicazioni basilari sulla scelta e la regolarità delle imprese di trasporto, sull’idoneità del conducente e sulle condizioni generali dei veicoli, al fine di garantire un sereno svolgimento dei viaggi d’istruzione. Nel corso della mattinata sono stati presentati anche i risultati dei controlli dello scorso anno. Nel 2016 la Polizia Stradale ha impiegato 10.615 pattuglie per il controllo di 15.546 autobus (di cui 10.126 su richiesta delle scuole), pari al 15% circa del parco veicolare in Italia, rilevando irregolarità su 2.549 veicoli (1.287 di quelli controllati su richiesta delle scuole).
Le principali violazioni accertate hanno riguardato irregolarità documentali (2.117 violazioni); inefficienza dei dispositivi di equipaggiamento quali, ad esempio, pneumatici lisci, cinture di sicurezza guaste, fari rotti ecc. (624 violazioni); mancato rispetto dei tempi di guida e di riposo (449 violazioni); eccesso di velocità (262 violazioni); carte di circolazione ritirate (68); patenti di guida ritirate (46) e omessa revisione (36).
La ripresa dei controlli nell’anno in corso ha già dato i primi risultati. A Siena è stato multato un conducente che percorreva ad alta velocità il tratto di strada tra Siena e Firenze, viaggiando a 100 Km/h dove il limite di velocità imposto da un cantiere era di 40 Km/h. A Reggio Emilia, durante i controlli prima di una partenza, sono state riscontrate irregolarità che hanno portato alla sostituzione dell’autobus: uscite di sicurezza inefficienti, cinture di sicurezza non regolari, vetro parabrezza incrinato.
“I numeri registrati lo scorso anno – ha osservato il Sottosegretario Gabriele Toccafondi – ci dicono che dobbiamo continuare in questa direzione, proseguendo con i controlli sui mezzi che portano le nostre ragazze e i nostri ragazzi in gita. Dobbiamo fare un’azione positiva di sicurezza per le studentesse e gli studenti e far comprendere loro l’importanza di questo tema continuando anche con l’educazione stradale, ad esempio attraverso il progetto Icaro che abbiamo realizzato in collaborazione sempre con la Polizia Stradale. Progetto che ha portato ad una reale sensibilizzazione e responsabilizzazione delle ragazze e dei ragazzi. Da un anno – ha ricordato Toccafondi – il Miur ha creato anche un sito ad hoc, www.edustrada.it, al quale tutti diversi soggetti istituzionali collaborano mettendo online progetti di educazione stradale che sono liberi e gratuiti per tutti gli utenti. Ad oggi 1.100 scuole sono registrate e 13.500 sono gli utenti che lo utilizzano regolarmente. Segno che il tema della sicurezza stradale è entrato a pieno nel percorso educativo. Un percorso che non facciamo mai da soli – ha aggiunto – ma in collaborazione con gli operatori del settore”.
“Gite sicure è una delle iniziative, tra quelle che portiamo avanti, della quale vediamo maggiormente i frutti – ha dichiarato il Direttore del Servizio Polizia Stradale del Ministero dell’Interno, Giuseppe Bisogno -. È un esempio virtuoso di sostanziale collaborazione istituzionale. E non potevamo fare diversamente visto che già da anni la Polizia di Stato e il Ministero dell’Istruzione fanno educazione stradale nelle scuole. L’attenzione alle gite scolastiche c’è sempre stata da parte della Polizia Stradale, ma dallo scorso anno abbiamo voluto fare qualcosa di più strutturale sul territorio, grazie alla collaborazione con il Miur. I risultati del 2016 sono soddisfacenti e su quella base dobbiamo continuare perché queste campagne hanno un forte effetto deterrente su chi non vuole rispettare le regole. L’educazione stradale è un tema fondamentale per la formazione delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi – ha ricordato Bisogno – se pensiamo che la sicurezza sulle strade è ancora un problema nel nostro Paese. Nel 2015, infatti, sono stati 3.428 i morti sulle strade e nello stesso anno, per la prima volta dopo molti anni, si è registrato di nuovo un aumento dei decessi per incidenti stradali dopo anni di trend in diminuzione”.
“Questo è il periodo in cui le scuole iniziano le gite e ci è sembrato il momento giusto per far arrivare agli istituti una nota dedicata e, con questa conferenza stampa, ricordare a tutti, famiglie, studentesse e studenti, direttori scolastici e docenti che il Ministero e tutta la comunità educante tengono all’incolumità delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi che devono poter vivere questi importanti momenti di formazione e crescita in piena sicurezza”, ha concluso la Capo Dipartimento Rosa De Pasquale.


PON Scuola: cancellare le norme sull’accesso diretto alle risorse da parte delle scuole paritarie

La grave decisione di consentire l’accesso diretto delle scuole paritarie alle risorse del Programma Operativo Nazionale «Per la scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento» prevista dalla Legge di bilancio 2017, contrasta con quanto espressamente affermato dal MIUR durante la fase di elaborazione del PON in tutti i tavoli di discussione con il partenariato istituzionale, economico e sociale.

Dalla lettura del testo ufficiale del PON appare del tutto evidente che gli interventi programmati, finalizzati al superamento delle disparità territoriali nell’ambito delle politiche di coesione, facciano riferimento alle istituzioni scolastiche statali.

È chiaro il rischio che le cospicue risorse del PON, invece di essere indirizzare alla lotta alla dispersione scolastica, alla realizzazione di laboratori nelle istituzioni più in difficoltà, diventino dei normali finanziamenti aggiuntivi a cui possono attingere istituti paritari che chiedono rette anche costose a famiglie e che non sono sottoposti agli obblighi in tema di appalti e di trasparenza, come le istituzioni scolastiche statali.

Chiediamo alla ministra dell’istruzione un deciso cambio di rotta rispetto al precedente governo e l’impegno ad abrogare quanto previsto dalla legge di bilancio 2017.

SCIOPERO ATA 17 MARZO 2017

LO SCIOPERO ATA E’ IL 17 MARZO 2017 – NON SEGUITE ALTRI PROCLAMI.

Gentili Colleghi,
avrete senz’altro notato il grande caos e la grande confusione che stanno facendo per boicottare lo sciopero indetto dalla Feder.ATA per l’intera giornata del 17 Marzo 2017.
Quasi sicuramente non sono stati rispettati i tempi tecnici previsti dalla Legge in materia di sciopero, ma sappiamo benissimo che certe OO.SS. possono permettersi il lusso di qualunque strategia politico sindacale.
La Feder.ATA non ha timore di continuare ad esprimere liberamente il proprio pensiero a difesa del Personale ATA, lo ha sempre fatto fin dalla sua nascita e continuerà a farlo a salvaguardia della democrazia e della verità, NELL’INTERESSE DEL POPOLO ATA.
Pertanto Colleghi Vi invitiamo a NON partecipare a manifestazioni indette per l’8 Marzo 2017, e Vi chiediamo, nell’interesse di tutti gli ATA, di ADERIRE IN MASSA ALLO SCIOPERO INDETTO DALLA FEDER.ATA PER IL 17 MARZO 2017.
Chiudiamo tutte le Scuole.
Soltanto in questo modo l’intera comunità scolastica si renderà conto di quanto è prezioso e indispensabile il quotidiano e silenzioso lavoro di tutto il Personale ATA.
I Poteri forti hanno deciso che gli ATA …DEBBONO SPARIRE DALLE SCUOLE !!! …e lo stanno attuando con i continui e selvaggi tagli agli organici e con l’esternalizzazione dei servizi.
Hanno anche stabilito che dovremmo “crepare di lavoro”, continuando con l’ingiusta legge sul blocco delle supplenze, che praticamente ci toglie il fondamentale diritto alla salute…potremmo elencare mille altre assurdità perpetrate sul Personale ATA negli ultimi anni dagli ultimi Governi, con la complicità di tutti !
Scioperiamo tutti in massa il 17 Marzo 2017, tutto il popolo ATA unito nello stesso grido di protesta, affinché ci sia una vera e giusta rivalutazione di tutta la categoria.
Colleghi…RIBELLIAMOCI TUTTI, FACCIAMOCI SENTIRE, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI !

Cordialmente
La Direzione Nazionale Feder.ATA

Novita’ in vista per i lavoratori con disabilita’ nella Pubblica Amministrazione

Superando.it del 02-03-2017

Novita’ in vista per i lavoratori con disabilita’ nella Pubblica Amministrazione

Una Consulta Nazionale, un responsabile dei processi di inserimento e il monitoraggio della situazione presso le Amministrazioni Pubbliche, con la raccolta di informazioni che dovranno essere riversate in una banca dati: sono sostanzialmente queste le novità riguardanti le persone con disabilità, contenute in uno degli Schemi di Decreto Attuativi della Riforma del Pubblico Impiego, testo approvato dal Consiglio dei Ministri, che sarà ora sottoposto ai pareri delle competenti Commissioni Parlamentari e del Consiglio di Stato, per arrivare all’intesa con le Regioni e le Autonomie Locali

ROMA. La Consulta, il responsabile dell’inserimento, il monitoraggio della Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), e una banca dati: sono sostanzialmente queste le novità riguardanti le persone con disabilità, contenute nello Schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al Testo unico del pubblico impiego, di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, la cosiddetta “Riforma Madia” (dal nome della ministra per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione Marianna Madia), testo attuativo della stessa, approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri, che dovrà essere ora sottoposto ai pareri delle competenti Commissioni Parlamentari e del Consiglio di Stato, per arrivare all’intesa con le Regioni e le Autonomie Locali.

È esattamente il Capo V ad essere dedicato alle Misure di sostegno alla disabilità, ovvero all’inserimento dei lavoratori con disabilità nella Pubblica Amministrazione, occupandosi innanzitutto (articolo 10, comma 1) della «Consulta nazionale per l’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità», che dovrà essere istituita «presso il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».
Ne dovranno far parte (comma 2), «un rappresentante del Dipartimento della funzione pubblica, un rappresentante del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, due rappresentanti designati dalla Conferenza unificata, due rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale e due rappresentanti delle associazioni del mondo della disabilità indicati dall’osservatorio nazionale».
Riguardo infine ai compiti (comma 3), la Consulta dovrà elaborare «piani, programmi e linee di indirizzo per ottemperare agli obblighi di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68», svolgendo «il monitoraggio sul rispetto degli obblighi di comunicazione», indicando «ai ministeri competenti iniziative e misure innovative finalizzate al miglioramento dei livelli di occupazione e alla valorizzazione delle capacità e delle competenze dei lavoratori disabili nelle pubbliche amministrazioni», nonché prevedendo « interventi straordinari per l’adozione degli accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro».

Successivamente, sempre l’articolo 10 dello Schema di Decreto introduce la figura del «responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità», che dovrà avere il compito «di garantire un’efficace integrazione nell’ambiente di lavoro delle persone con disabilità, nelle amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti».
Nemmeno qui, per altro, manca una precisazione sin troppo (tristemente) nota, vale a dire che ciò dovrà avvenire «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili».
Tornando comunque alle mansioni del responsabile, esso dovrà curare «i rapporti con il servizio per l’inserimento lavorativo disabili del centro per l’impiego territorialmente competente, nonché con i servizi territoriali per l’inserimento mirato» e predisporre, « sentito il medico competente della propria amministrazione ed eventualmente il comitato tecnico di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, gli accorgimenti organizzativi», proponendo, se necessario, «le soluzioni tecnologiche per facilitare l’integrazione al lavoro anche ai fini dei necessari accomodamenti ragionevoli» e verificando «l’attuazione del processo di inserimento», oltreché «recependo e segnalando ai servizi competenti eventuali situazioni di disagio e di difficoltà di integrazione».

Infine, il testo si occupa, come detto inizialmente, del monitoraggio, chiedendo alle Amministrazioni Pubbliche di «comunicare entro il 31 dicembre di ogni anno, al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Centro per l’impiego territorialmente competente la situazione occupazionale e le eventuali scoperture di posti di lavoro riservati ai disabili».
Entro i successivi sessanta giorni, inoltre, le stesse Amministrazioni Pubbliche dovranno «trasmettere al servizio di inserimento lavorativo disabili territorialmente competente, al Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali una comunicazione contenente tempi e modalità di copertura della quota di riserva», indicando anche «eventuali bandi di concorso per specifici profili professionali per i quali non è previsto il solo requisito della scuola dell’obbligo, riservati ai soggetti di cui all’articolo 8 della legge 12 marzo 1999, n. 68, o, in alternativa, le convenzioni di cui all’articolo 11 della citata legge».
Tutte queste informazioni dovranno essere raccolte nella banca dati di cui all’articolo 8 del Decreto Legge 76/13 (convertito, con modificazioni, nella Legge 99/13).

«In caso di mancata osservanza delle disposizioni del presente articolo – è la conclusione del Capo V dello Schema di Decreto – o di mancato rispetto dei tempi concordati», i Centri per l’Impiego dovranno avviare «numericamente i lavoratori disabili attingendo alla graduatoria vigente con profilo professionale generico, dando comunicazione delle inadempienze al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri». (S.B.)

Revisione Testo Unico Pubblico Impiego e riflessi sulla Dirigenza scolastica

La revisione del Testo Unico del Pubblico Impiego e i riflessi sulla Dirigenza scolastica *

di Francesco G. Nuzzaci

 

I. Il 23 febbraio 2017 il Consiglio dei ministri ha approvato e trasmesso ai competenti organi lo schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni del Testo unico del pubblico impiego, in attuazione della delega figurante nell’articolo 16 della legge 124/15: di semplificazione della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e dei connessi profili di organizzazione amministrativa, secondo i principi e i criteri direttivi dettagliati nel successivo articolo 17.

Dovranno ora essere acquisiti l’intesa in sede di Conferenza Stato-regioni-province autonome di Trento e di Bolzano, il parere del Consiglio di Stato, infine i pareri delle competenti commissioni parlamentari.

Dopo di che ci sarà la definitiva deliberazione del Consiglio dei ministri e, conclusivamente, la pubblicazione in gazzetta ufficiale.

Qui di seguito intendiamo operare  una veloce e selettiva analisi del testo, circoscritta alla sua incidenza sulle prerogative della dirigenza e della dirigenza scolastica in particolare.

In chiusura proviamo poi a stimarne le ricadute sulla generale Intesa stipulata il 30 novembre 2016 tra i titolari della Funzione Pubblica e i vertici confederali di CGIL-CISL-UIL, per una sostanziale (ri)delegificazione del pubblico impiego in favore della prevalenza del contratto; e in più – per la dirigenza scolastica – sull’Accordo del 29 dicembre 2916 tra il MIUR e quattro dei cinque sindacati rappresentativi di comparto per mandare in soffitta gli elementi più innovativi della legge 107/15: la titolarità dei docenti sugli ambiti territoriali, la cosiddetta loro chiamata per competenze, la regolazione ex lege del bonus premiale.

 

II. Il Testo unico revisionato (d’ora in avanti Decreto) tiene ferma la generale disciplina privatistica nella definizione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, fatte sempre salve le diverse disposizioni del Decreto qualificate imperative.

I successivi contratti o accordi collettivi nazionali possono liberamente – nel senso che non deve essere più la legge a consentirlo in modo esplicito – derogare a disposizioni della medesima (non qualificate imperative), di regolamento o statuto che disciplinino rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche o a categorie di essi.

Saranno il Consiglio di Stato e le competenti commissioni parlamentari a doversi qui pronunciare su un possibile eccesso di delega, che, come segnalato in uno dei primi commenti, avrebbe apportato una modifica al sistema delle fonti, per la precisione al rapporto tra legge e contratto, rispetto alla normativa introdotta dalla c.d. Riforma Brunetta (legge 15/09 e decreto legislativo 150/09); ovvero se il termine, generico e sintetico, di semplificazione assorba o meno – alla luce dell’assetto complessivo prefigurato nel predetto schema – l’inerente mancata esplicita previsione nella legge-delega.

In ogni caso, la cedevolezza della legge è limitata alle materie affidate alla contrattazione collettiva, ai sensi del primo comma dell’articolo 40, e comunque facendosi salvo il rispetto dei principi stabiliti dal Decreto.

 

III. Tra le materie affidate alla contrattazione collettiva di certo non sono compresi, perché restano normati dalla fonte pubblicistica, gli atti di macro organizzazione; né sono compresi gli atti di organizzazione degli uffici, di esclusiva competenza dei dirigenti, nonché , nel rispetto del principio delle pari opportunità, le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro, con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

Sugli uni (gli atti di organizzazione degli uffici) e sulle  altre (le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro) vi è il solo  generale obbligo di informativa ai sindacati, ovvero di corrispondere alle ulteriori forme di partecipazione se previste dai contratti: ad esempio potendosi sempre utilizzare  l’esame congiunto, non solo sui rapporti di lavoro – com’è attualmente – ma anche sull’organizzazione degli uffici.

 

IV. Come poc’anzi annotato, le materie affidate alla contrattazione collettiva riguardano, accanto alle relazioni sindacali, il rapporto di lavoro. E’ stato espunto l’opinabile avverbio direttamente, ma il significato del sostantivo resta ristretto , nel senso che i contenuti andranno individuati per sottrazione e devono pur sempre vincolarsi alle modalità previste dal presente Decreto.

E di sottrazione ce n’è a iosa, atteso che la sola modifica sostanziale che subisce l’intero, corposo, articolo 40 concerne le modalità di determinazione della quota prevalente del salario accessorio, con l’eliminazione delle griglie prescritte dall’art. 19 del D. Lgs. 150/09 (in fatto rimaste prive di effettività, sia per la lunga moratoria contrattuale, sia per le difficoltà tecniche di applicare un rigido dispositivo uguale per tutte le diversificate amministrazioni pubbliche), che  ne escludevano l’accessibilità al 25% del personale, dirigenti compresi, per definizione immeritevole.

Si riconsegna pertanto al contratto – nel segno di un’apprezzabile migliore funzionalità – una più libera ma comunque effettiva diversificazione dei trattamenti economici, e correlati non più alla sola performance individuale, ma anche a quella dell’intera struttura organizzativa.

Alla contrattazione restano, dunque, solo consentite, ma nei limiti (espressamente) previsti dalle norme di legge:

– le materie relative alle sanzioni disciplinari;

– la valutazione delle prestazioni per la corresponsione del trattamento  accessorio;

– la mobilità.

E permangono radicalmente escluse, oltre alle materie attinenti all’organizzazione degli uffici (previsione già codificata nella risalente legge 421/92, della c.d. prima privatizzazione del pubblico impiego), quelle della partecipazione sindacale, del conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, quelle concernenti le prerogative dirigenziali, di cui agli artt. 5, comma 2, 16 e 17 del Decreto.

Con, evidentemente voluta, ridondanza – il legislatore non parla mai invano –  , il richiamato art. 5, comma 2 dispone che nell’ambito delle leggi e degli atti (macro) organizzativi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione (id est: i dirigenti, in via esclusiva) con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

L’articolo 17 – qui tralasciandosi il 16, riguardante i dirigenti di uffici dirigenziali generali – elenca una serie di poteri attribuiti a tutti i dirigenti pubblici, tra i quali vanno evidenziati l’attuazione di progetti-piani-gestioni, con relativi poteri di spesa e di acquisizione delle entrate; il coordinamento e controllo delle attività della struttura cui si è preposti; la concorrenza all’individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari; la valutazione del personale, nel rispetto del principio del merito, e l’afferente corresponsione di indennità e premi incentivanti; la delega temporanea di funzioni.

Sono poteri poi integrati – per i dirigenti delle istituzioni scolastiche – dalla norma speciale costituita dal successivo articolo 25 e da ultimo resi espliciti dalla legge 107/15, che altri ne aggiunge per la piena attuazione dell’autonomia scolastica (comma 78): in particolare il potere di definizione degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione per il PTOF, poi elaborato dal Collegio dei docenti ed approvato dal Consiglio d’istituto (comma 4).

Ed è sempre il caso di ricordare che, per dettato del comma 196, sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi contrastanti con quanto previsto dalla presente legge.

 

V. Più significative appaiono le modifiche acceleratorie già apportate alle sanzioni disciplinari dal D. Lgs. 116/16 contro i cosiddetti furbetti del cartellino, ora estese a tutti i casi in cui le condotte punibili con il licenziamento siano accertate in flagranza.

In  premessa ne viene ribadita la qualificazione di norme imperative e la cui violazione – si aggiunge – costituisce un autonomo illecito disciplinare in capo a chi sia preposto alla loro applicazione.

Nello specifico, sono rivisitati le forme e i termini del procedimento disciplinare, distinguendosi la sola sanzione di minore gravità, il rimprovero verbale, dalle restanti sanzioni di maggiore gravità, sino al licenziamento.

Il responsabile della struttura – possegga o meno la qualifica dirigenziale – presso cui presta servizio il dipendente può solo direttamente procedere all’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, secondo la disciplina stabilita dal contratto collettivo (che per il personale non docente della scuola non prevede neanche la previa e formale contestazione degli addebiti: art. 3, comma 2 CCNL 29.11.07). Mentre, per comportamenti ravvisati, con una sommaria valutazione ex ante, meritevoli di una sanzione più grave, potrà e dovrà egli adottare – ricorrendone i presupposti – i provvedimenti cautelari e contestualmente rimettere gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari, costituito in ciascuna amministrazione e che si avvale degli ordinari termini, incrementati rispetto agli attuali, per avviare e concludere il procedimento.

Risulta così confermato il pregiudizio presente già nella prima bozza di quello che poi sarebbe diventato il decreto legislativo 116/16: che i dirigenti e/o i responsabili degli uffici sarebbero restii a comminare sanzioni disciplinari per paura – per il vero del tutto inconferente – di esporre la propria persona a conseguenze risarcitorie, se vittoriosamente impugnate dal ricorrente incolpato, o addirittura penali.

Ma è tutto da dimostrare che organi estranei e lontani dai luoghi di lavoro vogliano o siano  effettivamente in grado di sanzionare adeguatamente quei tanti misfatti che quivi si consumerebbero, deprecati dall’amministrazione ed enfatizzati dalla stampa, allorquando –  è facile prevederlo – i predetti uffici saranno inflazionati dalla pletora di pratiche su di essi riversate; nel mentre appare ictu oculi disfunzionale la neutralizzazione di un fondamentale strumento di gestione del dirigente, per l’appunto la di per sé già dissuasiva leva disciplinare, che non potrà più direttamente  perseguire gli elementari mancati doveri di correttezza, le gravi o reiterate negligenze in servizio, la violazione dei segreti d’ufficio e il pregiudizio al suo regolare funzionamento, l’uso dell’impiego a fini d’interesse personale et alia.

Vi è però un’eccezione, di natura accrescitiva. E riguarda i dirigenti delle istituzioni scolastiche; che conservano una prerogativa per contro sottratta anche ai dirigenti generali e ai capidipartimento: di procedere direttamente, e indistintamente, nei confronti del personale docente e ATA, nella formale contestazione degli addebiti e poi, qualora non debba darsi luogo al provvedimento di archiviazione, all’ irrogazione di una sanzione disciplinare non superiore alla sospensione dal servizio sino a dieci giorni e correlata perdita della retribuzione.

Dopo i nuovi poteri, e le connesse gravose responsabilità, statuiti dalla legge 107/15, ora un ulteriore aliquid pluris rispetto a tutti i dirigenti pubblici delle altre amministrazioni e inclusi i dirigenti amministrativi e tecnici (ossia non scolastici) dello stesso datore di lavoro, il MIUR.

L’introduzione nell’ordinamento giuridico di una tipica ed autonoma sanzione – per l’appunto, la sospensione dal servizio e della retribuzione sino a dieci giorni anche per il personale docente – risolve in radice quello stravagante filone giurisprudenziale che, alimentatosi di una serie di pronunce in fotocopia, ha ritenuto preclusa al dirigente scolastico la comminazione di sanzioni che andassero oltre la censura, attese la tipicità e la tassatività delle fattispecie disciplinari riferibili ai docenti, contenute negli artt. 492-508 del D. Lgs. 297/94; che, dopo la censura, contemplano la non scindibile sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino a un mese, che pertanto sarebbe tuttora interamente attratta ed irrogabile dal dirigente dell’ufficio scolastico regionale (art. 503, decr. ult. cit.).

Né il prossimo CCNL, deputato ad armonizzare la materia disciplinare, uniformandola ai canoni privatistici, potrà disporre in difformità di quanto risulta – risulterebbe – statuito dalla norma imperativa.

E vi è un ulteriore rafforzamento del potere disciplinare del dirigente scolastico, deducibile dalla decisa potatura dei vizi formali, per l’innanzi aventi l’effetto di ammazzare il procedimento. Ora, nell’ordine:

– per le comunicazioni inerenti al procedimento sono validi tutti i mezzi idonei alla conoscibilità degli atti;

– la violazione dei termini e delle procedure, ferme le eventuali responsabilità imputabili al dipendente, non determina la decadenza dell’azione disciplinare né della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare siano comunque compatibili con il principio di tempestività;

– nel caso in cui la sanzione disciplinare inflitta sia annullata in sede giurisdizionale per violazione del principio di proporzionalità, sui medesimi fatti (superandosi il divieto ne bis in idem) si può riaprire il procedimento disciplinare entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.

 

VI. Se ci si accosta frigido pacatoque animo al dato normativo, ancorché virtuale, non può certo dirsi ripristinata quella signoria del contratto siccome dotato di forza espansiva e tracimante, com’era prima della Riforma Brunetta: che il patto del 30 novembre 2016 tra la Funzione Pubblica e CGIL-CISL-UIL (supra) aveva inteso prenotare nelle conseguenti – ma, di tutta evidenza, disattese – modifiche normative del Testo Unico in discorso.

Certamente, oltre all’opportuna eliminazione delle gabbie brunettiane sul merito, risultano allargati gli ambiti di esercizio della partecipazione sindacale, peraltro tutti da definire.

E’ stato poi previsto che il dirigente deve motivare il pregiudizio alla funzionalità dell’ufficio prima di emanare l’atto unilaterale sulle materie di mancato accordo, ma non è stata corrisposta la pretesa dei sindacati di porre un limite alla sua durata massima (cosa che di per sé ne avrebbe vanificato la funzione).

E, soprattutto, nulla c’è nel testo licenziato dal Governo che facoltizzi il sindacato nella pretesa regolazione dei pertinenti aspetti organizzativi connessi ai diritti e alle garanzie del lavoratori, per interferire sui medesimi e sulle prerogative dirigenziali.

Insomma, ben poco di rivoluzionario, come può dedursi in controluce dall’ultimo, striminzito, comunicato congiunto di CGIL-CISL-UIL, in cui si dà mostra  di condividere, nella conclusa prima fasel’inizio del riequilibrio fra legge e contratto ed una prima apertura sulle materie da devolvere alla contrattazione; per poi sollecitarsi la ministra Madia a proseguire il confronto a completamento del cuore dell’accordo del 30 novembre, di puntare sulla contrattazione e su nuove relazioni sindacali.

In questo strutturalmente immodificato quadro normativo, a fortiori è ora ancor più privo di qualsivoglia base giuridica il menzionato Accordo del 29 dicembre 2016, che ha partorito un monstrum di 85 pagine formato A/4, 49 articoli, più tabelle ed allegati per conservare ai docenti tutti gli automatismi del personale ATA e dunque per reintrodurre la mobilità selvaggia su ambiti e su singole scuole, palesemente contra legem, dato che dall’anno scolastico 2106/17 la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli ambiti territoriali (art. 1, comma 73, legge 107/15) e quivi vincolandola per almeno un triennio. Come contra legem sono gli accordi a latere che parimenti si propongono di negoziare la chiamata diretta e il bonus premiale, infine provando a metter becco in materia di sanzioni disciplinari: giusto per completare il lucido disegno di erosione dei poteri dei dirigenti scolastici, inversamente proporzionali al mantenimento delle ramificate tutele impiegatizie dei lavoratori.


* articolo in pubblicazione nel numero di aprile 2017 della rivista DIRIGERE LA SCUOLA, Euroedizioni, Torino, per gentile concessione dell’editore

Scuola CineMAF

Socloo e MAF Media, in collaborazione con l’Istituto Luce Cinecittà, rendono social il Cinema, portandolo in streaming a Scuola con il progetto Scuola CineMAF

Dalla partnership tra Socloo (il primo social network per la scuola digitale italiana) e MAF Media, nasce il progetto Scuola CineMAF: un modulo di streaming legale che offre a tutti gli Istituti scolastici d’Italia la possibilità di proiettare film a scuola e di utilizzare il materiale didattico messo a disposizione online all’interno della piattaforma didattica Socloo.

Già all’inizio del ‘900 Pirandello aveva acutamente colto quale
sarebbe stato il futuro della comunicazione: “I Giovani, tra
qualche tempo, guarderanno più pellicole che leggere libri”.Nelle
sue parole appariva già la certezza che i ragazzi del futuro
avrebbero trovato nel Cinema non solo un semplice strumento di
intrattenimento, ma anche una fonte di conoscenza inesauribile e
al passo con la “società dell’immagine”.

Le previsioni Cisco VNI dicono che oggi il video rappresenta il 68% dell’intero traffico Internet, ma da qui al 2020 raggiungerà l’82%. Bisogna dotare le nuove generazioni di una capacità critica con cui filtrare e giudicare un contenuto multimediale. Gli insegnanti sono indispensabili in questo compito e il Cinema, oggi, rappresenta uno strumento maturo, pronto e indispensabile per sviluppare questa importante competenza nei giovani.

Oggi le pellicole sanno insegnare, educare ed emozionare con la stessa intensità di altri medium quali la letteratura, la pittura o la musica. Per questi motivi Soclooe MAF Media hanno lanciato il progetto Scuola CineMAF, che permette attraverso lo streaming legale di organizzare leproiezioni direttamente a scuola. Il catalogo ricco di novità dai festival del cinema, e non solo, propone oltre a pellicole occidentali anche film provenienti da altri stati, in cui la stessa libertà d’espressione diventa tragicamente causa di persecuzioni.È tutto molto semplice, dopo aver scelto il film e aver pagato il biglietto digitale il film è subito disponibile per la trasmissione in streaming sulla LIM o sul Pc. I titoli presenti a catalogo sono forniti da diversi distributori cinematografici italiani, tra cui l’Istituto Luce Cinecittà, che ha messo a disposizione alcuni documentari che fanno parte dell’immenso patrimonio audiovisivo che possiede. Il progetto non si limita a fornire solo un catalogo di film, ma prosegue anche con proposte creative e percorsi rivolti all’approfondimento e alla ricerca documentaristica su fonti storiche, filosofiche e sociologiche. Fornisce inoltre all’insegnante il materiale didattico utile ad offrire spunti per il dibattito in classe per la creazione di testi scritti e questionari direttamente nell’area didattica in Socloo.

La presentazione ufficiale del nuovo modulo all’interno di Socloo avverrà in occasione del Festival della Didattica Digitale che si terrà a Lucca dal 20 al 25 febbraio, con due workshop che si
terranno nella giornata del 21, dal titolo “Che lo spettacolo in classe abbia inizio!”, il primo alle 11:30 e il secondo alle 17:30.

Maggiori info:
Sito Socloo: www.socloo.org
Contatto mail: info@socloo.org

Socloo, è il primo Social Network Didatticoitaliano, made in Italy al 100%, pensato e sviluppato esclusivamente per la Scuola Digitale Italiana.Disponibile per Tutte le Scuole (Primarie, Secondarie di I e II grado), totalmente gratuito, sicuro e protetto.

MAF Media è una Media Company indipendente, attiva nella produzione e distribuzione di contenuti cinematografici e audiovisivi con particolare attenzione alle opportunità distributive del canale New Media. Distribuisce sul web attraverso le proprie Property e Partner Selezionati e nel segmento Sala, attraverso Co-Distribuzioni con società attive nel settore Theatrical.

Fuoco alle polveri dei trasferimenti, obiettivo: chiudere presto

da ItaliaOggi

Fuoco alle polveri dei trasferimenti, obiettivo: chiudere presto

Per i docenti domande entro il 31 marzo. ultimi movimenti comunicati il 15 giugno, ata entro il 19 luglio

Carlo Forte

Al via la mobilità a domanda. I docenti di ruolo delle scuole di ogni ordine e grado potranno presentare le domande negli ultimi quindici di giorni del mese di marzo. I termini non sono ancora stati fissati ufficialmente dal ministero dell’istruzione. Ma secondo quanto risulta a Italia Oggi, dovrebbero essere fissati all’incirca dal 14 marzo al 31 dello stesso mese, salvo proroghe.

Nell’ultimo incontro che si è tenuto a viale Trastevere il 23 febbraio tra i sindacati e i rappresentanti dell’amministrazione è emerso che il ministero sarebbero disponibile a concedere ai docenti altri 3 giorni per compilare le domande. Se così fosse il termine potrebbe slittare al 3 aprile. Il condizionale è d’obbligo perché il ministero non ha ancora pubblicato l’ordinanza. Ma l’obiettivo è chiaro: chiudere il prima possibile, anche per evitare il caos dello scorso anno.

E in ogni caso, anche dopo la fissazione ufficiale dei termini, non sono rari i casi in cui l’amministrazione provveda a farli slittare di qualche giorno. Spesso ciò accade per andare incontro alle esigenze dei diretti interessati, anche per correggere eventuali errori del sistema informativo. Oppure per consentire agli uffici di avere qualche giorno in più per gestire più efficacemente le operazioni. I termini per la presentazione delle domande di trasferimento e passaggio da parte degli educatori dovrebbero andare dal 10 aprile al 28 dello stesso mese, mentre, per il personale Ata, il periodo utile per presentare le istanze dovrebbe andare dal 26 aprile al 16 maggio. Salvo ulteriori proroghe, le domande dei docenti di scuola dell’infanzia dovrebbero essere comunicate al sistema informativo dell’istruzione (Sidi) entro il 18 aprile e l’esito dei movimenti dovrebbe essere reso noto il 16 maggio prossimo.

Le istanze dei docenti di scuola primaria dovrebbero essere comunicate al Sidi sempre entro il 18 aprile, ma i movimenti dovrebbero essere pubblicati il 4 maggio. Per la scuola secondaria di I grado i termini ipotizzati sono: il 15 maggio per la comunicazione delle domande al Sidi e il 31 maggio per la pubblicazione dei movimenti. Per la scuola secondaria di II grado il termine ultimo per comunicazione al Sidi delle domande di mobilità dovrebbe essere il 31 maggio e la pubblicazione degli esiti dovrebbe avvenire il 15 giugno.

Per la mobilità professionale verso le discipline specifiche dei licei musicali il termine ultimo per la comunicazione delle domande al Sidi dovrebbe essere fissato al 18 aprile, mentre la pubblicazione dei movimenti dovrebbe avvenire l’11 maggio. Per il personale educativo il termine ultimo ipotizzato per la comunicazione all’ufficio delle domande di mobilità è il 1° giugno, mentre la pubblicazione dei movimenti dovrebbe avvenire il 30 giugno. Infine, l’acquisizione al Sidi delle domande del personale Ata dovrebbe avvenire entro il 26 giugno e la pubblicazione dei movimenti il 19 luglio. Il termine ultimo per la presentazione della richiesta di revoca delle domande, come da prassi, sarà fissato anche quest’anno dieci giorni prima del termine ultimo per la comunicazione al Sidi o all’ufficio dei posti disponibili.

Il personale docente e Ata dovrà inviare le domande di trasferimento e di passaggio, corredate dalla relativa documentazione, all’Ufficio territorialmente competente rispetto alla provincia di titolarità dell’ufficio scolastico regionale o di assunzione attraverso il portale «istanze on line» del sito del ministero dell’istruzione. A questo proposito, nell’apposita sezione del sito «mobilità» saranno fornite indicazioni operative e la modulistica necessaria. Gli educatori, invece, dovranno presentare le domande in formato cartaceo. Idem per quanto riguarda i docenti che chiederanno di accedere alla mobilità professionale verso i posti delle discipline specifiche dei licei musicali.

Le domande per i licei musicali dovranno essere inviate all’ufficio provinciale competente tramite il liceo di destinazione che provvederà alla valutazione delle medesime. Fin qui la procedura ordinaria. Dopo la scadenza dei termini la presentazione delle domande sarà consentita solo ai docenti e al personale Ata che saranno dichiarati soprannumerari.

Idem per il personale destinatario di nomina giuridica a tempo indeterminato successivamente al termine di presentazione delle domande di mobilità. Una volta decorso il termine ordinario di presentazione delle domande, le istanze dovranno essere presentate in formato cartaceo ed inviate all’ufficio scolastico territorialmente competente per il tramite delle istituzioni scolastiche di servizio.

Il termine ultimo delle relative operazioni è quello previsto per la comunicazione a Sidi delle domande del proprio ruolo. L’Ufficio territorialmente competente provvederà all’acquisizione della domanda a sistema se previsto. Analoga possibilità sarà consentita al personale che abbia richiesto e non ottenuto la mobilità professionale verso i licei musicali.

Le domande presentate in formato cartaceo dovranno essere redatte utilizzando i moduli pubblicati nella sezione «mobilità» del sito del ministero dell’istruzione

Niente certificato, arriva l’attestato delle competenze del primo ciclo

da ItaliaOggi

Niente certificato, arriva l’attestato delle competenze del primo ciclo

Decreto sulla valutazione, giallo sul modello unico 2016

Angela Iuliano

Da certificazione ad attestazione delle competenze. Ma la chiave resta una didattica che promuova le competenze, una «rivoluzione» nella scuola italiana che passa dall’art. 10 delle delega sulla riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione. Nella legge 10/2015 si prevede infatti la revisione delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti del primo ciclo di istruzione. Ma nell’art. 10 del decreto legislativo attuativo della delega la parola «certificazione» è sostituita da «attestazione». Infatti, come spiega la stessa relazione tecnica del decreto, sebbene «certificazione» sia usata dalla legge La Buona Scuola, «una vera e propria certificazione delle competenze acquisite presuppone il rilascio esclusivamente da parte di ente esterno certificatore», mentre ad effettuarla in questo caso è l’istituzione scolastica.

Di qui il ricorso al termini «attestazione» delle competenze. La scuola cioè attesterà, in coerenza con le competenze chiave di cittadinanza e con le Indicazioni Nazionali, lo sviluppo delle competenze culturali progressivamente acquisite, anche con lo scopo di favorire l’orientamento per la prosecuzione degli studi. Competenze oggi certificate sia la termine della scuola primaria che al termine delle medie, ma che il decreto stabilisce siano attestate solo a conclusione del primo ciclo di istruzione secondo un modello nazionale che sarà definito con un successivo decreto del Miur.

Di fatto, il decreto a seguito della sperimentazione, che ha avuto avvio nel 2014/15 e che ha coinvolto circa 3.000 istituzioni scolastiche del primo ciclo e che riguarda l’adozione di un modello in linea con le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola primaria e delle medie e con le competenze chiave europee indicate dalle Raccomandazioni del 2006, prevede un modello di attestazione delle competenze trasversali e di quelle chiave di cittadinanza da rilasciare al termine della III media.

Il nuovo modello si dovrà integrare con la normativa vigente sulla certificazione delle competenze. Si apre così una questione. In base alla tempista fissata nella circolare ministeriale n. 3/2015, dopo la sperimentazione nell’anno scolastico 2014/15 e l’adozione generalizzata del suo prototipo nel 2015/16, nell’attuale anno scolastico dovrebbe entrare in vigore il modello unico nazionale previsto dal dpr 122/2009 (art. 8). C’è, quindi, da definire se il modello unico nazionale verrà adottato ugualmente o se si aspetterà il decreto attuativo delle delega che interviene sulla stessa materia.

L’attestazione delle competenze, inoltre, presuppone la loro promozione tra gli studenti, richiede un’azione didattica specifica e incisiva che non si limiti ad un approccio solo disciplinare. Necessità dell’uso di didattiche attive, operative, partecipative, laboratoriali, come cooperative learning, peer education, flipped classroom. Ma di un diverso uso del tempo, nuova gestione della classe, favorire il dialogo tra discipline e sapere, contrappuntare il curricolo verticale in termini di progressione delle esperienze.

Certificazione delle competenze del I ciclo: prosegue la sperimentazione, con alcune modifiche

da La Tecnica della Scuola

Certificazione delle competenze del I ciclo: prosegue la sperimentazione, con alcune modifiche

Il Miur ha trasmesso, con la nota prot. n. 2000 del 23 febbraio 2017, le  linee guida per la certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione.

Si tratta di un documento che, riprendendo le precedenti Linee Guida allegate alla C.M. n. 3 del 13 febbraio 2015, propongono un modello sperimentale con alcune modifiche, suggerite dalle scuole che hanno effettuato la sperimentazione negli anni scolastici 2014/2015 e 2015/2016.

Tali indicazioni devono essere prese a riferimento dalle scuole nell’a.s. 2016/2017.

Ricordiamo che il documento di certificazione delle competenze, che la scuola è tenuta a rilasciare alla fine della classe quinta di scuola primaria e alla fine della classe terza di scuola secondaria di primo grado, è consegnato alla famiglia dell’alunnoe, in copia, all’istituzione scolastica o formativa del ciclo successivo.

La certificazione è strumento utile per sostenere e orientare gli alunni nel loro percorso di apprendimento dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado e, successivamente, sino al conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica professionale.

Alla nota il Miur propone in allegato due modelli: uno riguardante la certificazione delle competenze al termine della scuola primaria e l’altro al termine del I ciclo.

Nuovo testo unico: il ds può sospendere i docenti

da La Tecnica della Scuola

Nuovo testo unico: il ds può sospendere i docenti

Lo schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al testo unico del pubblico impiego è stato depositato alle Camere.
Il provvedimento riporta il numero 393 e dovrà essere esaminato dalle Commissioni Lavoro e Bilancio oltre dalla Commissione parlamentare per la semplificazione.
Deputati e senatori avranno tempo fino al 29 aprile per formulare il proprio parere, dopo di che il Governo potrà adottare il testo definitivo del decreto.
Il provvedimento è particolarmente complesso e consta di 24 articoli che modificano in modo più o meno significativo numerose disposizioni del “vecchio” testo unico sul pubblico impiego 165 del 2001.
Per quanto riguarda la scuola le norme più importanti riguardano la possibilità dei contratti nazionali di intervenire sulle disposizioni di legge e il codice disciplinare.
Su questo secondo aspetto va subito chiarito che le notizie finora diffuse risultano completamente smentite da una lettura accurata del testo e della relazione allegata: il nuovo decreto chiarisce una volta per tutte che la sanzione della sospensione dal servizio fino a 10 giorni rientra fra le competenze del dirigente scolastico.
Sulla questione del rapporto legge-contratto risultano pienamnte confermate le nostre anticipazioni di qualche ora fa.
Il decreto, quindi, non sembra affatto andare nella direzione sperata dalle organizzazioni sindacali che certamente si faranno sentire quanto prima.

 

Istruzione domiciliare a causa di bullismo, docenti non qualificati, edifici fatiscenti

da La Tecnica della Scuola

Istruzione domiciliare a causa di bullismo, docenti non qualificati, edifici fatiscenti

Se la scuola significa “trenta in una classe con una sola insegnante e la maggioranza dei bambini lasciati a se stessi, la competizione, i voti, il bullismo (…) e gli edifici bruttissimi”, allora la risposta è: homeschooling, la scuola a domicilio, dove la mamma e la maestra sono la stessa persona.

Sulla stampa nazionale il dibattito si fa serrato e su Repubblica si cerca una spiegazione: cosa spinge una famiglia a scegliere l’istruzione domiciliare?

Negli Stati Uniti scelgono di tenere i figli lontani dalla scuola pubblica per un diffuso antistatalismo, nella convinzione che essa trasmetta un’idea corrotta della società, parlando di molti argomenti che per le famiglie dovrebbero restare in capo esclusivamente ai genitori. Costoro hanno votato in massa per Donald Trump che ha promesso anche un voucher.

In Italia l’istruzione domiciliare è legittimato dalla Costituzione sulla base del principio che la scuola non è obbligatoria ma l’istruzione sì e le famiglie vi optano perché spaventate dalla proposta educativa pubblica: scuole fatiscenti, classi numerose, fenomeni di bullismo, sovraccarico di compiti: queste le ragioni fondamentali di chi fugge dalla scuola pubblica.

Ma ci sono anche le ragioni intrinseche: difficoltà ad accettare le frustrazioni dei figli, scetticismo rispetto alla preparazione degli insegnanti, richiesta di autogestione del tempo senza doversi giustificare con l’insegnante di classe, critica diffusa dei programmi di studio, diffidenza nei confronti delle classi multietniche, opposizione ai compiti a casa. E, soprattutto, l’idea di una società incentrata sull’autonomia e l’autodeterminazione della famiglia, in cui l’incontro con l’altro, con idee e opinioni diverse, non è mai un arricchimento ma quasi sempre un pericolo da cui fuggire, per cui al suo interno si selezionano gli argomenti di studio sulla base della propria singola esperienza, e del proprio punto di vista.

Tuttavia, scrive a sua volta Wired.it, dietro al romantico approccio della scuola domiciliare si nasconde un’altra verità: lasciare che sia il bambino a dettare tutti i tempi dell’apprendimento (e non aiutarlo a comprendere ciò che non capisce) significa annullare la fatica, la frustrazione e la spinta al raggiungimento degli obiettivi.

Parole che adesso fanno paura a molti ma che sono alla base di ogni percorso di crescita e di miglioramento.

Una classe/famiglia in cui non ci sono “bravi e meno bravi”, infatti, non significa soltanto evitare che un figlio possa essere “etichettato o classificato”, significa anche lasciare che il nostro bambino non apprenda quegli elementi basilari della convivenza comune che sono l’empatia, il sostegno del più fragile, il mutuo soccorso, il lavoro di gruppo. Se nessuno dimostra le sue mancanze – evitando di doversi confrontare con quello che non sa –  nessuno potrà intervenire ad aiutarlo. Ed entrambi (aiutante ed aiutato) perderanno l’occasione di imparare la capacità di chiedere e ricevere sostegno.

Quando però il bambino passa alle superiori,  impreparato a gestire relazioni complesse e la quotidianità scolastica, visto che è stato abituato ad avere la persistente presenza rassicurante della mamma e incapace di attraversare un conflitto extraparentale, ecco che diventa la vittima perfetta dei bulli, quello da cui i genitori lo volevano proteggere.

no.

Ma se è vero che poche cose sono peggiori di una maestra svogliata con un metodo di apprendimento impositivo e violento, d’altra parte un bambino lasciato in balìa del suo istinto si convincerà di non dover fare i conti con nessuno.

Dalla confusione tra ruoli, e dall’assenza di figure adulte extragenitoriali con cui doversi confrontare, il bambino riceverà anche un rinforzo del suo naturale egocentrismo, scrive ancora Wired.it, la convinzione di poter decidere in autonomia i tempi della propria vita, la sensazione costante di essere al centro di un mondo che ruota intorno a lui.

Perché la scuola  non è soltanto il luogo dell’apprendimento del programma.

E’ uno spazio di confronto e di esperienza delle relazioni sociali, del rapporto adulto/bambino, della risoluzione del conflitto, dell’acquisizione dell’autonomia, del confronto con gli altri, della scoperta di quello che è distante da noi.

E se è vero che la scuola italiana vive un momento di grossa crisi, la scelta di chiudersi in casa per non assistere al declino, dimostra paura e autoreferenzialità.

Perchè, come diceva il pedagogista Paulo Freire, che ha combattuto tutta la vita per fare emergere il valore profondo dell’istruzione: “Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo”.

Mobilità, Gilda: trattativa su chiamata diretta ancora nel tunnel

da La Tecnica della Scuola

Mobilità, Gilda: trattativa su chiamata diretta ancora nel tunnel

“Si intravede una flebile luce, ma la trattativa per raggiungere l’accordo sulla chiamata diretta è ancora in un tunnel. Il confronto con l’Amministrazione prosegue ormai da mesi, ma si torna sempre al punto di partenza e per il momento riteniamo che non ci sia ancora alcuno spazio per la firma del contratto”. È quanto dichiara Maria Domenica Di Patre, vice coordinatrice nazionale della Gilda degli Insegnanti, in merito all’incontro che si è svolto ieri al Miur sulla mobilità.

“Viene diminuito il numero dei requisiti da prendere in considerazione per passare dall’ambito territoriale alla scuola, ma la musica non cambia perché il Collegio dei docenti non può deliberare, ma esprimere semplicemente un parere, e – spiega Di Patre – non è riconosciuta in nessun modo l’esperienza didattica maturata dai docenti che insegnano da tanti anni: punteggi e graduatorie non contano e tutti gli insegnanti restano in balìa della discrezionalità del dirigente scolastico”.

“Sarebbe stato opportuno attuare una deroga in attesa di un provvedimento legislativo che modificasse almeno gli aspetti più deleteri della legge 107/2015 che – conclude la vice coordinatrice della Gilda – hanno provocato nelle scuole un clima di forte scontento e caos”