Inserimento lavorativo, Aipd e Jobmetoo uniscono le forze

Redattore Sociale del 20-04-2017

Inserimento lavorativo, Aipd e Jobmetoo uniscono le forze

Firmato il protocollo tra l’associazione delle persone con sindrome di Down e l’agenzia per l’inserimento lavorativo delle categorie protette: prevede una collaborazione, capace di far incontrare aziende e aspiranti lavoratori.

ROMA. Una nuova sinergia per facilitare l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità e, in particolare, con sindrome di Down: è stato appena siglato il protocollo tra l’Aipd, l’associazione delle persone con sindrome di Down, e Jobmetoo, l’agenzia che, tramite il suo portale, favorisce l’inserimento lavorativo delle categorie protette. L’accordo prevede una collaborazione reciproca: da un lato l’Aipd offrirà le proprie competenze sulla disabilità intellettiva, permettendo così all’azienda Jobmetoo di conoscere più da vicino la sindrome Down; dall’altro l’associazione potrà usufruire dei servizi del portale dedicato agli inserimenti lavorativi di categorie protette. Questo aumenterà le possibilità di inserimento lavorativo delle persone con sindrome di Down e farà entrare Aips nel network Jobmetoo e delle aziende e imprenditori interessati agli inserimenti lavorativi delle persone con disabilità.

“Siamo molto soddisfatti di questa nuova collaborazione – ha affermato Paolo Virgilio Grillo, presidente dell’Aipd – questo protocollo sarà utile ai nostri figli nella ricerca di un lavoro e ci accredita ulteriormente come realtà che fa formazione e che ha una credibilità sul mercato del lavoro”. Stessa soddisfazione da parte di Daniele Regolo, fondatore di Jobmetoo: “Abbiamo già avuto delle esperienze molto significative in Lombardia con inserimenti di ragazzi con Sindrome di Down nelle farmacie del territorio. Con questa partnership vogliamo dare un impulso su disabilità generalmente considerate impegnative ma che possono trovare ottime collocazioni lavorative”.

Bonus Stradivari

Bonus strumenti musicali

Tutto pronto per accedere al cosiddetto “Bonus Stradivari” per l’acquisto di uno strumento musicale nuovo per motivi di studio. Usufruendo del contributo previsto dalla Legge di bilancio 2017, studentesse e studenti iscritti a corsi di studio specifici (AFAM, Licei musicali) avranno diritto ad uno sconto sul prezzo di vendita praticato dal rivenditore o dal produttore. Il contributo spetta una tantum per gli acquisti effettuati nel 2017 per un importo non superiore al 65%o del prezzo finale, per un massimo di 2.500 euro. Dalla giornata di oggi gli esercenti possono inviare la richiesta del credito di imposta all’Agenzia delle entrate utilizzando i canali tematici dedicati.
Chi può richiedere lo sconto – Il bonus è riservato alle studentesse e agli studenti iscritti ai Licei musicali, ai corsi preaccademici, ai corsi del precedente ordinamento ed ai corsi di diploma accademico di I e di II livello dei Conservatori di musica, degli Istituti superiori di studi musicali e delle Istituzioni di formazione musicale e coreutica autorizzate a rilasciare titoli di Alta formazione artistica, musicale e coreutica. Un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate pubblicato a marzo contiene l’elenco degli istituti riconosciuti ai fini dell’agevolazione. Per accedere al bonus è necessario essere in regola con il pagamento delle tasse e dei contributi dovuti per l’iscrizione all’anno 2016/2017 o 2017/2018.
Che cosa deve fare lo studente – Il contributo è concesso per l’acquisto di uno strumento musicale nuovo, coerente con il corso di studi cui si è iscritti, o considerato “affine” o “complementare”. Il contributo spetta anche per l’acquisto di un singolo componente dello strumento, ma non per i beni di consumo. Per accedere all’agevolazione occorre richiedere all’istituto un certificato di iscrizione che riporti alcuni dati principali (cognome, nome, codice fiscale, corso e anno di iscrizione, strumento musicale coerente con il corso di studi) da consegnare al rivenditore all’atto dell’acquisto. Agli studenti che hanno già beneficiato della agevolazione per l’acquisto di uno strumento musicale nel 2016, lo sconto spetta al netto del contributo già fruito.
Il credito d’imposta per il rivenditore o produttore – Lo sconto sul prezzo di vendita diventa un credito d’imposta per il rivenditore o produttore, fino a concorrenza dei 15 milioni di euro disponibili, che verranno assegnati in ordine cronologico. Prima di concludere la vendita, l’esercente deve comunicare all’Agenzia il proprio codice fiscale, quello dello studente e dell’istituto che ha rilasciato il certificato di iscrizione, lo strumento musicale, il prezzo di vendita comprensivo del contributo e dell’imposta sul valore aggiunto. Le comunicazioni possono essere effettuate da oggi, 20 aprile 2017, utilizzando i canali telematici Entratel o Fisconline, anche tramite intermediario. Il sistema telematico rilascerà apposita ricevuta attestante la fruibilità o meno del credito di imposta nel limite delle risorse stanziate, in ragione della correttezza dei dati e tenendo conto dell’eventuale contributo già utilizzato dallo studente nel 2016. A partire del secondo giorno lavorativo successivo alla data di rilascio della ricevuta, il credito d’imposta è utilizzabile in compensazione presentando il modello F24 esclusivamente tramite i servizi telematici Entratel o Fisconline e indicando il codice tributo 6865.

L’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. Lo stato dell’arte: quali prospettive?

Mercoledì 26 aprile dalle ore 18 alla Casa per la Pace “La Filanda”, in via Canonici Renani 8 a Croce di Casalecchio (Bo), è in programma l’incontro, con cena collettiva, dal titolo “L’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. Lo stato dell’arte: quali prospettive?“.

L’iniziativa comincerà con la presentazione di tre esperienze positive nel territorio raccontate dalle protagoniste: l’insegnante di sostegno Cristina Triani parlerà di “Andrea“, un’esperienza realizzata nella scuola primaria XXV Aprile (Istituto Comprensivo Croce); Silvia Bassani di Futura associazione racconterà del percorso d’inclusione attuato nel nido d’infanzia Mazzoni (quartiere Savena, Bologna) dal titolo “Le diversità regalano sfumature“; Sandra Negri del Centro Documentazione Handicap presenterà “Oltre la copertina“: percorsi d’incontro con la diversità attraverso i libri, la scrittura in simboli e la relazione educativa realizzati con la scuola secondaria di primo grado Saffi (quartiere San Donato – San Vitale, Bologna).

Alle 19.30, grazie al contributo di ogni partecipante, si cenerà tutti insieme.

Infine, a partire dalle 20.30, ci sarà una discussione sulle tematiche affrontate con Patrizia Sandri (Professoressa associata di Didattica e Pedagogia Speciale dell’Università di Bologna), Carlo Lepri (Psicologo, Università di Genova) e Roberta Caldin (Università di Bologna).

Questa iniziativa – promossa dall’associazione Percorsi di Pace in collaborazione con CDH – Centro Documentazione Handicap, associazione d’iDee e Futura associazione – è collegata a “Un cammino lungo un giorno“, camminata solidale di 24 ore dedicata all’inclusione sociale delle persone con disabilità in programma l’8 e il 9 aprile.

La Scienza si mobilita in tutto il mondo

Studiosi e cittadini statunitensi hanno organizzato per il 22 aprile una marcia per la scienza che ha da subito assunto una veste globale, rilanciata e sostenuta in tantissimi altri paesi d’Europa e del Mondo. Tra questi l’Italia, che ha visto la nascita di un comitato organizzatore indipendente composto da ricercatori, studenti, dottorandi, semplici cittadini. Il testo dell’appello.

La FLC CGIL, che ha tra i propri obiettivi quello di riaffermare e sottolineare il ruolo della scienza nelle nostre società, ha fin dall’inizio favorito questa iniziativa e la sta sostenendo con decisione. Sabato 22 aprile saremo dunque a Roma per partecipare ad una marcia che partirà alle ore 16 da Piazza della Rotonda fino a Campo de’ Fiori. A seguire, dalle ore 17 alle 19, Teach in al Villaggio per la Terra sulla terrazza del Pincio in collaborazione con la Coalizione Clima.

In preparazione della giornata mondiale del 22 aprile per la scienza e la democrazia, la FLC CGIL e la CGIL hanno organizzato per venerdì 21 aprile un incontro dalle ore 9.30 alle 13.30 presso il Salone centrale Enea Roma Sede, Lungotevere Thaon di Revel 76, per discutere di “Clima, Ricerca e Democrazia“. A seguire tavola rotonda. Saranno in videoconferenza i maggiori centri ENEA.
Partecipano all’iniziativa, tra gli altri, Francesco Sinopoli, Segretario generale FLC CGIL e Vincenzo Colla, Segretario nazionale CGIL. Il programma dell’iniziativa.

Sciencemarchit: www.facebook.com/sciencemarchit
@ScienceMarchIT https://twitter.com/ScienceMarchIT
Hashtag: #ScienceMarchIT  #MarchforScience

Dirigenti scolastici, necessaria la mobilitazione

Dirigenti scolastici, necessaria la mobilitazione

Il confronto sulla valutazione dei dirigenti scolastici, avviato con il MIUR il 12 aprile 2017 a seguito della richiesta unitaria delle scriventi Organizzazioni Sindacali, non ha prodotto i risultati attesi. L’Amministrazione infatti, pur avendo modificato la Direttiva n. 36/2016 col rinvio al prossimo anno degli effetti retributivi conseguenti alla valutazione, ha confermato la scelta di procedere comunque alla classificazione dei dirigenti su tre livelli di raggiungimento degli obiettivi assegnati.

Con questo modo di procedere, che non tiene nella dovuta considerazione le proposte sindacali, risulta disatteso l’impegno a ricondurre queste tematiche all’ambito negoziale, in linea con quanto prevede l’intesa di Palazzo Vidoni sulla contrattazione nei comparti pubblici.

Alla luce di quanto sopra Flc CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e Snals CONFSAL hanno deciso di riunire con urgenza e congiuntamente nei prossimi giorni a Roma i propri organismi sindacali nazionali rappresentativi della dirigenza scolastica, per stabilire le modalità di una necessaria mobilitazione.

Invitano nel frattempo i dirigenti scolastici ad astenersi dall’attuazione degli adempimenti non obbligatori connessi alla valutazione, a partire dalla partecipazione alle attività (non obbligatorie) di formazione.

Roma, 20 aprile 2017

Flc Cgil, Gianni Carlini
Cisl Scuola, Mario Guglietti
Uil Scuola RUA, Rosa Cirillo
Snals Confsal, Pasquale Ragone

Libri Fuori-classe

Tempo di Libri: ecco Libri Fuori-classe
Al via il progetto del mondo del libro per l’Alternanza Scuola Lavoro

Toccafondi (MIUR): Gli studenti conosceranno da vicino il mondo dell’editoria

 

Diffondere e valorizzare nelle nuove generazioni il ruolo culturale del libro come mezzo di trasmissione del sapere, permettendo agli studenti di vivere un’esperienza concreta di lavoro, all’interno dei vari settori in cui si articola il mondo del libro. È questo l’obiettivo del progetto Libri Fuori-classe, presentato oggi a Tempo di Libri, sotto la lettera X dell’alfabeto della Fiera.

A breve la firma di un protocollo d’intesa per l’Alternanza Scuola Lavoro tra la filiera del mondo del libro e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

 

Il progetto è stato illustrato nella Sala Gotham alla presenza dei presidenti di AIE Federico Motta, di ALI Alberto Galla e di AIB Enrica Manenti e il Sottosegretario di Stato del MIUR, Gabriele Toccafondi. Messo a punto dalle tre associazioni (AIE, ALI e AIB), Libri Fuori-Classe si pone l’obiettivo di supportare le scuole e le aziende del settore, mettendo a disposizione strumenti semplici e innovativi, utili per attivare processi di Alternanza Scuola Lavoro che permettano ai ragazzi di conoscere il mondo del libro e di prepararsi per una esperienza di lavoro in casa editrice, in libreria o in biblioteca. Un’occasione per creare opportunità di accesso al sapere e organizzare iniziative dedicate alla promozione della cultura del libro e alla sensibilizzazione del sistema scolastico sui temi ad essa legati.

 

“L’alternanza – ha dichiarato il Sottosegretario di Stato del MIUR Gabriele Toccafondi – è far fare esperienza ai ragazzi, con questo progetto i ragazzi delle scuole secondarie avranno la possibilità di conoscere direttamente aspetti significativi del mondo dell’editoria. Competenze specifiche che hanno un’evidente ricaduta in termini di figure professionali e rappresenta un investimento per la scuola e per chi crede nell’inserimento dei ragazzi, all’interno dei luoghi di lavoro, come motore della formazione di studenti qualificati e preparati ad affrontare, dopo gli studi, la realtà lavorativa. La scuola di oggi deve sempre più raccordarsi con le energie positive e produttive delle imprese, delle aziende, del modo del lavoro, per dare ai nostri studenti più competenze, più saperi e dunque più opportunità di lavoro e più potere di scelta”.

 

Il progetto si articola in sei moduli, i primi di orientamento e i successivi più operativi, che potranno essere selezionati dalle scuole secondo le esigenze e in accordo con le realtà ospitanti.

Elemento centrale del progetto è la piattaforma www.librifuoriclasse.it, disponibile a partire da giugno, dove saranno messi a disposizione di scuole e aziende interessate tutti i materiali e dei video appositamente selezionati. Si troverà inoltre l’elenco delle case editrici, librerie e biblioteche dove sarà possibile svolgere i percorsi di Alternanza Scuola Lavoro.


Slide

Studenti italiani campioni di ansia e di internet, ma abbastanza felici della scuola

da Il Sole 24 Ore

Studenti italiani campioni di ansia e di internet, ma abbastanza felici della scuola

di Pierangelo Soldavini

L’Ocse: «Dal benessere dipendono motivazione e apprendimento». La minaccia maggiore rimane il bullismo

Gli studenti sono sufficientemente soddisfatti della loro vita scolastica, ma sono rosi da un’ansia di prestazione decisamente superiore alla media e sono forti consumatori di internet. Entrambi questi fattori non favoriscono l’apprendimento e la motivazione nella carriera scolastica, secondo quanto sottolinea il nuovo rapporto dell’Ocse sul “Benessere degli studenti” pubblicato oggi.

«Le scuole non sono solo luoghi dove gli studenti acquisiscono competenze accademiche: esse sostengono anche gli studenti nella capacità di affrontare i problemi, di c0nnettersi e lavorare in gruppo con le persone attorno e di aumentare le aspirazioni per il loro futuro»: è questo il presupposto dello studio che completa il rapporto Pisa dell’Ocse, quello che valuta periodicamente il grado di preparazione degli studenti quindicenni sulle materie scientifiche e sulla lettura. Il rapporto si spinge così a indagare il grado di soddisfazione e di “felicità” degli studenti per quanto riguarda gli aspetti psicologici e sociali, e il relativo impatto sulle prospettive cognitive. «Non di meno la scuola è il primo ambito in cui i bambini sperimentano le relazioni sociali in tutti i loro aspetti, e questa esperienza può avere un impatto profondo sul loro comportamento e sulle loro attitudini future», sottolinea il rapporto.

Italiani soddisfatti, ma ansiosi. Gli studenti italiani sono poco sotto la media Ocse per quanto riguarda il grado di soddisfazione della loro vita, con un livello di 6,9 (in una scala da 0 a 10) rispetto a una media di 7,3. Nello specifico le scuole in cui gli studenti si ritengono più soddisfatti sono caratterizzate da un clima di disciplina e da un forte sostegno dei docenti nel processo di apprendimento di ciascun ragazzo.

In linea con la media Ocse anche il sentimento di appartenenza, anche se gli studenti con un background di immigrazione registrano una media più bassa rispetto agli altri Paesi Ocse. Ma quello che caratterizza gli studenti italiani è un livello di ansia decisamente più elevato degli altri Paesi: il 56% diventa nervoso quando si prepara a un test (media Ocse: 37%) e il 70% entra in forte ansia di fronte a un test, anche se preparato (56%). «L’ansia scolastica è uno dei maggiori fattori associati a una scarsa soddisfazione con la vita», precisa il rapporto aggiungendo che in Italia «l’ansia scolastica è più frequente nelle scuole in cui si studia per più di 50 ore a settimana, sia a scuola che fuori. Il dato conferma quindi che il tempo passato sui libri non necessariamente è proporzionale all’apprendimento: al contrario, più sono le ore di studio più si rischia una caduta di motivazione. Quello che è invece cruciale è la qualità dello studio, come più volte sottolienato dall’Ocse.

Consumatori estremi di internet. Quasi un quarto dei quindicenni italiani (il 23%) usa internet per oltre sei ore al giorno, fuori dalla scuola, in un normale giorno della settimana, «e sono quindi ritenuti consumatori estremi di internet». Quasi la metà (il 47%) dice di «sentirsi proprio male se non c’è una connesione a internet». Questo non depone in maniera positiva per la carriera scolastica degli studenti: «I consumatori estremi di internet hanno tendenzialmente peggiori risultati a scuola, maggiori probabilità di saltare scuola o arrivare in ritardo, e minori probabilità di conseguire una laurea o un diploma universitario».

L’Ocse non vuole con questo “demonizzare” l’uso di internet, ma prendere atto di un dato di fatto. Il problema, come già sottolineato in uno studio dedicato alla scuola digitale, è che i docenti spesso non sono adeguatamente formati e non riescono quindi a educare i ragazzi a un utilizzo attivo e costruttivo della rete e delle enorme potenzialità che offre. Con il risultato che spesso i ragazzi usano il web, magari anche a scopo didattico, ma come strumento passivo, di mera consultazione.

L’importanza dei genitori. Gli studenti italiano percepiscono un elevato livello di sostegno da parte dei genitori. Quasi la totalità degli studenti (il 96%) segnalano che i genitori sono interessati alle loro attività scolastiche e l’89% che li sostengono quando affrontano delle difficoltà a scuola. Non sempre questo è ritenuto positvo dai docenti, che denunciano una forte invasione di campo dei genitori in ambito didattico. Ma il rapprto sottolinea che «i genitori possono fare la differenza»: non solo seguendo i ragazzi nella loro vita scolastica, ma semplicemente interessando della loro vita in generale, investendo del tempo per parlare con i figli o per pranzare con loro senza fretta. Anche quando si coinvolgono nella scuola, i genitori devono comunque partire da un rapporto con gli insegnanti basato sula fiducia reciproca. L’intervento dei genitori può avere un grosso impatto nell’aiutare a gestire l’ansia dei ragazzi sostenendoli nella loro capacità di affrontare i nodi scolastici.

La minaccia del bullismo. Forse la minaccia maggiore al “benessere” degli studenti è il bullismo. In media nelle scuola dei Paesi Ocse l’11% degli studenti segnala di essere preso in giro più volte al mese, il 7% di essere escluso e l’8% di essere oggetto di pettegolezzi e voci negative. Quasi il 4% dei ragazzi (con picchi che arrivano quasi al 10%) – più o meno uno per classe – segnala di essere picchiato o spinto almeno qualche volta al mese, mentre l’8% denuncia di essere oggetto di bullismo fisico più volte in un anno.

Il rapporto ammette che non ci sono soluzioni preconfezionate per risolvere il problema, ma invita le scuole a aumentare gli sforzi per creare un clima di sicurezza e rispetto reciproco, che comprenda anche la formazione dei docenti su questo specifico aspetto e il coinvolgimento dei genitori. Anche in questo ambito un’attenzione particolare deve essere rivolta per educare gli studenti a un uso più responsabile di internet.

Altri 25 milioni di euro per gli Its

da Il Sole 24 Ore

Altri 25 milioni di euro per gli Its

di Claudio Tucci

La strategia del governo di rilancio degli Its, gli Istituti tecnici superiori, post diploma, alternativi all’università, partecipate dalle imprese, si arricchirà presto di un nuovo tassello: superati tutti gli “ostacoli” burocratici, il ministero dell’Istruzione è pronto a mettere sul piatto un finanziamento aggiuntivo (rispetto ai 13 milioni ordinari l’anno) di 25 milioni di euro, provenienti dai fondi europei (Pon).

I fondi Ue
La fetta più consistente di queste risorse, 21 milioni per l’esattezza, serviranno per promuovere, con voucher, stage e tirocini in ambito interregionale o all’estero, organizzati dalle Fondazioni Its e coerenti con il percorso formativo dello studente.

Le risorse rimanenti saranno investite invece tra «azioni di sistema» (essenzialmente per supportare governance e programmazione delle attività didattiche) e interventi di formazione mirata (e aggiornamento) a favore di presidi e personale scolastico (anche per sviluppare un approccio “manageriale” nella gestione di queste “super scuole di tecnologia”).

Le novità in arrivo
L’annuncio ufficiale da parte del ministero guidato da Valeria Fedeli arriverà oggi: saranno ammessi al voucher «per la formazione terziaria non accademica» ragazzi iscritti agli Its che abbiano frequentato positivamente il primo semestre, con un Isee non superiore ai 25mila euro (si punta a “far partire” gruppi di non più di 20 alunni). Ogni istituto capofila (ente di riferimento) potrà presentare i progetti: per stage/tirocini in ambito interregionale il massimale è stato fissato in 42.300 euro (per un progetto, cioè un modulo di 240 ore – pari a circa tre mesi); se si va all’estero il tetto del finanziamento sarà più elevato: 128.250 euro (sempre per un modulo di 240 ore).

Rilanciare la filiera professionalizzante
«Vogliamo spingere sugli Its – ha sottolineato il sottosegretario, Gabriele Toccafondi -. Puntiamo a qualificare la formazione “sul campo” per i ragazzi che è molto apprezzata dalle aziende».

«La scelta di investire sugli Its è condivisibile – ha aggiunto il vice presidente per il Capitale umano di Confindustria, Giovanni Brugnoli -. Attenzione però adesso a spendere bene i fondi a disposizione, che devono servire, certo, per migliorare l’offerta didattica, ma guardando alle esigenze di filiere e territori. Di qui la necessità di ascoltare le aziende, con un dialogo che, d’ora in avanti, mi auguro, diventi continuo e costante».

Del resto, l’obiettivo – condiviso ormai da tutti – è puntare sulle nuove competenze declinabili dal paradigma Industria 4.0, attraverso il rilancio della filiera terziaria professionalizzante, dove l’Italia, è in forte ritardo. In Europa, infatti, i ragazzi che hanno un titolo di livello terziario professionalizzante (non universitario) sfiorano il 10%. E da noi? Raggiungiamo con fatica l’1 per cento.

«Studenti più preparati se a scuola sono felici»

da Il Messaggero

«Studenti più preparati se a scuola sono felici»

Andreas Schleicher è il capo della Direzione istruzione dell’Ocse. È lui a guidare tutto il lavoro per il rapporto Pisa, cioè il lavoro statistico che ogni tre anni misura le capacità e le conoscenze degli studenti quindicenni in tutto il mondo. Ieri l’Ocse ha diffuso l’analisi Il benessere degli studenti, un documento piuttosto innovativo: l’oggetto della rilevazione non sono i risultati scolastici dei ragazzi, ma la loro psicologia, anzi meglio ancora, la loro felicità.
Ma cosa si intende, di preciso, per benessere?
«L’essere in possesso di tutte le doti psicologiche, cognitive, sociali e fisiche necessarie per vivere un’esistenza felice e appagante».
E come si può misurare?
«Ocse-Pisa rileva i risultati dell’apprendimento degli studenti, ma anche la loro soddisfazione di vita, le loro relazioni con i compagni, gli insegnanti e i genitori, e come passano il tempo fuori dalla scuola».
Per la scuola è più importante avere ragazzi sereni o studenti ben preparati
?
«Una delle scoperte più importanti che abbiamo fatto grazie a Pisa è che le conquiste accademiche e il benessere degli studenti non sono in alternativa. Paesi come la Finlandia, l’Olanda, la Svizzera dimostrano di saper combinare buoni risultati di apprendimento con un alto grado di soddisfazione degli studenti»
Però non c’è neanche una relazione diretta: non esistono dati che dimostrino un rapporto tra la felicità dei ragazzi e le loro prestazioni scolastiche.
«È vero, non tutti i paesi che ottengono buoni risultati nei test Ocse-Pisa hanno anche un alto livello di benessere tra gli studenti. Soprattutto nei Paesi asiatici le due cose non vanno insieme. Tuttavia possiamo rilevare come, all’interno dei singoli Paesi, la soddisfazione di vita di uno studente e il suo senso di appartenenza sono indicatori affidabili per prevedere buoni risultati di apprendimento».
La competizione può danneggiare la resa degli studenti? Una scuola molto esigente può produrre studenti ansiosi e depressi, e questa depressione può influenzare i loro risultati?
«Al contrario di quanto si possa pensare, i dati non mostrano alcuna relazione tra la quantità di ore che gli studenti dedicano allo studio e la loro felicità personale. E sebbene molti educatori ritengano che l’ansia a scuola sia la naturale conseguenza di un eccesso di test, Ocse-Pisa dimostra che l’ansia da prestazione degli studenti non è collegabile alla frequenza degli esami che devono sostenere. Quello che condiziona lo stato d’animo degli studenti non è il numero delle verifiche, ma il percepirle come una minaccia».
Cosa si può fare per motivare gli studenti senza alimentarne l’ansia e la paura di fallire?
«Gli insegnanti possono fare molto. I dati Ocse-Pisa ci dicono che se i professori adattano le loro lezioni ai bisogni e alle conoscenze della classe, se offrono aiuto individuale, gli studenti sono meno ansiosi. Al contrario, una relazione negativa tra studente e insegnante sembra minare la sicurezza degli studenti. Gli insegnanti devono sapere come aiutare gli alunni ad avere una maggiore consapevolezza delle loro capacità e delle loro debolezze».
I voti possono alimentare questo stato d’ansia?
«I voti possono essere uno strumento importante per dare agli alunni un riscontro e per spronarli al miglioramento. La valutazione però dovrebbe essere fatta con verifiche frequenti, partendo da prove più facili e alzandone gradualmente la difficoltà. Gli studenti dovrebbero avere l’opportunità di dimostrare le loro capacità sostenendo prima test meno complessi per arrivare solo alla fine alle verifiche vere e proprie».
Ci sono differenze tra maschi e femmine?
«In tutti i Paesi le ragazze mostrano una maggiore ansia per le loro prestazioni scolastiche rispetto ai loro compagni. La paura di commettere errori in un test spesso condiziona i risultati delle studentesse più brave, molte di loro vengono soffocate dalla pressione».
Come possono essere aiutate?
«I genitori possono fare molto. Le ragazze che in famiglia vengono incoraggiate a credere di più nelle loro capacità hanno il 21% di probabilità in meno di sentire la tensione durante lo studio, è il dato medio tra i Paesi dell’Ocse».
Gli insegnanti sono sufficientemente preparati nella gestione di queste ansie, o nel rispondere ai fenomeni di bullismo?
«Non tutti i docenti hanno una preparazione adeguata per affrontare gli studenti più difficili e per creare la giusta atmosfera nella classe. Nella formazione degli insegnanti bisognerebbe prestare una maggiore attenzione a questi temi. Un addestramento specifico è necessario anche per fronteggiare il bullismo, che è forse la minaccia maggiore per l’equilibrio psicologico dei ragazzi».
Nella vostra classifica gli studenti italiani non risultano tra i più soddisfatti.
«Sì, sono al di sotto della media Ocse, ma ci sono grandi differenze da scuola a scuola e da studente e studente. I dati mostrano inoltre che anche gli studenti più preparati hanno livelli molto alti di ansia da prestazione scolastica. Tuttavia, la maggior parte esprime un senso di appartenenza alla loro scuola e dichiarano di avere un rapporto positivo con i loro compagni. Il dato peraltro ricorre fra tutti i gruppi sociali, cosa che non accade negli altri paesi. Unica eccezione, i ragazzi che vengono da famiglie di immigrati. Anche tra i genitori italiani si rileva un maggiore interesse per quello che fanno i loro figli a scuola, un elemento che sono sempre i dati a dimostrarlo può incidere molto sul benessere dei ragazzi.
Sempre in base ai vostri dati, la scuola italiana risulta una delle più eque al mondo: in classe le differenze sociali si riducono.
«È vero, in Italia l’istruzione sa mettere i suoi studenti alla pari. La sfida per il vostro Paese sta nel riuscire ad elevare, per tutti gli studenti, il livello dell’eccellenza».
Le scuole europee dovrebbero fare di più per integrare gli immigrati?
«Sì, e questo non significa solo aiutarli a migliorare le loro prestazioni scolastiche: le scuole devono anche avere un ruolo nell’integrazione sociale dei migranti. Oggi in Europa una gioventù priva di diritti ha aderito allo Stato Islamico, e il fatto che alcuni di questi giovani avessero percorso tutti i gradini del nostro sistema educativo ci mostra che la risposta non sta semplicemente nel dare ai giovani immigrati più istruzione: abbiamo bisogno di ripensare le nostre esperienze educative, per spingere le persone ad abbracciare i nostri valori e a far avanzare la nostra società».
Pietro Piovani

Nuove tecnologie, perché il docente deve avere competenze manageriali e di leadership

da La Tecnica della Scuola

Nuove tecnologie, perché il docente deve avere competenze manageriali e di leadership

Mai come in questi ultimi anni, è stato molto forte il dibattito sull’innovazione tecnologica nelle scuole. Riducendo troppo spesso il tutto alle competenze digitali dei docenti.

Da una recente ricerca dell’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano, sono emersi importanti spunti di riflessioni circa la centralità, invece, delle competenze manageriali e di leadership degli insegnanti.

Il Piano Nazionale Scuola Digitale vede il digitale, infatti, come strumento abilitante e volano del cambiamento sia dal punto di vista delle attività orientate all’apprendimento, sia per le attività amministrative e di gestione delle scuole. In sostanza la digitalizzazione dei processi porterà efficientamento in termini di risparmio di tempo e di risorse con ovvi benefici per tutta la comunità scolastica.

Partendo da questi assunti, l’Osservatorio eGovernment ha stretto una collaborazione con ANP al fine di rilevare tramite una survey diretta a tutte le scuole del Paese il livello di digitalizzazione dei processi organizzativi e gestionali interni alla scuola.

La ricerca è stata realizzata nei mesi di gennaio – marzo 2017, tramite un questionario inviato a tutte le Istituzioni Scolastiche Autonome.

L’indagine ha rilevato come nel 75% del campione dei rispondenti la digitalizzazione dei processi organizzativi e gestionali abbia raggiunto già un buon livello (circa l’80% dei 17 processi indagati risulta gestito tramite software gestionale).

A questi dati sicuramente positivi, fanno da contro altare i risultati emersi su alcune scuola ancora completamente non digitali, che hanno dichiarato di utilizzare ancora in maniera prevalente la carta.

In particolare, i dati del sondaggio dicono che solo il 4% delle scuole italiane è poco o per nulla digitalizzata (“Non digital”), con una bassa diffusione dei software a supporto dei processi e in media oltre il 70% degli stessi gestito attraverso l’uso del cartaceo. Il 21% delle scuole è a livello “Beginners” cioè ha iniziato un processo di digitalizzazione con software in circa metà dei processi e una prevalente digitalizzazione nei processi di supporto.

Il 36% delle scuole è invece a livello “Digital Belivers”, con un buon livello di digitalizzazione soprattutto nei processi di supporto, ma è presente un software anche nel 70% dei processi primari.

Solo il 29% delle scuole è “Fully Digital”, cioè completamente digitalizzato: il 100% dei processi primari digitalizzati e almeno il 95% di quelli di supporto, adottando un software in quasi tutti i processi. Inoltre il 28% delle scuole completamente digitali lamenta una mancanza di competenze interne, ma la percentuale sale al 48% per i “Beginners” e al 53% per i “Non digital” . Fondamentale poi è la disponibilità di personale amministrativo da dedicare alla digitalizzazione: il 15% delle scuole “Fully digital” lamenta una mancanza di personale da dedicare, il 24% delle “Beginners” e il 40% delle “Non Digital”.

E’ forte, quindi, ancora la spaccatura che divide le scuole che hanno da un lato sufficienti competenze e risorse per introdurre innovazioni digitali da quelle che invece non sono in grado di adottare strumenti informatici adeguati per gestire in modo efficiente i propri processi interni anche perché affermano di non avere le competenze interne necessarie ad introdurre la digitalizzazione.

Per questo motivo è importante ragionare sulla necessità di acquisire competenze che non siano solamente strettamente tecniche e digitali, ma competenze che consentano agli attori primari della scuola di guidare il “progetto di innovazione”, un processo strutturato ed in sintonia con le altre attività della scuola. Competenze manageriali e di leadership che consentiranno una corretta gestione dell’”eGovernment della scuola” e un dialogo sempre più aperto verso l’esterno e verso le Università.

In conclusione, non è più rimandabile il riconoscimento del merito di chi accetta la sfida mettendo in campo le proprie energie professionali: è opportuno sempre più monitorare gli sviluppi del processo al fine di valutare il migliore utilizzo degli investimenti previsti.

La rivolta dei presidi: troppo lavoro mal pagato. La Buona Scuola è diventata un boomerang

da La Tecnica della Scuola

La rivolta dei presidi: troppo lavoro mal pagato. La Buona Scuola è diventata un boomerang

Non sono studenti, nè docenti, ma sono ugualmente agguerriti. Stiamo parlando dei dirigenti scolastici che si scagliano contro il governo. Il motivo è presto detto: un concorso per nuovi presidi che tarda ad arrivare, compiti e responsabilità sempre più alti. La Buona Scuola, inizialmente vista benevolmente, si è via via trasformata in un boomerang. Gira sul web una tabella con cui si confrontano con i dirigenti pari grado di altri ministeri: con la metà dello stipendio (circa 55.000 euro lordi) hanno 21 responsabilità in più e non sempre hanno a che fare con la didattica.

In un’intervista al Corriere Fiorentino, il presidente dell’ANP Toscana, Alessandro Artini, parla così: “Basta super lavoro: rifiuteremo incarichi, reggenze e ciò che non ci spetta. Il primo problema è che i carichi di lavoro, con tutte le incombenze burocratiche che ci piovono addosso, sono diventati insostenibili — spiega Artini — Poi, La riforma della Buona Scuola, che secondo molti di noi andava nella direzione corretta, ha finito per darci delle enormi responsabilità, ma senza darci dei poteri effettivi. Però quando i genitori vengono a contestare un docente inadeguato se la prendono, e giustamente, con noi dirigenti”.

Il dirigente scolastico dell’Istituto Saffi, Valerio Vagnoli, sempre al Corriere Fiorentino, parla del suo caso concreto: “Dirigo una scuola di 1.200 studenti, e quindi ho a che fare con 2.400 genitori, con 190 insegnanti, con altri 50 dipendenti. E in più una volta a settimana devo andare a Palazzuolo sul Senio e Marradi per una reggenza — dice — Siamo sopraffatti, siamo sommersi dalle scartoffie, dai ricevimenti, dai collegi, dai genitori che legittimamente bussano alla tua porta. Lavoriamo 12 ore al giorno. E non basta. La domenica è l’unico giorno in cui abbiamo tempo per scrivere le relazioni della settimana: per questo io e altri dirigenti chiediamo, provocatoriamente, di aprire le scuole anche la domenica in modo da far vedere in che condizioni siamo”

Turi (Uil): è emergenza retributiva per il mondo della scuola, bisogna cambiare rotta

da La Tecnica della Scuola

Turi (Uil): è emergenza retributiva per il mondo della scuola, bisogna cambiare rotta

Tra il Ministero dell’Istruzione e quello dell’Economia continua il braccio di ferro per le stabilizzazioni dei precari della scuola. Secondo il Miur bisogna utilizzare le risorse già stanziate della legge di bilancio per 25mila posti (20mila in posto comune dell’organico, 5mila per il sostegno in deroga). Come è ormai noto il Mef, invece, contesta queste stime: si può stabilizzare solo fino a 8mila precari.

In una nota, il segretario della Uil Scuola, Pino Turi, interviene sull’argomento: “Il ministro Padoan ci dia le stime ufficiali e ci dica come intende risolvere la questione perché non si possono prendere in giro i precari. Se la continuità didattica deve essere la bussola per fare le scelte che riguardano la scuola, occorre coerenza da parte del Governo” – così il leader sindacale, giunto a Castellaneta per la Conferenza di organizzazione del sindacato scuola.

“La continuità didattica viene garantita – spiega Turi – innanzitutto con l’eliminazione dell’organico di fatto, che è la causa principale del balletto dei docenti tra le classi. E’ attraverso il contratto che troveremo le ulteriori regole per garantire la continuità di insegnamento. Questo a partire da un organico stabile. Senza considerare – aggiunge Turi – l’immensa mole di lavoro amministrativo che  si risparmierebbe. In questo modo, attraverso un organico stabile, da un lato si garantirebbe l’avvio dell’anno scolastico dall’altro si ridurrebbe, e di molto, la supplentite. Sul versante della qualità dell’istruzione l’effetto è quello di scaricate sul personale, sugli alunni e sulle famiglie, scelte dettate da criteri di risparmio. Forse è arrivato il momento di cambiare strada – conclude – magari chiamandola riforma”.

Altri 25 milioni di euro per gli Its

da La Tecnica della Scuola

Altri 25 milioni di euro per gli Its

Superati tutti gli “ostacoli” burocratici, il ministero dell’Istruzione è pronto a dare un finanziamento aggiuntivo (rispetto ai 13 milioni ordinari l’anno) di 25 milioni di euro, provenienti dai fondi europei (Pon) agli Its, gli Istituti tecnici superiori, post diploma, alternativi all’università, e partecipate dalle imprese.

21 milioni serviranno per promuovere, con voucher, stage e tirocini in ambito interregionale o all’estero, organizzati dalle Fondazioni Its e coerenti con il percorso formativo dello studente, mentre i 5 milioni rimanenti saranno investiti tra «azioni di sistema» (essenzialmente per supportare governance e programmazione delle attività didattiche) e interventi di formazione mirata (e aggiornamento) a favore di presidi e personale scolastico (anche per sviluppare un approccio “manageriale” nella gestione di queste “super scuole di tecnologia”).

L’annuncio ufficiale, fa sapere Il Sole 24 Ore,  da parte del ministero arriverà oggi: saranno ammessi al voucher «per la formazione terziaria non accademica» ragazzi iscritti agli Its che abbiano frequentato positivamente il primo semestre, con un Isee non superiore ai 25mila euro (si punta a “far partire” gruppi di non più di 20 alunni).

Ogni istituto capofila (ente di riferimento) potrà presentare i progetti: per stage/tirocini in ambito interregionale il massimale è stato fissato in 42.300 euro (per un progetto, cioè un modulo di 240 ore – pari a circa tre mesi); se si va all’estero il tetto del finanziamento sarà più elevato: 128.250 euro (sempre per un modulo di 240 ore).

Gabriele Toccafondi ha sottolineato:   -«Vogliamo spingere sugli Its. Puntiamo a qualificare la formazione “sul campo” per i ragazzi che è molto apprezzata dalle aziende».

L’obiettivo è puntare sulle nuove competenze declinabili dal paradigma Industria 4.0, attraverso il rilancio della filiera terziaria professionalizzante, dove l’Italia, è in forte ritardo. In Europa, infatti, i ragazzi che hanno un titolo di livello terziario professionalizzante (non universitario) sfiorano il 10%. Eda noi? Raggiungiamo con fatica l’1 per cento.

La scuola buona, a cinquant’anni da Lettera a una professoressa

da Internazionale

La scuola buona, a cinquant’anni da Lettera a una professoressa

Vanessa Roghi, storica

A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona. La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.
Don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici

Nel maggio del 1967 esce per la piccola casa editrice fiorentina LEF un libro dal titolo Lettera a una professoressa. L’hanno scritto don Lorenzo Milani e gli alunni della scuola di Barbiana, una canonica del Mugello a pochi chilometri da Firenze. Un luogo sperduto dell’Appennino, afflitto, ancora negli anni del miracolo economico, dalla miseria e dall’arretratezza. Un luogo di esilio dove don Milani è arrivato il 7 dicembre del 1954, a 31 anni. Niente acqua, né luce, né una strada per arrivarci. Ci vivevano quaranta anime.

Eppure in pochi anni, grazie a questo prete, Barbiana diventa un luogo conosciuto da tutti, e non solo in Italia. Nasce lì, nel 1958, Esperienze pastorali, visto da molti come concreto e profetico contributo al Concilio Vaticano II, immediatamente messo all’indice dalla curia romana che, pur non vietandolo ufficialmente, ne impedisce la pubblicazione. Da Barbiana, nel 1965, parte un invito alla disobbedienza rivolto ai parroci militari. Un testo, pubblicato dal periodico comunista Rinascita e ricordato come L’obbedienza non è più una virtù, che porterà in tribunale don Milani e gli causerà addirittura una condanna dopo la morte.

E sempre a Barbiana nasce il testo più noto di don Milani e della sua scuola, Lettera a una professoressa, autentico livre de chevet di una generazione. “Libretto rosso” del movimento del sessantotto italiano, vademecum di ogni insegnante democratico per anni. Visto oggi come anello centrale di una riflessione sulla necessità di riformare il sistema educativo, che sfocerà nelle grandi battaglie per la scuola degli anni settanta. Ma visto, anche, come l’inizio della fine di tutto: dell’autorità degli insegnanti, della voglia di studiare dei ragazzi, dello stare in disparte dei genitori, come l’inizio, insomma, del “donmilanismo”.

“Noi abbiamo costruito negli anni, grazie anche alle idee di don Milani, una scuola che non insegna più nozioni”, ha scritto Paola Mastrocola. E in un articolo di Sebastiano Vassalli si può leggere: “La mitica scuola di Barbiana (…) era in realtà una sorta di pre-scuola (o di dopo-scuola) parrocchiale, dove un prete di buona volontà aiutava come poteva i figli dei contadini a conseguire un titolo di studio, e se non ci riusciva, incolpava i ricchi”.

Un invito a organizzarsi
Lettera a una professoressa è dunque diventato un libro manifesto, ma non nel modo auspicato dai suoi autori. Eppure il libro è cristallino: non è, né vuole essere, un testo scritto per i ragazzi che vanno all’università, né per i loro genitori, ma per i genitori di chi, all’università, non ci arriverà mai. La lettera è un invito a organizzarsi. Perché la scuola pubblica, così come l’hanno conosciuta i ragazzi di Barbiana e non solo, è una scuola per ricchi, per i “Pierini d’Italia”. La riforma delle scuole medie del 1963 non aveva modificato questa situazione. La scuola di don Milani è una denuncia nei confronti di governi cattolici che per tutto il dopoguerra hanno occupato il ministero della pubblica istruzione (6 ministri laici su 34).

Don Milani sa bene che il suo non è un progetto di riforma ma una testimonianza, scritta in prima persona plurale, con un noi che ha nomi e cognomi. “So che a voi studenti queste parole fanno rabbia”, scrive alla giovane Nadia Neri in una delle sue lettere più belle, “che vorreste ch’io fossi un uomo pubblico a disposizione di tutti, ma forse è proprio qui la risposta alla domanda che mi fai. Non si può amare tutti gli uomini. Si può amare una classe sola (e questo l’hai capito anche te). Ma non si può nemmeno amare tutta una classe sociale se non potenzialmente. Di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina forse qualche centinaio”. E ancora:

La scuola non può essere che aconfessionale e non può essere fatta che da un cattolico e non può esser fatta che per amore (cioè non dallo Stato). In altre parole la scuola come la vorrei io non esisterà mai altro che in qualche minuscola parrocchietta di montagna oppure nel piccolo di una famiglia dove il babbo e la mamma fanno scuola ai loro bambini.

Il suo, dunque, non è neppure un modello da imitare, come in molti ancora oggi pensano. Eppure, nella sua esemplare essenzialità, questo piccolo esperimento pedagogico che si traduce in una scuoletta di montagna e nella pubblicazione di un libro, poco più di un opuscolo, diventa la scintilla di una rivoluzione. E ancora oggi mobilita il ricordo, innesca passioni, divide e fa litigare, si fissa nella memoria collettiva come un punto di passaggio epocale quando si parla di scuola ma anche di giovani, generazioni, movimenti.

Questo perché fin da pochi mesi dopo la sua pubblicazione il libro acquista una vita completamente autonoma, Lettera a una professoressa è, infatti, il risultato di anni di lavoro e riflessione sulle storture del sistema scolastico italiano e per questo è un libro degli anni sessanta, ma si pone anche l’obiettivo di dire basta con questo ritardo nell’adempimento del dettato costituzionale che vorrebbe il diritto allo studio uguale per tutti. Per questo viene subito adottato dal movimento studentesco.

Su Lettera a una professoressa si fanno seminari in tutte le università occupate; alla Biennale di Venezia del 1968 diventa uno spettacolo teatrale contro l’autoritarismo. Gli insegnanti lo usano per sperimentare nuove forme di didattica; a Roma, all’acquedotto Claudio, don Sardelli fonda una scuola popolare ispirata all’esperienza di Barbiana. Viene definito un libro maoista. Gianni Rodari e il Movimento di cooperazione educativa gli dedicano scritti e riflessioni. Tutti coloro che hanno a cuore il problema dell’educazione si confrontano con Lettera a una professoressa.

Il ruolo di maestre e maestri
In molti dimenticano che il libro riguarda la scuola dell’obbligo e non il liceo o l’università. La questione dell’obbligo scolastico è più di ogni altra la cartina di tornasole di ogni sistema che voglia dirsi democratico. A fine anni sessanta è ampiamente disattesa, dalle famiglie ma anche dallo stato che consente un doppio binario scolastico, per chi ha tutte le parole a casa, può fare ripetizioni, e chi non può. Lettera a una professoressa diventa il vademecum dei primi, ma per fortuna ha ricadute importantissime anche sulla vita dei secondi.

Questo grazie alle maestre e ai maestri che trasformano la scuola primaria italiana, e grazie ai linguisti che colgono l’originalità radicale dell’esperienza di Barbiana: il cuore della lettera e di tutto l’insegnamento di don Milani non sta nel non bocciare, o nel disobbedire, quanto nel ben più impegnativo dare tutti gli usi della parola a tutti. La lingua non è mai statica, né unica né definita o definibile una volta e per sempre: strati e stati si accavallano e convivono; quando uno di essi vince (quando cioè l’innovazione da eterodossa viene accolta come ortodossa), i puristi si sforzano di conservarlo, i grammatici di descriverlo, i maestri di insegnarlo.

Lettera a una professoressa va oltre tutto questo perché coniuga la questione della lingua, che è questione antica, ai cambiamenti della società postindustriale nella quale un analfabeta, come dice un vecchio contadino alla Rai degli anni sessanta, “è cieco”. “La scuola siede tra il passato e il futuro”, scrive don Lorenzo Milani, “e deve averli presenti entrambi”.

Scrive Oronzo Parlangeli, filologo, nel lontano 1969:

È colpevole e stupida l’omertà di chi fa dipendere la propria fama dalla percentuale, o dalla massa, dei promossi e non invece dal livello della preparazione dei promossi. Coloro i quali bocciano solo per il gusto di bocciare sono criminali pericolosi e sadici, ma altrettanto pericolosi sono coloro i quali (o per far carriera o per pecoronismo gerarchico o per smania di passar per novatores) promuovono tutti e pretendono che tutti siano promossi: anche per costoro dovrebbe esserci un’azione penale o il manicomio.

Eppure i ragazzi della scuola di Barbiana hanno scritto:

Gli onorevoli costituenti credevano che si patisse tutti la voglia di cucir budella o di scrivere ingegnere sulla carta intestata (…) Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere”. Il fatto, continua il filologo, è che abbiamo confuso il sacrosanto diritto allo studio con lo stupido diritto alla laurea. Persino la rivolta degli studenti che era e dovrebbe essere generosa contestazione giovanile contro le ipocrisie e i vaniloqui, rischia di adulterarsi o si è già adulterata in uguali ipocrisie e vaniloqui (anche se di segno contrario) e in una perniciosa ricerca del diciotto, quale… minimo sindacale garantito. E i riformatori politici, che già tremavano sotto l’impeto della violenta, ma sacrosanta protesta di chi non è integrato nel sistema (e perciò dice ciò che pensa), ebbene, possono tornare a baloccarsi con esiziali alchimie partitocratiche.

Amen. Bastano queste poche righe per raccontare l’impatto del libro, i suoi fraintendimenti, lo svuotamento dell’aspetto più radicale del suo messaggio, la strumentale sovrapposizione delle sue tesi con quelle di una parte del movimento studentesco. Oggi la sua rilettura viene fatta in nome dell’antisessantottismo e assume una funzione antidemocratica. I primi a mettere in discussione l’utilità della lettera sono stati proprio i professori “democratici” che l’hanno letta e usata per anni: letta, usata e non capita. Nel 1978 un articolo sul Manifesto pone il problema: come comportarsi con i ragazzi del 1977? Bisogna bocciarli. Quindi don Milani aveva torto…

Consapevole di queste strumentalizzazioni, nel 1982 padre Ernesto Balducci si chiede: “Ha ancora un senso riproporre all’attenzione pubblica Lorenzo Milani?”. E ancora: “Il limite di fondo della proposta milaniana è oggi più visibile: non è possibile chiedere alla scuola-istituzione quel che invece può offrire una scuola spontanea animata da un maestro ‘carismatico’. In quanto è un servizio reso a tutti i cittadini, secondo le regole oggettive dello stato di diritto, la scuola di stato non può essere progettata facendo affidamento sulla eventualità della ricchezza soggettiva degli educatori”.

Ma, aggiunge, la contrapposizione fittizia creatasi tra l’umanità della scuola di Barbiana e la disumanità della scuola istituzionale è una balla, la riforma del 1974 risponde proprio all’idea milaniana che la scuola debba essere l’espressione della comunità civile in tutte le sue componenti, un invito ai genitori a organizzarsi, appunto, dentro la scuola pubblica: “Ecco perché la scuola di Barbiana, se vezzeggiata come un modello ideale, può favorire inerzie utopistiche o fughe nel privato. Essa non è un modello, è un messaggio, e il messaggio non si imita mai, è sempre un appello a nuove creazioni”.

Giovanni Miccoli, scomparso da poco e tra i più efficaci interpreti del priore di Barbiana, ha scritto:

Parlare o scrivere di don Milani è estremamente difficile. C’è il pericolo di appiattirne l’immagine, di semplificarne i contorni, assimilandolo frettolosamente all’una o all’altra delle grandi contrapposizioni che segnavano allora, e in parte segnano ancora oggi, la società italiana.

Appiattirne l’immagine, semplificarne i contorni per ridurlo a fenomeno comprensibile, catalogabile, replicabile. Come poi, puntualmente, è stato fatto, e continua ad essere fatto.

Viene in mente, pensando a don Lorenzo Milani, quanto scriveva Alberto Arbasino su Pier Paolo Pasolini in un articolo pubblicato su Il Giorno nel 1964: “Una larga sezione della nostra cultura gli ha deferito questo incarico, di rischiare a nome di tutti: perché è vero che chi scandalizza i puri di cuore va sacrificato a nome della collettività (che è rimasta a casa a godere a soffrire)”. Don Milani rischia davvero a nome di tutti. La sua stessa vita viene sacrificata sull’altare dello scandalo quando scrive Esperienze pastorali, in anni nei quali ai parroci è chiesto soltanto di leggere commenti alla scrittura, riassunti del catechismo e poi via a dir messa in latino.

Lui, invece, sceglie la parola, la lettura, insegna a vagliare, criticare, stabilire confronti, a scegliere la fonte, il documento. Al fine di sentirsi ognuno responsabile di tutto, come è scritto nella Lettera ai giudici:

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. E il motto intraducibile dei giovani americani migliori. ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. E il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego’.

Viene in mente, pensando a Lorenzo Milani, quello che scrive Alex Langer di Ivan Illich: “Qualcuno ne rimane deluso e lo trova ‘poco organico’, altri ne ricavano spunti decisivi per orientare la propria visione del mondo”. E allora il tentativo di renderlo sistematico, comprensibile, di decifrarlo, e farlo diventare di volta in volta un marxista in nuce, un proto sessantottino, la voce profetica della rivolta, ma anche appunto l’istigatore di risentimento sociale, l’invidioso, lo sciatto. L’icona, il martire, il folle, il presuntuoso, il più grande intellettuale italiano del novecento. Che fatica.

A don Milani invece dobbiamo molto, moltissimo, in termini di categorie analitiche, negli anni della “buona scuola”, del ritorno alla bocciatura, della farsa dei crediti formativi, della selezione non più di classe ma altrettanto spietata tra vincenti e perdenti (oggi si chiama meritocrazia), in termini di contributo alla riflessione, di contestualizzazione storica di fenomeni che appaiono immutabili.

Nessuna nostalgia
Tornare a don Milani, a Lettera a una professoressa e ai ragazzi di Barbiana ha un senso niente affatto nostalgico. Ben poco di affascinante c’è nella figura di un prete, burbero e autoritario, borghese e anti intellettuale, profondamente critico nei confronti della scuola pubblica. Ma non si tratta di questo. Nessuno oggi vuole fare l’errore di chi salì a Barbiana nel 1967 con la Lettera ai giudici in una mano e Herbert Marcuse nell’altra, sperando di trovare un guru, inventandosi di averlo trovato. Scoprendo in Lettera a una professoressa il viatico per la rivoluzione.

Bisogna rileggere Lettera a una professoressa a partire dalle proprie domande e dalle proprie esperienze, inserendola però all’interno di un contesto troppo spesso messo in ombra, da una lettura miope della figura di don Milani, essendo la sua eredità assolutamente non mediata dalla sua voce, ma solo da quella dei suoi eredi. Don Milani è morto infatti a 44 anni nel giugno del 1967, un mese dopo l’uscita del volume, alla fine di una lunga e dolorosissima malattia.

Si tratta, come suggerisce don Luis Corzo, di riprendere in mano Lettera a una professoressa e collocarla nel tempo, e poi rileggerla partendo dalla propria esperienza personale: “Far ricorso alla propria esperienza leggendo la sua, avvicinarsi a essa con le risposte e le domande che già ci incombono dentro, decisi a confrontare con lui le nostre ragioni più autentiche e profonde, quelle che cerchiamo in lui. Tali ragioni non sono né idee né consegne intransigenti, ma crivelli, filtri per l’azione, punti di vista e, in definitiva, libere opzioni”.

Crivelli, filtri per l’azione, punti di vista e, in definitiva, libere opzioni. Come ha scritto Gianni Rodari: “Tutti gli usi della parola a tutti. Mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”.

Corso di formazione per il sostegno a studenti con disabilità visiva

CORSO DI FORMAZIONE PER IL SOSTEGNO AGLI STUDENTI CON DISABILITÀ VISIVA

L’Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione (IRIFOR) Emilia-Romagna e CIOFS FP/ER organizzano un ciclo di incontri per docenti curriculari e di sostegno, formatori, educatori, OSS e operatori del settore.

La formazione degli operatori del settore socio-sanitario ed educativo, in particolare dei docenti di sostegno, rende prioritaria la realizzazione di un percorso formativo specifico di qualificazione e aggiornamento per l’assistenza e l’insegnamento agli alunni con disabilità visiva, il cui obiettivo è quello di fornire ai partecipanti competenze educative e didattiche fondamentali da mettere in campo in presenza di alunni con una disabilità sensoriale di questo tipo. Per questo, l’I.Ri.Fo.R. Emilia-Romagna (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione- Onlus), ente accreditato dal MIUR ai sensi della Direttiva n.170/2016, in collaborazione con CIOFS FP/ER (ente di formazione accreditato presso la Regione Emilia Romagna) organizza un corso di formazione sulle tematiche tiflodidattiche e tiflopedagogiche riguardanti l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità visiva, rivolto a docenti, formatori, educatori, OSS ed altri operatori del settore.

Il percorso formativo di qualificazione e aggiornamento per l’insegnamento agli alunni con disabilità visiva, ha l’obiettivo di fornire ai partecipanti competenze educative e didattiche specifiche. In particolare, si prefigge di fornire gli strumenti indispensabili per consentire di:

– valutare le esigenze formative dell’alunno

– analizzare i suoi bisogni e le sue potenzialità personali (anche sulla base delle esperienze vissute)

– individuare gli strumenti e le modalità più efficaci per il conseguimento dei migliori risultati nell’ambito del percorso didattico e formativo, progettando interventi educativi specifici e mirati.

Il corso è rivolto a docenti curriculari e di sostegno operanti in ogni ordine e grado di istruzione, formatori, educatori, OSS, assistenti sociali, pedagogisti, logopedisti ed operatori del settore, occupati al momento dell’iscrizione, nonché agli studenti frequentanti corsi di laurea inerenti la tematica oggetto del corso. Al termine delle lezioni sarà rilasciato a tutti i partecipanti, che avranno preso parte ad almeno il 70% delle attività formative, l’attestato di partecipazione da parte dell’I.Ri.Fo.R., ai sensi dell’art. 29 dell’O.M. 169 del 1996. Il colloquio finale, riservato ai partecipanti occupati nel settore educativo/scolastico/sociale, darà diritto alla certificazione dell’Unità di Competenze 3 (“Progettazione intervento educativo e ri-educativo”) relativa alla qualifica di Tecnico degli interventi educativi e ri-educativi per persone con minorazioni visive, ai sensi del DGR 739/2013, figura riconosciuta dal Sistema Regionale delle Qualifiche (SRQ) della Regione Emilia Romagna.

Il corso, della durata di 60 ore sarà erogato in presenza, nelle sedi territoriali I.Ri.Fo.R. di Bologna, Forlì-Cesena e Reggio Emilia e sarà attivato per ciascuna sede al raggiungimento di un minimo di 20 partecipanti, di cui almeno 15 docenti, curriculari o di sostegno.

Le attività formative si svolgeranno dal 21 aprile al 28 maggio 2017 nelle giornate di venerdì pomeriggio, sabato e qualche domenica.

Il corso è strutturato in 8 moduli, i cui contenuti verranno approfonditi dai singoli docenti, tutti esperti del settore, anche attraverso attività pratiche di laboratorio:

Unità 1 – Aspetti generali della minorazione visiva: 4 ore
Unità 2 – Normativa italiana e europea sull’inclusione scolastica: 2 ore
Unità 3 – Diagnosi funzionale, PEI e PDF: 2 ore
Unità 4 – Cecità e ipovisione in età evolutiva: 4 ore
Unità 5 – Strumenti per l’inclusione di alunni con disabilità visiva: 12 ore
Unità 6 – Codice di lettura e scrittura Braille: 16 ore
Unità 7 – Tecnologia informatica assistiva: 12 ore
Unità 8 – Orientamento e mobilità in ambito scolastico: 8 ore

 

PER INFORMAZIONI:

Consiglio Regionale I.Ri.Fo.R. Emilia Romagna

Segretaria Veronica Sirsi – cellulare 324-8455616

Orari: dal lunedì al venerdì dalle 8:30 alle 13:30 – emiliaromagna@irifor.eu