“Raccontami il mare che hai dentro”

Redattore Sociale del 15-10-2017

“Raccontami il mare che hai dentro”: una mamma, un figlio e l’autismo

Paola Nicoletti racconta nel suo libro “Il mare che ha dentro” suo figlio, aprendo le porte della loro quotidianità e invitando a “venire a casa nostra, dove non si aggira una cupa nube di tristezza, ma un mare di amore, pur tra mille preoccupazioni. Io parlo sempre, lui mai: siamo una coppia perfetta”.

ROMA. “L’amore per il mare è tipico dell’autismo: l’acqua placa, rasserena, avvolge, attutisce i rumori del mondo. Il mare è quello che vedo dentro mio figlio quando lo inseguo e scruto nei suoi occhi scuri come bottoni neri, quando cerco la sua anima, i suoi pensieri, quando faccio domande che si persone nelle profondità di un oceano così buio da non lasciar vedere il brulichio della vita là nel fondo, una vita in cuci ogni suo pensiero è un pesce d’argento, ogni suo dovere un corallo rosso e il suo amore è acqua limpida e pura”: così Paola Nicoletti racconta e descrive l’autismo di suo figlio, nel libro “Raccontami il mare che hai dentro”, edito da Pendagron e da oggi in libreria. Vincendo l’inevitabile imbarazzo, mette e nudo la propria quotidianità, aprendo al lettore le porte della sua casa e delle sue giornate, spesso complicate, senza mai autocommiserarsi, ma condendo ogni fatica con una buona dose di ironia. Paola Niocoletti, d’altra parte, è abituata a mostrarsi al pubblico: da qualche anno si cimenta con palcoscenico e sipario, portando in teatro le sue commedie “L’incanto di Natale” e “Suocera contro”.

Ora, affida alle pagine di questo libro cioè che più le sta a cuore, ma che sceglie di condividere per essere d’aiuto a chi vive la sua stessa condizione: quella di mamma con un figlio “complicato”. “Ho scelto di raccontarmi in prima persona – ci spiega – come se parlassi ad un’amica e cercassi di farla entrare nel mio mondo, senza veli né remore, svelando le mie paure più nascoste, i miei pensieri più intimi. Racconto il nostro percorso di madre e figlio, di famiglia. Potrebbe apparire una storia triste – continua – ma non lo è, come ritengo non lo sia la nostra vita: è una vita diversa, ma non manca certo di gioia, di momenti piacevoli e di una sana ironia. La nostra vita ci mette ogni giorno alla prova – ammette Nicoletti – ma quale vita non lo fa? Le nostre prove forse sono un po’ più strambe, ma non siamo zombie persi nel mondo. Qualcuno ha scritto ‘se vi abbraccio non abbiate paura’ – dice ancora Paola Nicoletti, citando il titolo del romanzo di Fulvio Ervas – e io dico: venite nelle nostre case. A parte un gran casino, non fanno paura, non ci si aggira una cupa nube di tristezza. Certo non è una passeggiata e il racconto lo testimonia in modo approfondito, perché desidero che il mondo sappia e smetta di ritrarsi impaurito. Io e mio figlio, poi, siamo una coppia perfetta: io parlo sempre, lui mai, si chiude le orecchie perché non ne può più credo. Ma andiamo avanti, tra mille preoccupazioni e un mare d’amore”. (cl)

Relativamente al bonus premiale…

Relativamente al bonus premiale, una recente sentenza del TAR del Lazio conferma il diritto di accesso agli atti dei docenti legittimanti ad avere informazioni relativamente alle attività retribuite, ai destinatari del beneficio e anche agli importi attribuiti

Arriva anche una sentenza a confermare il diritto d’accesso agli atti del docente che si vede negare il bonus premiale

di Agata Scarafilo

 

Se ancora ci fossero dubbi sul  “diritto di accesso agli atti” dei docenti che ravvisano un legittimo interesse, determinato anche dalla non attribuzione del bonus, ora, a fare chiarezza, è arrivata anche una sentenza del TAR del Lazio (n. 02611/2017 REG.RIC). Una sentenza che accoglie il ricorso di un docente che aveva chiesto alla scuola di servizio l’accesso e l’acquisizione degli atti afferenti la comparazione dei destinatari del bonus con le relative attività valutate e le somme riconosciute.

Il Tar, in buona sostanza, ha ritenuto illegittimo il “silenzio–dissenso” del Dirigente Scolastico, che ha inteso così negare l’accesso. La stessa sentenza ha rigettato, invece, il ricorso  solo nella parte in cui il ricorrente chiedeva, altresì, copia dei criteri, posti in essere dal Comitato di Valutazione, in quanto erano stai pubblicati sul sito Web della Scuola. In buona sostanza, su quest’ultimo aspetto il giudice ha ritenuto che il Dirigente Scolastico abbia già ottemperato alla trasparenza dovuta ad una Pubblica Amministrazione.

La sentenza, come pure  il parere, del 13 luglio scorso, della “Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, non fanno altro che rafforzare quanto la scrivente continua da mesi a sostenere attraverso i contributi professionali, in risposta ad una situazione davvero paradossale che purtroppo si sta registrando in alcune scuole d’Italia.

Così, come più volte si è avuto modo di sottolineare, anche il citato TAR (sez. terza Bis) evidenza la fondamentale importanza dell’art. 97 della Costituzione che esige che la Pubblica Amministrazione agisca secondo il principio del “buon andamento e dell’imparzialità.

Nella sentenza si legge che “giova premettere, preliminarmente, che la normativa sull’accesso ai documenti amministrativi (L. n. 241/1990) ha il medesimo ambito di applicazione dell’art. 97 della Costituzione e riguarda tutti gli atti riferibili all’amministrazione, non rilevando la loro disciplina sostanziale pubblicistica o privatistica”.

Aspetto questo rilevante, in quanto ha consentito al giudice amministrativo di accogliere il ricorso non solo relativamente alla documentazione relativa al procedimento di concessione del bonus, ma anche relativamente ai destinatari e  agli importi, dichiarando illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione e concedendo, di contro, il diritto all’accesso agli atti.

Probabilmente, la confusione in merito da parte di alcuni Dirigenti Scolastici, che continuano a pensare di avere una “discrezionalità assoluta”, deriva dal fatto che  il bonus non è contrattabile in quanto prerogativa dirigenziale.

Ma la non derogabilità del bonus per via pattizia non significa assolutamente che la sua assegnazione o non assegnazione da parte del Dirigente Scolastico debba essere sottratta a tutte quelle norme, compreso le stesse prescrizioni della L. 107/2015 (criteri, comitato di valutazione, motivazione, trasparenza, ecc) che l’ordinamento italiano prescrive attraverso la Carta Costituzionale, le leggi e i regolamenti.

Anzi, i Dirigenti Scolastici che, senza alcuna motivazione valida, negano l’accesso agli atti, dimenticano forse che, nella fattispecie, le scelte illegittime potrebbero addirittura configurarsi come “abuso d’ufficio”, un reato previsto dall’art. 323 del codice penale italiano.

Insomma, se prima della riforma su “La Buona Scuola”, la materia era regolata unicamente da quanto contenuto nelle norme contrattuali, la L. 107/2015 ha cambiato completamente la posizione del Dirigente Scolastico che, per violazione di norme di legge o di regolamento, ha una responsabilità diretta nello “svolgimento delle proprie funzioni” o del “proprio servizio.

Preme a chi scrive ricordare che, tra l’atro, sarebbe forse opportuno non abusare della prassi del “silenzio-dissenso” che, pur essendo previsto dalla norma, va calato nei diversi casi e nei diversi contesti. Ciò perché si potrebbe corre il rischio di mettere in atto il caso di “omissione d’atto d’ufficio” che si configura a fronte di una mancata risposta. Questo reato è imputabile se, una volta trascorsi 30 giorni da una richiesta, non si abbia ancora ottenuto alcuna risposta, né delle giustificazioni per il ritardo. In sostanza, il silenzio potrebbe anche trasformarsi in “omissione” se la richiesta viene formulata sotto forma di diffida formale ed ignorata.

* da Scuola e Amministrazione

Dalla Palestina alla Mongolia, la lotta per la liberta’ delle persone disabili

Redattore Sociale del 15-10-2017

Dalla Palestina alla Mongolia, la lotta per la liberta’ delle persone disabili

Si è parlato di empowerment nel secondo giorno del Festival della cooperazione internazionale che si sta svolgendo a Ostuni. I rappresentanti delle ong hanno raccontato le esperienze in diversi paesi del mondo alla ricerca di spazi di emancipazione prima impensabili.

OSTUNI. Il termine inglese empowerment è diventato una parola molto comune per chi fa cooperazione internazionale e si occupa di disabilità ma la sua semplice traduzione in italiano, “rafforzamento” spiega poco il suo reale significato. Quando si fa empowerment non si tratta infatti solamente di rafforzare le capacità delle persone con disabilità e le associazioni che le rappresentano ma è anche un modo per diventare coscienti di avere un ruolo attivo nella società in cui si vive. Ed è proprio di empowerment delle persone con disabilità di cui si è parlato nel secondo giorno del Festiva della cooperazione internazionale che si sta svolgendo a Ostuni.

Rita Barbuto di Dpi Italia (Disabled People’s International) ha denunciato la condizione delle persone con disabilità, nel nord come nel sud del mondo, che vivono come “ingessate” a causa di una società che le discrimina e per un vissuto personale che contribuisce a mantenerle in una situazione di esclusione. “Noi cresciamo credendo poco in noi stessi – afferma Rita Barbuto – non riusciamo a volte nemmeno a formulare quei desideri che sono comuni per tutti, come ad esempio il desiderio di maternità “. L’empowerment si configura quindi come un processo di emancipazione da questa condizione e nel caso del Dpi questo avviene attraverso una consulenza alla pari (peer counseling) che ricorda da vicino i gruppi di mutuo-aiuto.

“Abbiamo portato questo processo di emancipazione a delle donne con disabilità in Palestina – dice Rita Barbuto – e abbiamo avuto dei risultato sorprendenti. Queste donne, una volte sensibilizzate, non rimangono ferme ma iniziano a fare attività politica e non accettano più come scontate le barriere architettoniche o i pregiudizi”.
Essere persone con disabilità in Mongolia non è semplice, perché significa vivere in una regione scarsamente popolata, senza servizi e in condizioni climatiche difficili. “Eppure dopo il nostro intervento formativo sulla diffusione dei principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, abbiamo visto dei cambiamenti notevoli”. Chi parla è Francesca Ortali capo progettista di Aifo che da numerosi anni lavora nel paese asiatico. Proprio nel 2016 in Mongolia è stata approvata una legge quadro sulla disabilità che è stata scritta anche attraverso il diretto contributo delle associazioni locali ed è nato nella capitale Ulaan Baatar un Centro per la vita indipendente.

Federico Ciani dell’Università di Firenze e responsabile di Arco laboratorio di ricerca, ha raccontato un progetto di ricerca-azione in Palestina che ha visto come protagoniste le stesse donne con disabilità. “ Si tratta di una ricerca emancipatoria – spiega Federico Ciani – dove il ricercatore professionista non conduce più lui la ricerca ma mette al centro le donne palestinesi che diventano loro stesse ricercatrici”. Il nuovo ruolo permette a queste donne di immaginare spazi di libertà prima impensabili come il semplice fatto di andare fuori a intervistare altre donne con disabilità. “Curiosamente – ha commentato Giampiero Griffo del Rids (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo) – questo tipo di ricerche vengono fatte non Italia ma nei paesi del sud del mondo, quando anche da noi sarebbe una metodologia molto utile”. (Nicola Rabbi)

Alternanza scuola-lavoro. La protesta degli studenti conferma il fallimento della riforma

Alternanza scuola-lavoro. La protesta degli studenti conferma il fallimento della riforma e la necessità di cambiare le politiche sulla scuola. La mobilitazione continua

Quella del 13 ottobre è stata una giornata di straordinaria partecipazione da parte di decine di migliaia di studenti della scuola secondaria di II grado contro l’alternanza scuola-lavoro così come regolamentata dalla Legge 107. A tutti loro va il pieno sostegno della FLC CGIL. Studentesse e studenti hanno espresso in modo chiaro e nelle più variegate forme espressive e comunicative la propria protesta contro la deriva imposta dalla 107: da metodologia didattica, utile per approfondire la conoscenza della realtà del lavoro e contribuire a trasformarla e migliorarla, a strumento facilmente orientabile verso prestazioni gratuite e di mero sfruttamento. Sorprende, e dispiace, che in alcuni ambienti sindacali e giornalistici anziché cogliere il valore di questa protesta, per niente rituale ma capace di parlare all’intero mondo del lavoro e al paese, ci si sia concentrati su aspetti marginali come singoli slogan. Il nodo di una specializzazione produttiva orientata a merci a basso contenuto di sapere e innovazione è una delle cause della facile deriva dell’alternanza così come imposta dalla legge 107 verso forme di sfruttamento. Se i margini di profitto delle imprese devono crescere facendo leva sul costo del lavoro piuttosto che sull’innovazione, una alternanza così fatta diventa l’ennesima opportunità per assecondare questo modello. Giustamente, quindi, con le manifestazioni in settanta città del Paese si acuisce sempre di più la frattura tra il Paese reale e l’idea di scuola, e di lavoro, contenuta nella legge 107.
Nessuno può fare finta di nulla. La voce intensa degli studenti va ascoltata, dal governo e dalle istituzioni. In coerenza con le iniziative referendarie della FLC CGIL, non è più rinviabile un serio bilancio di quanto avvenuto fino ad ora. Per questo chiediamo:
– la cancellazione delle norme sulla precisa quantificazione delle ore dei percorsi (400 ore nei tecnici e professionali, 200 ore nei licei),
– la cancellazione delle norme della legge 107 che utilizzano l’alternanza  per piegare la scuola all’interesse di brevissimo periodo del sistema produttivo italiano, e non solo,
– una Carta dei diritti che ponga veramente al centro dei processi educativi i bisogni e le aspirazioni  di studentesse e studenti
– l’obbligatorietà dell’utilizzo del Registro Nazionale per l’individuazione dei soggetti ospitanti. Nel registro vanno inserite tutte le informazioni sulle attività formative realizzate per i propri dipendenti, al rispetto dei contratti di lavoro e delle norme in tema di sicurezza.
Se gli Stati Generali dell’alternanza proposti dalla ministra serviranno a prendere atto definitivamente della necessità di modifiche urgenti saranno benvenuti. Altrimenti diventeranno un boomerang per il governo. Infatti, il tema dell’alternanza sarà uno degli argomenti più rilevanti su cui si giocherà la partita delle prossime elezioni politiche, dal momento che poco meno della metà degli studenti in alternanza potranno esercitare il diritto di voto. Incalzeremo le forze politiche affinché vi siano impegni chiari e concreti sulla materia.
La nostra battaglia continuerà, anche attraverso il rinnovo contrattuale, per ottenere la cancellazione di tutte le parti della legge 107 che stanno imponendo una torsione autoritaria, competitiva e classificatoria nell’intero sistema di istruzione del nostro paese: bonus, chiamata diretta, valutazione individuale, uso pervasivo delle prove standardizzate.

M. De Giovanni, Le solitudini dell’anima

L’altra vita del De Giovanni

di Antonio Stanca

Il napoletano Maurizio De Giovanni è uno scrittore di romanzi gialli. Ha cinquantanove anni, è nato e vive a Napoli e dal 2005, quando iniziò con un racconto scritto per un concorso indetto da Porsche Italia, non ha smesso di scrivere. Il genere è sempre stato quello del romanzo giallo, la prima serie quella che ha avuto come protagonista il commissario Ricciardi, la seconda quella dell’ispettore Lojacono, dalla quale è stata tratta una fiction televisiva.

Anche racconti ha scritto De Giovanni e a volte li ha raccolti in antologie. Una delle più recenti è stata pubblicata l’anno scorso dalla casa editrice Rizzoli di Milano col titolo Le solitudini dell’anima.

Scrittore molto prolifico, il De Giovanni si è da tempo imposto all’attenzione di un pubblico non solo italiano poiché tradotto viene pure in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Ad interessare è il suo modo di procedere che non trascura nessun particolare dell’ambiente, dei personaggi rappresentati, che permette di sapere, di conoscere tante situazioni insolite prima di arrivare alla scoperta, alla verità finale. Questo avviene nei romanzi dove più ampio è lo spazio a disposizione, più esteso il discorso, più lontana la verità da raggiungere mentre nei racconti l’autore è costretto ad arrivarci prima e dopo un percorso piuttosto breve. Efficace, tuttavia, risulta anche questa maniera poiché più attirato si sente il lettore dalla conoscenza di una verità che arriva rapidamente e più mosso a passare al racconto successivo per sapere di altre veloci rivelazioni.

Abile si mostra il De Giovanni in questo procedimento che usa pure nei racconti della recente antologia. In essi i tempi, i luoghi, gli ambienti, le persone, gli eventi cambiano ma ovunque accadano, chiunque li viva, sono eventi che fanno parte della vita quotidiana, sono fatti di vita anche se di quella vita che avviene ai margini, ai lati dell’altra generalmente conosciuta, di quella vita povera, guastata, rovinata dalla povertà, dal bisogno, dal vizio, da pensieri malsani, da azioni pericolose, dalla violenza, dalla crudeltà, dalla morte. E’ un mondo, è una realtà che la necessità ha fatto diversa, che procede accanto all’altra più nota ma che da questa rimane separata, che a differenza di questa è conosciuta solo da chi la vive nel silenzio, nel buio, nel segreto dei vicoli di una grande città, nella miseria, nello squallore di case decrepite. Qui è andato De Giovanni, in questi posti, tra l’altro pericolosi, si è inoltrato, alla scoperta ha proceduto di cosa si fa, di come si vive quando si è tanti, in casa e fuori, e tutto manca. Da qui ha ricavato questi racconti nei quali gravi sono sempre le vicende rappresentate. Queste, però, lo scrittore mostra come un aspetto naturale di quell’umanità che le vive, in essa trovano le loro ragioni anche se contrarie ad ogni logica, ad ogni regola. Succede così che l’offesa, l’inganno ed ogni altro elemento di una vita sregolata cessino di essere delle colpe, dei reati perché in quella vita hanno la loro spiegazione, la loro giustificazione. Normali diventano, pertanto, azioni quali il furto, la frode, la menzogna, il ricatto, il tradimento ed altre di genere cattivo o ancora peggiore.

E’ la situazione che il De Giovanni fa emergere dai racconti e a farlo riuscire bene è servita pure la sua origine napoletana, la sua vita trascorsa a Napoli a contatto diretto con quell’altra realtà.

Chiaro è, inoltre, lo scrittore nel linguaggio tanto da far sembrare che le sue siano delle illustrazioni se non sopravvenisse ogni volta una grave conclusione. Bene si muove tra la fase preparatoria e quella finale di una vicenda. Sembra di assistere ad una sequenza cinematografica dove più richiesti sono i colpi di scena.

Sicurezza. Il nodo vero: gli artt. 17 e 18

Sicurezza. Il nodo vero: gli artt. 17 e 18

Seminario nazionale alla Camera

 

Le Associazioni professionali dei dirigenti scolastici A.N.DI.S. e Di.S.A.L. organizzano per il prossimo 25 ottobre presso la Camera dei Deputati – Sala Salvadori un Seminario nazionale dal titolo: Sicurezza. Il nodo vero: gli artt. 17 e 18.

L’iniziativa fa seguito alle audizioni informali svolte in seduta congiunta dalle Commissioni Cultura e Lavoro della Camera in ordine alle proposte di legge Carocci A.C. 3963 e Pellegrino A.C. 3830 intese ad introdurre modifiche agli artt. 17 e 18 del DL.vo 81/2008 (che riguardano le responsabilità dei dirigenti scolastici in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro).

Da anni le Associazioni A.N.DI.S. e Di.S.A.L. invocano una più equa ripartizione delle responsabilità in materia di sicurezza tra dirigenti scolastici ed Enti proprietari degli edifici, sostenendo che  devono essere riconsiderati il ruolo e la posizione del dirigente scolastico a partire dall’anomala definizione di “datore di lavoro” per una figura professionale che non dispone direttamente degli strumenti e delle condizioni essenziali per i necessari interventi.

Il seminario prenderà il via alle ore 15 con gli interventi di saluto del Presidente nazionale A.N.DI.S. Paolino Marotta e del deputato Umberto D’Ottavio, componente della Commissione Cultura della Camera.  Subito dopo si darà inizio alla Tavola rotonda significativamente intitolata: ‘Sicurezza e responsabilità del dirigente scolastico. Verso una soluzione legislativa?’.

Sul tema si confronteranno:

Vito De Filippo, sottosegretario di Stato al MIUR

Cesare Damiano, presidente XI Commissione Camera

Mara Carocci, deputato, primo firmatario della proposta di legge A.C. 3963

Serena Pellegrino, deputato, primo firmatario della proposta di legge A.C. 3830

Raffaele Guariniello,  già magistrato, esperto sicurezza del lavoro

Antonietta Di Martino – Osservatorio Sicurezza USR Piemonte

Achille Variati, Presidente Unione delle Province d’Italia (in attesa di conferma).

E’ stato invitato un rappresentante dell’A.N.C.I.

La tavola rotonda sarà moderata dalla giornalista di Italia Oggi  Alessandra Ricciardi.

Seguirà un breve dibattito nel quale potranno intervenire gli ospiti in sala (parlamentari delle diverse forze politiche, esperti, rappresentanti delle organizzazioni sindacali, dirigenti dei Ministeri dell’Istruzione e del Lavoro, dirigenti scolastici).

Dopo la replica dei partecipanti alla tavola rotonda, le conclusioni dei lavori saranno svolte dal Presidente nazionale della Di.S.A.L. Ezio Delfino.

 

Roma,  13 ottobre 2017                                                   A.N.DI.S. e Di.S.A.L.


Tar del Lazio accoglie ricorso cattedre atipiche

“Il Tar del Lazio accoglie il ricorso dei docenti di Geografia contro lo scandalo delle cattedre atipiche”

 

Il Coordinamento Nazionale SOS Geografia rende noto con soddisfazione che il Tar del Lazio ha accolto il ricorso contro le cattedre atipiche (normativa che consentiva, pur in assenza di requisiti e abilitazione, l’ insegnamento della Geografia ai docenti di Italiano e Scienze) promosso dall’Avv. Nicola Da Settimo Passetti  , per conto di oltre un centinaio di docenti di Geografia.

La sentenza ha accolto il ricorso principale e ha conseguentemente annullato il Decreto Direttoriale Miur – D.D.G. n. 414 del 06.05.2016, nella parte in cui ha erroneamente individuato la confluenza nelle nuove classi di concorso, previste dal DPR 14-2-2016, n. 19, in relazione alla disciplina “Geografia” negli Istituti Tecnici e alla disciplina “Geografia generale ed economica” negli Istituti Tecnici e Professionali, anche delle classi di concorso A-50 e A-12.

Il TAR Lazio  “ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa” e condanna l’ Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio.

La sentenza verrà ora notificata al Ministero presso l’Avvocatura dello Stato, al fine del passaggio in giudicato del dispositivo.

Il Coordinamento Nazionale SOS Geografia vigilerà attentamente sull’ applicazione del giudicato, anche relativamente ai suoi effetti retroattivi, e valuterà quindi, insieme all’ Avv. Da Settimo Passetti, le ulteriori azioni da intraprendere per ottenere tutti gli effetti favorevoli della sentenza.

Nel frattempo SOS Geografia sta valutando di  impugnare anche il nuovo D.M. 259 del 9.5.17, pubblicato solo ad agosto, nella parte in cui  prevede, diversamente dal DPR 19/16, di consentire l’ insegnamento di “Geografia” anche alla classe di concorso  A-50 – Scienze naturali, chimiche e biologiche – “ad esaurimento limitatamente alla salvaguardia della titolarità nel limite del contingente orario costitutivo della cattedra”.

 

 

Coordinamento Nazionale SOS Geografia

Riccardo Canesi – Silvia Rita Viola

Alternanza scuola-lavoro: studenti in piazza: cortei, slogan e lanci di uova

da Corriere della sera

Alternanza scuola-lavoro: studenti in piazza: cortei, slogan e lanci di uova

In 70 città proteste «contro lo sfruttamento». Scontri tra studenti e polizia al McDonald’s di Palermo. Per uno studente su due l’alternanza «non serve a niente». La ministra Fedeli: «Innovazione importante. Lavoriamo per elevarne la qualità»

Antonella De Gregorio

Lanci di uova e pomodori contro le vetrine di Mc Donalds («colpevole» di aver siglato con il ministero dell’Istruzione un accordo relativo al progetto alternanza scuola-lavoro), a Milano e Venezia; scontri tra studenti e polizia davanti al McDonald di Palermo, in piazza Castelnuovo, dove era in corso un sit non autorizzato. Due giovani sono stati fermati e ma rilasciati subito dopo. Cortei, striscioni, e qualche zuffa. Nelle piazze delle principali città italiane è scoccato l’autunno caldo della scuola, con migliaia di studenti mobilitati. Obiettivo, le degenerazioni dell’alternanza scuola-lavoro. Ma anche le casse vuote dei fondi per il diritto allo studio, gli intonaci che si staccano e l’insufficiente manutenzione delle scuole.

«Decine di migliaia»

Ragazzi delle superiori e universitari, uniti nelle varie sigle dell’associazionismo degli studenti – Rete Studenti Medi e Udu, Unione degli Studenti e Link-Coordinamento universitario – protestano innanzitutto «contro la legge 107» e quei «tirocini» obbligatori per il milione e mezzo che frequentano le superiori. Che spesso – denunciano – si trasformano in forme di «sfruttamento del lavoro gratuito». Per tutta la giornata hanno inscenato cortei, flash mob in tuta blu – come veri operai – davanti alle aziende, lezioni di piazza alternative, feste e concerti. «Decine di migliaia, soprattutto al sud», sintetizza Gianmarco Manfreda, coordinatore nazionale Rete degli Studenti Medi. Tante voci e tanti modi per dire no a esperienze e progetti «tutti da ripensare e ricostruire

Violenze

Tra le tante manifestazioni pacifiche, ci sono stati anche episodi di vandalismo: a Milano, oltre a un assalto al McDonald’s di piazza XXIV Maggio, giovani incappucciati hanno imbrattato la sede di Edison in Foro Bonaparte. A Roma, la Rete degli Studenti ha denunciato un’aggressione «fascista» davanti al Liceo Russell, dove «un gruppo di 20 ragazzi, aderenti a Lotta Studentesca, la struttura giovanile della formazione neofascista Forza Nuova, si è scagliato con violenza contro i manifestanti, strappando manifesti e striscioni». Un ragazzo sarebbe stato colpito al volto.

Tute blu

Non solo bandiere e striscioni per i ragazzi in «Sciopero dell’alternanza», ma anche vere e proprie tute da lavoro, indossate in corteo. «Contro lo sfruttamento – spiega la coordinatrice dell’Uds, Francesca Picci – e per chiedere lo statuto dei diritti degli studenti e un codice etico per le aziende». Stessa linea per Gianmarco Manfreda: «L’alternanza scuola-lavoro continua a presentare le criticità che denunciamo da ormai due anni alle quali il ministero tarda a dare risposte concrete. Vogliamo un’alternanza che sia una vera forma di didattica alternativa, di qualità per tutti».

«Innovazione didattica»

La ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha ribadito che l’alternanza scuola-lavoro è un’innovazione didattica importante: «È uno strumento che offre alle studentesse e agli studenti la possibilità di acquisire competenze trasversali e consente loro di orientarsi con più consapevolezza verso il loro futuro di studi e lavorativo». Ha assicurato che non c’è alcuno sfruttamento, e ha ricordato che è stata predisposta una piattaforma per monitorare le attività svolte in alternanza e per segnalare situazioni improprie. «Come ministero, lavoriamo per elevare ulteriormente la qualità dei percorsi offerti, mettendo al centro le nostre ragazze e i nostri ragazzi – scrive Fedeli in una nota -. Ci sarà un ampio confronto su questo, lo faremo il 16 dicembre, agli Stati Generali dell’alternanza, che coinvolgeranno tutti gli attori in campo».

«Studenti, non merce»

Ma gli studenti, che a fine mattinata e al termine del corteo romano, sono stati ricevuti al Miur, non sono soddisfatti: «Non siamo merce nelle mani delle aziende. E le nuove regole che stanno per essere introdotte non vanno nella direzione giusta. Non definiscono la gratuità dei percorsi di alternanza. Non introducono limiti temporali, quindi sarà ancora possibile sfruttare gli studenti durante le vacanze estive, quando ci sono meno controlli. Non vengono fissati criteri su chi può fare il tutor, quali competenze debba avere. E non c’è alcuna selezione dei soggetti attivanti». Alzano la voce, gli studenti, per chiedere che l’alternanza sia una «metodologia didattica che lega il saper al saper fare, l’intelligenza teorica all’intelligenza pratica, che fa davvero da ponte tra ciò che studiamo a scuola e ciò che andremo a praticare nei luoghi di lavoro».

Lo sciopero

Ecco dunque la loro provocazione: «Se ci trattate da lavoratori noi incrociamo le braccia». Con uno «sciopero alla rovescia» che durerà 24 ore, per ribaltare i tempi, riempirli di discussioni nelle piazze, di momenti di socialità, di riqualificazione dei quartieri con la street art.

Rimandata a settembre

A sostegno della protesta, gli studenti portano dati e numeri: l’Uds ha effettuato una ricerca in cui si evince che il 57% degli studenti è costretto a seguire percorsi di alternanza non attinenti al proprio corso di studi , il 40% ha dichiarato violazioni dei diritti sul luogo di lavoro; il 38% ha dichiarato di essere stato costretto a pagare per seguire il percorso obbligatorio. La Rete studenti medi ha interpellato oltre 4000 ragazzi di 4° superiore da tutta Italia. Dai loro racconti esce un’alternanza non bocciata ma «rimandata a settembre»: uno studente su due dà una valutazione positiva, utile per «l’acquisizione di competenze specifiche» e per «capire il lavoro per cui si è più portati». Ma uno su tre la boccia incondizionatamente, per la poca coerenza con il percorso scolastico e la mancata personalizzazione del percorso. A dichiararsi scontenti sono soprattutto i liceali: docenti meno preparati, scarsa formazione, esperienze costrette all’interno degli orari (e degli spazi) scolastici. Mentre la fotografia scattata da ScuolaZoo mostra una situazione «spaccata», anche se non drammatica: «Il 52% dei ragazzi che hanno risposto al nostro sondaggio giudica l’esperienza positiva, anche se solo il 45% dichiara di aver davvero imparato qualcosa che potrà essere utile per il lavoro – dicono i responsabili della community -. L’importante è che il percorso sia scelto dallo studente, aiutato dai professori e dalla scuola, ma che il ragazzo senta più affine al suo talento e personalità. Altrimenti perde di significato, viene percepito negativamente, anche se i ragazzi in queste poche ore ammettono che si arricchiscono di molte soft skills».

Imparare in azienda ma servono le risorse

da Corriere della sera

Imparare in azienda ma servono le risorse

Una scelta giusta. Ma dietro alla legge non c’era nessun piano di attuazione concreto

Maurizio Ferrera

Nel 2015 la «Buona Scuola» ha reso la alternanza scuola lavoro obbligatoria per tutti.. Evidentemente il g Una scelta giusta. Ma dietro alla legge non c’era nessun piano di attuazione concretooverno di allora pensava che presidi e insegnanti avrebbero saltato gli ostacoli tirandosi su per i capelli, come il barone di Münchhausen. Alcuni volenterosi ci sono riusciti, è vero. E quasi miracolosa-mente diverse promettenti iniziative sono state avviate. Ma sono isole in un mare nel quale la maggioranza delle scuole rischia oggi di affondare. Eppure non ci voleva molto a capire che senza risorse, preparazione e organizzazione l’alternanza non poteva decollare. Bastava guardare agli altri Paesi europei. I quali per realizzare l’alternanza hanno investito denaro pubblico, formato i docenti per svolgere compiti nuovi, creato nuove figure di «insegnanti-in-impresa» specializzati nella didattica work-based. Nessuno studente è pagato, ma tutti imparano realmente. Le parti sociali, gli enti locali, le associazioni intermedie sono state sensibilizzate e incentivate. Senza provvedimenti del tipo «fiat lux», ma con un paziente lavoro politico (nel senso nobile del termine: l’impegno a risolvere i problemi collettivi). A chi vuole farsi un’idea della su-perficialità con cui questa delicatissima riforma è stata gestita consiglio di visitare il sito del Miur alla voce alternanza. Un misto di roboanti paroloni e stucchevole burocratese. Le sezioni più interessanti del sito sono «coming soon»: aspetta e spera. La conse-guenza più grave (anch’essa facilmente prevedibile) di questo colossale fallimento è l’esasperazione degli studenti e la loro tentazione a considerare l’insuccesso di una politica governativa come la prova che mercato, imprese, globalizzazione hanno come vero e prin-cipale obiettivo lo sfrut-tamento selvaggio dei più deboli. Una piccola riforma utile ma irresponsabil-mente gestita rischia così di causare una spirale non solo di protesta, ma anche di delegittimazione dell’intero processo di riforma del sistema educa-tivo. Le sirene massimaliste (quelle che «tanto peggio, tanto meglio») sono già all’opera. I nostri giovani saranno così ulteriormente incoraggiati a rimpiangere il mondo di ieri invece di impegnarsi per costruire quello di domani.

Festival delle Geoscienze dal 15 al 22 ottobre

da La Tecnica della Scuola

Festival delle Geoscienze dal 15 al 22 ottobre

Contratto: sindacati chiedono certezze

da La Tecnica della Scuola

Contratto: sindacati chiedono certezze

L’alternanza scuola lavoro? Una opportunità

da La Tecnica della Scuola

L’alternanza scuola lavoro? Una opportunità

Bullismo e cyberbullismo: analisi del fenomeno per prevenirlo a scuola

da Tuttoscuola

Bullismo e cyberbullismo: analisi del fenomeno per prevenirlo a scuola

Come è noto il termine bullismo deriva dall’inglese “bullying” e viene usato nella letteratura internazionale per connotare il fenomeno delle prepotenze tra pari in un contesto di gruppo. Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta i lavori pionieristici di Heinemann (1969) e Olweus (1973) rilevarono un’elevata presenza di comportamenti bullistici in molte scuole scandinave catalizzando l’attenzione anche della stampa (Zanetti, 2007). È proprio Olweus (1996) che, per primo, formula una definizione del feenomeno, affermando che: “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato e vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”.

Le definizioni che si sono succedute negli anni hanno aggiunto ulteriori particolari, ad esempio Björkqvist e collaboratori (1982) hanno enfatizzato la disparità di potere e la natura sociale del bullismo; Besag (1989) ha sottolineato la sistematicità e la durata nel tempo dell’azione aggressiva e l’intenzionalità nel causare il danno alla vittima; Sullivan (2000) ha parlato di abuso di potere premeditato e diretto verso uno o più soggetti. Il bullismo fa parte della più ampia classe dei comportamenti aggressivi, può essere presente durante tutto l’arco di vita dell’individuo e assumere forme diverse a seconda dell’età (Pepler & Craig, 2000; Pepler et al., 2004), è però sempre caratterizzato da intenzionalità, persistenza e squilibrio di potere.

In linea generale sono identificabili tre tipologie di comportamento aggressivo: violenza fisica diretta, aggressività verbale e relazionale – anche indiretta – caratterizzata spesso da violenza psicologica come diffamare, escludere, ghettizzare o isolare la vittima (Menesini, 2000, 2003).

In genere le vittime di genere femminile reagiscono al sopruso con tristezza e depressione, i soggetti di genere maschile invece esprimono più spesso la rabbia (Fedeli, 2007). Inoltre, mentre le ragazze tendenzialmente denunciano le prepotenze subite e, se spettatrici di episodi di bullismo perpetuati ai danni di altri, reagiscono cercando di difendere la vittima, i ragazzi adottano più spesso un comportamento omertoso e complice (Sullivan, 2000).

Le differenze di comportamento tra i generi si acutizzano con l’età: meno evidenti nei primi anni di scuola, emblematiche del genere di appartenenza durante il periodo adolescenziale (Genta, 2002). Molteplici sono i modelli teorici che hanno cercato di spiegare l’aggressività e il bullismo e di comprendere i fattori del disagio o della devianza. Dalla teoria dell’interazione sociale alla teoria del controllo socia- le vengono tenuti in debito conto i principali fattori della devianza (Patterson et al., 1992). Entrambe le teorie postulano che la personalità del bambino si struttura a partire dalla relazione con i genitori, i quali diventano agenti di facilitazione dei valori sociali e delle funzioni di controllo (sviluppo morale). È la teoria dell’attaccamento (Bolwby, 1989) che chiarifica la funzione protettiva che una relazione sana con il caregiver può assumere nello sviluppo del bambino, o, al contrario, quanto un rapporto conflittuale possa divenire sinonimo di difficoltà nel processo di crescita. Inoltre, non bisogna dimenticare un’ampia parte di letteratura che evidenzia come episodi di bullismo, subiti e perpetrati, nell’infanzia e nell’adolescenza abbiano forti probabilità di sfociare in gravi disturbi della condotta in tarda adolescenza e nell’età adulta (Menesini, 2000, 2008; Menesini et al., 2012).

Rilevante è stato il contributo di Oliverio Ferraris (2008) nel sintetizzare le cause originarie degli atti persecutori: il bullismo appare fondarsi su un disagio familiare che spinge l’individuo a mettere in atto comportamenti vessatori essenzialmente per due differenti ragioni quali l’apprendimento pregresso e il vissuto di rivalsa. Nel primo caso il soggetto ripropone in classe il modello di comportamento violento appreso in famiglia. Nel secondo, riattualizza ciò che ha vissuto come vittima di aggressioni, invertendo però il proprio ruolo (identificandosi così con l’aggressore).

Una variabile importante per la descrizione e l’interpretazione del fenomeno è il periodo di insorgenza dei comportamenti bullistici. Le azioni aggressive che insorgono in età adolescenziale assumono una valenza prioritariamente relazionale con lo scopo di far assumere al singolo un’identità all’interno del gruppo. La condivisione diventa la condizione identificativa e definitoria del gruppo, in una costante interazione tra il dentro (da salvaguardare) e il fuori (il nemico), l’azione diviene l’espressione della frustrazione interna che deve essere scaricata, allontanata da sé e diretta verso una vittima esterna (Ingrascì & Picozzi, 2002).

Con i suoi primi lavori condotti su oltre 130.000 ragazzi norvegesi tra gli 8 e i 16 anni, Olweus (1983) trovò che il 15% degli studenti era coinvolto, come attore o vittima, in episodi di prepotenza a scuola. Successivi studi hanno poi confermato l’incidenza e la diffusione di questo fenomeno nelle scuole. Nella nostra realtà nazionale, già i primi dati raccolti negli anni ’90, con un campione di 1.379 alunni tra gli 8 e i 14 anni, indicarono come il 42% di alunni nelle scuole primarie e il 28% nelle scuole secondarie di primo grado riferissero di aver subito prepotenze (Menesini, 2003). Questi studi mettono in evidenzia come la scuola possa diventare possibile luogo di persecuzione e violenza (Petrone & Troiano, 2008) a carico di tre specifiche categorie: il bullo, la vittima, il gruppo.

Il bullismo non è un fenomeno di nuova generazione, ma è innegabile che presenti oggi dei caratteri di novità, uno dei quali è ascrivibile nelle potenzialità offerte dalle strumentazioni tecnologiche. Una nuova manifestazione di atti di bullismo, è infatti, il cyberbullismo, frutto dell’attuale cultura globale in cui le macchine e le nuove tecnologie sono sempre più spesso vissute come delle vere e proprie estensioni del sé.

Gli sms, le e-mail, i social network, le chat sono i nuovi mezzi della comunicazione, della relazione, ma soprattutto sono luoghi “protetti”, anonimi, deresponsabilizzanti e di facile accesso, quindi perversamente “adatti” a fini prevaricatori come minacciare, deridere e offendere. Tra le definizioni di cyberbullismo maggiormente accreditate sono rintracciabili quelle di Smith et al. (2008) che parlano di un atto aggressivo attuato tramite l’ausilio di mezzi di comunicazione elettroni- ci, individuale o di gruppo, ripetitivo e duraturo nel tempo, contro una vittima che non può facilmente difendersi.

Come accade per il bullismo inteso in senso classico anche il cyberbullismo può assumere diverse manifestazioni a seconda dei mezzi e delle modalità con cui si esplica. Willard (2004) categorizza il cyberbullismo in otto specifiche tipologie di comportamento: il flaming, ovvero, inviare messaggi volgari e aggressivi ad una persona tramite gruppi on-line, e-mail o messaggi; l’on-line harassment, inviare messaggi offensivi in maniera ripetitiva sempre utilizzando la messaggistica istantanea; il cyber- stalking, persecuzione attraverso l’invio ripetitivo di minacce; la denigration, pubblicare pettegolezzi, dicerie sulla vittima per danneggiarne la reputazione e isolarla socialmente; il masquerade, ovvero l’appropriarsi dell’identità della vittima creando danni alla sua reputazione; l’outing, rivelare informazioni personali e riservate riguardanti una persona; l’exclusion, escludere intenzionalmente una persona da un gruppo on-line; e infine, il trickery, ingannare o frodare intenzionalmente una persona.

Bullismo e cyberbullismo si differenziano in particolare nella dimensione contestuale: nel cyberbullismo gli attacchi non si limitano esclusivamente al contesto scolastico, ma la vittima può ricevere messaggi o e-mail dovunque si trovi, e questo rende la sua posizione molto più difficile da gestire e tollerare (Tokunaga, 2010). Nel bullismo digitale la responsabilità può essere condivisa anche da chi visiona un video, un’immagine e decide di inoltrarla ad altri, il gruppo, quindi, acquisisce un ruolo, un’importanza, una responsabilità diversa (Brighi, 2009), e – in particolare – la portata del gesto aggressivo assume una gravità spesso superiore, con conseguenze estremamente gravi (Slonje & Smith, 2008).