Sciopero 3 e 9 maggio

Contro i quiz Invalsi, la legge 107 e gli otto decreti attuativi, sciopero della scuola il 3 maggio (Infanzia, Primaria e Media di primo grado) e il 9 maggio (Media Superiore)
Dal quadro generale degli otto decreti attuativi della legge 107 – approvati definitivamente il 7 aprile dal Consiglio dei Ministri e contro i quali abbiamo effettuato con successo lo sciopero generale del 17 marzo – emerge la centralità attribuita ai quiz Invalsi nella valutazione delle scuole, degli studenti e dei docenti.  Nella Scuola Primaria essi svolgono rilevazioni nazionali nelle classi seconda e quinta, che costituiscono parte prioritaria di tale valutazione. Nella Scuola Media le rilevazioni, che riguardano italiano, matematica e inglese nella classe terza, dal prossimo anno rappresenteranno requisito indispensabile di ammissione all’esame conclusivo. Nella Scuola Superiore le prove si svolgeranno nella classe seconda e quinta; e durante l’ultimo anno gli studenti verranno sottoposti a quiz in inglese, italiano, matematica, i cui esiti saranno riportati all’esame di Maturità – per essere ammessi al quale è indispensabile aver svolto i quiz – in una specifica sezione del curriculum. Infine, per quel che riguarda l’Università, i risultati Invalsi potranno essere decisivi per l’accesso alle facoltà. Insomma, la valutazione predisposta dai docenti, quale atto cruciale del complesso e delicato processo dell’apprendimento, cede completamente il passo alla valutazione didascalica degli studenti e delle scuole (oltre che degli insegnanti stessi) attraverso i quiz standardizzati, considerati il più “qualificato” strumento per giudicare gli apprendimenti, con il conseguente ridimensionamento dell’intera professione docente. Le rilevazioni Invalsi saranno non una presunta forma di “autovalutazione”, ma la valutazione vera e propria della scuola e delle modalità di insegnamento dei docenti che, per adeguarsi ai quiz, come già ampiamente verificato in questi anni, dovranno conformare la propria didattica a quanto previsto dall’Invalsi. Da tutto ciò emerge, quindi, il modello del docente “adattabile”, derubricato a somministratore di prove standardizzate, le uniche ad avere reale valore nella valutazione, e ad “illustratore” di manuali per quiz, nel quadro dell’immiserimento materiale e culturale della scuola pubblica e del ruolo dei docenti, destinati ad un lavoro da “manovali intellettuali” tuttofare, flessibili e disponibili alle mutevoli esigenze di una sempre più cialtrona “scuola-azienda”. Nel contempo, gli otto decreti attuativi hanno ulteriormente aggravato la condizione di lavoro degli ATA, così come avevamo denunciato nella piattaforma dello sciopero del 17 marzo: in particolare, ai collaboratori scolastici viene imposto anche l’obbligo delle “mansioni di cura” per i disabili ed un ulteriore carico di lavoro del tutto estraneo alle loro qualifiche. Per il futuro reclutamento dei docenti non si riconoscono appieno le abilitazioni già conseguite né il servizio prestato e si delinea un infinito percorso di apprendistato. Per i disabili si mira a distruggere l’inclusione in base a logiche di mero risparmio e a ridurre gli insegnanti di sostegno, per delegare progressivamente tale attività all’intero personale docente. Si aggrava la centralità dell’ “alternanza scuola-lavoro”, forma sfacciata di apprendistato gratuito, che diviene addirittura materia di esame alla Maturità. Con il “sistema integrato 0-6 anni”, si abbassa il livello della Scuola dell’Infanzia pubblica, con il grave rischio per il personale di trasferimento negli Enti Locali, creando caos gestionali in scuole Primarie già oberate di pesi e di ruoli.

Convochiamo dunque per il 3 maggio (Scuola Infanzia, Primaria e Media di Primo grado) e per il 9 maggio (Media Superiore) lo sciopero dell’intera giornata del personale docente ed ATA, al fine di boicottare i quiz Invalsi e per la loro cancellazione come strumento di valutazione delle scuole, degli studenti e del personale.


Piero Bernocchi
   portavoce nazionale COBAS

Stefano d’Errico   segretario nazionale UNICOBAS

L’Unione Europea e la crisi economico-finanziaria

L’Unione Europea e la crisi economico-finanziaria del 2008
Quali indicatori per le emergenze sociali?

di Emilia Sarno

Mobilità: per i Tribunali del Lavoro il CCNI è nullo

Mobilità: per i Tribunali del Lavoro il CCNI è nullo. Anief: illegittimo non computare il servizio nelle paritarie

Dopo l’avvio delle procedure di Mobilità 2017 e la denuncia dell’Anief sulle tante illegittimità ancora presenti nel CCNI, il sindacato vince ancora in tribunale e invita tutti i docenti interessati a dichiarare il servizio svolto nelle scuole paritarie e a ricorrere in tribunale per la tutela dei propri diritti.

I tribunali del Lavoro continuano a dare ragione all’Anief e a condannare il Miur per il mancato riconoscimento del servizio svolto nelle scuole paritarie ai fini dell’attribuzione del punteggio nelle procedure di Mobilità. Lo scorso 13 aprile altre due sentenze emanate dai Tribunali del Lavoro di Genova e Livorno danno ragione ai docenti che si erano rivolti al nostro sindacato per la mancata attribuzione di punteggio al servizio svolto nelle paritarie per le procedure di mobilità e dichiarano il loro pieno diritto all’attribuzione del punteggio.

Marcello Pacifico (Anief-Cisal): il CCNI 2016 è già stato dichiarato illegittimo e annullato dai tribunali del lavoro nella parte in cui non valorizza il servizio di insegnamento svolto negli istituti paritari e illegittimo è, ovviamente, il nuovo contratto integrativo siglato lo scorso 12 aprile che continua a violare la normativa primaria in materia. Invitiamo tutti gli interessati a dichiarare gli anni di servizio svolti nelle scuole paritarie seguendo le specifiche istruzioni fornite dal nostro sindacato e ad agire in tribunale per il riconoscimento dei propri diritti e del giusto punteggio.

I giovani hanno bisogno di un «Patto»

da Il Sole 24 Ore 

I giovani hanno bisogno di un «Patto»

di Massimo Cioffi, Daniele Ferrero e Roberto Lancellotti*

Il dibattito «Tra scuola e lavoro», ospitato dal Sole 24 Ore negli ultimi giorni, tocca uno dei temi chiave per il futuro del Paese. La crisi ha raddoppiato i numeri nell’ultimo decennio e li ha resi drammatici, soprattutto al Sud: più di un quarto dei 10 milioni di giovani tra i 15 e i 30 anni sono disoccupati o inattivi e tanti altri sono occupati ad altra precarietà. Tenuto conto dei genitori e dei nonni, più di 1 adulto su 5 ha “il problema in casa”: non sorprende che nei sondaggi il tema sia costantemente tra le principali cause di sfiducia sul futuro, con tutte le implicazioni sociali, economiche e politiche del caso. Ma il problema va oltre la crisi: il sistema Italia non è capace di creare opportunità per i giovani. Infatti abbiamo uno “spread” con l’Europa di natura strutturale: è lo spread della disoccupazione giovanile (fino a 30 anni) rispetto a quella adulta (oltre i 35 anni). Per l’Italia tale rapporto è di 3,5:1. Quasi tutta Europa gira appena sopra 2:1, la Germania a poco più di 1:1. E non dipende solo dalla crisi (questo spread non è cambiato molto da 25 anni) e non è un problema solo del Sud (ci sono province del Nord con spread 5:1, ad esempio Cuneo).

Gli articoli di Carlo Carboni sul Sole dell’11 aprile e di Federico Butera e Andrea Illy sul Sole del 13 aprile hanno ben descritto le cause di tale situazione e la loro natura strutturale, che vanno ben oltre il ciclo economico ma includono sbilanciamento tra domanda delle imprese e scelte formative dei giovani, carenza di competenze adeguate ai bisogni del sistema economico, inadeguatezza dei canali di «matching». Hanno spronato la politica a prendere iniziative concrete, costruendo su quello che hanno fatto i governi Renzi e Gentiloni. E hanno anche formulato proposte di intervento, assolutamente condivisibili, incentrate sulla «terra di mezzo» del passaggio scuola-lavoro e sulla necessità di maggiore coordinamento tra tutti gli attori coinvolti (la «situation room»).

La vera sfida è come inserire tali soluzioni in un programma organico che consenta di affrontare le numeriche del problema: come detto 2,5 milioni di giovani sotto i 30 anni disoccupati o Neet, alimentati da più di 400mila giovani in uscita ogni anno dal sistema scolastico che meritano ben altre opportunità. In aggiunta a interventi congiunturali e nell’ambito di un più complessivo intervento su crescita e occupazione di cui beneficeremmo tutti (e quindi anche i giovani soprattutto al Sud), andrebbe avviato un programma specifico, un vero e proprio «Patto per i giovani» con iniziative a livello nazionale e sul territorio, articolato su quattro direttrici di intervento:

Aumentare le opportunità di lavoro specifiche per i giovani. Lavorare sul lato della domanda è un necessario punto di partenza. Con una dote di decontribuzione significativa per tutti i giovani e non solo per i Neet, ad esempio, contributi zero per tre anni dopo diploma/laurea. Con veri meccanismi di staffetta generazionale: agevolazioni per le aziende che fanno lasciare il lavoro a dipendenti prossimi alla pensione e ne assumono di giovani (ad esempio, evoluzione del meccanismo Ape/art. 4 legge Fornero) e incentivi anche ai dipendenti che lasciano se si impegnano a mettersi a disposizione di iniziative sociali/pubbliche (ad esempio, tutor sul passaggio scuola-lavoro). Abbattendo le barriere burocratiche che sono un vero freno per le piccole imprese (ad esempio, le pratiche relative alla sicurezza per l’alternanza, la contrattualistica).

Rafforzare la capacità del sistema formativo di generare capitale umano con le competenze e la mentalità giusta per il mondo del lavoro. Allineando l’offerta formativa all’evoluzione della domanda di lavoro, con una prospettiva su cosà servirà (la scuola ha un ciclo lungo) e a quali aspetti dare enfasi (un esempio per tutti: l’Italia è un caso abbastanza unico dove utilizziamo l’espressione “inglese scolastico” in senso negativo). Coinvolgendo attivamente il mondo del lavoro nella definizione delle priorità formative (quanti Cts sono davvero incisivi?). Incentivando la formazione tecnica (programma “turbo” per gli Its) e rivedendo le politiche dei numeri chiusi in aree prioritarie dove mancano risorse (ad esempio, medico-sanitario). Introducendo modalità complementari alla didattica classica per la creazione di soft skills (ad esempio, attraverso tutoring/mentoring, simulazioni di auto-imprenditorialità, teamwork e lavori a progetto) e per l’estensione di competenze in aree chiave (ad esempio, digitale). Enfatizzando l’occupabilità e lo sviluppo di processi di orientamento e “placement” nei sistemi di valutazione e premialità di scuole e università.

Fare un salto di qualità sui meccanismi di «matching». Un sistema moderno di incrocio tra mondo scuola e mondo lavoro è necessariamente multi-canale (pubblico + privato, digitale + fisico). Questa è l’area su cui abbiamo bisogno di un vero salto di qualità. Canalizzando risorse: ancor più degli incentivi al lavoro o agli investimenti in formazione, questa è la dimensione dove si misura in Europa una correlazione più forte tra risorse allocate e tassi di disoccupazione giovanile ed è la dimensione dove il nostro gap è maggiore. Sfruttando la propensione digitale dei giovani: mettiamo una App sul telefonino di tutti i 18enni, con Faq, statistiche, contatti, opportunità e community tematiche tra i ragazzi. Definendo incentivi per le imprese sopra una certa dimensione per offrire vere opportunità di alternanza ai giovani, andando oltre la sola logica dello “stage estivo”. E superando l’attuale frammentazione di soggetti pubblici sul territorio che dovrebbero occuparsi di questi temi (uffici scolastici, centri per l’impiego, camere di commercio).

Aiutare i giovani e le famiglie a fare scelte adeguate per il futuro e diffondere nel Paese una cultura “studio (anche per) un lavoro”. Di fianco ad attitudini e sogni vanno messi i fatti, incrociando i dati di Miur, Inps, e gli scenari prospettici Isfol per dare indicazioni su esiti dei percorsi scolastici e profilo di studi tipico per ogni lavoro, da diffondere in logica open data. E includendo indicazioni di “occupabilità” dei corsi di studio nelle iniziative di orientamento scolastico che vanno diffuse in modo sistematico (quali indirizzi hanno tassi di occupazione e retribuzioni migliori? Cosa fa chi studia questa cosa? Cosa hanno studiato quelli che fanno questo lavoro?).

La struttura del sistema economico italiano (elevata differenziazione delle vocazioni dei territori e stragrande maggioranza delle imprese con meno di 10 dipendenti) richiede una declinazione territoriale del programma perché abbia successo. Servono più di 100 iniziative (una per provincia/distretto industriale) che fungano da “integratore di sistema” del programma nazionale sul territorio. Che identifichino le migliori iniziative che già affrontano il tema passaggio scuola-lavoro da angoli specifici (su orientamento, alternanza, matching domanda-offerta, etc) e con matrici varie (start-up, terzo settore, associazioni di categoria, aziende, qualche istituzione pubblica “illuminata”), valorizzando le cose che funzionano e superando i limiti strutturali dovuti all’assenza di un approccio complessivo su tutte le leve di intervento in ciascun territorio e alla scarsa scalabilità/replicabilità delle soluzioni. Che sperimentino un nuovo modello di collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore.

È un’agenda ampia che richiede di superare gli steccati storici di competenze tra mondo scuola e mondo lavoro. Che deve diventare centrale per le agende di Miur, ministero del Lavoro e Anpal. Per cui servono buone leggi ma anche e soprattutto tanta capacità di esecuzione. Che avrà impatto a scala solo se declinata a livello “micro” sul territorio. Che l’esito del referendum rende più difficile ma non impossibile, facendo leva anche sulle energie positive del terzo settore. Lo dobbiamo ai nostri giovani e al futuro del Paese.

*Massimo Cioffi, già direttore generale dell’Inps
Daniele Ferrero è ceo di Venchi spa
Roberto Lancellotti, già responsabileStudio ergo Lavoro

Nei prossimi 10 anni la scuola perderà il 40 per cento degli addetti: servizi essenziali a rischio

da La Tecnica della Scuola

Nei prossimi 10 anni la scuola perderà il 40 per cento degli addetti: servizi essenziali a rischio

Settore pubblico a rischio per i pensionamenti. Infatti come riporta Quotidiano.net,  l’esodo verso la pensione di oltre un milione di dipendenti pubblici in dieci anni si farà sentire pesantemente in tutti i settori della Pubblica amministrazione.

La scuola perderà oltre 380mila insegnanti e amministrativi, circa il 40% del totale degli addetti.

Docenti e amministrativi da 55 anni in su sono circa 380mila, tutti che potranno andare via da qui a 9-10 anni, e si arriva addirittura a 590mila se si considerano anche coloro che hanno da 50 anni in su e potranno lasciare nei successivi cinque anni. Ben oltre la metà dei 943mila lavoratori del settore. Altri 37-38mila – da 55 anni – si trovano nelle stesse condizioni per quanto riguarda l’università. Passando alla sanità, le cifre sono ugualmente elevatissime: gli over 55 sono circa 216mila su un totale di 653mila addetti, ma se si mettono nel conto anche coloro che hanno più di 50 anni si tocca quota 355mila

Nella sanità la situazione può rivelarsi altrettanto drammatica: meno 216mila, un terzo di tutti gli occupati. Non meno drastico il tracollo degli occupati nelle forze di polizia: circa 60mila in meno su 211mila complessivi.

I vincoli della finanza pubblica non permettono un ottimale turnover: “Certamente non potremo sostituire il milione di dipendenti che andrà in pensione nei prossimi dieci anni – osserva Francesco Verbaro, ex segretario generale del ministero del Lavoro, esperto di Pa e presidente di Formatemp –. Ci costerà già in spesa pensionistica. Dovremo quindi rivedere i modelli organizzativi e realizzare veramente, e non solo con annunci, una Pa digitale e individuare quindi i profili strategici e necessari da reclutare. Banale, ma rivoluzionario per le nostre amministrazioni”.

Mobilità 2017, tutti gli spostamenti completati entro Ferragosto: si può fare

da La Tecnica della Scuola

Mobilità 2017, tutti gli spostamenti completati entro Ferragosto: si può fare

Ora che è stata sottoscritta l’ipotesi di contratto sulla mobilità, il Miur torna a crederci: concludere le operazioni di mobilità entro Ferragosto 2017 è possibile.

Il progetto era stato espresso poco più di un mese fa dal ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, non corso di una trasmissione televisiva: interpellata sulla “girandola dei docenti”, cui abbiamo assistito sino all’inizio dell’ultime inverno, la ministra ha tenuto a dire che “lo scorso anno è stata un’eccezione”, perché sono state messe in “mobilità 250 mila persone”.

“L’impegno che mi sono presa – aveva detto Fedeli – è che dobbiamo iniziare l’anno con tutti gli insegnanti al loro posto e non ci dovranno essere cambiamenti ad ottobre o novembre, perchè i ragazzi hanno bisogno di avere il loro docente in classe”.

La promessa di chiudere le operazioni tra fine luglio ed inizio agosto, successivamente alla presentazione dell’organico da parte di ogni scuola, se mantenuta, produrrebbe un effetto a catena decisamente positivo: nella terza decade di agosto, al massimo i primi giorni di settembre, si potrebbero in questo modo effettuare le immissioni in ruolo, qualche decina di migliaia (che avverranno in modo più fluido dell’anno passato); ma anche le supplenze annuali, che dovrebbero essere non meno di 70-80mila (chiamata diretta compresa, la quale a sua volte dovrebbe svolgersi con meno intoppi rispetto al 2016).

“L’unica operazione che potrebbe realmente non essere conclusa per i primi quindici giorni di agosto – ci dicono dal Miur – è quella degli spostamenti interprovinciali. Le quali, però, peseranno poco, perché quest’anno rappresentano solo il 10 per cento dei posti da occupare con la mobilità. Per tutti gli altri spostamenti stavolta dovremmo però farcela”.

Qualora le cose andassero così, se davvero anche le utilizzazioni e soprattutto le assegnazioni provvisorie provinciali si dovessero completare quasi un mese prima dell’inizio della scuola, i progressi sarebbero tangibili: lo scorso anno la scadenza delle operazioni fu posticipata al 15 settembre e nei fatti si protrassero ben oltre, con i Consigli di Classe di mezza Italia che trovarono la loro identità definitiva molte ma molte settimane dopo.

La chiamata diretta e i vincoli dei presidi

da La Tecnica della Scuola

La chiamata diretta e i vincoli dei presidi

I dirigenti scolastici dovranno seguire almeno 18 “criteri” per scegliere  gli insegnanti: otto riguardano i titoli da possedere, come il dottorato di ricerca e le abilitazioni, il resto è si rifà  alle esperienze professionali come l’insegnamento con metodologia Clil o il tutoraggio dei colleghi immessi in ruolo.

Se tuttavia il preside ha ancora la facoltà di proporre i criteri per il passaggio dell’insegnante da ambito a scuola, la scelta vera avverrà proprio utilizzando i 18 indicatori fissati dal Miur. In ogni caso la sua proposta dovrà essere avallata dal collegio docenti benchè  sarà comunque il dirigente ad effettuare le procedure di “selezione”, compreso il colloquio,  dei professori per la copertura dei posti vacanti.

Il collegio docenti dovrà tuttavia dare il suo parere entro sette giorni e quindi  verrà pubblicato l’avviso con le competenze richieste, i criteri e le indicazioni per presentare la candidatura, mentre il docente che riceve più proposte potrà scegliere quale accettare.

Il prof invece che non riceva risposte o non ne accetti nessuna, si metterà alla discrezione dell’Ust che gli conferirà l’incarico triennale.

Le nuove procedure dovrebbero scattare da luglio, al termine delle operazioni di mobilità.

Cattedre orario esterne in aumento: 10mila a settembre, tante alle superiori su 3 scuole

da La Tecnica della Scuola

Cattedre orario esterne in aumento: 10mila a settembre, tante alle superiori su 3 scuole

L’anno scolastico non è ancora terminato, ma al Miur stanno già operando per gli organici che serviranno a partire dal prossimo 1° settembre.

Abbiamo già detto che gli attuali 100mila posti assegnati a docenti supplenti annuali, dovrebbero essere ridotti di un quarto, sempre che il ministero dell’Istruzione la spunti sul Mef nel riuscire a spostare tutti i 25mila posti richiesti dall’organico di diritto a quello di fatto.

Rimarranno, ha detto il ministro Valeria Fedeli, “circa 10mila posti comuni che purtroppo non sono aggregabili, perché composti da numerosi spezzoni di poche ore ciascuno”. A questo proposito sono in corso interlocuzioni tra i tecnici del Miur e del ministero dell’Economia “per affinare i conti”.

Ci sono poi da assegnare altre circa 45mila cattedre in deroga, libere di fatto ma da conferire solo fino al 30 giugno del 2018 perché ferme nell’organico di fatto. E anche diverse migliaia di posti sulla scuola dell’infanzia, non inclusa nel “potenziamento” della L.107/15, la quale ancora annovera tantissimi precari, sia nelle graduatorie di merito che nelle GaE.

In attesa di saperne di più sull’entità dei numeri e sulle effettive immissioni in ruolo, da Viale Trastevere trapela però anche un’altra notizia, che non farà piacere a diversi docenti: molte delle 10mila “cattedre orario esterne”, si comporranno di un pacchetto settimanale di ore “spalmato” non su due, ma ben su tre scuole (il massimo consentito dalla legge). E riguarderanno in larga parte la scuola secondaria di secondo grado.

Cosa significhi, è presto detto: un docente che insegna Filosofia (la classe di concorso ex A037) a Roma, ad esempio, si ritroverà assegnata una cattedra composta da 8 ore settimanali presso un liceo della zona San Paolo; poi, altre 6 ore da impartire in un istituto collocato all’Eur; infine, le rimanenti 4 ore settimanali assegnate in una scuola di Ostia (a circa 25 chilometri dalle altre sedi).

Considerando i tempi per gli spostamenti, le probabili ore di “buco” e gli impegni collegiali maggiorati (escludendo scrutini e obbligatori, sempre comunque non superando le 40 ore + 40 ore annuali, a seconda della tipologia), si tratterebbe di una cattedra davvero poco ambita e invidiabile. Chi la andrà a ricoprire, percepirà, è vero, lo stipendio pieno, ma il prezzo da pagare (sotto forma di sacrificio professionale e di esborso per gli spostamenti) sarà davvero considerevole.

Infine, se queste cattedre dovessero, magari in parte, scivolare nell’organico di diritto, potrebbero anche essere assegnate al personale docente di ruolo: sia quello coinvolto nella mobilità, sia quello neo-assunto, immediatamente collocato nelle sedi direttamente dagli Usr o dai presidi. Insomma, non si tratterebbe di un trattamento di s-favore riservato ai precari.

Riforma degli organi collegiali a Bolzano

Riforma degli organi collegiali a Bolzano: autonomia statutaria e tutela del fondamentale ruolo delle consulte

di Cinzia Olivieri

 

Le proposte di riforma da Trento a livello nazionale

Sul finire del 2016 è stata annunziata nella provincia autonoma di Bolzano la possibile riforma degli organi collegiali della scuola, disciplinati storicamente dapprima dalla LP 5 settembre 1975 n. 49, successiva al DPR 416/74, e quindi dalla L.P. 28 ottobre 1995 n. 20, successiva al Dlgs 297/94, che sul piano nazionale ha riordinato in un Testo Unico non solo le norme relative agli organi collegiali ma le disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.

All’inizio del 2017 si è aperto il confronto sul tema ed ora si è appreso dell’elaborazione di una bozza del disegno di legge provinciale riguardante le Norme per la Partecipazione nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole e per il consiglio del sistema educativo di istruzione e formazione provinciale.

Il testo ricalca, con gli opportuni adattamenti, quello che sul piano nazionale si ripropone da quando la famosa proposta di legge Aprea e concorrenti (PDL 953) è stata approvata in testo unificato (DDL S3542) nel corso della XVI^ legislatura. Durante la XVII^ legislatura risulta assegnato alla VII^ Commissione Cultura Senato il DDL S933, di iniziativa dell’On. Giannini, ed alla corrispondente commissione della Camera la PDL A.C. 2259 di iniziativa della On. Centemero.

Anche a Bolzano la riforma appare incentrata sull’autonomia statutaria. Apparentemente in entrambi i casi essa si ispira al modello trentino, ma in realtà vi sono differenze rilevanti.

Occorre premettere che a Trento la LP 5/06 interviene a disciplinare l’intero Sistema educativo di istruzione e formazione erogato (art.8) da: scuole dell’infanzia provinciali ed equiparate; istituzioni scolastiche e formative provinciali; istituzioni scolastiche e formative paritarie. Il Titolo II individua i Soggetti del sistema educativo provinciale ed il Capo I quelli costituenti la Comunità scolastica, tra cui: gli studenti (Art. 9); gli operatori delle istituzioni scolastiche e formative (Art. 10); le famiglie (Art. 11); le Associazioni professionali (Art. 12); infine i soggetti rappresentativi del territorio (Art. 13). Il Capo II è dedicato poi alle Istituzioni scolastiche e formative provinciali, organizzate secondo principi di Autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo (Art. 15) e nella Sezione III sono appunto individuati i suoi Organi, normati dagli artt. 21 e seguenti.

La LP Trento 5/06 dedica l’art. 17 allo Statuto delle istituzioni scolastiche e formative, documento fondamentale che stabilisce, nel rispetto della legge: a) i principi e i criteri di organizzazione dell’istituzione scolastica e formativa; b) i contenuti vincolanti e le modalità di approvazione del progetto d’istituto (ovvero PTOF); c) le funzioni, la composizione e le modalità di nomina degli organi collegiali dell’istituzione, nel rispetto di quanto previsto da questa legge e in coerenza con le norme generali dell’istruzione; d) i contenuti e le modalità di approvazione del regolamento interno che, in attuazione dello statuto, definisce, tra l’altro, gli aspetti organizzativi attinenti il funzionamento dell’istituzione e dei relativi organi, nonché del regolamento che definisce i doveri degli studenti e i comportamenti che configurano mancanze disciplinari; e) le modalità di formazione e di approvazione del bilancio e del conto consuntivo; f) la partecipazione degli studenti e dei genitori alle attività della classe e dell’istituzione, garantendo il diritto di riunione e di assemblea e favorendo le attività delle associazioni di studenti e di genitori, anche attraverso la messa a disposizione di spazi adeguati; g) la partecipazione dell’istituzione e della comunità scolastica a progetti o iniziative d’integrazione, collaborazione e scambio con altri soggetti in ambito nazionale, europeo e internazionale; h) le modalità, definite su eventuale proposta e previo parere della consulta dei genitori, del collegio dei docenti e della consulta degli studenti, con le quali le istituzioni instaurano con altri soggetti pubblici o privati operanti sul territorio forme di cooperazione e collaborazione rivolte alla migliore definizione dei contenuti e degli indirizzi da esprimere nel progetto d’istituto.

Tale Statuto (comma 2) è adottato (e modificato) dal consiglio dell’istituzione scolastica e formativa a maggioranza dei due terzi, inviato quindi alla Provincia ed è approvato definitivamente salvo che entro quarantacinque giorni questa non lo rinvii per motivi di legittimità all’istituzione per il conseguente adeguamenti, ovvero esprima osservazioni in relazione alla sua conformità agli atti provinciali di programmazione e d’indirizzo.

Tuttavia, come previsto (comma 3), a garanzia di uniformità e per l’opportuno supporto, la Provincia ha elaborato (Del. n. 1075 del 25/05/2007) uno schema tipo di statuto a disposizione delle istituzioni scolastiche e formative.

Sul piano nazionale, premesso che la L 107/15, stralciata la riforma degli organi collegiali, aveva peraltro previsto (comma 180 e 181) la delega al Governo, entro 18 mesi (termine decorso), per il riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione attraverso la redazione di un nuovo testo unico, esaminando la più recente proposta di legge n. 2259, intitolata Norme per il governo delle istituzioni scolastiche, non vi è una specifica norma dedicata allo Statuto ma all’art. 1 comma 4 si limita a prevedere che “Gli statuti e i regolamenti delle istituzioni scolastiche disciplinano l’istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi interni, nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica”.

L’uso del verbo “istituire” desta qualche perplessità. Dal momento che i nuovi organi collegiali dovrebbero essere di fatto istituiti dalla legge ed eletti/nominati dalle istituzioni, affidarne la costituzione agli statuti sembra renderla potenziale ed incerta. La restante disciplina relativa allo Statuto è desunta dal contesto dei successivi articoli.

Così (Art. 3) sappiamo che il Consiglio dell’istituzione scolastica, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, redige, approva e modifica lo statuto, che comprende anche le modalità di elezione, sostituzione e designazione dei propri membri.

Non solo non è previsto uno Statuto tipo ma esso (comma 4) non è soggetto ad approvazione o a convalida da parte di nessuna autorità esterna. Quindi nessun controllo né garanzia di uniformità. Fermi i criteri previsti normativamente, ogni scuola resta libera di organizzarsi a suo modo. Nel rispetto dell’autonomia organizzativa vi sono però prerogative partecipative che dovrebbero essere assicurate a tutti in egual modo.

Lo statuto disciplina la composizione del consiglio dell’istituzione scolastica, per il quale la legge (Art. 4) prevede un numero di membri compreso fra sette e undici, secondo i seguenti criteri: 1) DS e DSGA sono membri di diritto senza diritto di voto; 2) la rappresentanza dei genitori e dei docenti è paritetica; 3) nelle scuole secondarie di secondo grado è assicurata la rappresentanza degli studenti; 4) possono esservi non più di due membri esterni.

Ad esso è rimessa altresì l’attività del consiglio dei docenti e delle sue articolazioni (art. 6), anche a livello di classe (senza menzionare espressamente un consiglio di classe), individuando le modalità della partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione degli obiettivi didattici di ogni singola classe o di gruppi di alunni (comma 6). Dunque la già debole figura del rappresentante di classe diventa del tutto residuale e non vi è cenno dei comitati genitori.

 

La proposta riforma di Bolzano

Analogamente la bozza di disegno di legge di Bolzano prevede che lo Statuto disciplini “l‘istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi del circolo di scuola dell’infanzia o della scuola, nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità della scuola dell’infanzia o scolastica” (Art. 3).

Il consiglio della direzione di circolo o di istituto (art. 6) ovvero il consiglio di istituto (art. 12) – la cui composizione è fissata dallo Statuto, nel rispetto dei seguenti criteri: a) la direttrice o il direttore del circolo della scuola dell’infanzia ovvero il/la dirigente della scuola è membro di diritto; b) i genitori eletti e il personale docente eletto ovvero o genitori ed i docenti nelle scuole del primo ciclo di istruzione sono rappresentati in modo paritetico mentre nelle scuole del secondo ciclo di istruzione e formazione la rappresentanza eletta dai genitori e dalle alunne e dagli alunni è paritetica a quella eletta dal personale docente; c) la segretaria o il segretario del circolo di scuola dell’infanzia ovvero della scuola è membro di diritto; d) può essere integrato da ulteriori componenti che non hanno diritto di voto – redige, approva e modifica lo statuto, comprese le modalità di elezione nonché la sostituzione dei propri componenti, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.

Per quanto riguarda il previsto consiglio di classe (art. 15) “Per ulteriori attività non oggetto di valutazione delle alunne o degli alunni lo statuto definisce la composizione del consiglio di classe e il diritto di voto dei componenti” (comma 4).

L’analogia è palese. Anche in tal caso non è contemplata alcuna verifica preventiva o successiva degli Statuti né uno statuto tipo, né si fa menzione dei comitati genitori/studenti e la figura del rappresentante di classe è potenziale e/o comunque totalmente svilita.

Senza entrare nel merito in questa sede di competenze specifiche degli organi, occorre però evidenziare che mentre la PDL C.2259 lascia la presidenza del consiglio ad un genitore, a Bolzano è previsto semplicemente sia presieduto da un componente, eletto nel suo seno.

 

La peculiarità del sistema partecipativo di Bolzano

Se sul piano nazionale il ruolo del rappresentante ha sempre stentato a definirsi mentre il comitato genitori resta una figura potenziale e la sua disciplina è ridotta al solo comma 2 dell’art. 15 del Dlgs 297/94, tanto che di solito finisce per trasformarsi in associazione, per Bolzano una siffatta riforma finirebbe per cancellare invece un sistema partecipativo organico e completo.

Infatti la LP 20/95 istituisce i seguenti organi collegiali:

a) il consiglio di classe;

b) il collegio dei docenti;

c) il comitato per la valutazione del servizio dei docenti;

d) il consiglio di circolo o di istituto;

e) il comitato dei genitori;

f) il comitato degli studenti, limitatamente alle scuole secondarie di secondo grado.

Il CAPO III è dedicato alle Assemblee degli studenti e dei genitori ed il CAPO V ai Comitati (ovvero Consulte) provinciali degli studenti e dei genitori.

Nel sistema nazionale, gli organi collegiali restano sostanzialmente scollegati, salvo la “possibilità” di costituire un comitato per collegare i rappresentanti di classe.

Il Dlgs 297/94 non ha previsto le consulte ma nel 1996 il DPR 567/96 ha istituito le sole consulte provinciali degli studenti, successivamente organizzate anche a livello nazionale, creando quindi un sistema partecipativo parallelo e disomogeneo, immutato a seguito del DPR 301/05.

La L.P. 20/95 invece mette al centro la figura del rappresentante. Ed invero i rappresentati eletti a livello di classe costituiscono il comitato genitori (art. 10) a cui partecipano anche i rappresentanti in consiglio di istituto e nella consulta provinciale. Il comitato poi non solo elegge nel suo seno il presidente ed il rappresentante nel comitato (consulta) provinciale dei genitori e concorre nell’organizzazione dell’elezione dei rappresentanti dei genitori nel consiglio di circolo o di istituto ma altresì formula proposte e pareri in merito alla programmazione ed all’organizzazione dell’attività della scuola, poi sottoposti all’organo competente, nonché in merito alla collaborazione scuola-genitori e all’aggiornamento dei genitori ed ha la facoltà di esprimersi in merito a tutte le questioni iscritte all’ordine del giorno delle sedute del consiglio di circolo o di istituto. Elabora inoltre il proprio programma di lavoro relativo ai contatti tra scuola e famiglia e all’aggiornamento dei genitori e sottopone le relative proposte al consiglio di circolo o di istituto, che delibera in merito e provvede al finanziamento.

Inoltre (art. 6) i presidenti dei comitati dei genitori e degli studenti ed i rappresentanti della scuola nelle consulte dei genitori e degli studenti partecipano a titolo consultivo alle sedute del consiglio di circolo o d’istituto e il Presidente del consiglio di circolo o di istituto, il presidente del comitato dei genitori e degli studenti possono essere invitati a partecipare alle sedute del collegio dei docenti, senza diritto di voto (art. 4).

Nulla di questo resterebbe con la riforma.

Le consulte provinciali degli studenti e dei genitori poi, che fungevano da raccordo tra la scuola (ed il sistema partecipativo a livello di istituto) ed il consiglio scolastico provinciale della LP 24/1996, sono considerate ora dall’art. 19 della bozza di disegno di legge solo quale espressione della rappresentanza di genitori e studenti nell’ambito del consiglio scolastico provinciale con il compito di “inoltrare alle assessore e agli assessori provinciali all’istruzione e formazione proposte ritenute utili per migliorare i vari aspetti riguardanti la scuola”.

Tanto non può che essere interpretato nel senso di un sostanziale svilimento della partecipazione.

L’auspicio è che resti aperto un dialogo costruttivo affinché, attraverso emendamenti del testo, si ripensi il sistema partecipativo secondo tali indicazioni rafforzando la rappresentanza, giacché dal dialogo delle componenti la scuola non può che trarne giovamento.

Circolare AgID 18 aprile 2017, n. 2

AGENZIA PER L’ITALIA DIGITALE

Circolare 18 aprile 2017, n. 2

Sostituzione della circolare n. 1/2017 del 17 marzo 2017, recante: «Misure minime di sicurezza ICT per le pubbliche amministrazioni. (Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 1° agosto 2015)». (17A03060)

(GU Serie Generale n.103 del 5-5-2017)

Premessa.

L’art. 14-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, di
seguito C.A.D., al comma 2, lettera a), tra le funzioni attribuite
all’AgID, prevede, tra l’altro, l’emanazione di regole, standard e
guide tecniche, nonche’ di vigilanza e controllo sul rispetto delle
norme di cui al medesimo C.A.D., anche attraverso l’adozione di atti
amministrativi generali, in materia di sicurezza informatica.
La direttiva del 1° agosto 2015 del Presidente del Consiglio dei
ministri impone l’adozione di standard minimi di prevenzione e
reazione ad eventi cibernetici. Al fine di agevolare tale processo,
individua nell’Agenzia per l’Italia digitale l’organismo che dovra’
rendere prontamente disponibili gli indicatori degli standard di
riferimento, in linea con quelli posseduti dai maggiori partner del
nostro Paese e dalle organizzazioni internazionali di cui l’Italia e’
parte.
La presente circolare sostituisce la circolare AgID n. 1/2017 del 17 marzo 2017 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 79 del 4 aprile 2017).

Art. 1

Scopo

Obiettivo della presente circolare e’ indicare alle pubbliche
amministrazioni le misure minime per la sicurezza ICT che debbono
essere adottate al fine di contrastare le minacce piu’ comuni e
frequenti cui sono soggetti i loro sistemi informativi.
Le misure minime di cui al comma precedente sono contenute
nell’allegato 1, che costituisce parte integrante della presente
circolare.

Art. 2

Amministrazioni destinatarie

Destinatari della presente circolare sono i soggetti di cui all’art. 2, comma 2 del C.A.D.

Art. 3

Attuazione delle misure minime

Il responsabile della struttura per l’organizzazione, l’innovazione
e le tecnologie di cui all’art.17 del C.A.D., ovvero, in sua assenza,
il dirigente allo scopo designato, ha la responsabilita’ della attuazione delle misure minime di cui all’art. 1.

Art. 4

Modulo di implementazione delle MMS-PA

Le modalita’ con cui ciascuna misura e’ implementata presso
l’amministrazione debbono essere sinteticamente riportate nel modulo di implementazione di cui all’allegato 2, anch’esso parte integrante della presente circolare.
Il modulo di implementazione dovra’ essere firmato digitalmente con marcatura temporale dal soggetto di cui all’art. 3 e dal responsabile legale della struttura. Dopo la sottoscrizione esso deve essere conservato e, in caso di incidente informatico, trasmesso al CERT-PA insieme con la segnalazione dell’incidente stesso.

Art. 5

Tempi di attuazione

Entro il 31 dicembre 2017 le amministrazioni dovranno attuare gli
adempimenti di cui agli articoli precedenti.

Roma, 18 aprile 2017

Il Presidente: Samaritani


1. GENERALITA’.

1.1. Scopo.
Il presente documento contiene le misure minime di sicurezza ICT
per le pubbliche amministrazioni le quali costituiscono parte
integrante delle linee guida per la sicurezza ICT delle pubbliche
amministrazioni.
Questo documento e’ emesso in attuazione della direttiva del
Presidente del Consiglio dei ministri 1° agosto 2015 e costituisce
un’anticipazione urgente della regolamentazione completa in corso di emanazione, al fine di fornire alle pubbliche amministrazioni dei
criteri di riferimento per stabilire se il livello di protezione offerto da un’infrastruttura risponda alle esigenze operative, individuando anche gli interventi idonei per il suo adeguamento.

2. PREMESSA.
La direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 1° agosto
2015, in considerazione dell’esigenza di consolidare un sistema di
reazione efficiente, che raccordi le capacita’ di risposta delle
singole amministrazioni, con l’obiettivo di assicurare la resilienza
dell’infrastruttura informatica nazionale, a fronte di eventi quali
incidenti o azioni ostili che possono compromettere il funzionamento dei sistemi e degli assetti fisici controllati dagli stessi, visto anche l’inasprirsi del quadro generale con un preoccupante aumento degli eventi cibernetici a carico della pubblica amministrazione, sollecita tutte le amministrazioni e gli organi chiamati ad intervenire nell’ambito degli assetti nazionali di reazione ad eventi cibernetici a dotarsi, secondo una tempistica definita e comunque nel piu’ breve tempo possibile, di standard minimi di prevenzione e reazione ad eventi cibernetici. A fine di agevolare tale processo l’Agenzia per l’Italia digitale e’ stata impegnata a rendere prontamente disponibili indicatori degli standard di riferimento, in linea con quelli posseduti dai maggiori partner del nostro Paese e dalle organizzazioni internazionali di cui l’Italia e’ parte.
L’Agenzia e’ costantemente impegnata nell’aggiornamento continuo
della normativa tecnica relativa alla sicurezza informatica della
pubblica amministrazione ed in particolare delle regole tecniche per
la sicurezza informatica delle pubbliche amministrazioni la cui
emanazione e’ pero’ di competenza del Dipartimento per la funzione
pubblica e richiede l’espletamento delle procedure previste dalla
normativa comunitaria per la regolamentazione tecnica. Pertanto il
presente documento, che contiene le misure minime di sicurezza ICT per le pubbliche amministrazioni e costituisce parte integrante delle linee guida per la sicurezza ICT delle pubbliche amministrazioni, viene pubblicato, in attuazione della direttiva sopra citata, come anticipazione urgente della regolamentazione in corso di emanazione, al fine di fornire un riferimento utile a stabilire se il livello di protezione offerto da un’infrastruttura risponde alle esigenze operative, individuando anche gli interventi idonei per il suo adeguamento.
La scelta di prendere le mosse dall’insieme di controlli noto
come SANS 20, oggi pubblicato dal Center for Internet Security come CCSC «CIS Critical Security Controls for Effective Cyber Defense» nella versione 6.0 di ottobre 2015, trova giustificazione, oltre che nella larga diffusione ed utilizzo pratico, dal fatto che esso nasce con una particolare sensibilita’ per i costi di vario genere che
l’implementazione di una misura di sicurezza richiede, ed i benefici
che per contro e’ in grado di offrire. L’elenco dei venti controlli
in cui esso si articola, normalmente riferiti come Critical Security
Control (CSC), e’ ordinato sulla base dell’impatto sulla sicurezza
dei sistemi; per cui ciascun controllo precede tutti quelli la cui
implementazione innalza il livello di sicurezza in misura inferiore
alla sua. E’ comune convinzione che i primi cinque controlli siano
quelli indispensabili per assicurare il minimo livello di protezione
nella maggior parte delle situazioni e da questi si e’ partiti per
stabilire le misure minime di sicurezza per la pubblica
amministrazione italiana, avendo ben presente le enormi differenze di dimensioni, mandato, tipologie di informazioni gestite, esposizione al rischio, e quant’altro caratterizza le oltre ventimila
amministrazioni pubbliche.
In realta’ nel definire gli AgID Basic Security Control(s) (ABSC)
si e’ partiti dal confronto tra le versioni 6.0 e 5.1 dei CCSC, che
puo’ essere assunto quale indicatore dell’evoluzione della minaccia
cibernetica nel corso degli ultimi anni. E’ infatti evidente
l’aumento di importanza delle misure relative agli amministratori di
sistema, che balzano dal 12° al 5° posto, entrando nella rosa dei
Quick Win, mentre la sicurezza applicativa scivola dal 6° al 18°
posto e gli accessi wireless dal 7° al 15° a causa della diffusione
delle contromisure atte a contrastare le vulnerabilita’ tipiche di
tali ambiti.
In definitiva, anche per facilitare il confronto con la definizione originale, si e’ deciso di fare riferimento, nell’identificazione degli ABSC, alla versione 6 dei CCSC. Tuttavia l’insieme dei controlli definiti e’ piu’ vicino a quello della versione 5.1 poiche’ si e’ ritenuto che molti di quelli che nel passaggio alla nuova versione sono stati eliminati, probabilmente perche’ non piu’ attuali nella realta’ statunitense, siano ancora importanti nel contesto della pubblica amministrazione italiana.
Occorre inoltre osservare che il CCSC e’ stato concepito
essenzialmente nell’ottica di prevenire e contrastare gli attacchi
cibernetici, ragione per la quale non viene data particolare
rilevanza agli eventi di sicurezza dovuti a casualita’ quali guasti
ed eventi naturali. Per questa ragione, ai controlli delle
prime cinque classi si e’ deciso di aggiungere quelli della CSC8,
relativa alle difese contro i malware, della CSC10, relativa alle
copie di sicurezza, unico strumento in grado di proteggere sempre e
comunque le informazioni dal rischio di perdita, e della CSC13,
riferita alla protezione dei dati rilevanti contro i rischi di
esfiltrazione.
In realta’ ciascun CSC e’ costituito da una famiglia di misure di
dettaglio piu’ fine, che possono essere adottate in modo
indipendente, consentendo un’ulteriore modulazione utile ad adattare il sistema di sicurezza alla effettiva realta’ locale. Nonostante cio’ si e’ ritenuto che anche al secondo livello ci fosse una granularita’ ancora eccessiva, soprattutto sotto il profilo
implementativo, che avrebbe costretto soprattutto le piccole
amministrazioni ad introdurre misure esagerate per la propria
organizzazione. Per tale ragione e’ stato introdotto un ulteriore
terzo livello, nel quale la misura di secondo livello viene decomposta in misure elementari, ancora una volta implementabili in
modo indipendente. Pertanto un ABSC e’ identificato da un
identificatore gerarchico a tre livelli x, y, z, dove x e y sono i
numeri che identificano il CSC concettualmente corrispondente e z
individua ciascuno dei controlli di livello 3 in cui questo e’ stato
raffinato.
Al primo livello, che corrisponde ad una famiglia di controlli
destinati al perseguimento del medesimo obiettivo, e’ associata una
tabella che li contiene tutti. Nella prima colonna, sviluppata
gerarchicamente su tre livelli, viene definito l’identificatore
univoco di ciascuno di essi. La successiva colonna «Descrizione»
specifica il controllo attraverso una definizione sintetica.
Nella terza colonna, «FNSC» (Framework nazionale di sicurezza
cibernetica), viene indicato l’identificatore della Subcategory del
Framework Core del Framework nazionale per la Cyber Security,
proposto con il 2015 Italian Cyber Security Report del CIS «La
Sapienza» presentato lo scorso 4 febbraio 2016, al quale il controllo
e’ riconducibile. Pur non intendendo costituire una
contestualizzazione del Framework, le misure minime concretizzano
praticamente le piu’ importanti ed efficaci azioni che questo guida
ad intraprendere. Per il diverso contesto di provenienza ed il
differente obiettivo che i due strumenti intendono perseguire, le
misure minime pongono l’accento sopra gli aspetti di prevenzione
piuttosto che su quelli di risposta e ripristino.
Le ultime tre colonne sono booleane e costituiscono una linea
guida che indica quali controlli dovrebbero essere implementati per
ottenere un determinato livello di sicurezza. La prima, «Minimo»,
specifica il livello sotto il quale nessuna amministrazione puo’
scendere: i controlli in essa indicati debbono riguardarsi come
obbligatori. La seconda, «Standard», puo’ essere assunta come base di riferimento nella maggior parte dei casi, mentre la terza, «Alto»,
puo’ riguardarsi come un obiettivo a cui tendere.
Il raggiungimento di elevati livelli di sicurezza, quando e’
molto elevata la complessita’ della struttura e l’eterogeneita’ dei
servizi erogati, puo’ essere eccessivamente oneroso se applicato in
modo generalizzato. Pertanto ogni amministrazione dovra’ avere cura di individuare al suo interno gli eventuali sottoinsiemi, tecnici e/o organizzativi, caratterizzati da omogeneita’ di requisiti ed
obiettivi di sicurezza, all’interno dei quali potra’ applicare in
modo omogeneo le misure adatte al raggiungimento degli obiettivi
stessi.
Le amministrazioni NSC, per l’infrastruttura che gestisce dati
NSC, dovrebbero collocarsi almeno a livello “standard” in assenza di
requisiti piu’ elevati.

3. LA MINACCIA CIBERNETICA PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
Nel recente passato si e’ assistito ad una rapida evoluzione
della minaccia cibernetica ed in particolare per quella incombente
sulla pubblica amministrazione, che e’ divenuta un bersaglio
specifico per alcune tipologie di attaccanti particolarmente
pericolosi.
Se da un lato la pubblica amministrazione continua ad essere
oggetto di attacchi dimostrativi, provenienti da soggetti spinti da
motivazioni politiche ed ideologiche, sono divenuti importanti e
pericolose le attivita’ condotte da gruppi organizzati, non solo di
stampo propriamente criminale.
I pericoli legati a questo genere di minaccia sono
particolarmente gravi per due ordini di motivi. Il primo e’ la
quantita’ di risorse che gli attaccanti possono mettere in campo, che
si riflette sulla sofisticazione delle strategie e degli strumenti
utilizzati. Il secondo e’ che il primo obiettivo perseguito e’ il
mascheramento dell’attivita’, in modo tale che questa possa procedere senza destare sospetti. La combinazione di questi due fattori fa si’ che queste misure minime, pur tenendo nella massima considerazione le difese tradizionali, quali gli antivirus e la difesa perimetrale, pongano l’accento sulle misure rivolte ad assicurare che le attivita’ degli utenti rimangano sempre all’interno dei limiti previsti.
Infatti elemento comune e caratteristico degli attacchi piu’
pericolosi e’ l’assunzione del controllo remoto della macchina
attraverso una scalata ai privilegi.
Nei fatti le misure preventive, destinate ad impedire il successo
dell’attacco, devono essere affiancate da efficaci strumenti di
rilevazione, in grado di abbreviare i tempi, oggi pericolosamente
lunghi, che intercorrono dal momento in cui l’attacco primario e’
avvenuto e quello in cui le conseguenze vengono scoperte. Oltre tutto una lunga latenza della compromissione rende estremamente complessa, per la mancanza di log, modifiche di configurazione e anche avvicendamenti del personale, l’individuazione dell’attacco primario, impedendo l’attivazione di strumenti efficaci di prevenzione che possano sicuramente impedire il ripetersi degli eventi.
In questo quadro diviene fondamentale la rilevazione delle
anomalie operative e cio’ rende conto dell’importanza data agli
inventari, che costituiscono le prime due classi di misure, nonche’
la protezione della configurazione, che e’ quella immediatamente
successiva.
La quarta classe deve la sua priorita’ alla duplice rilevanza
dell’analisi delle vulnerabilita’. In primo luogo le vulnerabilita’
sono l’elemento essenziale per la scalata ai privilegi che e’
condizione determinante per il successo dell’attacco; pertanto la
loro eliminazione e’ la misura di prevenzione piu’ efficace.
Secondariamente si deve considerare che l’analisi dei sistemi e’ il
momento in cui e’ piu’ facile rilevare le alterazioni eventualmente
intervenute e rilevare un attacco in corso.
La quinta classe e’ rivolta alla gestione degli utenti, in particolare gli amministratori. La sua rilevanza e’ dimostrata dall’ascesa, accennata in premessa, dal 12° al 5° posto nelle SANS 20, motivata dalle considerazioni cui si e’ fatto riferimento poco dianzi.
La sesta classe deve la sua considerazione al fatto che anche gli
attacchi complessi prevedono in qualche fase l’installazione di
codice malevolo e la sua individuazione puo’ impedirne il successo o
rilevarne la presenza.
Le copie di sicurezza, settima classe, sono alla fine dei conti
l’unico strumento che garantisce il ripristino dopo un incidente.
L’ultima classe, la protezione dei dati, deve la sua presenza
alla considerazione che l’obiettivo principale degli attacchi piu’
gravi e’ la sottrazione di informazioni.

Allegato 2

Avviso pubblico per “Potenziamento della Cittadinanza europea – Precisazioni interventi attivabili. Rettifica

Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola – Competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020. Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola, competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020 Asse I – Istruzione – Fondo Sociale Europeo (FSE) Obiettivo Specifico 10.2 – Sotto azione 10.2.3B e Sotto Azione 10.2.3C. Avviso pubblico per “Potenziamento della Cittadinanza europea” Prot. 3504 del 31 marzo 2017. Precisazioni interventi attivabili. Rettifica

Prot. 4125 del 18 aprile 2017

Decreto Dipartimentale 18 aprile 2017, AOODPIT 323

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione

Al Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
SEDE

Oggetto: Richiesta pubblicazione sul sito istituzionale

In riferimento alla nota del Capo Dipartimento Istruzione n. prot. 2187 del 15.10.2013, si trasmette la seguente nota di accompagnamento ai fini della pubblicazione dell’allegato bando relativo all’attivazione della International Summer School in Higher Education in Philosophy Le agorà e l’esercizio critico del pensiero – II Edizione – A.S. 2016-2017.

Nota di accompagnamento
La Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione attiva la International Summer School in Higher Education in Philosophy Le agorà e l’esercizio critico del pensiero – II Edizione, prevista tra le attività delle Olimpiadi di Filosofia dell’anno scolastico 2016-2017, d’intesa con la Società Filosofica Italiana e in collaborazione con: il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Catania, la Struttura Didattica Speciale di Lingue e Letterature straniere di Ragusa, la Sezione di Catania della Società Filosofica Italiana, l’Associazione Philolympia e l’Associazione Inschibboleth, il Comune di Ragusa.
La Summer School si svolgerà in Sicilia, a Ragusa Iblea, dal 17 al 19 luglio 2017 e avrà come tema Forme del discorso e della scrittura filosofica.
Oggetto del documento e contenuti principali
Il bando contiene le modalità di presentazione della domanda di partecipazione alla Summer School da effettuarsi entro e non oltre il 14 maggio 2017 esclusivamente online tramite il portale dedicato alle Olimpiadi di Filosofia: https://www.philolympia.org.
La Summer School intende fornire ai partecipanti sia l’approfondimento di contenuti filosofici sia il rinnovamento delle metodologie e delle pratiche d’aula attraverso l’innovazione degli ambienti e delle risorse di apprendimento, nonché il confronto con la realtà scolastica e accademica europea ed extraeuropea, al fine di promuovere l’apprendimento della filosofia in termini di pensiero critico, capacità argomentativa, ragionamento corretto per la formazione dei futuri cittadini.
A tale scopo, il programma è strutturato in tre giornate di attività che coinvolgeranno i partecipanti in relazioni e laboratori di didattica, tenuti da docenti qualificati e ricercatori.

Destinatari della comunicazione
Direttori Uffici Scolastici Regionali, Dirigenti scolastici, Docenti.

Finalità della pubblicazione
Comunicare ai soggetti coinvolti l’informazione relativa al bando. Per eventuali comunicazioni contattare la Coordinatrice scientifica delle Olimpiadi di Filosofia: Prof.ssa Carla Guetti: carla.guetti@istruzione.it

Roma, 18/04/2017

IL DIRETTORE GENERALE
Carmela Palumbo


Decreto Dipartimentale 18 aprile 2017, AOODPIT 323
Bando della International Summer School in Higher Education in Philosophy