LA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE TRA STATO E REGIONI IN MATERIA DI ISTRUZIONE

LA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE TRA STATO E REGIONI IN MATERIA DI ISTRUZIONE DOPO IL REFERENDUM DEL 4 DICEMBRE 2016

Intervento dell’Avv. Maurizio Danza Prof. di Diritto del Lavoro presso Unimercatorum al Convegno FSI “Il federalismo in Italia dopo il referendum 4 dicembre 2016” Piazza Margana,21 -16 marzo 2016 Roma.

E’ indubbio come la problematica delle conseguenze derivanti dal referendum del 4 dicembre 2016 in materia di istruzione,  non possa prescindere anche dalla analisi della recente pronuncia n. 284 del 21 dicembre 2016 della Consulta , che si è espressa  in merito ai ricorsi promossi dalla Regione Puglia e Veneto in merito a profili di illegittimità di talune disposizioni della L.n. 107/2015, ( c.d. Buona scuola); infatti con tale pronuncia la Corte ha dichiarato in primo luogo l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 153 della “buona scuola”relativo agli interventi per la costruzione di “scuole innovative” , nonché del comma 181, lettera e, n. 1.3) ” nella parte in cui non tiene conto della competenza del legislatore regionale in merito alla “ individuazione degli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia” e che mette a rischio la proposta del Governo contenuta nella c.d. delega “per l’istruzione da 0-6 anni” relativa ai servizi per la scuola dell’infanzia di cui al ddl n.380 .La pronuncia è di particolare interesse, atteso che dalla analisi degli altri istituti introdotti dalla L.n.107/2015  pur se non ritenuti illegittimi dalla Corte, emergono elementi di preoccupazione in merito a taluni istituti della riforma dell’istruzione desumibili dagli altri disegni di legge governativi ,nei quali il tema della ripartizione tra competenza legislativa concorrente ed esclusiva tra Stato e Regioni appare problematico . A tal proposito, sia la problematica “dell’offerta formativa dei percorsi di istruzione e formazione professionale” la cui attribuzione con norma di legge ordinaria al MIUR sulla base del co.180 e 181 della L.n.107/2015, violerebbe la competenza esclusiva delle regioni, nonchè quella in merito agli “ulteriori percorsi formativi” ad opera degli Istituti tecnici superiori, con riferimento al co.47, sui quali la Consulta ha confermato la competenza regionale sia in tema di attivazione dei percorsi che esclusiva in materia di autorizzazione di questi ultimi. Di grande attualità inoltre, la questione che ha investito la legittimità dello Stato di regolamentare in via esclusiva i c.d. “ambiti territoriali” previsti dal c.66 della L.n.107/2015, confermata dalla Corte con l’argomentazione secondo cui “nel caso di specie non si versa in un caso di “distribuzione del personale tra le scuole”, ma che senza dubbio pone una seria ed approfondita riflessione sul tema delle “reti tra scuole”, che stando all’art.138 co.1 lett.b del D.lgs.n°112/98, in quanto corollario della” programmazione della rete scolastica “sembrerebbe da ascrivere alla competenza delle Regioni .In tal senso anche la problematica dell’organico dell’autonomia di cui al c.68 della L.n.107/2015 sottoposta alla Corte, che nel confermarne la legittimità della competenza dello Stato, argomenta che l’incremento dell’organico del personale statale della scuola è materia sottratta alla competenza regionale. Certamente accanto a detta pronuncia, in tale processo di ricostruzione ermeneutico degna di rilievo è la nota sentenza della Consulta 18 dicembre 2003-13 gennaio 2004, n. 13, che costituisce in materia scolastica, senza dubbio la prima interpretazione della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre del 2001 di “modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”; essa aveva infatti, riconosciuto ai Comuni, le Province, le Città Metropolitane, e le Regioni come istituzioni costitutive della Repubblica, al pari dello Stato, nonché le stesse scuole elevate dalla legge costituzionale, al rango di autonomie costituzionalmente riconosciute e ridefinendo un nuovo assetto delle competenze in materia di istruzione . In particolare con la pronuncia n.13/2004 la Consulta pur riconoscendo l’illegittimità del co. 3, dell’art. 22, della L.28 dicembre 2001, n. 448 (  finanziaria per il 2002), “nella parte in cui non prevedeva che la competenza del dirigente preposto all’Ufficio scolastico regionale della disposizione impugnata, venga meno quando le Regioni nel proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del servizio di istruzione, con legge, attribuiscano a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche”, congela gli effetti della stessa in ottemperanza del “principio di  continuità” al fine di evitare una paralisi nel funzionamento del sistema di istruzione pubblica ed il conseguente pregiudizio al diritto allo studio. Da detta sentenza, e a seguito dei risultati del referendum del 4 dicembre 2016, riemerge in tutta la sua forza la problematica del ruolo costituzionale attribuito alle Regioni nella “gestione dell’istruzione e formazione professionale”, che va ascritto nel più generale ruolo politico di programmazione, fondato principalmente sulla normativa costituzionale, ma che richiede certamente una attività di integrazione tra le politiche del lavoro, di utilizzo dei fondi strutturali europei, del diritto allo studio e delle professioni : politiche diverse ma certamente centrali per il ruolo attribuito alle Regioni dalla riforma della costituzione del 2001. Decisamente in controtendenza rispetto a questo percorso si è posta la L. 28 marzo 2003, n. 53, di delega al governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, che nel ricondurre all’area della competenza legislativa esclusiva la formazione professionale, costituì una indubbia scelta problematica, atteso che, qualificata anche in termini di istruzione, essa appariva assoggettata ai limiti propri dell’istruzione compromettendo il ruolo della “formazione professionale integrata”, quale anello dello sviluppo economico locale in connessione alle politiche del lavoro, industria, innovazione tecnologica attribuite alle Regioni. In verità la Consulta già con la pronuncia n. 200 del 2009 aveva tracciato il quadro organico in tema di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, definendo nei dettagli sia le norme generali attribuite allo Stato in via esclusiva sia i livelli essenziali delle prestazioni, che i principi fondamentali a cui si deve ispirare la legislazione concorrente delle Regioni, richiamandosi quanto a questi ultimi in particolare agli art. 33 e 34 della Costituzione. Successivamente, la Corte Costituzionale con sentenza n. 33 del 2005 si era espressa sulla legittimità della c.d. legge 10 marzo 2000, n. 62 sulla parità scolastica , adottata nel previgente riparto di competenze tra Stato e Regioni , estendendo la tutela del diritto allo studio alfine di rafforzarne la sua effettività, a tutte le scuole dell’integrato sistema di istruzione e dunque anche alle scuole paritarie, limitando l’esercizio delle competenze regionali . Nell’ottica invece, di una esaltazione del nuovo ruolo delle Regioni si esprime invece la sentenza n. 34 del 2005, in cui la Corte ribadì che, già la normativa antecedente alla riforma del Titolo V, cioè l’art. 138 del D.lgs. n. 112 del 1998 attribuiva alle Regioni la competenza in materia di “dimensionamento delle istituzioni scolastiche e programmazione scolastica”. Con la successiva sentenza n. 37 del 2005, la Consulta intervenne poi per circoscrivere gli ambiti di autonomia delle istituzioni scolastiche la quale “non può in ogni caso risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi che le leggi statali e quelle regionali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare”. Alla luce di tale ricostruzione, appare indispensabile un accordo quadro operativo tra Stato e Regioni per garantire ad entrambi “la partecipazione al governo del sistema educativo che ne garantisce l’unitarietà e ne migliora la qualità.” Infatti, oltre all’importante tema del conferimento delle funzioni e dei servizi, occorre dare risposte alla problematica dell’organizzazione e gestione dei dati relativi al sistema educativo, sia  per la istruzione che per la istruzione e formazione professionale; alla sperimentazione di nuovi modelli organizzativi, nonché alla dipendenza organica e funzionale del personale . È opportuna ed auspicabile ora, una rapida definizione ai suindicati problemi, atteso che la scuola, più che di inutili e complicate dispute giuridiche, necessita di efficaci scelte politiche, nazionali e locali, in grado di rispondere ai problemi concreti sempre più pressanti.

Reclutamento. Il parere del Senato

Scuola. Reclutamento. Il parere del Senato è un risultato importante. Vigileremo sulla trasparenza dei passaggi, ancora però poco chiari

Il parere rilasciato dal Senato sulla delega relativa alla formazione iniziale e al nuovo reclutamento registra un importante risultato per il quale la FLC CGIL ha lavorato in questi anni, ma soprattutto in questi ultimi due mesi sui decreti delegati previsti dalla legge 107/15.

Finalmente i precari della seconda fascia d’istituto potranno entrare in una graduatoria di merito che sarà dichiarata ad esaurimento. È un risultato che rende giustizia alla professionalità di quanti avendo l’abilitazione e spesso anche la specializzazione sul sostegno, da anni garantiscono il regolare funzionamento delle scuole.

È un primo passo verso la stabilizzazione del precariato storico.

Vigileremo sulla trasparenza dei passaggi, ancora poco chiari, che saranno necessari per l’ingresso nella graduatoria di merito, ma soprattutto lavoreremo perché anche i precari della terza fascia con 36 mesi di servizio possano aspirare alla stabilizzazione senza incappare nelle regole del nuovo sistema di reclutamento previsto dal decreto delegato.

Roma: corsi di laurea triennale per Mediatori per l’intercultura e la coesione sociale in Europa

Inaugurati a Roma nuovi corsi di laurea triennale
per Mediatori per l’intercultura e la coesione sociale in Europa

Fedeli: “Segno del riconoscimento da parte delle istituzioni dell’importanza dell’apertura e dell’integrazione
per la costruzione di un futuro di pace per il nostro Paese e l’Europa”

“Inclusione e accoglienza sono elementi fondanti di una società coesa, che fa della differenza fonte di arricchimento e sviluppo, che integra senza escludere né emarginare. L’avvio di questi corsi di laurea triennale, nati sotto l’impulso del Ministero che ho l’onore di servire, del Ministero dell’Interno e della Comunità di Sant’Egidio, per formare figure altamente specializzate di mediatori per l’intercultura e la coesione sociale in Europa, è segno del riconoscimento da parte delle istituzioni dell’importanza dell’apertura e dell’integrazione per la costruzione di un futuro di pace per il nostro Paese”. Così la Ministra Valeria Fedeli in occasione dell’inaugurazione oggi a Roma dei corsi di laurea triennale dedicati alla preparazione delle professionalità denominate MICSE (Mediatori per l’intercultura e la coesione sociale in Europa) presso le Università per gli Stranieri di Perugia, Siena e Reggio Calabria. I percorsi di studio sono finanziati grazie a risorse del fondo FAMI, Fondo asilo migrazione e integrazione. 

“I corsi, che abbiamo fortemente voluto e che oggi sono realtà – ha sottolineato Fedeli –, rimarcano la necessità irrimandabile di un intervento volto a costruire ponti tra culture diverse per permettere scambio e contaminazione, per costruire progresso. Sano, sostenibile, di uguaglianza e pari opportunità. Sono rimasta molto colpita dai dati e dalle informazioni riguardo alla presenza, tra le immatricolate e gli immatricolati a questi corsi, di studentesse e studenti immigrati o nuovi italiani. Sono dati che danno la misura del senso di responsabilità che queste ragazze e questi ragazzi sentono nei confronti di chi, come loro, ha vissuto esperienze di vita di cambiamento e di conquista di nuovi stati esistenziali e nuovi diritti. Vedo questa volontà e questa determinazione come una sorta di ‘give back’ che dovrebbe stimolarci ad essere, giorno dopo giorno, sempre più all’altezza di questo profondo senso civico e di questa apertura di orizzonti che le nuove generazioni possiedono”.

“Il nostro sistema d’istruzione – ha aggiunto – è luogo virtuoso di inclusione, dal quale tutta la società dovrebbe prendere esempio. Nelle scuole italiane studiano ogni giorno oltre 800.000 studentesse e studenti di cittadinanza non italiana. Nelle nostre università, nell’anno accademico 2015/2016, su 271.000 immatricolate e immatricolati il 5% era straniero. Si tratta di giovani che italiane e italiani lo sono di fatto. Manca solo un riconoscimento formale. Per questo ritengo che, come Parlamento, abbiamo il dovere di approvare al più presto la legge che riscrive le regole dell’acquisizione della cittadinanza nel nostro Paese, legge in questo momento al Senato. Si tratta di una norma di civiltà che riconosce la cittadinanza per nascita sul suolo italiano nel caso in cui almeno uno dei genitori di origine straniera abbia il permesso di soggiorno permanente, ius soli temperato, o al termine di un percorso scolastico, ius culturae. Siamo considerati, per la nostra posizione geografica, porta d’Europa. L’approvazione di questa legge, l’inclusione nelle nostre scuole e l’istituzione di questi nuovi percorsi formativi possono fare di noi la casa di nuove cittadine e di nuovi cittadini”.

DISCRIMINAZIONI VERSO I DISABILI

DISCRIMINAZIONI VERSO I DISABILI

Franco Buccino

(REPUBBLICA ED. NAPOLI, 16 MARZO 2017)

Si parla molto in questi giorni del diritto a porre fine alla propria vita in alcune situazioni estreme. Speculare ad esso è il diritto a vivere, a vivere in maniera dignitosa, anche per le persone affette da gravi disabilità. Il primo appassiona molto l’opinione pubblica, gli addetti, gli esperti, i politici, i teologi; il secondo li lascia abbastanza indifferenti. Forse perché sul primo si emettono giudizi, punti di vista, si fanno polemiche, contrapposizioni; con il secondo bisogna confrontarsi, misurarsi, tutti i giorni, in tutte le situazioni. Del diritto alla vita delle persone con gravi disabilità non ne parla volentieri, se non per sostenere una qualche battaglia, neppure chi a loro dedica tutta la vita. Le mamme, i papà e pochissimi altri: lo sanno che la loro sofferenza e insieme determinazione, tristezza e amore, già è difficile capirle, figuriamoci condividerle e farle proprie. Eppure molti di noi, con le nostre associazioni e organizzazioni del Terzo Settore, dedichiamo anche alle persone con gravi disabilità parte del nostro tempo e delle nostre attività. La scuola, quella pubblica, da quarant’anni, le accoglie nelle classi normali dopo aver eliminato il ghetto delle classi speciali e differenziate. Anche i politici, nei luoghi istituzionali, il Parlamento, il Governo, le Regioni, pensano a loro con provvedimenti e leggi. Come l’ultima, quella detta del “Dopo di noi”, per favorire, sostenere e regolamentare quello che i genitori vogliono fare, a favore dei figli disabili, per quando non ci saranno più.

A pensarci bene, non è il massimo che lo Stato faccia una legge del genere. Significa ammettere che se non ci pensano i genitori al futuro dei figli con gravi disabilità, non ci pensa nessuno, di sicuro non lui. Del resto anche leggi più impegnative e più evolute per i disabili rimangono spesso inattuate per mancanza di risorse. E nelle politiche sociali nazionali siamo purtroppo abituati a veder tagliare fondi importanti come quello per la non autosufficienza. I servizi sociosanitari per le persone con disabilità gravi sono sempre inadeguati, e difficilmente vanno oltre il trasporto e la permanenza in un centro diurno con scarse o nessuna attività. Infine c’è un modo quasi odioso di mettere assieme anziani, persone con difficoltà economiche e persone con disabilità, che significa non rispettare le specificità di nessuno, fare d’ogni erba un fascio delle fragilità. Se lo stato non ha in grande considerazione i disabili, non gli è da meno la scuola. Che li coccola solo nel periodo delle iscrizioni, poi le classi si formano con più di venti alunni o con più disabili nella stessa classe, non sempre ci sono insegnanti di sostegno forniti del titolo in numero giusto e per un numero di ore adeguate. A volte mancano servizi esterni fondamentali come il trasporto e l’assistentato materiale. Spesso l’alunno disabile viene portato fuori dall’aula, e le cose non cambiano se è il resto della classe a uscire. Perché la cosa più drammatica che succede nelle scuole è fare programmazioni educativo-didattiche distinte, una per la classe e un’altra per lui.

Perfino le organizzazioni del Terzo Settore a volte non vanno oltre il servizio da erogare alle persone con disabilità gravi. Qualche volta usano strumentalmente il disabile e i suoi problemi per salvare il loro lavoro così spesso a rischio. Tante volte, associazioni di disabili e loro familiari sono inserite tra i partner di un progetto più ampio solo per il punteggio. Nelle associazioni, di volontariato e di promozione, prevale l’idea che le persone con disabilità gravi siano persone fragili, escluse spesso, che vanno aiutate o beneficate, a seconda della visione di volontariato che si ha.Ma non basta fare leggi a loro favore, farli stare a scuola, dedicare loro tempo e attività il Terzo Settore, se continuiamo a considerarli diversi e altro da noi. E se ci convincessimo che queste persone sono cittadini che vogliono e devono esercitare i loro diritti di cittadini e che noi, semplicemente, li sosteniamo nell’esercizio e nella rivendicazione di tali diritti? Che non sono altro da noi, che non sono diversi. Che è esattamente quello che pensano le mamme, i papà, i fratelli e le sorelle.

Professori, il reclutamento cambia ancora

da Il Sole 24 Ore 

Professori, il reclutamento cambia ancora

di Claudio Tucci

Le commissioni Cultura e Lavoro della Camera depositano il parere sul Dlgs che riforma l’accesso in cattedra a medie e superiori: a settembre i posti vacanti e disponibili (comprese le nuove cattedre che da fatto passeranno in diritto – è in corso un braccio di ferro con il Mef) saranno coperte al 50% attingendo dalle Gae (le «Graduatorie a esaurimento»), fino al loro completo svuotamento; e per il restante 50% mediante scorrimento delle graduatorie di merito dei concorsi banditi ai sensi della Buona Scuola, anche in deroga (e questa è una novità) al limite del 10 per cento dei posti messi a bando, previsto dall’articolo 400, comma 15, del decreto legislativo n. 297 del 1994, «limitatamente – però – a quanti abbiano raggiunto il punteggio minimo previsto dal bando, avendo comunque riguardo ai legittimi diritti dei vincitori di concorso di essere immessi in ruolo». Vale a dire che saranno assunti, dove ci saranno posti e necessità, i cosiddetti “idonei fantasma”.

Le nuove regole
Nel 2018, poi, partirà il primo concorso con le nuove regole (il cosiddetto «Fit», percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente), comprensivo della quota riservata per i prof non abilitati con almeno tre anni di servizio. Potranno partecipare neo laureati che abbiano conseguito almeno 24 crediti formativi in “discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche”. I vincitori cominceranno il loro percorso formativo nel 2019/2020. Nel frattempo, i docenti abilitati (all’insegnamento nella scuola secondaria o sul sostegno) saranno inseriti, entro l’anno scolastico 2017/2018, in una «speciale graduatoria regionale di merito», ad esaurimento, sulla base dei titoli posseduti, ivi incluso il servizio, e «della valutazione conseguita in una apposita prova orale di natura didattico-metodologica, alla quale è riservata una quota significativa del punteggio complessivo in base al quale sarà formulata detta graduatoria». Tra i titoli posseduti sarà preso in considerazione anche il superamento di prove concorsuali di precedenti concorsi per l’immissione in ruolo nella scuola. Un concorso “leggero” che terrà conto anche del superamento di prove concorsuali di precedenti concorsi. Questi docenti saranno ammessi direttamente al terzo anno del nuovo percorso di ingresso nella scuola. Si tratterà di una sorta di anno di prova “rafforzato”, durante il quale saranno valutati sul campo e a cui poi potrà seguire la definitiva immissione in ruolo. A questi docenti dovrà essere riservata una quota di posti vacanti decrescente nel tempo. Infine, la fase transitoria proposta dalle Camere, prevede che i docenti non abilitati «che abbiano svolto almeno 3 anni di servizio entro il termine di presentazione delle domande siano ammessi a partecipare a speciali sessioni concorsuali loro riservate» che si svolgeranno in contemporanea al nuovo concorso del 2018. I vincitori saranno ammessi al percorso di formazione direttamente al secondo anno, con esonero dalla parte formativa
e dei crediti avendo già insegnato per almeno 36 mesi. La procedura concorsuale consisterà in una prova scritta e in una orale.

Il «Fit»
Il parere dei parlamentari della Camera, relatrice Manuela Ghizzoni (Pd), è ora sul tavolo della ministra, Valeria Fedeli: la nuova articolazione dell’accesso alla cattedra servirà, spiegano fonti vicine al dossier, a coprire essenzialmente i posti del Nord (vuoti, per via dell’esaurimento delle Gae e anche delle graduatorie d’istituto); e a creare un sistema armonico e una fase transitoria, piuttosto delineata, per consentire un passaggio soft al nuovo sistema di reclutamento, imperniato nel «Fit», il nuovo sistema triennale per diventare professore, con un primo anno finalizzato al conseguimento della specializzazione, e un secondo e un terzo di formazione, tirocinio e inserimento nella funzione docente.

Scuola, il Senato respinge la proposta della Fedeli: “No alla bocciatura, ai voti in numeri e all’Alternanza lavoro”

da Il Fatto Quotidiano

Scuola, il Senato respinge la proposta della Fedeli: “No alla bocciatura, ai voti in numeri e all’Alternanza lavoro”

di Alex Corlazzoli

No ai voti in numeri e alla bocciatura alla scuola del primo ciclo, no all’esito delle prove Invalsi nel curriculum dello studente della scuola superiore e un secco no anche alla scuola alternanza lavoro come requisito necessario per l’ammissione alla maturità. Il parere della settima commissione del Senato relativo allo schema di decreto sul tema della valutazione, chiede un deciso passo indietro alla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli.

Le dieci pagine trasmesse in queste ore in viale Trastevere dalla commissione che a Palazzo Madama si occupa di Istruzione non nascondono perplessità su vari fronti della proposta uscita dal consiglio dei ministri in più punti. Il primo è quello della questione della bocciatura alla scuola primaria. Nella bozza esaminata, dopo che l’ex ministro Stefania Giannini aveva manifestato l’intenzione di togliere la non ammissione alle elementari, la bocciatura era tornata con la seguente dicitura: “I docenti della classe in sede di scrutinio, con decisione assunta all’unanimità, possono non ammettere l’alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione”. Le tre righe non hanno soddisfatto i membri della commissione che nel parere chiedono di inserire altri due commi che ribaltano la filosofia della Fedeli. Nel primo si cita che “gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione”. Nel secondo si vincola ancor più la scuola a non fermare nessuno ma a darsi da fare nei confronti di chi manifesta ritardi: “Nel caso in cui le valutazioni periodiche o finali degli alunni indichino livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione, l’istituzione scolastica nell’ambito dell’autonomia didattica e organizzativa, attiva specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento”.

Un’impostazione diversa da quella della bozza di decreto: “Nella scuola primaria – spiega la senatrice Francesca Puglisi, relatrice e responsabile scuola del Partito Democratico – è importante rispettare i tempi di apprendimento di ciascun bambino per accompagnarlo davvero al successo formativo. La bocciatura tout court è insensata. Potrebbe essere ipotizzabile solo se c’è un accordo con la famiglia per aumentare il grado di sicurezza, magari, nel passaggio all’ordine di scuola successivo. Devono restare casi rari. Il concetto di eccezionalità previsto nel decreto lo abbiamo voluto sottolineare inserendo questi due commi con i quali ribadiamo il fatto che la scuola si deve adoperare per garantire ai bambini il recupero dei livelli di apprendimento”.

Netta la bocciatura anche nei confronti dei voti numerici. La commissione in questo caso chiede alla Fedeli di far sparire i voti numerici per sostituirli con “una votazione espressa in cinque livelli di apprendimento identificati con lettere o aggettivi descrittivi in un’apposita rubrica”. Insomma si torni all’ “A-B-C-D-E” o all’ “Ottimo, buono, discreto, sufficiente e scarso” ma con tanto di motivazione scritta dall’insegnante.  Restando in tema di voti le dieci pagine chiedono di fare retromarcia anche sulla questione dell’Invalsi: “Bene l’obbligatorietà della partecipazione alle prove per l’accesso all’esame di Stato ma riteniamo che debbano essere fatte all’inizio dell’anno scolastico e che il voto non debba entrare nel curriculum dello studente. Come stabilisce il Dpr 80 queste prove devono servire alla scuola come strumento per verificare che la propria didattica sia davvero efficace”, spiega la Puglisi.

In concreto nel testo firmato dai senatori si chiede di “sopprimere” i commi 3 e 5 dell’articolo 21 dove si prevedeva che “l’esito delle prove Invalsi sostenute nell’ultimo anno” fosse “riportato all’interno del curriculum dello studente” e considerato anche dalle Università “per l’accesso ai percorsi accademici”.  Ma non basta. La penna rossa di chi siede a palazzo Madama ha colpito anche sulla questione scuola alternanza–lavoro. Il ministero, infatti, aveva previsto all’articolo 15 di considerare questa esperienza un titolo necessario per essere ammessi alla maturità ma la commissione, rendendosi conto che non in tutto il Paese è possibile effettuare l’attività prevista dalla Legge 107, ha “invitato il Governo a valutare l’opportunità di considerare lo svolgimento dell’alternanza scuola lavoro quale requisito di ammissione”.

Infine una vittoria anche per le associazioni delle famiglie di disabili. La bozza di decreto aveva parlato di “prove non equipollenti a quelle ordinarie” in merito all’esame di terza media ma la commissione ha cancellato questo termine. “Credo vi sia stato un problema di scrittura da parte del ministero. Abbiamo ripristinato tutte le equivalenze. Anche se vengono usate prove equipollenti, l’esame di terza media deve valere alla pari di quello dei compagni di classe. Siamo all’avanguardia e non dobbiamo fare passi indietro”, dice Puglisi.  Ora la palla passa alla ministra Fedeli che dovrebbe tenere in considerazione il lavoro fatto dalle commissioni.

Decreti attuativi: giovedì 16 sprint finale in Parlamento

da La Tecnica della Scuola

Decreti attuativi: giovedì 16 sprint finale in Parlamento

Nella giornata di giovedi 16 marzo le Commissioni di Camera e Senato dovrebbe concludere l’esame degli schemi degli 8 decreti applicativi della legge 107.

In realtà i termini scadono il giorno 17, ma normalmente nella giornata di venerdì le Commissioni non lavorano e quindi tutto si dovrà concludere giovedì 16, con un vero e proprio tour de force finale.
Ad oggi la Camera ha espresso parere sui decreti sulle scuole italiane all’estero, sulla cultura umanistica e sulla valutazione.
Nelle giornate di martedi 14 e mercoledì 15 la Commissione Cultura ha esaminato i decreti sull’inclusione, sul sistema 0-6 anni ma senza ancora votare il parere definitivo.
Quindi giovedì 16 ci sarà il voto su questi 3 decreti e si dovrebbero esaminare i due decreti rimanenti (diritto allo studio e istruzione professionale).
Al Senato,in Commissione Cultura, i tempi sono altrettanto ristretti.
Nella giornata di mercoledì 15 sono stati approvati i pareri sul decreto su formazione iniziale e reclutamento e sul sistema 0-6 anni. La scorsa settimana si erano chiusi i lavori sui decreti  valutazione cultura umanistica.
Quindi giovedì 16 sarà necessario licenziare gli ultimi 4 provvedimenti rimasti: diritto allo studio, inclusione, istruzione professionale e scuole italiane all’estero.
A partire da lunedì tutto tornerà nelle mani del Governo che dovrà aodttare i testi definitivi degli 8 decreti tenendo anche conto dei pareri espressi dalle commissioni parlamentari.

Formazione neoassunti: più di 26.000 i docenti iscritti all’ambiente Indire

da La Tecnica della Scuola

Formazione neoassunti: più di 26.000 i docenti iscritti all’ambiente Indire

26.254 docenti i docenti iscritti in piattaforma tra il 5 dicembre 2016 e il 15 marzo 2017, 22.476 i tutor, 24.957 i bilanci iniziali in lavorazione e 11.298 quelli inviati.

Sono alcuni dei dati che è possibile desumere dal il cruscotto grafico che Indire rende disponibili sul proprio sito per visualizzare alcuni dati relativi alla formazione in corso per l’anno di prova dei docenti neoassunti 2016/17.

Con cadenza quindicinale saranno restituiti alcuni dati esplicativi sull’uso dell’ambiente online, in grado di rappresentare quello che in questo momento sta accadendo nell’ambiente e nella formazione.

Ad esempio, sarà possibile conoscere il numero di docenti e tutor iscritti all’ambiente e quanti di loro sono operativi, quante esperienze di curriculum formativo sono state descritte, quante attività didattiche sono state caricate e il tipo di documentazione multimediale ad esse associato.

Deleghe 107, ripristinate le ore negli istituti tecnici e professionali

da La Tecnica della Scuola

Deleghe 107, ripristinate le ore negli istituti tecnici e professionali

Le Commissioni Cultura di Camera e Senato hanno dato il via libera al ripristino delle ore di attività didattica negli istituti tecnici e professionali.

Il decreto alla legge 107/2015 quindi, andrebbe a sanare in modo definitivo i tagli operati, come ricorda Italia Oggi, dal decreto-legge 112 del 2008, del ministro dell’istruzione Gelmini. Infatti, il ministero targato Fioroni aveva già tagliato con il decreto 41 del 2007 da 40 a 36 ore settimanali, ma con la riforma Gelmini le ore erano scese da 36 a 32.

Per comprendere un po’ la questione, ecco un breve excursus fatto di sentenze e pareri.

Sulla vicenda, infatti, era intervenuto il TAR, che aveva dichiarato illegittimo il taglio operato dal Ministero, evidenziando che i decreti attuativi dei tagli non indicavano i criteri adottati per effettuare le decurtazioni che si erano tradotte in tagli indiscriminati nelle, quarte e quinte classi con ricadute pesanti sugli organici e sull’utenza.

Parere negativo anche dal Consiglio di Stato, che aveva sottolineato “alla luce del sopravvenuto parere emesso dal Consiglio nazionale della pubblica istruzione l’amministrazione scolastica non avrebbe potuto esimersi dal rideterminarsi sulla definizione dell’orario complessivo annuale delle lezioni delle seconde, terze e quarte classi degli istituti tecnici e delle seconde e terze classi degli istituti professionali”.

Il collegio, inoltre, si era espresso anche oltre il mero giudizio di legittimità, entrando nel merito, valutando l’opportunità e la convenienza del provvedimento ministeriale. Il giudizio, dunque, come ancora ricorda Italia Oggi, era andato avanti in I grado in sede di merito, sempre in senso favorevole al ripristino delle ore, ma il Miur ha continuato a non recepire e intervenire sulla questione.

Si è arrivati perciò alla sentenza del Tar Lazio, n.3527, con cui i giudici amministrativi hanno annullato i decreti ministeriali che portano i tagli alle ore, nominando contemporaneamente un commissario ad acta per ripristinare la situazione precedente.
Le commissioni parlamentari, dunque, hanno dovuto soltanto verificare se il nuovo decreto fosse conforme alle indicazioni fornite dal TAR.

Educazione all’imprenditorialità: 50 milioni stanziati dal Miur

da La Tecnica della Scuola

Educazione all’imprenditorialità: 50 milioni stanziati dal Miur

Educare ragazze e ragazzi a saper affrontare successi e fallimenti, ad avere spirito di iniziativa, a progettare e mettere in pratica le loro idee: sono alcuni obiettivi del bando Pon (programma operativo nazionale) dedicato all’imprenditorialità on line sul sito www.istruzione.it/pon. Il bando mette a disposizione delle scuole secondarie di primo e secondo grado 50 milioni di euro per progetti che propongano la conoscenza del “fare impresa” in tutte le sue forme (classica, sociale, cooperativa e loro articolazioni).

“Si tratta di un bando molto innovativo. Con questo avviso guardiamo al futuro delle studentesse e degli studenti. Li aiuteremo a sviluppare il loro spirito d’iniziativa, promuoveremo la cultura di impresa intesa anche e soprattutto come educazione al fallimento e al successo, e allo sviluppo di competenze organizzative, dalla capacità di lavoro di squadra, alla capacità di pianificazione e comunicazione. I progetti realizzati dalle scuole saranno percorsi di crescita per le ragazze e i ragazzi e per il nostro Paese”, ha dichiarato la Ministra Valeria Fedeli.

I progetti si potranno presentare dalle 10.00 del 22 marzo 2017 alle 15.00 dell’11 maggio 2017. Ad ogni progetto vincitore verrà assegnato un massimo di 18.000 euro.

Baby Gang, è allarme bullismo: sempre più numerose le vittime

da La Tecnica della Scuola

Baby Gang, è allarme bullismo: sempre più numerose le vittime

Baby gang arrestata per ripetute violenze su un coetaneo: le accuse per i giovani sono di concorso in violenza sessuale, riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù, pornografia minorile, violenza privata aggravata mediante lo stato di incapacità procurato della vittima. I ragazzi, “colpevoli” di atti brutali, sono tutti teenager, il più grande ha 16 anni.

E’ solo l’ultimo di una serie di episodi – sempre più inquietanti – che dimostrano come il bullismo tra i giovani e i giovanissimi sia ormai un’emergenza. Secondo quanto emerso dai risultati di una recente indagine di Skuola.net e Osservatorio Nazionale Adolescenza per conto di Una Vita da Social, la campagna educativa itinerante della Polizia di Stato contro bullismo e cyberbullismo e per il corretto uso internet, su circa 8mila adolescenti di 18 regioni italiane, il fenomeno è in crescita.

Analizzando la fascia del campione tra i 14 e i 18 anni, salgono infatti al 28% le vittime di bullismo (nel 2016 erano il 20%, quindi un aumento del 40%), mentre circa l’8,5% è preso di mira sul web e sui social (6,5% lo scorso anno, quindi un aumento del 30%). Circa l’80% di questi ultimi, è oggetto di insulti e violenze sia nella vita online che in quella reale.

Come visto, l’incidenza del bullismo “offline” è ancora nettamente maggiore: tra le vittime, il 46% ha pensato almeno una volta al suicidio e ha messo in atto condotte autolesive per il 32%. Il 75% delle vittime di bullismo si sente depresso e triste, il 54% ha frequenti crisi di pianto.

Tuttavia il cyberbullismo presenta risvolti particolarmente oscuri: tra le vittime sistematiche delle prevaricazioni digitali, a volte anche quotidiane, il 59% ha pensato almeno una volta al suicidio nel momento di sofferenza maggiore. Tra i giovani coinvolti, il 52%, confessa di provocarsi del male fisico intenzionalmente. Se poi è l’82% a dire di sentirsi frequentemente triste e depresso, circa il 71% esplode in frequenti crisi di pianto.

Tra i ragazzi più piccoli, appartenenti alla fascia tra gli 11 e i 13 anni, la percentuale di vittime di bullismo e cyberbullismo sale rispettivamente al 30% e al 10%. La frequenza di crisi di pianto (45% circa) e di tristezza e depressione (70%) è simile sia tra chi è oggetto di violenza e comportamenti offensivi online sia tra chi li subisce nella vita reale. Per quanto riguarda l’autolesionismo, invece, si rilevano numeri superiori tra chi viene preso di mira in rete: si provoca ferite e contusioni circa 1 su 2, contro il 33% delle vittime del bullismo “disconnesso”.

Stabilizzazione del personale e più continuità didattica: votato al Senato parere su reclutamento insegnanti

da Tuttoscuola

Stabilizzazione del personale e più continuità didattica: votato al Senato parere su reclutamento insegnanti

ANSA – Un piano pluriennale per dare stabilità al personale della scuola e una risposta agli studenti che attendono i prof in cattedra dal primo giorno. È in dirittura d’arrivo l’iter dei decreti attuativi della legge Buona Scuola nelle commissioni Cultura di Camera e Senato. Lo riporta Ansa.

In queste ore è stato votato al Senato (relatore Claudio Martini, Pd) e depositato alla Camera (relatrice Manuela Ghizzoni, Pd) il parere su un decreto che la stessa Ministra Valeria Fedeli ha definito “fra i più importanti per la qualificazione del sistema e della professione docente“, quello sulla formazione iniziale e il reclutamento degli insegnanti della scuola secondaria.

Non solo stabilità dunque, ma anche maggiore continuità didattica, andando a coprire più velocemente possibile i posti vacanti. Soprattutto al Nord, dove le graduatorie disponibili si stanno rapidamente esaurendo. La linea era già stata tracciata con il decreto portato in Cdm a gennaio e nella stessa Buona scuola, che prevede concorsi regolari. Ora, con i pareri, si va delineando lo scenario che già da settembre aprirà una nuova fase del reclutamento, con concorsi ogni due anni i cui vincitori saranno immessi in un percorso triennale di formazione che si concluderà con l’assunzione in ruolo previo “superamento delle valutazioni intermedie e finali“.

Il nuovo sistema, si legge nei pareri, ha l’obiettivo “di attrarre e preparare alla professione docente persone giovani e competenti nelle loro discipline, eliminando il fenomeno dei lunghi periodi di precariato pre-ruolo”. I nuovi concorsi dovranno evitare quanto accaduto in passato: che si diventi insegnanti solo dopo un lungo precariato. E che non ci siano tempi e procedure certi per immissioni in ruolo e concorsi, a svantaggio della continuità didattica.

Il primo concorso con la nuova formula dovrebbe essere avviato nel 2018, secondo i pareri. Potranno partecipare neo laureati che abbiano conseguito almeno 24 crediti formativi in “discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche”. I vincitori cominceranno il loro percorso formativo nel 2019/2020. Nel frattempo è prevista una fase transitoria con “procedure di valutazione e selezione che garantiscano di coprire, in modo regolare e prestabilito, con docenti di ruolo, i posti vacanti e disponibili, di assicurare la continuità didattica, di tener conto di esperienza e titoli di chi già insegna, valutare la revisione dell’intera disciplina transitoria secondo le seguenti indicazioni“. Nelle proposte individuate da Camera e Senato, su cui poi dovrà comunque esprimersi il Governo, continuerà l’iter di assorbimento delle Graduatorie ad esaurimento (a cui per legge ogni anno e’ riservato il 50% dei posti liberi su cui si fanno assunzioni) e soprattutto l’assunzione dei vincitori del concorso del 2016, anche derogando al limite del 10% dei posti messi a bando. Vale a dire che saranno assunti, dove ci saranno posti e necessità, i cosiddetti ‘idonei fantasma’.

Nella fase transitoria tracciata dai pareri parlamentari sono inclusi anche i docenti abilitati che oggi sono nelle graduatorie di istituto nelle cosiddette seconde fasce, spesso in cattedra da molti anni e formati con percorsi universitari, tipo Tfa: si prevede che “siano inseriti entro l’anno scolastico 2017/18 in una speciale graduatoria regionale di merito” sulla base dei titoli posseduti (compreso il servizio) e della valutazione conseguita in una apposita prova orale di “natura didattico-metodologica“.

Un concorso ‘leggero’ che terra’ conto anche del superamento di prove concorsuali di precedenti concorsi. Questi docenti saranno ammessi direttamente al terzo anno del nuovo percorso di ingresso nella scuola. Si tratterà di una sorta di anno di prova ‘rafforzato’, durante il quale saranno valutati sul campo e a cui poi potrà seguire la definitiva immissione in ruolo. A questi docenti dovrà essere riservata una quota di posti vacanti decrescente nel tempo.

Infine, la fase transitoria proposta dalle Camere, prevede che i docenti non abilitati “che abbiano svolto almeno 3 anni di servizio entro il termine di presentazione delle domande siano ammessi a partecipare a speciali sessioni concorsuali loro riservate” che si svolgeranno in contemporanea al nuovo concorso del 2018. I vincitori saranno ammessi al percorso di formazione direttamente al secondo anno, con esonero dalla parte formativa e dei crediti avendo già insegnato per almeno 36 mesi. La procedura concorsuale consisterà in una prova scritta e in una orale. La parola ora passa al Governo.

Arrestata Baby Gang, allarme bullismo: le vittime continuano ad aumentare

da Tuttoscuola

Arrestata Baby Gang, allarme bullismo: le vittime continuano ad aumentare

Baby gang arrestata per ripetute violenze su un coetaneo: le accuse per i giovani sono di concorso in violenza sessuale, riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù, pornografia minorile, violenza privata aggravata mediante lo stato di incapacità procurato della vittima. I ragazzi, “colpevoli” di atti brutali, sono tutti teenager, il più grande ha 16 anni. E’ solo l’ultimo di una serie di episodi – sempre più inquietanti – che dimostrano come il bullismo tra i giovani e i giovanissimi sia ormai un’emergenza. Secondo quanto emerso dai risultati di una recente indagine di Skuola.net e Osservatorio Nazionale Adolescenza per conto di Una Vita da Social, la campagna educativa itinerante della Polizia di Stato contro bullismo e cyberbullismo e per il corretto uso internet, su circa 8mila adolescenti di 18 regioni italiane, il fenomeno è in crescita.

Analizzando la fascia del campione tra i 14 e i 18 anni, salgono infatti al 28% le vittime di bullismo (nel 2016 erano il 20%, quindi un aumento del 40%), mentre circa l’8,5% è preso di mira sul web e sui social (6,5% lo scorso anno, quindi un aumento del 30%). Circa l’80% di questi ultimi, è oggetto di insulti e violenze sia nella vita online che in quella reale.

L’incidenza del bullismo “offline” è ancora nettamente maggiore: tra le vittime, il 46% ha pensato almeno una volta al suicidio e ha messo in atto condotte autolesive per il 32%. Il 75% delle vittime di bullismo si sente depresso e triste, il 54% ha frequenti crisi di pianto.

Tra le vittime del cyberbullismo, invece, il 59% ha pensato almeno una volta al suicidio nel momento di sofferenza maggiore. Tra i giovani coinvolti, il 52%, confessa di provocarsi del male fisico intenzionalmente. Se poi è l’82% a dire di sentirsi frequentemente triste e depresso, circa il 71% esplode in frequenti crisi di pianto. Tra i ragazzi più piccoli, appartenenti alla fascia tra gli 11 e i 13 anni, la percentuale di vittime di bullismo e cyberbullismo sale rispettivamente al 30% e al 10%. La frequenza di crisi di pianto (45% circa) e di tristezza e depressione (70%) è simile sia tra chi è oggetto di violenza e comportamenti offensivi online sia tra chi li subisce nella vita reale. Per quanto riguarda l’autolesionismo, invece, si rilevano numeri superiori tra chi viene preso di mira in rete: si provoca ferite e contusioni circa 1 su 2, contro il 33% delle vittime del bullismo “disconnesso”.

Permessi mensili per assistenza disabili: possono usufruirne i conviventi?

da Tuttoscuola

Permessi mensili per assistenza disabili: possono usufruirne i conviventi?

Sono una docente di scuola secondaria di 2° grado e faccio parte della RSU del mio istituto. In conseguenza di quest’ultimo incarico, alcune colleghe mi hanno chiesto delucidazioni sulla fruizione dei permessi mensili e del congedo biennale per l’assistenza alle persone con grave disabilità, da parte dei conviventi e in caso di unioni civili. Confesso di non saperne molto e chiedo a lei una puntuale illustrazione del tema.

M. T.

L’esperto risponde

Per rispondere al quesito con la maggiore chiarezza possibile, tratterò separatamente le due situazioni evidenziate.

Diritti del convivente

L’art. 33, comma 3, della legge n. 104/92 prevede che a prestare assistenza ad una persona in situazione di grave disabilità siano, alternativamente, il coniuge, i parenti o gli affini di secondo grado; nonché, in particolari condizioni, anche i parenti o gli affini di terzo grado.

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 5 luglio 2016, ha dichiarato la illegittimità del comma citato nella parte in cui  non include – tra i soggetti titolati a fruire dei permessi mensili ( 3 giorni al mese ) – anche il convivente, sostenendo:

– l’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 risulta illegittimo rispetto all’articolo 3 della Carta costituzionale non tanto perché non equipara coniuge e convivente, che hanno una condizione comunque diversa, ma perché costituisce una contraddizione logica dato che la norma vuole tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile, finalità che in questo caso costituisce l’elemento che unifica la situazione di assistenza da parte del coniuge o del familiare di secondo grado e quella fornita dal convivente;

– l’esclusione del convivente dai beneficiari dei permessi comporta un’irragionevole compressione del diritto, costituzionalmente presidiato, del disabile a ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita “non in ragione di una carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo, ma in funzione di un dato normativo rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio”.

La sentenza (c.d. additiva di prestazione ), già applicabile dopo la pubblicazione sulla G.U., ha rinvenuto con la circolare Inps 27.02.2017, n. 38, ulteriori e più puntali chiarimenti applicativi.

La circolare, dopo aver chiarito che la situazione esaminata dalla Corte costituzione altro non è che la convivenza di fatto, specifica:

– il convivente – in stretta osservanza della sentenza – è abilitato a fruire dei soli permessi mensili e non anche del congedo biennale retribuito;

la fruizione dei permessi mensili non è possibile per l’assistenza a parenti o affini del convivente: con questi ultimi, infatti, non risulta costituito alcun vincolo di affinità;

– la convivenza può essere costituita sia tra persone dello stesso sesso che di sesso diverso;

– la convivenza stabile deve risultare dalla dichiarazione anagrafica prodotta ai sensi dell’art. 4 e della  lett. b) del comma 1 dell’articolo 13 del  DPR 30 maggio 1989, n.223. La dichiarazione, cioè, deve attestare la coabitazione e la dimora abituale nello stesso comune;

Unioni civili

La stessa circolare Inps provvede a coordinare le disposizioni della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Istitutiva, tra l’altro, delle unioni civili tra persone dello stesso sesso) con la normativa concernente coloro che assistono persone disabili in situazione di gravità. A tal proposito, ne richiama testualmente l’art. 2, comma 20, che così dispone:

Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

Dal testo legislativo citato, la nota Inps fa discendere, correttamente, per la parte di una unione civile, che presta assistenza all’altra parte in situazione di grave disabilità, il diritto a usufruire:

dei permessi mensili (3 gg. per ciascun mese ) previsti dall’art. 33. comma 3, della legge n. 104/92;
– del congedo biennale straordinario retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. n, 151/2001.

Inoltre, con riferimento al congedo biennale e a seguito dell’ingresso della “parte di  un’unione civile”, viene declinata una nuova sequenza di priorità dei soggetti legittimati alla fruizione.

La sequenza risulta così integrata:

               Sequenza di priorità                                          Situazione
il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente convivenza con la persona disabile in situazione di gravità
il padre o la madre anche adottivi o affidatari mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte dell’unione civile convivente;
uno dei figli conviventi il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente ed entrambi i genitori del disabile mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti
uno dei fratelli o sorelle conviventi il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
un parente o affine entro il terzo grado convivente il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti

La circolare, dopo aver ribadito che l’unione civile può essere costituita solo tra persone dello stesso sesso, fa presente che la qualificazione di “parte dell’unione civile” deve risultare – ex art. 1, comma 3, della legge n 76/2016 – dagli atti di unione civile di questi ultimi registrati all’Ufficio di stato civile comunale.

Evidenzia, infine, al pari di quanto detto per le situazioni di convivenza, che,  a differenza di quanto avviene per i coniugi, la parte di un’unione civile può usufruire dei permessi ex lege 104/92  e del congedo biennale unicamente nel caso in cui presti assistenza all’altra parte dell’unione e non nel caso in cui l’assistenza sia rivolta ad un parente dell’unito, non essendo riconoscibile in questo caso rapporto di affinità.

Per concludere, un suggerimento e un errore da evitare.

Il suggerimento concerne il fatto che la circolare dell’Inps, pur riguardando esplicitamente i dipendenti del settore privato, ben può trovare applicazione anche per i dipendenti pubblici a motivo della solida fondatezza giuridica espressa, in attesa che la Funzione pubblica emani una apposita circolare.

L’errore da evitare riguarda, invece, il soggetto istituzionale a cui indirizzare la domanda per la concessione dei permessi mensili o del congedo biennale. Per la scuola, tale soggetto non è certo l’Ufficio provinciale dell’Inps, bensì il dirigente scolastico che ha legale rappresentanza dell’Istituto scolastico cui è preposto. 

IL POPOLO ATA UNITO NELLO SCIOPERO

IL POPOLO ATA UNITO NELLO SCIOPERO

venerdì 17 marzo 2017 la Feder.ATA scenderà in piazza per uno sciopero unitario di tutto il personale ATA, per portare dappertutto la voce della nostra protesta e per i nostri diritti che giorno dopo giorno vengono stracciati.
Invitiamo calorosamente tutti i Colleghi a partecipare allo sciopero, la riuscita della giornata del 17 Marzo richiede tutto il nostro impegno e sarà fondamentale per il nostro futuro, perché se saremo in tantissimi a scioperare, ci aspettiamo un’attenzione particolare da parte delle Istituzioni, un’attenzione che crediamo sia doverosa nei nostri confronti, perché se raggiungeremo una forte adesione allo sciopero, il Miur sarà obbligato ad ascoltare le nostre giuste rivendicazioni per il personale ATA.

Riteniamo sia determinante, in questa circostanza di sciopero di tutto il personale ATA, riuscire a dare prova di unitarietà, per esprimere in modo tangibile il grande disagio e l’insoddisfazione della categoria, per rendere note all’opinione pubblica le grandi difficoltà del nostro lavoro di tutti i giorni, e le condizioni nelle quali ci troviamo a doverlo svolgere.

Aderendo tutti in massa allo sciopero, avremo finalmente, l’occasione di fare qualcosa di concreto per rivendicare il riconoscimento del nostro ruolo e il rispetto della nostra dignità professionale da parte delle Istituzioni, è un’occasione unica da non sciupare per dare un segnale forte che dia ancora speranza a tutti noi ATA di un futuro lavorativo migliore.

Noi ATA siamo stati colpiti da ingiustizie e deprivati di diritti e prospettive, lottiamo per la nostra dignità umana e professionale, per i nostri diritti negati da troppo tempo.

Non ci fermeremo fino a che ci ascolteranno.

Aderiamo tutti allo sciopero del 17 Marzo 2017 !