Obbligo di istruzione fino a 18 anni: sì, ma, però…

Obbligo di istruzione fino a 18 anni: sì, ma, però…
Lettera aperta alla Ministra Valeria Fedeli

 di Maurizio Tiriticco

L’innalzamento dell’obbligo di istruzione (non “scolastico”, perché la norma prevede che la famiglia può farsi carico essa stessa di garantirlo, purché, anno dopo anno, faccia superare al figlio un esame relativo all’anno scolastico percorso) fino a 18 anni di età sarebbe un’operazione indubbiamente doverosa, anche se, di fatto, quasi tutte le famiglie oggi fanno proseguire gli studi ai figli (tranne i casi dell’accesso all’apprendistato od altre scelte)! E ciò avviene non tanto per “amore della scuola”, quanto perché l’inserimento nel mondo lavoro in età precoce, in una società che si fa sempre più complessa, si fa sempre più difficile.

E’ opportuno ricordare che, a monte della progettata operazione, c’è l’impegno che abbiamo assunto 18 anni fa di garantire a ciascun cittadino il suo personale “successo formativo”. Mi piace riportare testualmente quanto scritto nel dpr 275/99 concernente il Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 59/97: art 1, comma 2 – “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Va sottolineato che i sostantivi, educazione, formazione e istruzione non sono affatto ridondanti sinonimi, ma insistono sulla ricchezza e sulla completezza dell’intervento che la scuola deve assumere nei confronti di ciascuno dei suoi alunni. Ormai la scuola del “leggere, scrivere e far di conto” è superata da un pezzo! Per educazione si intende il processo finalizzato all’acquisizione dei valori democratici e civili che sostanziano la convivenza nella nostra Repubblica nonché nelle istituzioni comunitarie. La formazione riguarda la “costruzione” della persona in quanto tale e con le sue specifiche peculiarità: Antonio non è Giuseppe né Giuseppina!. L’istruzione riguarda l’acquisizione delle conoscenze. Si tratta di tre percorsi paralleli e fortemente integrati, tali da garantire a ciascun soggetto di acquisire l’insieme delle capacità/abilità e delle competenze che sostanziano l’operare del “cittadino lavoratore”, se ci è concessa questa espressione. E un’istruzione obbligatoria, ovviamente, non può non prefigurare che a ciascuno sia garantito il suo personale successo formativo, esito di un apprendimento fortemente individualizzato, se non personalizzato.

Tutto ciò impegna le scuole della Repubblica a compiti che vanno molto al di la della semplice “acquisizione”, da parte degli alunni, di date “conoscenze”, per le quali necessiterebbero solo mirati processi di istruzione. Anche se il nostro ministero conserva la denominazione di sempre, come dicastero “dell’istruzione”, l’impegno di chi in aula “fa scuola” oggi ad ogni livello va ben oltre la semplice “sollecitazione/motivazione all’acquisizione di date conoscenze”. E non è un caso che i Programmi scolastici di un tempo, fortemente prescrittivi, siano stati sostituiti da Indicazioni nazionali e Linee guida che aprono per le istituzioni scolastiche e gli insegnanti orizzonti, finalità e compiti che vanno ben al di là di ciò che prevedeva il sistema scolastico che ha preceduto la “scuola dell’autonomia”.

In questo scenario si colloca la prospettiva della istituzione di un obbligo di istruzione (non scolastico, per carità) fino ai 18 anni di età. Il che potrebbe essere attuato con un semplice articolo di legge, ma… sarebbe scorretto non cogliere l’occasione per “ripensare” all’intero percorso di “educazione, formazione e istruzione” che, com’è noto, attualmente è strutturato in “pezzi” di percorsi che rimontano a scelte normative che si sono succedute nel corso degli anni senza, però, che si avesse mai una visione di insieme! E non è un caso che abbiamo una scuola primaria, poi una scuola media, poi un biennio, poi ancora un triennio, quattro “spezzoni” che si sono succeduti nel corso degli anni, ma ciascuno con la sua specificità, chiuso nei suoi “programmi” – che in effetti non esistono più – e nelle sue “finalità”. Per non dire poi dell’articolazione parallela degli istituti professionali, degli istituti tecnici e dei licei, ancora fortemente rappresentavi di una distinzione non tanto tra scuole, ma tra classi sociali, distinzione che oggi ancora si dimostra dura a morire. Pierino non accederà MAI a un istituto professionale! E Gianni non accederà MAI a un liceo, anche se qualche eccezione esiste. Va detto con forza: la nostra istruzione secondaria superiore è “classista”… ancora oggi, come se i sommovimenti sociali degli ultimi anni fossero passati indenni.

Obbligo di istruzione dai 6 ai 18 anni, o meglio obbligo di istruzione decennale e non più ottonnale! Ottima idea! Ottima iniziativa, ma… anche un’occasione importante per ripensare a ciò che accade dopo la scuola media non solo nei successivi processi di istruzione, ma anche nella testa di tante famiglie italiane! E di tanti insegnanti!

Non sarebbe allora il caso di avviare “istituti comprensivi” superiori – che di fatto già esistono in quanto offrono in genere percorsi liceali, tecnici e professionali – in cui i “nuovi” previsti percorsi obbligatori prefigurino titoli di studio articolati e dettagliati circa le competenze che di ogni studente si sono verificate, accertate e certificate? Il fatto è che, se un soggetto è obbligato a frequentare un dato percorso di educazione, formazione e istruzione, l’istituzione, di converso, è obbligata a certificare le effettive competenze raggiunte. Sarebbe l’occasione per non rilasciare più diplomi con numeri relativi a punteggi conseguiti ma diplomi con la descrizione effettiva delle competenze certificate! Si tratta di un discorso complesso che meriterebbe più spazio e più intelligenza… e sono cose chi io non ho, ma… alea iacta est!

Cara Ministra! Sarà sufficiente una semplice norma? Indubbiamente no, ma confido nel fatto cha non Le manca l’esperienza sociale e l’intelligenza politica per avviare il Paese e gli Italiani ad una riforma di cui veramente avremmo un grande bisogno! Buon lavoro!

Scuola – obbligo a 18 anni

Scuola – obbligo a 18 anni = Claudia Pratelli (Sinistra Italiana)

I nostri voti ci sono. Sfidiamo la Ministra  Fedeli a farlo davvero: obbligo scolastico a 18 anni, una revisione dei cicli scolastici ed Erasmus anche alle superiori. E la sfidiamo ad essere più coraggiosa: l’obbligo va anche anticipato -almeno a 3 anni- per rendere finalmente un diritto di tutte le bambine e i bambini la scuola dell’infanzia.
Lo afferma Sinistra Italiana con la responsabile nazionale scuola, Sinistra Italiana.
Noi lo diciamo da tempo – prosegue la responsabile scuola di SI – l’Italia è in fondo alle classifiche per livello di istruzione e in cima a quella sulla dispersione scolastica. Se, per il nostro Paese ubriacato di numeri e classifiche, questi dati non diventano la prima ossessione, avremo poche chances di un futuro migliore.
Avvisiamo però la Ministra: Innalzare l’obbligo scolastico non può essere l’ennesimo spot utile a racimolare voti a sinistra per un partito che non riesce nemmeno a votare lo ius soli. Innalzare l’obbligo scolastico è una cosa seria e deve portare con sé un’idea complessiva di scuola. Un’idea inconciliabile con la legge 107,  non conciliabile con l’alternanza scuola lavoro voluta dal governo Renzi che ha di fatto abbassato l’obbligo a 15 anni consentendo di assolverlo in apprendistato.
Allo stesso modo è con una guerra vera alla dispersione scolastica (che significa investimenti, assunzioni, formazione, cooperazione tra le istituzioni del territorio) che si rende effettivo per tutti il diritto/dovere all’istruzione, non a costo zero come si è pensato di fare con i recenti decreti attuativi della L.107. Infine, per la revisione dei cicli, il modello non potrà essere quello dei “tagli lineari” agli anni di scuola come è sembrato dall’ultimo decreto sui licei di 4 anni.
Insomma il livello di istruzione del nostro Paese è troppo importante per stare nel novero delle boutade agostane – conclude Pratelli – verso la campagna elettorale.
Noi ci batteremo sempre per “più scuola per tutti”.

L’INAMOVIBILITÀ DEI DOCENTI È UN FALSO PROBLEMA

L’INAMOVIBILITÀ DEI DOCENTI È UN FALSO PROBLEMA   
“L’inamovibilità dei docenti di cui parla la ministra Fedeli è un falso problema, perché la normativa attuale prevede la possibilità di sanzionare, e nei casi più gravi anche di rimuovere e destinare ad un’attività diversa dalla didattica, un insegnante incapace”. Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, replica alle dichiarazioni rilasciate ieri dalla titolare di viale Trastevere durante il Meeting di Cl a Rimini. 
“Il vero problema, che nel sistema scolastico italiano si trascina ormai da anni senza una soluzione seria, – incalza Di Meglio – riguarda il sistema di valutazione che è privo di figure professionali competenti ed indipendenti in grado di esprimersi sul lavoro dei docenti. Giudicare l’operato degli insegnanti non compete certamente a studenti e genitori che, grazie alla scellerata ‘Buona Scuola’, fanno parte del Comitato di valutazione”.
“Il nostro sindacato, che prima di tutto nasce come associazione professionale degli insegnanti, è ben consapevole che compito della scuola è formare i giovani e che per farlo occorrono professionisti dell’istruzione, ma la ministra si sbaglia se pensa che la questione della formazione dei docenti si possa affrontare soltanto con il nuovo sistema di reclutamento. Le problematiche – conclude il coordinatore nazionale della Gilda – sono ben più complesse e andrebbero affrontate a livello scientifico prima che politico”.

Sostegno alle famiglie che vivono nelle zone colpite dal terremoto

Scuola – AIE: “Felici e orgogliosi di sostenere le famiglie che vivono nelle zone terremotate attraverso la fornitura gratuita dei testi scolastici”

Levi: “Tema dell’istruzione questione di primaria importanza”

Palumbo: “Impegno fondamentale per garantire diritto allo studio”

 

 

“Siamo felici e orgogliosi di poter contribuire al sostegno delle famiglie che vivono nelle zone colpite dal terremoto nel momento dell’avvio dell’anno scolastico”. Il presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Ricardo Franco Levi ricorda a un anno dal sisma del 24 agosto 2016 la convenzione siglata tra AIE e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) per garantire la fornitura gratuita dei libri scolastici agli studenti delle aree terremotate. “Il tema dell’istruzione e della conoscenza”, continua Levi, “è una questione di primario e decisivo rilievo nazionale e rappresenta uno dei punti focali nello sviluppo della nostra Associazione. È importante poter assicurare a questi ragazzi il diritto allo studio”.

 

L’accordo prevede la distribuzione gratuita dei testi per i prossimi due anni scolastici, il 2017/2018 e il 2018/2019, nei 140 Comuni che nell’ultimo anno sono stati colpiti dal terremoto.

 

“È una iniziativa che gli editori del gruppo educativo di AIE hanno condiviso nella consapevolezza che questa azione potrà rivelarsi di fondamentale importanza per aiutare le famiglie residenti nei territori colpiti dal sisma e che vivono momenti di difficoltà”, ha detto il presidente del Gruppo Educativo di AIE Giorgio Palumbo. “La nostra disponibilità è la conferma di una sempre più strutturata sinergia con il Miur e del costante impegno volto a sostenere il sistema dell’istruzione. Impegnandoci in questa donazione abbiamo voluto fare la nostra parte, consentendo alle famiglie di non doversi preoccupare della dotazione libraria di cui i ragazzi avranno bisogno al rientro a scuola. Un aiuto pratico per garantire il diritto all’istruzione agli studenti che hanno vissuto molti disagi”.

Fedeli: ripensare i cicli, e portare l’obbligo scolastico a 18 anni

da Il Sole 24 Ore

Fedeli: ripensare i cicli, e portare l’obbligo scolastico a 18 anni

di Claudio Tucci

Partire, nel 2018/2019, con una sperimentazione nazionale (in 100 prime classi di licei e istituti tecnici) del diploma a quattro anni (anzichè i cinque canonici); al termine, nel 2023, valutarne i risultati; e, poi, se positivi (e condivisi dal mondo scolastico) pensare a una più complessiva riforma dell’ordinamento «per migliorare la qualità dei percorsi didattici interni»; e, in quest’ottica, contestualmente, «portare l’obbligo scolastico a 18 anni» (fino cioè al termine dei tre cicli).

Le parole della ministra
Dopo l’intervista al Sole24Ore di domenica, la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha scelto ieri il palco del meeting di Cl, a Rimini, per rilanciare una riflessione a tutto tondo su come innovare e potenziare l’offerta formativa a vantaggio degli studenti: l’idea (per i futuri esecutivi – non ci sarà quindi nessun intervento normativo imminente) è quella di prendere spunto dal percorso di abbreviamento di un anno della scuola superiore che si andrà a sperimentare (entro settembre gli istituti che vorranno partecipare dovranno presentare la candidatura), per operare un ripensamento complessivo degli ordinamenti scolastici: «Si dovrebbe fare una rivisitazione dei cicli che valorizzi il sapere e le nuove competenze – ha spiegato Fedeli -. Io sarei per innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni perchè un’economia come la nostra, che vuole davvero puntare su crescita e benessere, deve mirare alla conoscenza, come peraltro chiede l’Agenda Onu 2030 sottoscritta anche dall’Italia. E quindi, se questo è l’obiettivo – ha poi aggiunto la titolare del Miur – è necessario anche sapere che il percorso educativo e formativo, che non smette mai nel corso della vita, ha comunque bisogno di avere una più larga partecipazione possibile, almeno, appunto, fino a 18 anni, per percorsi anche differenziati come licei, istituti tecnici, professionali».

L’obbligo scolastico, com’è oggi in Italia e nel mondo
Oggi, è obbligatoria l’istruzione impartita nel sistema scolastico e formativo per almeno 10 anni e riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni (il 15esimo anno, come sistematizzato dal Jobs act, lo studente può sottoscrivere un contratto di apprendistato di primo livello e contestualmente adempiere all’obbligo e al termine del periodo di scuola-lavoro conquistare anche il diploma). L’asticella a 16 anni venne fissata da Beppe Fioroni (con Letizia Moratti era 15 anni e si chiamava “diritto-dovere”), che consentì anche la sperimentazione nel sistema Iefp. Mariastella Gelmini portò a regime la sperimentazione nell’istruzione e formazione professionale (quindi obbligo scolastico a 16 anni per tutti), e poi con il collegato Lavoro del collega Maurizio Sacconi, si portò l’apprendistato a 15 anni (una scelta poi confermata dal Jobs act).

Del resto, anche a livello internazionale, la stragrande maggioranza dei paesi ha un obbligo scolastico fino a 16 anni d’età dello studente (salgono a 18 anni solo Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, e Germania, in alcuni Land). Molto innovativa è invece la riduzione del percorso di studi che permetterà di far uscire gli alunni a 18 anni, come avviene da tempo, in molti paesi europei (tra cui Spagna, Francia, Regno Unito, Portogallo, Ungheria, Romania – in Finlandia l’ultima campanella suona, addirittura, a 17 anni).

Le prime reazioni
La proposta di una rivisitazione dei cicli e di un innalzamento a 18 anni dell’obbligo scolastico fa già discutere: plaudono Flc-Cgil e Uil Scuola; più cauta la Cisl Scuola («non è una priorità, sono più importanti i contenuti»), e anche l’Anp, l’Associazione nazionale presidi, mette dei paletti: «Servono interventi mirati sulla qualità dell’istruzione e una vera autonomia scolastica». Molto chiara l’assessore lombardo a Istruzione, formazione e lavoro, Valentina Aprea: «La sperimentazione del diploma a quattro anni è sicuramente una buona notizia per tante ragioni. Non lo è l’idea di elevare a 18 anni l’obbligo scolastico: sarebbe un passo indietro rispetto al nostro ordinamento e contrasterebbe con le nuove flessibilità introdotte da Jobs act e decreti attuativi della Buona Scuola».

Una scuola per rinascere

da ItaliaOggi

Una scuola per rinascere

Amatrice, dalla materna al liceo sportivo la carica dei ragazzi che ripopolano la città

In un anno il mondo ha donato alla scuola costruita in tredici giorni un milione e mezzo di euro. Maria Rita Pitoni, 57 anni, preside della Romolo Capranica di Amatrice — istituto prefabbricato che ha undici mesi di vita ed è già in rottamazione — è appena rientrata da Creta. Un breve periodo di recupero dopo un anno sfiancante. Vive a Rieti, dirige a Rieti, ma qui — Villa San Cipriano di Amatrice — è reggente. E qui, un chilometro sopra la città ancora in macerie e sopra la vecchia scuola Capranica colpita e abbandonata, è presente. «È stato un anno duro, a volte durissimo. L’abbiamo trascorso curando i dolori dei ragazzi. La cosa più impegnativa è stata selezionare i donatori». Uno a uno, anche la domenica, insieme alla professoressa Gabriella Stramaccioni. «Ho dovuto capire ogni volta il perché di tutta quella solidarietà. Se dietro l’offerta c’era un afflato sincero o la voglia di un ritorno di immagine. A volte le richieste erano al limite della pubblicità, e non le abbiamo accettate». Per valutare, la preside Pitoni ha applicato la teoria del sospetto di Paul Ricoeur, i suoi studi di filosofia, «ma soprattutto ho detto alcuni no in nome di ragazzi che hanno avuto lutti e vite sconvolte eppure si sono riscritti a scuola ad Amatrice».

I ragazzi del liceo sono stati i più difficili da riportare alla normalità. «I loro musi lunghi ci ricordavano ogni giorno che il 24 agosto sotto le case erano rimasti otto compagni ». Ilaria, 18 anni, figlia del produttore di miele. Caterina, 14 anni, nata all’Aquila, deceduta insieme alla mamma. Benedetta e Sergio, 13 anni. Emanuele Lucian, nato in Romania, oggi sarebbe in I media. Giuseppe di 10 e Stefano di 8. Il piccolo Ivan di 3: andava alla materna. Alberi e piante, lo scorso settembre, li hanno ricordati in giardino. Poi sono arrivati gli psicoterapeuti, per chi era sopravvissuto. Ed è iniziata una serie quasi ininterrotta di viaggi di studio. Ventotene, Policoro, il Terminillo, le Dolomiti dove i ragazzi hanno sciato con Alberto Tomba, quindi Firenze, Parigi, Bruxelles. Una settimana di alternanza scuola lavoro in un’azienda romana. «Per i lavori da completare e la neve molti ragazzi hanno saltato anche due mesi di scuola», ricorda la preside. «Non potevamo immaginare di fare solo lezioni in classe nell’anno che ha seguito un terremoto di questa portata e così abbiamo scelto di viaggiare». Svago, esperienze, istruzione.

Le immagini della Capranica collassata da una parte e sventrata dall’altra, la vecchia scuola che doveva essere antisismica, sono nel fascicolo della prossima chiusura indagini della procura di Rieti. Dal sito del nuovo istituto, però, si cerca di non guardare in basso. Ogni giorno da qui passa un ragazzo, anche adesso che le classi sono chiuse. L’ultima è Elena Aloisi, bella ragazza con i capelli rossi e l’orecchino al naso. Vive a Cittareale e si è diplomata a giugno. Si era lamentata della stagione scolastica, «è stato un anno scarso». Poi ha affrontato lo scritto di Matematica e l’ha superato: «Ci sono arrivata con il fiatone, ma nessuno mi ha regalato nulla». Spiega la preside: «I ragazzi hanno accumulato lacune in Matematica e Latino. Il nuovo anno sarà dedicato a riempirle e a trasformare la nuova Capranica in una scuola normale». Nella stagione trascorsa non è stato possibile per l’arrivo, quasi quotidiano, di un assessore, un finanziere, un cameraman… «I bambini delle elementari appena vedevano uno sconosciuto tiravano giù le tendine, si riparavano dal frastuono nel loro rifugio, la classe».

Tutti promossi, nel 2016-2017. E l’anno che inizia il 14 settembre vede crescere gli studenti. Erano 160 l’anno scorso, sono 230. Gli stessi della vecchia Capranica. Sì, Amatrice sta rinascendo trainata dalla sua scuola. La I liceo, sezione unica, avrà 31 studenti: nell’anno passato erano 16. Sono due le ragioni della crescita: le famiglie che rientrano nelle casette in moduli del cratere dagli al- berghi sull’Adriatico e la nascita ad Amatrice alta del Liceo sportivo internazionale. Un’idea del sindaco Sergio Pirozzi e della preside Pitoni. «L’ho sviluppata di notte», racconta la dirigente. Il Liceo sportivo – si chiamerà 24 agosto – ha già richiamato ragazzi da Brescia e dalla Sicilia. Nel biennio gli iscritti alla prima sezione faranno le materie di uno scientifico rafforzato in scienze motorie. Dal terzo anno le discipline ruoteranno tutte attorno allo sport. Si studieranno, e praticheranno, atletica e nuoto, basket e volley nel Palazzetto dello sport messo in sicurezza, roccia su pareti allestite all’esterno. E sci. Ci sono un paio di futuri istruttori tra gli studenti, tra cui Elisa Aloisi, la rossa con l’orecchino al naso. «Specializzeremo i ragazzi negli sport di montagna e di lago», dice Pitoni. C’è un protocollo con l’Università dell’Aquila, e presto con Tor Vergata, per consentire ai diplomati di Amatrice di avere crediti preassegnati se si iscriveranno ai dipartimenti di Scienze motorie.

Alla nuova Capranica si attendono gli insegnanti, quasi tutti nuovi. Ne servono 40. «Amatrice è sempre stata frontiera. I docenti dopo un anno chiedono di rientrare a Rieti o a Roma. Abbiamo solo una maestra cresciuta in zona. Chi viene da fuori non sempre riesce a capire il dolore che ti lascia un terremoto». La preside sta avviando i processi per ottenere la certificazione della lingua francese e la patente europea informatica. Quel milione e mezzo di euro donati e accettati ora devono essere investiti. Innanzitutto costruendo di nuovo l’istituto, si immagina nella versione definitiva. Liceo sportivo, medie, primarie, materna. Tutto sullo stesso sedime. Gradualmente si smonterà il prefabbricato di qualità alzato dalla Protezione civile di Trento per realizzare in materiali duraturi l’ultima scuola. I lavori stanno partendo. La mensa è pronta, di fronte, dove c’è l’Area food: consentirà il potenziamento delle lezioni nel pomeriggio e il sabato. Bisogna finanziare gli impianti sportivi, molti laboratori. Si deve impiegare quel milione e mezzo e la preside Pitoni chiederà aiuto all’Anac di Cantone per la preparazione dei bandi. «È stato un anno duro», chiude la donna, che ha all’attivo tre missioni con la Croce Rossa in Iraq e due in Kosovo come infermiera volontaria. «Quest’anno mi ha cambiato. Potrò fare ancora un altro qui, poi passerò a un collega quella che era una scuola per terremotati e che diventerà un campus d’eccellenza dell’Italia centrale».

Assegnazioni impossibili al Sud

da ItaliaOggi

Assegnazioni impossibili al Sud

I posti disponibili andranno ai vincitori dei ricorsi contro gli errori dell’algoritmo della mobilità

Marco Nobilio

L’algoritmo si mangia le assegnazioni provvisorie interprovinciali. I docenti che hanno vinto i ricorsi contro i trasferimenti illegittimi adottati dal ministero dell’istruzione, a causa degli errori commessi dall’algoritmo che ha gestito la mobilità sotto la gestione della ministra Stefania Giannini, saranno collocati nelle sedi indicate nelle sentenze. E siccome il numero dei docenti che hanno vinto le cause supera di molto il numero dei posti disponibili, nelle regioni del sud Italia, in molti casi, non potranno essere disposte le assegnazioni provvisorie interprovinciali. La notizia circola da tempo tra gli addetti ai lavori e, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, comporterà anche l’insorgenza di soprannumerari. Perché i giudici non hanno disposto che i docenti ricorrenti venissero collocati solo sui posti disponibili. E ciò comporterà l’assegnazione a disposizione di oltre i 2/3 dei ricorrenti.

Il numero, peraltro, è destinato a crescere. Perché a breve bisognerà fare i conti con un numero imprecisato di docenti che, non potendo ottenere l’assegnazione provvisoria interprovinciale, matureranno i requisiti per esperire ulteriori ricorsi d’urgenza che, stando all’orientamento della giurisprudenza, sono destinati ad essere accolti. L’effetto di questa situazione è che al Nord rimarranno libere molte cattedre per effetto delle assegnazioni disposte dai giudici, sulle quali bisognerà nominare i supplenti. E al Sud vi saranno più docenti del necessario che, non potendo ottenere l’assegnazione di una cattedra, saranno messi a disposizione. E ciò potrebbe integrare una qualche ipotesi di danno erariale.

La questione era nata all’indomani degli esiti della mobilità dello scorso anno, quando molti docenti immessi in ruolo per effetto del piano straordinario di assunzioni disposto dalla legge 107/2015 avevano constatato che altri loro colleghi hanno ottenuto sedi da loro richieste pur avendo un minore punteggio. E ciò aveva indotto l’amministrazione, già all’esito delle operazioni, ad accordarsi con i docenti insoddisfatti tramite l’esperimento di tentativi di conciliazione, grazie ai quali gli interessati hanno ottenuto, in diversi casi, sedi più comode. Altri docenti, invece, non avendo potuto ottenere ciò che avevano chiesto, si erano risolti ad adire i giudici in via cautelare ottenendo dai giudici quello che non avevano potuto avere in via amministrativa.

Altri, ancora, si erano astenuti dall’esperire l’azione giudiziale optando per l’assegnazione provvisoria interprovinciale. Che in molti casi aveva consentito loro di avvicinarsi alla famiglia. Nel frattempo, però, le pronunce favorevoli in sede cautelare sono cresciute di numero. E ciò ha mandato in tilt tutto il sistema.

Oltre tutto, nel frattempo, i sindacati hanno presentato all’amministrazione centrale richieste volte ad ottenere copia dei cosiddetti codici sorgente dell’algoritmo. Vale a dire dei progetti del software che ha gestito le operazioni. Così da avere la prova del cattivo funzionamento dell’algoritmo in vista di ulteriori azioni. L’amministrazione, dal canto suo, in prima battuta ha fornito dati parziali. E ciò ha indotto i sindacati ad adire il Tar del Lazio, che ha condannato il ministero a consegnare quanto richiesto dai sindacati.

Allo stato attuale le azioni sono ancora in corso perché, anche questa volta, secondo i sindacati, l’amministrazione avrebbe fornito dati parziali. E quando il ministero consegnerà quanto richiesto, con ogni probabilità, i docenti interessati, tramite i sindacati di appartenenza, avranno ulteriori frecce al loro arco per intentare ulteriori azioni vittoriose. La situazione, dunque, è ancora in via di evoluzione e, probabilmente, per risolvere il problema definitivamente, la soluzione non potrà che essere individuata per via legislativa. In caso contrario, la crescita esponenziale del contenzioso che ne deriverà avrà come effetto l’incremento dei relativi costi a carico dell’erario. Da una parte per la necessità di fare fronte alle condanne alle spese di giudizio che, stando agli attuali parametri, potrebbe arrivare fino a 2.800 euro per ogni causa persa. E dall’altra parte per la necessità di coprire le cattedre che rimarranno vuote al Nord tramite l’assunzione di supplenti. Per non parlare dell’ulteriore carico di lavoro a cui saranno sottoposti gli avvocati dello stato per fare fronte a questo ennesimo contenzioso seriale.

La crescita esponenziale del contenzioso in materia, peraltro è ormai certa. Perché a fronte della impossibilità di ottenere l’assegnazione provvisoria interprovinciale, i diretti interessati si vedranno costretti ad adire i giudici. E non avendo potuto ottenere l’assegnazione, i potenziali ricorrenti matureranno anche i requisiti per il ricorso d’urgenza. E cioè l’incombenza del danno irreparabile e la lesione del loro interesse per effetto di violazioni di legge o di contratto. In quest’ultimo caso, la violazione della normativa contrattuale che regola i movimenti secondo il principio del merito tramite il cosiddetto punteggio.

Visite fiscali, ci penserà l’Inps ma solo se avrà i soldi E il lavoratore irreperibile rischia il controllo in ambulatorio

da ItaliaOggi

Visite fiscali, ci penserà l’Inps ma solo se avrà i soldi E il lavoratore irreperibile rischia il controllo in ambulatorio

Con il decreto madia cambieranno a regime anche le fasce di reperibilità dei dipendenti

Carlo Forte

Dal 1° settembre prossimo l’Inps gestirà anche le visite fiscali dei dipendenti della scuola. La novità è prevista dal decreto legislativo n. 75 del 27 maggio 2017 (cosiddetto decreto Madia) che, a regime, prevede anche l’armonizzazione delle fasce orarie di reperibilità tra pubblico e privato. Vale a dire, i periodi di tempo nell’ambito della giornata, in cui il dipendente non potrà muoversi da casa per consentire al medico di effettuare la visita di controllo. Attualmente le fasce nel settore privato vanno dalle 10,00 alle 12,00 e dalle 17,00 alle 19,00. Mentre nel settore pubblico, per effetto del decreto Brunetta che ne ha ampliato i termini, sono fissate dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 18,00. L’istituto nazionale della previdenza sociale ha già emanato le prime disposizioni di attuazione con il messaggio 3265 del 9 agosto scorso. L’ente previdenziale ha spiegato che sarà costituito un polo unico delle visite fiscali che dovrà occuparsi anche dei dipendenti della scuola, che gestirà le visite e che lo farà su richiesta delle amministrazioni interessate o anche d’ufficio. E ha ricordato che le richieste delle amministrazioni saranno soddisfatte solo fino alla concorrenza del budget assegnato dal legislatore pari a 17 milioni di euro. Che dovranno bastare per coprire le spese di tutte le viste fiscali che saranno effettuate nell’intero territorio nazionale.

Pertanto, dopo avere ricevuto la richiesta, l’Inps verificherà la disponibilità del budget e, una vota superato, bloccherà le richieste in eccedenza. In buona sostanza, dunque, fino a quando ci saranno soldi a sufficienza per pagare i medici fiscali l’Inps darà corso alle richieste. Quando i soldi finiranno le viste fiscali non saranno più effettuate.

La procedura di richiesta delle visite da parte delle scuole avverrà via web in modo automatizzato. Ma nella prima fase il sistema potrebbe non riconoscere tutte le amministrazioni aventi titolo all’accesso. In questi casi, le scuole potranno procedere autocertificando il proprio titolo e l’Inps procederà successivamente ad effettuare i dovuti controlli. Le scuole dovranno specificare nella richiesta anche se dovrà essere effettuata o meno la visita ambulatoriale, nelle modalità già attualmente previste in caso di assenza del lavoratore a visita domiciliare, al fine di consentire la verifica dell’effettiva sussistenza dello stato di malattia.

L’Inps ha chiarito, inoltre, che dal 1° settembre 2017 gli applicativi in uso presso l’istituto saranno adattati al fine di acquisire i dati dei certificati dei dipendenti pubblici e disporre un numero prestabilito di visite d’ufficio. Anche per le visite mediche di controllo disposte d’ufficio verrà restituito alle scuole l’esito, incluse le informazioni circa i casi di assenza al domicilio e la conseguente convocazione a visita ambulatoriale. In caso di assenza del lavoratore al domicilio a seguito di visita medica di controllo disposta d’ufficio, si procederà con l’invito a visita ambulatoriale in conformità a quanto avviene per i lavoratori del settore privato.

Nel corso della visita ambulatoriale dovranno essere valutate soltanto l’effettiva sussistenza dello stato morboso e la relativa prognosi, mentre non rientrerà tra i compiti dell’istituto la valutazione delle eventuali giustificazioni prodotte. L’ente previdenziale ha chiarito anche che il dipendente pubblico è tenuto, qualora debba assentarsi dal proprio domicilio (per esempio per sottoporsi a una visita specialistica), ad avvisare unicamente la scuola. E dovrà essere quest’ultima ad avvisare l’Inps.

Vaccini, una partenza graduale

da ItaliaOggi

Vaccini, una partenza graduale

Il Miur chiarisce tra l’altro che la norma sulla formazione delle classi slitta di un anno

Le nuove disposizioni in materia di prevenzione vaccinale sono, dallo scorso 6 agosto, norme di legge per effetto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 2017 della legge n. 119 del 31 luglio 2017 con la quale il Parlamento ha convertito in legge, con numerose modifiche il decreto legge 7 giugno 2017, n. 73. A settembre dunque si parte, anche se sarà una partenza graduale e l’anno che è alle porte dunque di transizione.

Indicazioni operative per l’applicazione delle predette disposizioni sono riportate nelle circolari n. 25233 del ministero della salute e n. 1622 del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, entrambe datate 16 agosto 2017.

Nelle due circolari viene ribadito in via preliminare che la legge ha esteso a dieci – erano quattro in precedenza – le vaccinazioni obbligatorie e gratuite per i minori in età compresa tra zero e sedici anni e per tutti i minori stranieri non accompagnati (anti-poliomielitica; anti-difterica; anti-tetanica; anti-epatite B; anti-pertosse; anti-Haemophilus influenzae tipo B; anti-morbillo; anti-rosolia; anti- parotite; anti-varicella). I vaccini anti-meningococcica B e C; anti-pneumococcica e anti-rotavirus saranno anch’essi gratuiti, consigliati ma non obbligatori.

Viene inoltre confermato che la maggior parte delle disposizioni contenute nella legge troveranno applicazione gradualmente nell’arco di tempo compreso tra l’anno scolastico 2017/2018 e il 2019/2020. È dal 2019/2020, per esempio, che toccherà alle Aziende sanitarie locali (Asl), una volta ricevuto dalle scuole l’elenco delle iscritte e degli iscritti sino ai 16 anni di età, restituirlo con l’indicazione di coloro che eventualmente non risultino in regola con gli adempimenti vaccinali. Per la scuola dell’infanzia la mancata presentazione della documentazione attestante l’adempimento degli obblighi vaccinali comporterà la decadenza dell’iscrizione. Per i gradi di istruzione successivi non sono previste invece ricadute sull’accesso al servizio scolastico. A settembre, invece, la palla è in mano ai presidi.

I dirigenti scolastici, all’atto dell’iscrizione, devono chiedere ai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, ai tutori o ai soggetti affidatari dei minori fino a 16 anni, ivi compresi i minori non accompagnati, la presentazione di dichiarazioni o documenti atti a comprovare l’adempimento degli obblighi vaccinali. L’esonero, l’omissione o il differimento delle vaccinazioni non produrrà effetti penalizzanti se è dovuto a motivi di salute documentati dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta del servizio sanitario nazionale ovvero previa attestazione di avvenuta immunizzazione a seguito di malattia rilasciata dai suddetti medici e pediatri.

Nel caso in cui i genitori, i tutori o i soggetti affidatari dei minori non facciano somministrare il vaccino al minore entro i tempi fissati dalla Azienda sanitaria locale dovrà comunque essere loro comminata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cento a euro cinquecento.

Disposizioni transitorie scattano per l’anno scolastico 2017/2018: per accedere alle scuole dell’infanzia, ivi comprese quelle private non paritarie, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie deve essere presentata entro il 10 settembre 2017. La mancata effettuazione della vaccinazione obbligatoria non permetterà la frequenza da parte del minore dei servizi educativi dell’infanzia.

Per accedere invece alle altre istituzioni scolastiche e ai centri di formazione professionale regionale, la documentazione dovrà essere presentata entro il 31 ottobre 2017. Tale documentazione potrà tuttavia essere sostituita dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’art. 47, dpr n. 445/2000. In tal caso la documentazione comprovante l’adempimento degli obblighi vaccinali dovrà essere consegnata all’istituzione scolastica entro il 10 marzo 2018. Le circolari indicate in premessa precisano comunque che la mancata presentazione della documentazione nei tempi suddetti non determinerà la decadenza dall’iscrizione né impedirà la partecipazione agli esami.

Sulla formazione delle classi una importante precisazione è contenuta nella circolare della ministra dell’istruzione, Valeria Fedeli. Vi si legge che, limitatamente all’anno scolastico 2017/2018, non può trovare applicazione per le classi della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado la disposizione normativa di cui all’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 73/2017, che prevede che i dirigenti scolastici inseriscano, di norma, i minori che si trovino nelle condizioni di omissione o differimento delle vaccinazioni per accertato pericolo per la salute, in classi nelle quali siano presenti solo minori vaccinati o immunizzati. Un intervento, quello sulla formazione delle classi, che non sarebbe possibile organizzare così a stretto giro.

I dirigenti scolastici sono stati invitati a dare tempestiva informazione in merito alla presentazione della documentazione vaccinale, circa le indicazioni dettate per l’anno scolastico 2017/2018, utilizzando il sito web della scuola ed eventuali altri canali comunemente usati nei rapporti scuola famiglia. Per contro, e sempre per l’anno scolastico 2017/2018, il ministero della salute e il Miur avvieranno anche iniziative di formazione per il personale scolastico ed educativo nonché di formazione rivolto alle alunne e agli alunni sui temi della prevenzione sanitaria e in particolare delle vaccinazioni, anche con il coinvolgimento delle associazioni dei genitori e delle associazioni di categoria delle professioni sanitarie.

Anche gli operatori scolastici, e dunque docenti, ata, dirigenti scolastici, e non è chiaro se anche gli addetti esterni alle pulizie, dovranno entro il 16 novembre 2017 presentare alle istituzioni scolastiche presso le quali prestano servizio, utilizzando un apposito modello allegato alla citata circolare ministeriale n. 1622, una dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del dpr 445/2000, comprovante la propria situazione vaccinale. le scuole così potranno consocere quali vaccini hanno fatto i propri dipendenti. Lo ribadisce il Miur.

Fedeli: basta coi docenti inamovibili, chi non è in grado di insegnare va stanato

da La Tecnica della Scuola

Fedeli: basta coi docenti inamovibili, chi non è in grado di insegnare va stanato

 

I sindacati devono imparare che la scuola non serve a creare posti di lavoro, ma a formare i giovani.

Non parla più da sindacalista la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli: in una intervista rilasciata a Ilsussidiario.net, la responsabile del Miur, con un lungo passato in seno alla Cgil, sembra mettere da parte i temi vicini alla salvaguardia del lavoro, per fare spazio alla sua qualità. Che, nel caso dei docenti, deve essere alta.

Alla domanda se “il docente italiano è inamovibile”, Fedeli risponde in modo deciso: “L’inamovibilità a fronte dell’incapacità non dev’essere più possibile. Poi si tratterà di vedere come fare. Non voglio discriminazioni, ma reciproca consapevolezza. Lo so, è un tema difficile. Su questo però non mi faccia aggiungere altro”.

La ministra, quindi, fa intendere che non è più accettabile avere docenti a mezzo servizio o poco inclini alla professione di formatore. Le intenzioni della ministra sembrano chiare: chi non è in grado di insegnare, deve accomodarsi altrove. Magari rendendo più agevole il percorso che porta all’individuazione del docente incompatibile con la cattedra e la formazione.

Anche perché, innalzare il livello della didattica è diventato il “chiodo fisso” della Fedeli: quando gli si ricorda che l’Italia detiene il record di Neet, giovani che non studiano né lavorano, la ministra replica dicendo che per perdere questo primato negativo occorre puntare forte sulla formazione degli insegnanti.

Bisogna “intervenire sulla qualità formativa dei docenti” perché “in Italia abbiamo costruito poco per rispondere a questo dramma. Non solo come sistema di istruzione e di formazione, ma anche come sistema economico nazionale, che poco ha compreso le trasformazioni già in atto e non ha adeguato saperi e competenze al cambiamento costante nel lavoro”.

Per questo, secondo il ministro “bisogna intervenire sulla qualità della didattica. E dunque sulla qualità formativa dei docenti. Aggiornamento costante, utilizzo di nuove tecnologie per venire incontro alle condizioni nuove e diversificate degli apprendimenti“.

L’obiettivo del ministro dell’Istruzione è avere finalmente “una scuola che include non solo quelli che già ce la fanno, ma anche chi rimane indietro, prima che questo avvenga. Servono docenti così preparati da venire incontro a tutti. Altrimenti non ce la facciamo”.

Parallelamente, per ridurre il numero di Neet, secondo Fedeli, “c’è un problema della scuola, ma anche del mondo reale dell’economia, in chi dovrebbe offrire una possibilità formativa ai giovani”.

Aumenti di stipendio, 85 euro lordi non possono bastare: Fedeli promette battaglia

da La Tecnica della Scuola

Aumenti di stipendio, 85 euro lordi non possono bastare: Fedeli promette battaglia

 

“Se si ritiene importante, quale in effetti è, il ruolo dei docenti e dell’insegnamento lo devi socialmente riconoscere, anche dal punto di vista retributivo”.

Lo ha detto al Meeting di Cl la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, il 22 agosto, parlando dei magri stipendi degli insegnanti italiani.

Per la responsabile del Miur, non è giusto che “la retribuzione dei docenti sia la più bassa di tutta la Pubblica amministrazione”.

Fedeli ha anche sottolineato di essere “pronta a fare la battaglia” per l’aumento degli stipendi, fermi dal 2009.

Su come la ministra dell’Istruzione intenda risolvere il problema della scarsità di fondi concessi dal Mef tramite la Legge di Bilancio (se verranno rispettati gli impegni non si supereranno gli 85 euro lordi medi), non è però chiaro. Di sicuro, sarà un compito improbo riuscire a superare quella soglia.

Privacy, dall’accesso civico generalizzato escluse le sanzioni disciplinari

da La Tecnica della Scuola

Privacy, dall’accesso civico generalizzato escluse le sanzioni disciplinari

 

E’ legittimo respingere la richiesta di accesso civico generalizzato, presentata da un cittadino, agli atti di una sanzione disciplinare inflitta ad un dipendente pubblico, contro la quale pendeva peraltro un contenzioso dinnanzi al Giudice del lavoro.

Così ha deciso il Garante per la privacy con parere espresso nell’ambito del procedimento di riesame, previsto dalla normativa sulla trasparenza.

L’Autorità ha richiamato le Linee Guida sull’accesso civico dell’Anac, le quali prevedono che l’accesso civico generalizzato vada, fra l’altro, respinto quando la conoscibilità indiscriminata dei dati personali potrebbe causare, all’interessato o ai suoi congiunti, danni legati alla sfera morale, relazionale e sociale, come nel caso considerato.

Tra i motivi per il diniego dell’accesso si deve tener conto anche della funzione pubblica svolta dal dipendente, che potrebbe essere esposto a minacce, ritorsioni o turbative. Nel suo parere il Garante ha sottolineato come la disciplina in materia di privacy stabilisca che ogni trattamento di dati debba essere effettuato nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, tenendo conto anche dei diritti alla reputazione, all’immagine, al nome, all’oblio e in generale ai diritti inviolabili della persona.

Secondo il Garante, l’accesso civico generalizzato alla sanzione disciplinare può determinare un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali del dipendente e ha confermato il diniego opposto dall’Amministrazione.

Vaccini: Garante privacy, comunicazione diretta a famiglie scelta ragionevole

da La Tecnica della Scuola

Vaccini: Garante privacy, comunicazione diretta a famiglie scelta ragionevole

 

“La strada che sembra essere stata scelta in Liguria, così come in Toscana e in altre regioni, di una comunicazione diretta alle famiglie, appare ragionevole e può sicuramente aiutare i nuclei familiari e le scuole, semplificando l’applicazione della legge sui vaccini obbligatori, senza creare problemi nella trasmissione dei dati sulla salute degli studenti”.

Lo chiarisce il Garante della privacy, contattato da AdnKronos Salute sugli aspetti pratici della nuova legge.

La normativa appena approvata prevede che siano i genitori, o chi ha la patria potestà, a comunicare alle scuole che i bambini da iscrivere sono in regola con gli obblighi vaccinali. E’ stato poi espressamente indicato dal legislatore che solo dal 2019 si possano introdurre semplificazioni con eventuali flussi informativi diretti tra Asl e scuole. “Su questo aspetto – spiega l’Ufficio del Garante – le amministrazioni e il Garante stesso non possono far altro che adeguarsi. Sono però possibili soluzioni alternative: le Asl potrebbero ad esempio inviare direttamente alle famiglie i certificati che poi i genitori porteranno a scuola, senza aspettare che siano i genitori stessi a richiederli”.

“Nella lettera inviata dalle Asl, sulla base di accordi presi con gli uffici scolastici o sulla base di direttive nazionali, le stesse Asl – chiarisce ancora il Garante – potranno ricordare l’obbligo di presentazione del certificato a scuola e dare istruzioni sulle modalità con le quali ciò debba avvenire. In questo modo si semplificherebbero le procedure per famiglie, scuole e amministrazione sanitaria, senza però violare la normativa sui vaccini e quella sulla privacy”.

Meno alunni iscritti, è il momento buono per eliminare le classi pollaio: non di ridurre i prof

da La Tecnica della Scuola

Meno alunni iscritti, è il momento buono per eliminare le classi pollaio: non di ridurre i prof

 

Cala il numero di iscritti perchè anche gli stranieri fanno meno figli? Bene, allora è giunto il momento di tornare a delle classi con un numero normale di alunni.

Abbandonando la linea delle classi pollaio degli ultimi anni. A chiedere l’inversione di tendenza – senza nemmeno pensare di ridurre gli organici dei docenti – è Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola, a commento delle ultime proiezioni Miur sulle iscrizioni dei prossimi anni anni, in base alle quali si attende la riduzione di 700mila alunni.

“Il trend in flessione del numero degli alunni dovrebbe condurre – sottolinea Turi – alla soluzione di almeno un problema: riportare il numero di alunni per classe almeno ai livelli europei. La denatalità e conseguente riduzione degli alunni, si scontra con un altro paradosso tutto italiano: il 60% circa dei docenti ha più di 50 anni, rappresentando i più anziani d’Europa.  Anche il rapporto alunni /docenti è più alto rispetto alla media europea”.

“L’unico parametro sotto la media europea è la retribuzione che vede i docenti italiani all’ultimo posto solo dopo la Grecia. Sono tutti dati che portano a una constatazione chiara – spiega Turi –  la politica scolastica degli ultimi anni, è stata completamente avulsa da  elementi di programmazione e completamente delegata ai ministeri economici e alle politiche finanziarie dei tagli lineari e della riforma pensionistica”.

Per il sindacalista Confederale, “è arrivato il momento di una inversione di tendenza a cui la politica è chiamata a dare risposte, a partire dal rinnovo del contratto con cui superare, almeno alcuni dei tanti paradossi del sistema scolastico italiano”.
La media di studenti per docente deve tener conto almeno di due fattori che non esistono negli altri paesi: la presenza degli insegnanti di sostegno e quella degli insegnati di religione cattolica.
Riguarda al numero di alunni per docente, la Uil Scuola, ricorda, infine, che il rapporto italiano è sì pari a 11,49 studenti per docente (dato medio). Ma “se consideriamo anche la presenza dei docenti di sostegno ( non presenti in tutti gli altri sistemi scolastici). il rapporto passa a 14,07. Se poi prendiamo in considerazione l’ulteriore nostra specificità della presenza dei docenti di religione, il rapporto si innalza a 14,71, una cifra superiore alla media europea”.

Pasticcio vaccini nell’infanzia: cerchiamo di capire

da La Tecnica della Scuola

Pasticcio vaccini nell’infanzia: cerchiamo di capire

 

Il decreto sull’obbligo dei vaccini riserva non poche sorprese. Qualche lettore ci ha scritto per sapere come vanno interpretate alcune disposizioni apparentemente contraddittorie.
La questione riguarda in particolare la scuola dell’infanzia e, nel concreto, la domanda è: ma se un bambino no è in regola con le vaccinazioni può frequentare?
A nostro parere, è del tutto evidente che lo spirito della legge dovrebbe indurre a rispondere negativamente alla domanda, ma qualche lettore ci ha segnalato questa incongruenza.
L’articolo 3 bis del decreto legge 73, richiamato anche nella circolare Miur del 16 agosto scorso, prevede che a partire dall’anno scolastico 2019/20 la mancata presentazione della documentazione vaccinale comporti la “decadenza dall’iscrizione”; al contrario per quest’anno e per il prossimo la legge parla solamente di “requisito di accesso”.
Qualcuno ne deduce che, almeno per quest’anno, i bambini non vaccinati potrebbero comunque frequentare la scuola dell’infanzia.
Secondo noi il senso delle disposizioni in questione è un altro.
Intanto è evidente, a nostro parere, che requisito di accesso significa esattamente quello che la legge vuol dire: per accedere alla scuola dell’infanzia è necessario essere vaccinati e, a partire dal 2019/2020, le consueguenze saranno particolarmente pesanti in quanto i bambini che non presenteranno nei tempi previsti la documentazione del caso non saranno più considerati iscritti, cioè verranno cancellati dall’elenco della sezione, esattamente come accade già oggi per i bambini che risultano assenti senza giustificato motivo per più di 30 giorni (la norma è finalizzata ad evitare che bambini non frequentanti sottraggano il posto ad altri bambini in “lista di attesa”, come accade talore nella scuola dell’infanzia).
Per quest’anno e per il prossimo è invece prevista l’impossibilità di frequentare: in altre parole il bambino non potrà entrare a scuola fino a quando la famiglia non avrà provveduto a regolarizzare la situazione.
In pratica questo vuol dire che con l’avvio del prossimo anno scolastico, i bambini che non presenteranno la documentazione prevista non potranno frequentare ma senza essere “depennati”; gli stessi bambini potranno però rientrare a scuola non appena la famiglia avrà consegnato a scuola la documentazione del caso.
Questo è quanto si evince da una lettura testuale delle norme.