LICEO BREVE: SPERIMENTAZIONE IMPROVVISATA

LICEO BREVE: SPERIMENTAZIONE IMPROVVISATA
“Una sperimentazione nel segno dell’improvvisazione, senza alcun fondamento scientifico e totalmente orfana di linee guida nazionali che diano indicazioni utili alle scuole sulle quali, quindi, viene scaricata ogni responsabilità dell’esito dei progetti”. Duro il commento della Gilda degli Insegnanti sul liceo breve, oggetto questa mattina di un incontro al Miur tra organizzazioni sindacali e Amministrazione.
Il sindacato critica aspramente anche la completa mancanza di coinvolgimento degli insegnanti, sottolineando che “decreto e bando sono stati emanati senza un precedente confronto con i docenti”, e di un monitoraggio delle sperimentazioni avviate negli anni scorsi durante i ministeri guidati da Profumo e Carrozza. 
“Inoltre – prosegue la Gilda – gli insegnanti saranno costretti a un super lavoro per rimodulare tutta la programmazione didattica. Il rischio concreto, poi, è che si formino classi di serie A e di serie B, accentuando così le discriminazioni tra studenti con maggiori capacità e quelli meno dotati, con buona pace dell’inclusione tanto decantata dal Miur”.
“A rendere fortemente contrario il nostro giudizio su questa sperimentazione – conclude la Gilda – è anche il sospetto, a questo punto confermato, che il motivo reale di questo tentativo di abbreviare di un anno il corso di studi sia ridurre i costi, tagliando il numero dei docenti attualmente in servizio”. 

DI SCUOLA CI SI AMMALA

DI SCUOLA CI SI AMMALA

Tre assemblee per parlare di burnout e tutela della salute del docente. Gli appuntamenti, promossi dalla Gilda degli Insegnanti di Firenze, sono per giovedì 26 all’istituto Russell Newton di Scandicci (ore 8.15 – 11.30) e all’istituto Pontormo di Empoli (ore 14.45 – 16.45), e venerdì 27 ottobre all’istituto Leonardo Da Vinci di Firenze (ore 8.30 – 11.30). Obiettivo delle iniziative, alle quali parteciperà il dottor Vittorio Lodolo D’Oria, uno dei maggiori esperti in materia, è analizzare il fenomeno sempre più diffuso dello stress lavoro correlato e proporre un piano di interventi per individuarne i sintomi e prevenirlo.

Saranno presenti il Coordinatore Nazionale Rino di Meglio e il dirigente Maurizio Berni.

Nonostante il numero crescente di casi di burnout, in poche scuole viene somministrato il questionario d’indagine previsto come strumento di rilevazione dalla legge 81/08, raramente ne sono presentati gli esiti e ancor più raramente sono poste in atto le misure di prevenzione utili a ridurre e a contenere le cause dello stress psicofisico.

La burocratizzazione sempre più spinta della funzione docente, a scapito del tempo e delle energie da dedicare all’attività didattica, e l’ingerenza spesso ingiustificata delle famiglie nella vita scolastica sono tra i fattori che hanno contribuito alla delegittimazione del ruolo degli insegnanti e all’incremento dei casi di stress lavoro correlato.

La Gilda degli Insegnanti di Firenze ritiene che l’indagine e la rilevazione possano costituire elementi di denuncia circostanziabili per invertire la rotta e ripristinare positive condizioni di lavoro a vantaggio dell’efficacia dell’insegnamento.

Emanato l’atto di indirizzo

Emanato l’atto di indirizzo. Si avvii immediatamente la trattativa per una chiusura rapida del contratto Istruzione e Ricerca

L’Atto di indirizzo per il comparto Istruzione e Ricerca e relative aree dirigenziali toglie qualunque alibi ad ogni ulteriore ritardo per l’avvio della trattativa.

Ci aspettiamo ora un’immediata convocazione da parte dell’Aran.

La FLC CGIL è impegnata ad ottenere non un contratto purchessia, ma un contratto capace di dare risposte tangibili alle lavoratrici e ai lavoratori del comparto Istruzione e Ricerca dopo 9 lunghi anni in cui le condizioni materiali di vita e di lavoro sono peggiorate anche a causa del blocco e degli attacchi subiti dalla contrattazione collettiva che è prima di tutto strumento per affermare libertà autonomia e dignità.

Abbiamo obiettivi chiari che porteremo avanti nel negoziato con determinazione: riconquista del nostro ruolo sull’organizzazione del lavoro, cancellazione degli istituti della Legge 107 e della Legge 150 che hanno imposto ai processi lavorativi una inaccettabile torsione autoritaria, avvio dell’indispensabile recupero salariale per cui serviranno anche risorse aggiuntive rispetto a quelle già stanziate, riaffermazione della libertà di insegnamento e ricerca, estensione dei diritti contrattuali a tutte le lavoratrici e i lavoratori a prescindere dalla tipologia contrattuale.

E’ nostra intenzione lavorare intensamente per chiudere quanto prima le trattative e realizzare l’obiettivo fondamentale di restituire dignità al lavoro in tutti i settori della conoscenza.

L’INSOSTENIBILE PROGRESSIVA ARMONIZZAZIONE

L’INSOSTENIBILE PROGRESSIVA ARMONIZZAZIONE: UN FRONTE COMUNE PER CONTRASTARE L’ENNESIMA TURLUPINATURA DELLA DIRIGENZA SCOLASTICA!

 

E’ di ieri l’Atto d’indirizzo all’ARAN, a firma della ministra Madia, per il rinnovo del contratto nel comparto dell’Istruzione e Ricerca con relative aree dirigenziali, che concede ai parenti poveri provenienti dall’ex Area quinta l’armonizzazione progressiva dell’indennità di posizione parte fissa, finanziata – secondo contestuali notizie dell’ANSA – con 31,70 milioni di euro nel 2018 e  95,12 milioni a decorrere dall’anno 2019, per l’appunto al fine di armonizzare, dalla mensilità di settembre 2018, la retribuzione di posizione dei dirigenti scolastici della parte fissa a quella prevista per le rimanenti figure dirigenziali del comparto Istruzione e Ricerca.

Un’armonizzazione impellente, secondo la Relazione illustrativa che accompagna il documento di bilancio, perché, a fronte di una retribuzione sperequata (3.556,68 euro lordo dipendente annui contro 12.165,61), non corrisponde invece alcuna differenza nelle competenze e nelle responsabilità attribuite ai dirigenti scolastici rispetto agli altri.

Ma è doveroso precisare che sono, al momento, somme virtuali inserite in un disegno di legge; e neanche certe nella loro consistenza, dato che un’altra fonte le riduce a 95,6 milioni, peraltro scaglionati nei tre anni 2018-2019-2020, con loro sovrapposizione sulla susseguente tornata contrattuale 2019/2021. Di modo che non si comprende se le cifre in discorso si riferiscono al contratto relativo al periodo 1 gennaio 2016-31 dicembre 2018, per essere solo esigibili a rate con decorrenza 1 settembre 2018, oppure se il nuovo contratto sarà passato in cavalleria esattamente come i tre precedenti!

Che, verosimilmente, sia plausibile la prima ipotesi rispetto alla seconda, che costituirebbe una beffa atroce, resta il fatto che neanche al quarto giro potrà così realizzarsi la perequazione totale: quella esterna, rispetto a tutti gli altri dirigenti non aggettivati, e quella interna, che registra l’assurdità di ben quattro distinti regimi retributivi per lo  svolgimento di un’identica funzione!

Chi si è subito pronunciato tra le sigle sindacali rappresentative della dirigenza scolastica sembra attestarsi su una posizione difensiva, di clamorosa smentita delle precedenti bellicose dichiarazioni, dando mostra di accontentarsi di un’anticipazione dei termini di scaglionamento, sui quali lavorare da qui all’approvazione della legge, per intanto mettendo in sicurezza la parte fissa della retribuzione e poi spuntare almeno una prima quota del differenziale variabile, in un cammino che sarà ancora lungo.

Non va bene! Come abbiamo ripetutamente documentato, e da ultimo riconosciuto con onestà anche da chi tiene i cordoni della borsa, se non sussiste alcuna differenza nelle competenze e nelle responsabilità attribuite ai dirigenti scolastici rispetto agli altri, non può ulteriormente perpetrarsi in loro danno un trattamento economico deteriore. Dunque, s’impone la perequazione completa nel triennio contrattuale 2016/2018, senza se e senza ma.

Se ANP, FLCGIL, CISL Scuola, UIL Suola/RUA e SNALS-Confsal vorranno ancora tener fede al proclamato impegno per la perequazione piena, rinnoviamo loro l’invito a far fronte comune con DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf., concordando congiuntamente le azioni di lotta per un obiettivo di giustizia, subito prima o immediatamente dopo l’incontro che si terrà al MIUR il 26 ottobre 2017 sul nuovo regolamento di contabilità

Lo ripetiamo: il bene della categoria vale molto di più della rivendicazione di diritti di primogenitura.

Noi siamo pronti. E attendiamo conferma.

Scuola, più soldi ai presidi. Guadagneranno tanto? Poco? Dipende

da Il Fatto Quotidiano

Scuola, più soldi ai presidi. Guadagneranno tanto? Poco? Dipende

di

La campagna elettorale di Matteo Renzi è iniziata con l’aumento di 400 euro mensili in più ai dirigenti scolastici, a regime dal 2020. La manovra 2018 non li ha dimenticati. L’ex premier che era convinto di persuaderli dando loro più potere, in realtà nella puntata precedente li aveva persi: anche i presidi si sono accorti che la cosiddetta “chiamata diretta”, così come il bonus premiale, sono un boomerang perché aumentano il loro lavoro invano. La manovra ha promesso briciole (85 euro lordi) agli insegnanti che sui venti Paesi dell’Unione europea censiti dall’Ocse figurano per i loro stipendi nella parte bassa della classifica, al di sotto della media, con differenze che aumentano sensibilmente con il crescere dell’anzianità di servizio.
Al contrario, ha costruito ponti d’oro per i dirigenti scolastici per allineare le loro buste paga a quelle degli altri vertici della pubblica amministrazione.

Nessuna battaglia tra poveri. Il problema è un altro. Secondo le tabelle dell’Agenzia di rappresentanza del pubblico impiego (Aran), oggi un dirigente scolastico guadagna in media poco più di 58mila euro lordi all’anno. Tanti? Pochi? Dipende. La questione è un’altra. I dirigenti scolastici sono chiamati a occuparsi della gestione delle risorse umane, dei bilanci delle scuole, della sicurezza degli edifici, della didattica, del rapporto con le imprese per scuola alternanza lavoro. E ancora: incontrano genitori, sindaci, assessori, si occupano della chiamata diretta e della distribuzione del bonus premiale, verificano i docenti alla fine del loro anno di prova. E chi più ne ha più ne metta.

Sono stati chiamati a diventare dirigenti di un’azienda, tant’è che non si chiamano più presidi. E così si trovano a fare i responsabili delle risorse umane, i pedagogisti, gli psicologi, gli ingegneri, gli assistenti sociali e altro ancora. Sono in grado di fare tutto ciò? In un’azienda seria ci sono figure diverse con compiti differenti e se il responsabile del marketing o quello del personale non vanno bene, l’imprenditore cambia squadra prima di far fallire l’azienda. Nella scuola è uno solo al vertice con più incarichi e se non va bene è l’unico a giudicare se stesso.

L’azienda-scuola nel frattempo fallisce, ma lui resta al suo posto. Il tema vero non è aumentare gli stipendi, ma togliere incarichi ai presidi (io d’ora in poi tornerò a chiamarli così perché la scuola non è un’azienda). Sono loro stessi a lamentare un eccesso di ruoli attribuiti loro in quest’ultimi anni. Sono arrivati al punto tale di trasformare la scuola in una “caserma” dove il generale deve avere tutto sotto controllo. Ne ho sentiti pronunciare queste parole: “Conta più la vigilanza della didattica”. Proprio ieri una collega mi scriveva: “Ciao Alex, cosa sta diventando la scuola in mano a dirigenti paurosi? Quest’anno ho proposto un progetto. La dirigente ci ha stoppati dicendo: ‘E’ pericoloso, poi si tirano addosso la borraccia, poi i genitori…’ Ogni anno ho sempre meno entusiasmo. Ci chiedono i compiti di realtà, ma hanno paura della realtà”.

Abbiamo bisogno di una scuola dove ci sia un responsabile delle risorse umane che si occupa veramente di valutare, organizzare, promuovere le risorse a disposizione. Abbiamo bisogno di un pedagogista nella scuola che elabori un piano dell’offerta formativa coerente con il territorio, capace di calare nella realtà gli insegnamenti di uomini e donne come don Lorenzo Milani, Maria Montessori, Alberto Manzi, Mario Lodi e tanti altri.

Abbiamo bisogno di figure che si occupino in maniera seria di elaborare progetti utili al reperimento di risorse per la scuola. Non abbiamo bisogno di un dirigente strapagato per assolvere compiti di cui non può avere le competenze: i presidi Superman sono roba da fumetto. Non solo. Conosco dirigenti straordinari che con la consapevolezza dei loro limiti e delle loro risorse si danno un gran da fare: penso a Roberta Mozzi a Cremona, a Daniele Barca a Modena, a Domenico Di Fatta a Palermo, alla dirigente dello Zen, a Ludovico Arte a Firenze, a Salvatore Giuliano in Puglia e a tanti altri ancora.

Ma molti altri presidi sono liberi di fare quel che vogliono (mobbing e offese ai loro dipendenti comprese nel pacchetto) senza aver alcuna conseguenza. Un esempio. Ve la ricordate la dirigente che aveva organizzato il “Gran ballo in epoca fascista”? Dove credete che sia? Ha solo cambiato scuola: dalla “Alessi” di via Flaminia all’istituto comprensivo di piazza Capri. E quell’altro che durante la festa di fine anno era salito sul palco del teatro della scuola e si era lasciato andare a uno scatenato ballo facendo finta di mettere le mani sulla sua studentessa? Pagata una multa di 350 euro e ancora lì al suo posto.

E ora questa gente guadagnerà anche 400 euro in più al mese.

Diploma in 4 anni: da oggi al 13 novembre le candidature degli istituti per il Piano nazionale sperimentale

da Il Sole 24 Ore

Diploma in 4 anni: da oggi al 13 novembre le candidature degli istituti per il Piano nazionale sperimentale 

Diploma in quattro anni, al via la presentazione delle candidature da parte delle scuole per la sperimentazione di percorsi di studio in quattro anni. È online da ieri il decreto che dà l’avvio al Piano nazionale di sperimentazione annunciato questa estate che coinvolgerà 100 classi di licei e ustituti tecnici di tutta Italia. Da oggi e fino al 13 novembre prossimo, gli istituti potranno presentare le loro candidature.

Fino ad ora sono state 12 in tutta Italia le scuole che hanno sperimentato percorsi quadriennali sulla base di progetti di istituto autorizzati di volta in volta dal ministero. Per rendere maggiormente valutabile l’efficacia della sperimentazione e per consentirne una maggiore diffusione territoriale viene previsto, ora, un bando nazionale con criteri comuni per la presentazione dei progetti che partiranno nell’anno scolastico 2018/2019.
Il progetto della sperimentazione quadriennale prende le mosse dalla riforma dei cicli scolastici messa a punto dal ministro Berlinguer nel 2000 – non entrata in vigore perché poi bloccata dalla ministra Moratti – e successivamente ripresa dalla commissione di studio istituita nel 2013 dal ministro Profumo, incaricata di elaborare delle proposte per abbreviare il percorso scolastico con lo scopo di far conseguire il diploma entro il diciottesimo anno di età. La ministra Carrozza, nell’anno scolastico 2013/2014, autorizzò due progetti sperimentali proposti da due scuole che già avevano caratteristiche di forte internazionalizzazione: il San Carlo di Milano e il Guido Carli di Brescia. Da allora sono sempre state le scuole a fare richiesta a “sportello” di sperimentazione quadriennale. Ora si procederà, appunto, con una sperimentazione a livello nazionale al termine della quale, nel 2023, i risultati dovranno essere discussi con tutti i rappresentanti del mondo della scuola e con i decisori politici.

Le istituzioni scolastiche che presenteranno la candidatura dovranno assicurare alle studentesse e agli studenti il raggiungimento delle competenze e degli obiettivi specifici di apprendimento previsti per il quinto anno di corso, nel rispetto delle Indicazioni nazionali e delle Linee guida. Ciascuna istituzione scolastica potrà presentare il progetto per una sola sezione, a partire dalla classe prima, e per un solo indirizzo di studio. La candidatura potrà essere presentata solo dopo aver ottenuto il consenso degli organi collegiali, dovrà essere quindi frutto di una scelta condivisa, e dovrà essere in linea con gli orientamenti già presentanti anche alle famiglie nel Piano triennale dell’offerta formativa.

Un’apposita Commissione tecnica valuterà le domande pervenute. Le proposte dovranno distinguersi per un elevato livello di innovazione, in particolare per quanto riguarda l’articolazione e la rimodulazione dei piani di studio, per l’utilizzo delle tecnologie e delle attività laboratoriali nella didattica, per l’uso della metodologia Clil (lo studio di una disciplina in una lingua straniera), per i processi di continuità e orientamento con la scuola secondaria di primo grado, il mondo del lavoro, gli ordini professionali, l’università e i percorsi terziari non accademici.

Nel corso del quadriennio, un Comitato scientifico nazionale valuterà l’andamento nazionale del Piano di innovazione e predisporrà annualmente una relazione che sarà trasmessa al Consiglio superiore della pubblica istruzione. A livello regionale, invece, saranno istituiti i Comitati scientifici regionali che dovranno valutare gli esiti della sperimentazione, di anno in anno, da inviare al Comitato scientifico nazionale.

Successo di Erasmus Plus, l’Italia incassa dalla Commissione europea 14 milioni di euro per il 2017/18

da Il Sole 24 Ore

Successo di Erasmus Plus, l’Italia incassa dalla Commissione europea 14 milioni di euro per il 2017/18

di Maria Piera Ceci

Studenti che si spostano sempre più all’interno dell’Europa, ma anche al di fuori dei confini dell’Europa, grazie al progetto Europeo Erasmus Plus. Se ne è parlato in una due giorni alla Sapienza di Roma, dove si sono incontrati 250 rappresentanti delle università europee e dei Paesi dell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria e Tunisia.

«Scopo della due giorni è far incontrare le università del sud del Mediterraneo con quelle del resto d’Europa, creare un punto di incontro fra tante culture», spiega Sara Pagliai, coordinatrice dell’agenzia Erasmus Plus. La Commissione europea sta infatti promuovendo partenariati e scambi di studenti e di staff delle università anche con la riva sud del Mediterraneo, un’azione importante, tanto più in questo periodo.

«Perché la mobilità dei ragazzi rappresenta un modo concreto per superare barriere culturali, stereotipi, situazioni di conflitto fra culture diverse», sottolinea Sara Pagliai. «Soltanto incontrandosi e conoscendosi si può costruire un nuovo modo di cooperare. Erasmus dal 2015 consente anche la mobilità fuori dall’Europa. Scopo del seminario vuole proprio essere quello di accrescere la cooperazione e la mobilità degli studenti».

Dalla Commissione europea sono arrivati all’Italia per il 2017/2018 14 milioni di euro, destinati a 49 istituti di istruzione superiore. I fondi finanzieranno 3.386 tra studenti e docenti, (+9% rispetto al 2016).
«Si tratta di fondi finalizzati alla mobilità di studenti e formazione dei docenti, sia per gli italiani che vanno fuori dall’Europa, sia per accogliere studenti stranieri non Ue nelle nostre università», spiega Pagliai.
«I nostri atenei sono molto attivi, sia per quanto riguarda la mobilità più tradizionale attraverso i piani Erasmus nei paesi europei, ma sono anche molto aperti verso le università extra Ue, perché l’Italia è sempre stato un paese ponte verso la sponda sud del Mediterraneo, con cui sono stati avviati progetti e programmi».

A leggere bene i dati, si scopre che i fondi stanziati hanno consentito l’arrivo nel nostro Paese di 2.156 persone (studenti, docenti e personale accademico), provenienti da Tunisia (190), Albania (174), Serbia (167), Federazione Russa (135), Ucraina (129). 1.230 invece le persone che dall’Italia si sono spostate per un periodo di studio o formazione all’estero: in Albania (143), Federazione Russa (108), Serbia (103), Tunisia (94), Georgia (61).

Tra le università italiane che riceveranno più studenti dal resto del mondo, figura al primo posto il Politecnico di Torino, seguito dall’università di Padova, dall’Università della Tuscia, dall’Alma Mater di Bologna e dall’ateneo di Torino.

Per quanto riguarda invece la mobilità verso i paesi extra Ue, i primi cinque istituti italiani per numero di studenti in partenza sono l’Alma Mater di Bologna, l’Università della Tuscia, il Politecnico di Torino, l’Università di Torino e l’Università di Padova. Il Politecnico di Bari attiverà, invece, più scambi nell’ambito della mobilità dei docenti.

“Noi presidi schiacciati tra le famiglie e i giudici così la scuola è un caos”

da la Repubblica

“Noi presidi schiacciati tra le famiglie e i giudici così la scuola è un caos”

Lo sfogo dei dirigenti: esistono tanti modi per tenersi aggiornati sbagliato risolvere con la carta bollata le questioni educative

Corrado Zunino

L’Associazione nazionale dirigenti scolastici dice che, ormai, il contenzioso in classe è continuo. Inarrestabile. Meglio sarebbe fare didattica e valutare senza il fiato della magistratura addosso: «Il Tar non dovrebbe mettere le mani nella scuola», sottolinea Gregorio Iannaccone, ex presidente Andis e ora nel direttivo nazionale. La preside Maria Pia Nuccitelli, una carriera nelle medie inferiori di Roma, conferma: «Oggi un genitore va al Tribunale amministrativo per un voto in pagella che non piace, siamo all’assurdo». Il quadro generale è questo. Replica un conflitto che si acuisce a ogni passaggio: tra i docenti — che devono insegnare e valutare — e i genitori, che spesso non accettano l’insegnamento e tanto più la valutazione.

L’ex preside Iannaccone è convinto che, nello specifico di Gorizia, il Tar abbia sbagliato: «La sentenza, basata tutta sulla mancata informazione, è ardita. La scuola informa sulle strategie da mettere in campo per superare problemi didattici e comportamentali, poi tocca ai genitori. I colloqui con le famiglie sono pubblici, sul sito della scuola. Un padre che davvero vuole seguire il figlio, può farlo. C’è un calendario di ricevimento, si può andare a colloquio con i professori due, tre, quattro volte. Tutte le settimane. L’intervento della magistratura a scuola è una questione difficile e complessa, rischia di creare nuovi problemi nel quotidiano. Le questioni di educazione non si possono risolvere per via giudiziaria ». Continua l’ex presidente Andis: «Una bocciatura, quasi sempre, è fatta nell’interesse del ragazzo. Un genitore che tiene ai propri figli non può essere felice di un successo scolastico ottenuto attraverso una sentenza. A che può servire, in una casa, la promozione del Tar? L’istituto di Gorizia e il ministero dell’Istruzione dovrebbero appellarsi, la Pubblica amministrazione sta soccombendo allegramente sotto un profluvio di ricorsi di ogni genere». L’avvocato Michele Bonetti, legale della Rete degli studenti medi che spesso ha costretto il Miur a retromarce su test e graduatorie, sulla sentenza di Trieste dice: «Il nostro studio fa ricorsi sulle bocciature con il contagocce, la magistratura amministrativa ha un orientamento perlopiù sfavorevole verso gli studenti. Pochi ricorsi passano, tutti per motivi formali. Nel caso specifico le ragioni formali sono serie: una circolare ministeriale del 2015 chiede esplicitamente che, di fronte al cattivo andamento scolastico dello studente, siano avvertiti entrambi i genitori. L’avviso alle famiglie è sempre più richiesto e ha una ratio. Con una procedura di separazione in corso, la scuola di Gorizia doveva avvertire sia la madre che il padre. In un verbale di un Consiglio di classe la scuola si dice consapevole delle difficoltà familiari che sta vivendo il ragazzo e il 13 dicembre 2016 il padre ha inviato una mail in cui chiedeva di essere informato ». L’avvocato Bonetti, convinto della bontà della sentenza del Tar del Friuli, non crede però che la stessa sia allargabile, che in qualche modo possa fare scuola. Ritiene, poi, che la riammissione del ragazzo in terza media non sia vicina: «Se la scuola si oppone, i tempi per la nomina di un commissario per l’attuazione della sentenza non saranno brevi».

Maria Pia Nuccitelli, che a Roma ora guida l’Istituto comprensivo Via Micheli, dice: «I dirigenti scolastici oggi sono travolti dalle incombenze. Sicurezza a scuola, vaccinazioni, gite. E la ricorsite dei genitori è arrivata a un livello di allarme. La scuola di Gorizia, però, ha commesso un errore gravissimo. Di fronte a brutti voti e assenze del figlio i docenti devono convocare entrambi i genitori».

Fedeli: la scuola deve funzionare in autonomia sulle bocciature

da La Tecnica della Scuola

Fedeli: la scuola deve funzionare in autonomia sulle bocciature

Legge di Bilancio, per i sindacati le risorse alla scuola sono insufficienti

da La Tecnica della Scuola

Legge di Bilancio, per i sindacati le risorse alla scuola sono insufficienti

Docenti neo-assunti, chi non deve effettuare il periodo di prova

da La Tecnica della Scuola

Docenti neo-assunti, chi non deve effettuare il periodo di prova

Olimpiadi Nazionali di Problem Solving, al via la competizione per l’a.s. 2017/2018

da La Tecnica della Scuola

Olimpiadi Nazionali di Problem Solving, al via la competizione per l’a.s. 2017/2018

APe volontaria, il decreto è in Gazzetta

da La Tecnica della Scuola

Insegnanti di Religione Cattolica: quanti saranno i posti vacanti quando verrà bandito il concorso?

da Tuttoscuola

Insegnanti di Religione Cattolica: quanti saranno i posti vacanti quando verrà bandito il concorso?

La notizia comunicata dal sottosegretario Toccafondi relativamente al varo di un concorso per insegnanti di religione cattolica (IRC) non potrà che fare felice la CEI (Commissione Episcopale Italiana) che da mesi premeva sul Ministero per rimuovere lo stallo di nuove immissioni in ruolo fermo da anni.

Le norme concordatarie prevedono che dell’organico complessivo degli IRC il 70% sia coperto da docenti di ruolo. Ma quanti sono questi posti dell’organico di diritto e quanti i docenti IRC di ruolo?

Secondo i dati ufficiali del Miur, la dotazione complessiva di posti nel 2016 era di 24.155 unità; il 70% di quella dotazione è, dunque, di 16.906 posti..

Quanti di quei posti risultano coperti da docenti di ruolo? E quanti, di conseguenza sono vacanti?

Secondo i dati della Ragioneria Generale dello Stato, i docenti di ruolo, per effetto dei pensionamenti da anni sono diminuiti al ritmo di quasi 300 unità all’anno. Nel 2009 erano 13.927 (e, quindi, i posti vacanti allora erano già quasi tremila); nel 2015 erano scesi a 12.338.

In base alla tendenza rilevata, si può ritenere che nel 2016 fossero scesi a circa 12 mila unità.

Quando verrà bandito il concorso, probabilmente saranno ancora in servizio circa 11.500 IRC e i posti vacanti potrebbero, pertanto, aggirarsi attendibilmente intorno a 5 mila.

Diploma in 4 anni: dal 20 ottobre al 13 novembre via a candidature degli istituti per il Piano nazionale sperimentale

da Tuttoscuola

Diploma in 4 anni: dal 20 ottobre al 13 novembre via a candidature degli istituti per il Piano nazionale sperimentale 

Diploma in quattro anni, al via la presentazione delle candidature da parte delle scuole per la sperimentazione di percorsi di studio in quattro anni. Come noi di Tuttoscuola avevamo anticipato ieri, è online da oggi il decreto che dà l’avvio al Piano nazionale di sperimentazione annunciato questa estate che coinvolgerà 100 classi di Licei e Istituti tecnici di tutta Italia.

Come afferma il Miur in una nota, da domani, venerdì 20 ottobre, e fino al 13 novembre prossimo, gli istituti potranno quindi presentare le loro candidature.

Fino ad ora sono state 12 in tutta Italia le scuole che hanno sperimentato percorsi quadriennali sulla base di progetti di istituto autorizzati di volta in volta dal Ministero. Per rendere maggiormente valutabile l’efficacia della sperimentazione e per consentirne una maggiore diffusione territoriale viene previsto, ora, un bando nazionale con criteri comuni per la presentazione dei progetti che partiranno nell’anno scolastico 2018/2019.

Il progetto della sperimentazione quadriennale prende le mosse dalla riforma dei cicli scolastici messa a punto dal Ministro Berlinguer nel 2000 – non entrata in vigore perché poi bloccata dalla Ministra Moratti – e successivamente ripresa dalla commissione di studio istituita nel 2013 dal Ministro Profumo, incaricata di elaborare delle proposte per abbreviare il percorso scolastico con lo scopo di far conseguire il diploma entro il diciottesimo anno di età. La Ministra Carrozza, nell’anno scolastico 2013/2014, autorizzò due progetti sperimentali proposti da due scuole che già avevano caratteristiche di forte internazionalizzazione: il San Carlo di Milano e il Guido Carli di Brescia. Da allora sono sempre state le scuole a fare richiesta a ‘sportello’ di sperimentazione quadriennale. Ora si procederà, appunto, con una sperimentazione a livello nazionale al termine della quale, nel 2023, i risultati dovranno essere discussi con tutti i rappresentanti del mondo della scuola e con i decisori politici.

Le istituzioni scolastiche che presenteranno la candidatura dovranno assicurare alle studentesse e agli studenti il raggiungimento delle competenze e degli obiettivi specifici di apprendimento previsti per il quinto anno di corso, nel rispetto delle Indicazioni Nazionali e delle Linee guida. Ciascuna istituzione scolastica potrà presentare il progetto per una sola sezione, a partire dalla classe prima, e per un solo indirizzo di studio. La candidatura potrà essere presentata solo dopo aver ottenuto il consenso degli organi collegiali, dovrà essere quindi frutto di una scelta condivisa, e dovrà essere in linea con gli orientamenti già presentanti anche alle famiglie nel Piano triennale dell’Offerta Formativa.

Un’apposita Commissione tecnica valuterà le domande pervenute. Le proposte dovranno distinguersi per un elevato livello di innovazione, in particolare per quanto riguarda l’articolazione e la rimodulazione dei piani di studio, per l’utilizzo delle tecnologie e delle attività laboratoriali nella didattica, per l’uso della metodologia Clil (lo studio di una disciplina in una lingua straniera), per i processi di continuità e orientamento con la scuola secondaria di primo grado, il mondo del lavoro, gli ordini professionali, l’università e i percorsi terziari non accademici.

Nel corso del quadriennio, un Comitato scientifico nazionale valuterà l’andamento nazionale del Piano di innovazione e predisporrà annualmente una relazione che sarà trasmessa al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. A livello regionale, invece, saranno istituiti i Comitati scientifici regionali che dovranno valutare gli esiti della sperimentazione, di anno in anno, da inviare al Comitato scientifico nazionale.