L’appello dei presidi: “Cambiamo la legge per consentire ai ragazzi di tornare a casa da soli”

da Repubblica

L’appello dei presidi: “Cambiamo la legge per consentire ai ragazzi di tornare a casa da soli”

Adesioni da tutta Italia alla lettera aperta di un gruppo di dirigenti scolastici romani. E su Change.org una petizione al presidente del Consiglio ha già raccolto decine di migliaia di firme

di PAOLO G. BRERA

ROMA – Contro il divieto di lasciar tornare soli da scuola gli studenti delle medie, sancito da un’interpretazione della legge un po’ letterale ma diffusa nelle aule dei tribunali, adesso scendono in campo i presidi: hanno scritto una lettera aperta al Parlamento chiedendo di riscrivere la legge, sollevando la scuola dalla responsabilità per quello che succede una volta usciti dal portone.

LEGGI La lettera

IL TAM TAM SUI SOCIAL
Il tam tam di quella che era nata come una battaglia locale di alcuni presidi romani sta diventando un’onda nazionale “con continue adesioni da tutta l’Italia”. E siccome in questo caso ciò che la legge vieta piace sia alle famiglie che ai docenti, perché semplifica la vita alle prime e aiuta a far crescere consapevolezza e indipendenza degli allievi, la questione è approdata anche su Change.org con una petizione diretta al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che ha già raccolto quasi 37mila firme: “Bambini autonomi o abbandono di minore?”.

LE SCUOLE SCRIVONO AL GOVERNO
“Abbiamo scritto una lettera aperta al Parlamento e al governo – spiega Rosa Maria Lauricella, preside dell’Istituto comprensivo Giovan Battista Valente di Roma, tra i promotori dell’iniziativa dei dirigenti scolastici – L’unica soluzione è che si riscriva una norma di legge che, nell’interpretazione data da diverse sentenze, ci allontana dall’Europa. Se succede qualcosa a un alunno delle medie mentre torna a casa da solo, oggi rischiamo una condanna da sei mesi a cinque anni”.

I RISCHI PER GLI ISTITUTI
La battaglia dei presidi nasce da una recente sentenza della Cassazione che ha condannato preside e docente dell’ultima ora per non aver affidato a un adulto un ragazzino morto quindici anni fa sotto uno scuolabus. “In realtà – spiega Lauricella – quella sentenza che ha suscitato molto clamore e molta preoccupazione riguarda una situazione particolare, perché la scuola aveva scritto nel regolamento d’istituto che i ragazzini sarebbero stati affidati ad adulti; ma ci sono state tante altre sentenze che confermano questa interpretazione della legge secondo cui si configura l’abbandono di minore da parte dei genitori o il mancato controllo da parte di docenti e presidi”.

IL MIRAGGIO DELL’AUTONOMIA
Dopo quella sentenza, in alcune scuole sono comparsi regolamenti che impongono la riconsegna dei ragazzi solo nelle mani di un adulto, ma dove è accaduto sono esplose polemiche e battaglie infinite. “Noi a scuola lavoriamo per favorire un processo di progressiva conquista dell’autonomia da parte degli studenti – dice Lauricella – e mandarli a casa da soli è un atto concreto in questo senso; ma questo finisce per confliggere con la legge. I genitori premono proponendoci di scrivere liberatorie che in realtà sono un rimedio peggiore del male”. Se dovesse succedere qualcosa non varrebbero nulla di fronte alla legge, ma certificherebbero una sorta di patto tra docenti e genitori per commettere il reato di abbandono di minore e omessa custodia. “Tra l’altro – aggiunge la preside – gli stessi genitori che chiedono di mandare soli i figli sarebbero i primi a denunciare la scuola”.

I DISEGNI DI LEGGE NEL CASSETTO
Di fronte alla norma di legge, nessun regolamento scolastico potrebbe prevalere. “Tocca al legislatore. Chiediamo di modificare la norma riprendendo la discussione sui disegni di legge arenati in Parlamento. Ci sono, mandateli avanti: il problema esiste e lo viviamo tutti i giorni, chiudendo un occhio e sperando sempre che non succeda niente. Ma quella sentenza ha creato il panico tra dirigenti che hanno già i nervi scoperti per le tantissime responsabilità”.

UN VUOTO DA COLMARE 
Come si legge nella lettera aperta, “i dirigenti scolastici chiedono a gran voce di colmare questo vuoto legislativo, questa ‘zona grigià che preoccupa dirigenti, docenti e genitori accomunati dalla difficoltà di scegliere se applicare la norma in modo letterale o se favorire il diritto del minore alla graduale acquisizione della propria autonomia. Il problema è molto urgente e riguarda tutte le scuole d’Italia da Aosta a Trapani, da Roma a Trento, considerato anche che nel resto d’Europa il 90% degli studenti torna a casa da solo…”. Altrimenti, sostiene Lauricella, “dovremo iniziare a discutere nei consigli d’istituto di come applicare la norma che purtroppo danneggia le famiglie e contrasta con tutto il lavoro che svolgiamo a scuola”.

Vecchie, senza manutenzione e prive di norme antisismiche: le scuole italiane a rischio crac

da Repubblica

Vecchie, senza manutenzione e prive di norme antisismiche: le scuole italiane a rischio crac

Il rapporto di Legambiente denuncia che sei edifici su dieci hanno più di 40 anni. Un plesso su due dei capoluoghi di provincia non ha certificato di idoneità statica. E su 9,5 miliardi di fondi ne sono stati spesi meno della metà.

di CLAUDIO CUCCIATTI

ROMA – “Ogni mattina parcheggio l’auto, guardo prima la mia scuola e poi il cielo. Supero l’ingresso sperando che questa routine si ripeta il giorno seguente, cercando di accantonare il ricordo della terra che trema”. Maria Marinangeli è preside del liceo ‘Mazzatinti’ di Gubbio e, insieme ad altri colleghi umbri, ha creato una rete composta da presidi, comuni e province che si impegna per l’adeguamento sismico degli edifici scolastici e ottenere le certificazioni richieste. Grazie alla loro attività sono stati ricevuti anche dalla commissione congiunta di Lavoro e Cultura del Senato, ma non basta: l’Umbria, divisa tra le zone 1 e 2 di rischio, le più pericolose, non è l’unica regione a doversi preoccupare per lo stato dei propri istituti.

Più di quattro scuole italiane su dieci, infatti, si trovano in zone del Paese dove possono verificarsi terremoti “fortissimi” o “forti”. L’86 per cento di queste, 13.054 su 15.055, non seguono le norme antisismiche. Il 43 per cento del totale degli istituti inseriti nelle prime due fasce di rischio (su quattro), dove ogni mattina si recano bambini, ragazzi e insegnanti, sono stati costruiti prima del 1976, anno dell’entrata in vigore della normativa. In zona 1 sono il 34,4% delle strutture totali (866 su 2.514).

Da ‘Ecosistema Scuola’, il diciottesimo rapporto di Legambiente sull’edilizia scolastica che sarà presentato domani a Roma, emerge come, a livello nazionale, sei edifici su dieci abbiano più di quarant’anni. I dati del rapporto riguardano l’85 per cento circa del patrimonio scolastico italiano, dato che soltanto 36mila strutture, a fronte delle oltre 42mila inserite nell’Anagrafe scolastica, sono presenti nella banca dati del Miur con informazioni relative all’anno scolastico 2015/16. “L’edificio scolastico – spiega Rossella Muroni, presidente di Legambiente – dovrebbe essere il racconto delle potenzialità di un Paese. Il futuro si costruisce in ambienti adeguati, per questo alla base di una “buona scuola” devono esserci, prima di tutto, sicurezza e qualità infrastrutturale ed energetica”. E lo studio vuol proprio essere uno stimolo ad andare in questa direzione: “Non vogliamo vedere più scuole lesionate e inagibili come quella di Casamicciola dopo il terremoto di Ischia di questa estate”.

Anche se Legambiente registra, dal 2012 al 2016, una lieve crescita nell’attenzione alla messa in sicurezza degli edifici, i dati restano comunque negativi: una scuola su due dei Comuni capoluogo di provincia non ha il certificato di idoneità statica, di collaudo statico, di agibilità o di prevenzione incendi. Tra le amministrazioni locali che hanno risposto al questionario di Legambiente, il 43,8 per cento chiede interventi di manutenzione urgente. Un dato in crescita rispetto all’anno precedente e che tocca il 56% al Sud e il 51 nelle isole. Le scuole di Bergamo, Bolzano, Cesena, Cosenza, Trento e Verbania vantano di avere tutte le certificazioni in regola. Como, Cremona, L’Aquila e Teramo sono le città che esprimono maggior preoccupazione per lo stato dei propri plessi scolastici. Agrigento, Forlì, Genova e Savona le paladine nella lotta all’amianto presente nei tetti dei vecchi edifici scolastici, con Firenze, Ragusa e Cremona che hanno fatto bonifiche significative per raggiungerle.

La mancata messa a punto dei criteri di sicurezza, secondo Ecosistema Scuola, è dovuta anche a un’inefficiente utilizzo dei fondi. Dei 9,5 miliardi di euro a disposizione dal 2014, ne sono stati spesi solo 4,1 per 12mila interventi. Di questi in tre anni solo 550 hanno riguardato l’adeguamento alle norme sismiche. Lo stesso numero degli istituti costruiti ex novo. L’83 per cento dei soldi investiti è finito invece sotto la voce di spesa “altri interventi”.

Per i presidi a regime 400 euro netti al mese in più

da Il Sole 24 Ore

Per i presidi a regime 400 euro netti al mese in più

di Gianni Trovati e Claudio Tucci

ROMA

L’«allineamento» delle buste paga dei presidi a quelle degli altri dirigenti amministrativi dello Stato vale intorno ai 400 euro al mese. Non suito, però. Ma dal 2020. La notizia per gli “ex capi d’istituto” arriva dalle bozze della relazione tecnica che accompagna la manovra 2018, e che traduce in cifre una delle promesse rivolte da anni ai dirigenti scolastici.

Il problema è noto da tempo, e nasce dal fatto che i presidi sono «dirigenti» nel nome e nelle responsabilità, ma non nello stipendio. Oggi, spiegano le tabelle ufficiali dell’Agenzia di rappresentanza del pubblico impiego (Aran), un dirigente scolastico guadagna in media poco più di 58mila euro lordi all’anno. Un livello sideralmente lontano da quello degli altri dirigenti pubblici. Per iniziare a ridurre questa forbice, la legge di Bilancio mette sul piatto un finanziamento progressivo, che partirà nel 2018 e che dal 2020 raggiungerà quota 95,6 milioni.

Tradotto in pratica, le risorse recuperate dal governo consentiranno un primo innalzamento della retribuzione di posizione parte fissa (quella dei presidi è ferma a 3.556,68 euro lordi, ultimo contratto del 2010 – quella dei “colleghi” statali, sempre da Ccnl è invece di 12.155,61 euro lordi). Il meccanismo garantirebbe (il condizionale è obbligatorio fino al termine del viaggio parlamentare della legge di bilancio) un incremento aggiuntivo che nel 2020 arriverà a poco più di 400 euro netti al mese. Destinati ad aggiungersi agli effetti del rinnovo contrattuale.

La notizia interesserà i quasi 8mila diretti interessati (organico Ds anno scolastico 2017/2018). L’allineamento con le buste paga effettive degli altri dirigenti statali, però, è destinato a percorrere una strada decisamente più lunga, e costosa.

Per capirlo è sufficiente dare un’occhiata alle medie retributive ufficiali, pubblicate dall’Aran. Un dirigente ministeriale non apicale guadagna in media 90mila euro abbondanti, e il reddito si avvicina ai 100mila euro nelle università e negli enti di ricerca, che dopo la riforma dei comparti condivideranno con i presidi il contratto nazionale.

Oltre alla spinta in busta paga, per i presidi è atteso in Gazzetta Ufficiale il nuovo concorso per coprire con 2.425 nuovi ingressi i tanti buchi negli organici attuali. Anche il corrente anno scolastico, infatti, vede quasi 1.700 istituti affidati a un preside “reggente”, cioè in condivisione con un’altra scuola.

In Italia i mondiali studenteschi di tennis 2019

da Il Sole 24 Ore

In Italia i mondiali studenteschi di tennis 2019

di Claudio Tucci

Campionati Mondiali studenteschi di Tennis 2019 in Italia e Gymnasiadi 2020 in Cina. Si è concluso a Olbia, con queste decisioni, il Comitato Esecutivo dell’Isf (International School Sport Federation), l’organizzazione mondiale che organizza gli sport scolastici che ha tra i
fondatori il Miur. A ospitare le Gymnasiadi 2020 sarà la città di Jingyang, nella provincia del Fujian, nella Cina sudorientale. «Sono molto felice. La Cina – ha commentato il vice ministro dell’Educazione della Repubblica Popolare Cinese Tian Xuejun – ha sempre sostenuto le attività e ha attuato seriamente la filosofia dell’ISF. Le Gymnasiadi a Jingyang saranno un evento meraviglioso e di successo. A nome del Ministero della Pubblica Istruzione cinese e della Federazione Cinese di Sport e Scuola, ci impegniamo solennemente affinché il Ministero fornisca 200 borse di studio nei prossimi 4 anni per studenti segnalati
dall’Isf per studiare in Cina».

La scelta dell’Italia
All’Italia, invece, sono stati assegnati i Campionati Mondiali studenteschi di Tennis. Con l’Italia era candidata anche la Turchia. «Ringrazio l’Isf per l’impegno internazionale nel promuovere gli sport scolastici. Mi congratulo – ha commentato il Sottosegretario all’Istruzione Vito De Filippo – con tutto il mondo della scuola italiano perché questo riconoscimento è frutto del loro lavoro. Il Ministero è impegnato nel promuovere lo sport a scuola non solo come attività motoria ma anche come promozione dei corretti stili di vita. Siamo certi che, grazie al contributo della Federazione Italiana di Tennis, anche il Mondiale sarà un successo e vedrà un coinvolgimento pieno delle studentesse e degli studenti
italiani» Il Miur e la Federazione Italiana Tennis «sono organismi impegnati da tempo nella promozione del nostro sport nelle scuole», ha dichiarato Angelo Binaghi, Presidente della
Federazione Italiana Tennis, per il quale «organizzare nel nostro Paese le Finali 2019 dei Campionati Mondiali studenteschi di tennis, cui prenderanno parte gli alunni delle scuole secondarie di II grado, è un altro importante passo in questa direzione».

Manovra: presidi dentro, Ata no

da ItaliaOggi

Manovra: presidi dentro, Ata no

Fuori il piano per assumere 6 mila ausiliari e tecnici. Ok a 1.500 ricercatori e scatti ai prof

Alessandra Ricciardi

A ieri sera i tecnici degli uffici legislativi e dei gabinetti erano ancora al ministero dell’economia per definire nel dettaglio le misure. Nel pomeriggio il consiglio dei ministri ha dato il via libera alla legge di Bilancio per il 2018, ma non si va al di là di una bozza di articolato.

Quello che è certo per il dicastero guidato da Valeria Fedeli è l’ok alla perequazione sulla retribuzione di posizione per i dirigenti scolastici: in fondo alla classifica dei dirigenti statali, i presidi hanno finalmente avuto l’equiparazione rivendicata da un decennio. Ammonta a circa 95 milioni di euro il finanziamento messo a bilancio, tra i 400 e i 500 euro l’aumento medio mensile a testa. Nella battaglia a favore dei dirigenti, la Fedeli ha potuto mettere sul tappeto la mole di lavoro che gli si è riversata addosso, dagli adempimenti per le vaccinazioni alla chiamata diretta dei prof, dagli oneri per la sicurezza al lavoro alle supplenze e il tutto su doppia sede in assenza di un numero adeguato di titolari.

La Fedeli non ha invece portato a casa il piano straordinario per assumere a tempo indeterminato 6 mila Ata oltre il turnover. Si tratta del personale ausiliario, tecnico e amministrativo. Anche in questo caso in sotto organico, anche in questo caso con oneri sempre crescenti derivanti dalle nuove norme, a partire dalla riforma della legge 107/2015. Ma non se ne farà niente, il Mef ha messo sul piatto circa un miliardo per i finanziamenti delle varie misure proposte dai ministeri, la coperta è corta, gli Ata dovranno attendere il prossimo treno.

In bilico sino a tarda serata la norma sullo sblocco delle supplenze per il personale delle segreterie. Mentre dovrebbe entrare il finanziamento di 14 milioni di euro per gli Its, gli istituti tecnici superiori, anche se con una copertura che era ballerina tra Mise e Miur.

Ok anche alle 1.500 assunzioni di ricercatori, tra università ed enti di ricerca. Una risposta alle proteste per un precariato a volte decennale e che stava mettendo in crisi molti enti di ricerca di fronte all’ipotesi di dover rescindere i contratti. Sbloccati anche gli scatti di anzianità per i docenti universitari.

C’è poi il capitolo del rinnovo del contratto, fermo da quasi dieci anni. Che interessa tutti gli statali. Pronti 1,65 miliardi di euro per coprire gli 85 euro di aumento medio mensile, garantita la fruizione del bonus degli 80 euro alle fasce di reddito medio basse che avrebbero rischiato di perderlo. Si parla dei redditi che vanno dai 24 mila euro annui ai 26 mila.

Ancora invece oggetto di trattativa tra Mef e Miur la vicenda delle maggiori risorse per il solo rinnovo della scuola. In assenza di fondi da poter destinare alla contrattazione aziendale, l’ipotesi avanzata dai tecnici è stata di utilizzare al tavolo contrattuale il fondo dei 200 milioni per il merito degli insegnanti introdotto dalla riforma della Buona scuola. Ma su questo punto non c’è stato il via libera politico della Fedeli. Eppure è un’ipotesi che sarebbe stata ben vista dai sindacati che spingono per la piena contrattualizzazione anche del bonus dei 500 euro per l’aggiornamento professionale. Ma avrebbe significato smontare due dei tasselli più importanti della riforma della scuola che porta la firma di Matteo Renzi, e i cui strumenti attuativi si stanno tra l’altro affinando proprio ora. Ecco perché la promessa della Fedeli di una maggiore considerazione per la scuola, con l’avvio di un graduale e specifico innalzamento delle retribuzioni dei docenti, tra le più basse in Europa a metà e fine carriera, potrebbe dover saltare questo giro.

Alunni delle medie agli arresti fino all’arrivo dei genitori E docenti costretti a lavorare oltre l’orario da contratto

da ItaliaOggi

Alunni delle medie agli arresti fino all’arrivo dei genitori E docenti costretti a lavorare oltre l’orario da contratto

Panico dopo una sentenza della cassazione, che però non innnova. Tutto dipende dal regolamento di istituto

Carlo Forte

Alunni agli arresti domiciliari fino all’arrivo dei genitori. È una vera e propria ondata di panico quella che si è scatenata tra i dirigenti scolastici dal 19 settembre scorso, a seguito del deposito della sentenza n.21593 emessa dalla III sezione civile della Corte di cassazione. Che secondo alcune interpretazioni giornalistiche avrebbe stabilito il principio secondo il quale gli alunni non potrebbero uscire da scuola da soli e dovrebbero rimanere sotto stretta vigilanza fino all’arrivo dei genitori. Diversi dirigenti scolastici, omettendo di prendere visione della sentenza e fidandosi ciecamente di tali interpretazioni hanno emesso circolari o ordini di servizio che prevedono, di fatto, una vera e propria limitazione della libertà degli alunni. Che secondo taluni dirigenti scolastici dovrebbero rimanere a scuola o nelle immediate pertinenze, sotto l’occhio vigile dei docenti o dei collaboratori scolastici fino all’arrivo dei genitori. La questione sta assumendo dimensioni preoccupanti e meriterebbe un intervento diretto dell’amministrazione centrale. Così da superare questa impasse che rischia di creare inutili tensioni tra il personale docente e non docente e gli stessi genitori.

Gli obblighi contrattuali dei docenti, peraltro, si esauriscono una volta terminato l’orario di insegnamento. E dopo il decorso il termine della prestazione i relativi obblighi si riversano sui collaboratori scolastici (si veda la tabella A, area A, allegata al vigente contratto di lavoro) che sono obbligati alla vigilanza «nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all’orario delle attività didattiche».

Ma tali obblighi devono necessariamente declinati secondo la casistica collegata all’età degli alunni. La Suprema corte, infatti, è costante nel ritenere che il dovere di vigilanza dell’insegnante va commisurato all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreato (tra le tante, si veda la sentenza 12524 della III sezione civile della Corte di cassazione). E in ogni caso, si tratta di un dovere di mera assistenza fondato sulle disposizioni nel secondo comma dell’articolo 39 del regio decreto n. 965/1924 (tuttora vigente per effetto del ripristino effettuato dall’ art. 3, comma 1-bis, del decreto legge n. 200/2008) il quale dispone che i docenti debbano trovarsi nell’istituto almeno cinque minuti prima che cominci la propria lezione e debbano assistere all’ingresso e all’uscita dei propri alunni.

Dunque, l’obbligo di attendere i genitori e di liberare gli alunni solo dopo averglieli consegnati non sussiste. Fermo restando, però, che i docenti e il personale Ata hanno il dovere di assolvere la prestazione di vigilanza usando l’ordinaria diligenza del buon padre di famiglia, così come espressamente previsto dal codice civile. E dunque, è legittimo pretendere l’osservanza di una vigilanza più stringente quando si tratti di alunni in tenera età. Si pensi, per esempio, ai bambini che frequentano la scuola dell’infanzia.

Nonostante la chiarezza delle disposizioni vigenti e dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità non sono pochi i dirigenti scolastici che, di fatto, stanno adottando misure organizzative che pongono in capo a docenti e genitori obblighi non previsti dalla legge. Ciò sulla scorta un’errata interpretazione della sentenza emessa dalla cassazione il 19 settembre. Che non ha mutato orientamento rispetto agli obblighi di vigilanza, limitandosi a prendere atto che, se in una scuola c’è un regolamento di istituto che impone obblighi di vigilanza aggiuntivi rispetto a quelli ordinariamente previsti dal contratto, le famiglie sono legittimate a pretendere che da tali obblighi vengano assolti e, in caso di inadempimento, a pretendere anche il risarcimento del danno.

La III sezione civile della Cassazione, infatti, si è limitata a stabilire la legittimità della sentenza della Corte d’appello di Firenze n.1052 del 20 giugno 2014, impugnata dall’amministrazione scolastica. E lo ha fatto ponendo l’accento sulla violazione del regolamento di istituto della scuola frequentata da un ragazzino di 11 anni, che era morto dopo essere stato investito da un autobus prima di salire sullo scuolabus. Tale regolamento, infatti, imponeva ai docenti di vigilare sugli alunni all’uscita da a scuola fino a quando i medesimi non fossero saliti sullo scuolabus.

In buona sostanza, dunque, il consiglio di istituto della scuola convenuta in giudizio aveva emanato un regolamento di istituto che prevedeva espressamente oneri di vigilanza più stringenti rispetto a quelli ordinariamente previsti dalla legge e dal contratto di lavoro. E siccome il regolamento, in quanto tale, deroga le norme generali, in quella scuola (ma soltanto in quella) era legittimo che i docenti provvedessero alla vigilanza anche al di fuori delle pertinenze scolastiche e, nel caso specifico, anche garantendo la vigilanza fino a quando gli alunni non fossero saliti sullo scuolabus. Giova ricordare, inoltre, che nel nostro ordinamento le sentenze fanno stato solo tra le parti.

Perché questa manovra non risolve i problemi degli Ata

da ItaliaOggi

Perché questa manovra non risolve i problemi degli Ata

A soffrire maggiormente in questi giorni sono gli uffici di segreteria dei circoli e degli istituti alle prese con le montagne di domande di inserimento nelle graduatorie di terza fascia del personale Ata già inviate dagli aspiranti

Franco Bastianini

Lo aveva annunciato nell’ultima audizione dinanzi alla 7^ Commissione della Camera sulle problematiche relativa al personale amministrativo, tecnico e ausiliario anche con riferimento alle pressanti richieste delle organizzazioni sindacali che da tempo sollecitano il Ministero ad adottare una serie di misure idonee e riportare serenità nella categoria e consentire un regolare svolgimento delle funzioni e mansioni di competenza del personale Ata.

Almeno nelle intenzioni la ministra Valeria Fedeli sembrava infatti volere venire incontro quanto meno ad alcune delle richieste relative al personale Ata provenienti in particolare dei sindacati scuola Cgil, Cisl, Uil e Snals.

Nel pacchetto di misure riguardanti la scuola che la Fedeli ha proposto di inserire nella legge di bilancio 2018 spicca l’autorizzazione ad assumere con contratto a tempo indeterminato altri 6 mila Ata oltre al contingente dei posti resisi vacanti a causa dei pensionamenti; il superamento del blocco delle supplenze brevi previsto dalla legge di bilancio 2015 (divieto, nelle scuole con organico di assistente amministrativi superiore e tre unità, di nominare supplenti in sostituzione del personale assente; divieto nei primi sette giorni di assenza di nominare collaboratori scolastici); una soluzione ponte per consentire la copertura dei posti vacanti dei direttori dei servizi generali ed amministrativi con personale interno. Misure però che non sono state accolte nella loro interezza, in particolare per quanto riguarda le assunzioni. Ma che comunque non sono in grado di rispondere in modo strutturale ai problemi del comparto. Al personale amministrativo, tecnico e ausiliario si chiede di assolvere a funzioni e mansioni affidate dalla legge e dal contratto in misura crescente, ma soprattutto di prevenire le notevoli disfunzioni che si registrano quasi quotidianamente non solo negli uffici di segreteria ma anche nei servizi ausiliari affidati ai collaboratori. Disfunzioni continuano ad essere denunciate soprattutto dalle scuole che utilizzano personale esterno addetto alle pulizie.

A soffrire maggiormente in questi giorni sono gli uffici di segreteria dei circoli e degli istituti alle prese con le montagne di domande di inserimento nelle graduatorie di terza fascia del personale Ata già inviate dagli aspiranti alle supplenze brevi e temporanee e di quelle che saranno inviate entro il 30 ottobre il cui numero totale finale potrebbe risultate compreso tra un milione ed un milione e 500 mila. Un’assurdità, quella dell’apertura erga omnes della graduatoria, che andava se non impedita almeno più rigorosamente governata in primis dalla ministra Fedeli. E che mette a nudo l’assoluta insufficienza del personale rispetto agli oneri di cui deve farsi carico. Rispetto ai quali, anche le 6 mila assunzioni, sarebbero state inadeguate. Serve un contingente corposo di forze in più, ma anche un ripensamento di incombenze e oneri. Dalle domande Ata alle vaccinazioni, e gli esempi sarebbero tanti altri.

Ptof, scontro sindacati-Miur

da ItaliaOggi

Ptof, scontro sindacati-Miur

Le sigle contestano la circolare che chiede alle scuole di correggere i piani dell’offerta

Emanuela Micucci

Una prevaricazione dell’autonomia delle scuole. Così le quattro maggiori organizzazioni sindacali della scuola interpretano la nota sugli «Orientamenti concernenti il Piano triennale dell’offerta formativa» (Ptof), emanata la scorsa settimana dal Miur (si veda ItaliaOggi del 10 ottobre). Per questo motivo Fcl-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola e Snals-Confsal chiedono unitariamente un incontro urgente con il ministero dell’istruzione.

Secondo i sindacati, infatti, non solo sulla nota ministeriale è mancata del tutto la dovuta informativa sindacale, ma nel testo ci sarebbero «inopportune incursioni sulla autonomia progettuale delle scuole» e sul loro autogoverno. Poiché si chiamano le istituzioni scolastiche ad adottare misure di integrazione del Ptof che la legge 107/2015 propone come triennali e come tali elaborati dalle scuole.

Inoltre la nota, sottolineano le organizzazioni sindacali, «anticipa le misure attuative dei decreti legislativi fissati dal comma 181 della stessa legge», sui cui le 4 sigle sindacali restano in attesa di un incontro chiesto unitariamente. Infine, la nota del Miur sul Ptof «avanza l’ipotesi di un format nazionale per l’elaborazione dei Piani da parte delle scuole, ai fini di una non meglio motivata comparabilità».

Si tratterebbe, dunque, di un intervento inopportuno dell’amministrazione sulle prerogative degli organi collegiali delle scuole per scavalcare le loro autonome decisioni imponendogli di assumere misure ancora prive di profilo normativo. Decisioni del Miur che non tengono conto non solo dei principi fondanti dell’autonomia scolastica, «comunque connessi alle norme contrattuali che regolano il rapporto di lavoro di docenti e Ata», ma anche di quelli delle relazioni sindacali, «evidenziando una tendenza più volte denunciata di riduzione degli spazi di partecipazione e di autogoverno delle scuole».

Tutte questioni su cui si chiede al capo dipartimento istruzione Rosa De Pasquale e al capo gabinetto del Miur Sabrina Bono un incontro urgente.

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