Il diverso regionalismo scolastico

Il diverso regionalismo scolastico

di Gian Carlo Sacchi

In vista dell’apertura delle trattative con il Governo sui contenuti dell’autonomia da parte delle tre Regioni pronte al decollo, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, iniziano a trapelare le modalità che ciascuna vorrebbe adottare nella gestione delle politiche dell’istruzione e formazione. La diversità delle proposte è visibile nella storia della loro legislazione in materia, che oggi trova la possibilità di espandere poteri e responsabilità a condizione che lo Stato accetti di cambiare ruolo, come peraltro è già previsto nel Titolo Quinto della Costituzione approvato nel 2001, sul quale dovrà basarsi il colloquio che si va ad aprire.

Esse hanno molte cose in comune, come l’istruzione e formazione professionale, ivi compresa quella superiore, già di competenza esclusiva delle regioni, che dovranno esprimere la necessaria capacità di aderire alle caratteristiche del sistema produttivo e del lavoro territoriale, fermo restando che a livello nazionale ed europeo venga adottata una valutazione e certificazione comuni che permetta lo scambio delle qualifiche (EQF), superando definitivamente la frammentazione dei titoli e consentendo il loro riconoscimento reciproco. A questo proposito lo stato dovrà decidere se mantenere inalterato il ruolo degli istituti professionali, applicando il recente decreto (D.Leg.vo 61/2017), approvato dalla buona scuola, oppure arrivare finalmente al “doppio canale”, statale e regionale, in modo da interpretare correttamente il dettato costituzionale che ha introdotto nel settore professionale un nuovo indirizzo che accomuna istruzione e formazione.

I poteri delle Regioni da inserire in una legge ordinaria devono innanzitutto riferirsi a quelle materie che l’art. 117 della Costituzione prevede già come “competenze concorrenti”; si dovranno definire gli spazi di “ulteriore autonomia”, senza mai giungere però a farle diventare esclusive delle stesse come accade in quelle a statuto speciale: trasformazione che si vorrebbe in Veneto. Ma l’occasione potrebbe essere utile anche per completare il decentramento delle prerogative statali, iniziate nel 1998 e continuate con diversi quanto inapplicati provvedimenti, tra i quali spiccano le “funzioni fondamentali” degli Enti Locali contenute nei decreti applicativi della legge sul federalismo fiscale, rimasta anch’essa in gran parte lettera morta.

In questo intreccio c’è anche da riconsiderare l’autonomia delle scuole, che la Costituzione vuole salvaguardare, ma che deve essere ridefinita in quanto “espressione dell’autonomia funzionale” (DPR 275/1999). Si tratta di un’autonomia terza che deve essere a sua volta destinataria del decentramento ministeriale, operazione avviata e via via riassorbita dal centralismo burocratico, ed entrare a far parte del sistema delle autonomie territoriali.

Da come è impostato il predetto art. 117 sembra che una sua efficace applicazione non passi solo per l’ampliamento dei poteri regionali, ma anche, come si è detto, per la riconsiderazione di quelli statali, a partire dal completo decentramento. Lo Stato anche in relazione alle indicazioni europee deve emanare “norme generali sull’istruzione”, invece il nostro è ancora radicato nella gestione totalizzante delle varie azioni di sistema e la legge sulla buona scuola ne è un esempio, in quanto arriva a prevedere bandi per progetti con finanziamenti direttii alle scuole anche per la didattica, dimenticando il tentativo sperimentale di accreditare le risorse in un unico capitolo del bilancio, lasciando a queste ultime le scelte e le modalità di impiego.

Dalla Lombardia viene la richiesta di sostituire lo Stato con la Regione, rischiando un nuovo centralismo che avoca a sé la programmazione della rete ed il dimensionamento degli istituti, il controllo degli organi di autogoverno delle scuole e quindi il condizionamento dell’autonomia degli stessi, che dovrà essere a questo punto funzionale al nuovo staterello.

Non si è ancora visto il documento ufficiale, ma dalle aperture dei giornali si nota un refrain della proposta di legge della Lega Nord del 2010. L’apertura solenne era dedicata alla disciplina regionale delle funzioni di organizzazione e amministrazione di carattere generale, nel quadro dei principi fondamentali stabiliti dallo stato: affermazione più debole di quanto non siano le norme generali indicate dal più volte citato art. 117. Le regioni, prosegue la proposta di legge, definiscono le linee programmatiche di sviluppo dei servizi e le autonomie locali sono competenti per la loro gestione. Qui è la Regione a prendere in mano il ruolo di indirizzo programmatico, di coordinamento, monitoraggio e valutazione degli esiti, pur evocando i principi di sussidiarietà e di autonomia. Sarà il federalismo fiscale a finanziare sulla base dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e dei costi standard le funzioni fondamentali degli enti territoriali, incluso il personale. i LEP sono sì stabiliti dallo Stato, ma la Regione li può “migliorare”, facendo valere la maggiore ricchezza regionale e sganciandosi dall’equilibrio nazionale. Da qui derivano spazi di intervento sull’offerta formativa, in nome delle esigenze locali.

I lombardi poi sono molto interessati al controllo della disciplina attuativa della parità scolastica, pensando ad una versione sempre più legata all’economia privatistica della formazione.

Ma quello che più sta a cuore a questa regione è il trasferimento delle funzioni amministrative del personale: reclutamento, regolamentazione delle funzioni e livello autonomo di contrattazione integrativa; tutela (sic ?) della libertà di insegnamento; ruoli regionali e relativi concorsi, organizzazione del lavoro. L’offerta formativa deve trovare coerente realizzazione nella potestà regionale di allocazione delle risorse umane disponibili sul territorio ed anche se lo stato giuridico ed economico rimangono oggetto di trattativa nazionale, l’organico dipenderà dalla regione, così come la valutazione dello stesso. Anche se non sembra tornare lo slogan : “prima i lombardi”, si ha motivo di credere alla reintroduzione della chiamata diretta da un albo regionale degli insegnanti, per una successiva dipendenza funzionale dalle scuole.

La proposta leghista si conclude con un’attenzione particolare al curricolo, una parte del quale è già affidata alle regioni dalla legislazione in vigore ed è finalizzata alla “conoscenza del territorio”. In Lombardia sono già stati deliberati interventi in questo senso e piani regionali di formazione professionale sono presenti nei corrispondenti istituti statali.

Aumentare il numero delle regioni a statuto speciale, sostituire lo stato con la regione, oppure integrare i due versanti come propone l’Emilia Romagna. Non si tratta perciò di aumentare le prerogative di una parte a spese dell’altra, anche se, come si è detto, occorre prima portare a termine l’operazione di decentramento, ma di ripartire, ognuno con le competenze che la Costituzione prevede per arrivare ad un sistema allargato e integrato che arricchisca maggiormente il territorio ai diversi livelli e renda più efficiente i rapporti con l’economia ed il lavoro. Per far sì che questo approccio sia efficace bisogna evitare le duplicazione degli interventi, andando a mettere ordine nei poteri statali ed assegnando a quelli regionali la giusta dimensione, affinchè resti un unico sistema nazionale, orientato all’Europa (norme generali, personale e parte del curricolo, riconoscimento dei titoli) e si allarghi la presenza della regione per il valore aggiunto di cui è portatrice (programmazione, integrazione, qualificazione) per contribuire al costante miglioramento dell’intero sistema. La legge regionale emiliano-romagnola del 2003 affidava fin da allora il curricolo regionale all’autonomia delle scuole.

In questo orizzonte politico composto da elementi permanenti per tutto il Paese, compresa l’applicazione del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, ed i caratteri variabili per i vari territori, che più direttamente coinvolgono l’aspetto economico, ci può finalmente entrare il riconoscimento della dimensione pedagogico-didattica, incarnata dall’autonomia delle scuole, che così ha senso veder tutelata dalla Costituzione. Le scuole non possono più essere ormai un’appendice amministrativa e benchè governate da un’azione partecipativa non assomigliano ad un comune. Oltre all’autonomia giuridica ne esiste una che potremmo definire epistemologica in virtù dello specifico compito che svolgono. Non si tratta di cambiare padrone, ma di entrare a far parte di un “sistema” delle autonomie a beneficio delle comunità locali e nazionale.

La legge sulle autonomie regionali dunque potrebbe essere lo strumento per far arrivare a compimento questa realtà che attende da tanti anni e che la buona scuola ha clamorosamente mancato.

K. Reichs, Ossa di ghiaccio

Reichs o del bene della verità

di Antonio Stanca

Il genere del thriller medico ha creato l’americana Kathy Reichs, docente di Antropologia forense presso l’Università di Charlotte, nel North Carolina. Qui ha pure l’ufficio di Antropologia forense mentre in Canada, a Québec, è impegnata presso il laboratorio di Scienze giuridiche e di medicina legale. Sono attività che le hanno procurato numerosi riconoscimenti e molti inviti a tenere conferenze in tante parti del mondo.

E’ nata a Chicago nel 1948, ha sessantanove anni, ha scritto opere specifiche, tecniche, e da quando aveva quarantanove anni, nel 1997, ha cominciato a scrivere di narrativa. Il romanzo d’esordio è stato Corpi freddi e già allora la Reichs aveva mostrato quella che sarebbe stata la sua maniera di essere scrittrice. Dal suo lavoro di antropologa forense, dai suoi esami di persone morte, di cose distrutte in seguito a gravi avvenimenti come sciagure, catastrofi dovute alla violenza della natura o dell’uomo, avrebbe ricavato il contenuto delle sue narrazioni. Delle sue esperienze professionali si sarebbe alimentata la sua scrittura. Non nel senso che le avrebbe riportate, che ne sarebbe stata il loro documento poiché sempre capace si sarebbe mostrata la Reichs di costruire intorno a quegli avvenimenti, a quelle riesumazioni ed alle conseguenti sue scoperte e rivelazioni, delle trame nelle quali la realtà sarebbe risultata trasfigurata in modo da ottenere significati che erano propri della scrittrice, che le provenivano dalla sua formazione, dalla sua personalità, da quanto si agitava in lei indipendentemente dalla sua professione.

E’ una moralità, una spiritualità quella della Reichs che va oltre il caso ogni volta presentato nei romanzi, che le fa superare quanto di orrido, di macabro i suoi occhi sono costretti a vedere durante il suo lavoro e la fa tendere verso un ideale di vita diversa da quella rovinata dalla violenza, del singolo o della collettività, dalle stragi, dalla morte, dal male. Quella che la spinge a cercare la verità tra quanto è rimasto dopo eventi disastrosi è un’accensione che non risale solo alla sua professione ma anche alla sua vita, al suo bisogno di conoscere, sapere quanto è accaduto nei pensieri, nell’intimo di chi quell’evento ha vissuto. Per questo è diventata scrittrice, perché con la narrazione le sarebbe stato possibile realizzare quel che il suo spirito chiedeva, costruire, cioè, intorno al caso in esame una vicenda che lo arricchisse delle supposizioni, dei dubbi, dei sospetti, dei pensieri, dei timori che la scrittrice credeva di poter attribuire a chi ne era rimasto vittima. Di tutto quanto, cioè, non si era visto perché nascosto nell’animo.

Una scrittrice celebre in America e nel mondo è diventata la Reichs per la sua capacità di ricavare dall’indagine scientifica di un corpo senza vita i caratteri, i segreti, l’anima di chi quel corpo aveva avuto, le cause occulte delle sue azioni, per la sua volontà di fare della verità finale un motivo per riflettere, capire, imparare, un bene dal quale altri sarebbero derivati. Propositi umanitari, civili, sociali animano la scrittrice, la spingono a ricercare con tanta passione quelle verità che sarebbero rimaste lontane, oscurate, ignorate se non ci fosse stata lei a mostrarle, esibirle come una vittoria del bene ed una sconfitta del male.

Per ottenere questi effetti di verità sorprendenti, di rivelazioni clamorose la Reichs ha pensato che il thriller sarebbe stato il genere migliore e la dottoressa Temperance Brennan il personaggio più idoneo ad esserne la protagonista perché in lei l’autrice si sarebbe immedesimata, da lei avrebbe fatto interpretare la sua vita, le sue esperienze.

Tutto questo c’è pure in Ossa di ghiaccio, romanzo scritto dalla Reichs nel 2015 e pubblicato quest’anno in Italia per conto della casa editrice Rizzoli di Milano con la traduzione di Massimo Gardella.

Qui la dottoressa Brennan-Reichs, è stata chiamata per fare l’autopsia e altri esami particolari del cadavere della giovane alpinista americana Brighton Hallis. E’ stato trovato sul monte Everest dopo tre anni dalla morte. Dalle indagini parallele della polizia si saprà che aveva fatto parte di un gruppo di cinque amici che si erano proposti di scalare l’Everest, di raggiungere la vetta più alta del mondo da soli senza servirsi di una guida. Erano riusciti a compiere l’impresa ma ne erano tornati solo quattro che dichiaravano di non sapere cosa era successo a Brighton, di averla vista l’ultima volta poco prima della cima del monte impegnata a soccorrere una scalatrice solitaria. Pertanto non sapevano se fosse morta per una caduta in un crepaccio o per congelamento o perché aveva finito la riserva di ossigeno.

Ma saranno, come sempre, gli esami che la Brennan condurrà in maniera minuziosa, scrupolosa, particolareggiata, ripetuta, sulla salma della giovane alpinista, sarà la sua prolungata, meticolosa attenzione a quel cadavere a far sapere che non era quello della Brighton bensì quello dell’alpinista solitaria che gli altri credevano avesse avuto bisogno di soccorso. Questa si chiamava Viviana Fuentes e ad ucciderla, colpendola e lasciandola morire assiderata, era stata la Brighton che, a sua volta, in un’altra scalata sarà fatta morire da un amico comune alle due, Damon James. Quindi Brighton e Viviana si conoscevano ed entrambe erano amiche di Damon. Tra i tre era in corso un “affare losco”, un affare di un milione di dollari e in un primo momento Brighton e Damon avevano pensato di eliminare Viviana per godersi da soli la somma. Poi lui aveva pensato di eliminare Brighton per diventare il solo beneficiario di tanto denaro.

Era questa la verità ultima e la Brennan vi era giunta partendo dagli esami compiuti nel suo laboratorio sul cadavere di Viviana, inizialmente scambiato per quello di Brighton. Aveva pure svolto all’esterno un lavoro d’investigatrice venendo a contatto con persone sospettate, indagando fra gli amici, i parenti delle vittime, tra possibili testimoni dell’accaduto, operando, cioè, come la polizia e insieme alla polizia.

Un’altra vittoria sarebbe stata per lei quest’ultima verità, un’altra volta avrebbe sconfitto il male, in questo caso quello della cupidigia e della menzogna, avrebbe mostrato come non si può resistere alla verità, alla giustizia, avrebbe invitato a perseguirle, le avrebbe indicate come il solo modo per migliorare la vita, la storia.

Coinvolgente fin dall’inizio è il romanzo, affascinato si sente il lettore dai paesaggi insoliti, dalle atmosfere suggestive, dai luoghi, dalle luci, dai colori, dal senso di primitivo, di selvaggio, di incontrollato, d’imprevisto, di pauroso che può offrire una montagna come l’Everest. Partecipe si sente del continuo, inarrestabile processo che le ricerche della Brennan innescano, insieme a lei gli sembra di avanzare verso quella verità che, pur apparendo oscura, irraggiungibile, finirà col chiarirsi, col testimoniare che è destinata a vincere.

«Prof migranti»: in 20mila da Sud a Nord. Boom su tratta Roma-Napoli

da Corriere della sera

«Prof migranti»: in 20mila da Sud a Nord. Boom su tratta Roma-Napoli

Indagine sulla stabilizzazione e la mobilità degli insegnanti in Italia: in 20mila precari si sono spostati dal Sud al Centro-nord

Claudia Voltattorni

Chi ha un posto a tempo indeterminato si è spostato da Nord a Sud. Il contrario invece per chi è ancora precario. Il tragitto Roma-Napoli è quello più «affollato» mentre Basilicata, Sicilia e Campania sono le regioni più «abbandonate». E per chi è costretto a spostarsi al Nord, Milano e Torino sono le città più scelte. Sono gli insegnanti. Di ruolo e precari. Che dal 2014 si sono spostati in massa da una regione all’altra. Circa 20mila solo dal Sud al Centro-Nord. Li hanno fotografati Michele Colucci e Stefano Gallo dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Issm-Cnr) nel volume «In cattedra con la valigia. Gli insegnanti tra stabilizzazione e mobilità. Rapporto 2017 sulle migrazioni interne in Italia» (Donzelli) dove sono stati studiati gli spostamenti e le motivazioni degli insegnanti «migranti».

Pendolari

Si scopre così che nelle province di Bergamo, Bologna, Reggio Emilia, Asti e Alessandria l’impatto dei prof migranti è più forte. Così come «il pendolarismo quotidiano con partenza notturna di coloro che si muovono dalle province di Napoli e Caserta verso Roma, anche solo per una supplenza giornaliera». I ricercatori hanno poi studiato cause e fluttuazioni degli spostamenti: la maggior parte risalgono al reclutamento scolastico: «I cambiamenti delle logiche di selezione e di accesso incentivano i movimenti migratori», afferma Colucci. «La scuola è un gigantesco mercato del lavoro gestito dallo Stato, ma dobbiamo ripensare l’immagine dell’insegnante obbediente e docile: proprio il tema della mobilità rivela la rilevanza delle lotte e delle resistenze opposte alle scelte operate “dall’alto”, molto evidente nella storia, soprattutto nel periodo fascista», sottolinea Gallo.

Su e giù per l’Italia

L’analisi include anche gli spostamenti nell’anno scolastico 2016-2017, e, spiega Colucci, «il numero dei docenti è salito dell’11,8% rispetto a 5 anni arrivando a 855.829: l’importanza del comparto scuola nella composizione del mercato del lavoro è sempre più significativa». Le regioni di maggiore emigrazione sono Basilicata, Sicilia e Campania, quelle più attrattive invece Toscana, Piemonte e Lazio con il flusso più consistente tra Napoli e Roma e dalla Sicilia verso Milano e Torino. Questo per gli insegnanti ancora non di ruolo e quindi costretti a cercare cattedre a tempo determinato lontani da casa. Per chi invece ha ottenuto l’assunzione a tempo indeterminato la tendenza è il contrario: andare dal Centro-Nord verso Sud per avvicinarsi a casa, qui il flusso più consistente è quindi da Roma verso Napoli. Nel 2015 sono stati in 8mila. La prevalenza di genere dei prof migranti rispecchia quella generale del corpo docente: a muoversi quindi sono soprattutto donne.

Stabilizzazione precari e nuovo concorso IRC, chiesto incontro con la ministra Fedeli

da La Tecnica della Scuola

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“I calcoli a mente non servono più. La matematica a scuola si insegna con il computer”

da La Tecnica della Scuola

“I calcoli a mente non servono più. La matematica a scuola si insegna con il computer”

Save the Children Jumperizza la scuola

da Tuttoscuola

Save the Children Jumperizza la scuola

La scuola, da sempre, è il luogo in cui si gettano le basi per formare il carattere dei bambini: quello che ci viene insegnato, quando siamo ancora piccoli, è qualcosa che condizionerà il nostro approccio verso l’apprendimento anche nelle fasi successive della vita.

Non solo le nozioni sono importanti ma anche i valori trasmessi attraverso la scuola costituiscono un elemento essenziale per la crescita di ciascuno di noi.

Gli insegnanti hanno la possibilità, con le proprie scelte, di indirizzare i bambini verso modelli comportamentali capaci di renderli, in futuro, persone attente e sensibili alle problematiche sociali, una responsabilità non da poco se si considera che in altre parti del mondo l’istruzione non è un diritto, come avviene da noi, ma è una faticosa conquista.

Save the Children è la più importante organizzazione non governativa internazionale nata con lo scopo di salvare i bambini in pericolo e a promuovere i loro diritti, subito e ovunque, per migliorare le loro condizioni di vita in tutto il mondo.

Anche quest’anno Save the Children, ha indetto, per il 15 dicembre, il Christmas Jumper Day, una giornata in cui tutti gli insegnanti possono promuovere temi legati ai Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza attraverso attività e laboratori ludici e didattici.

Al grido di “Metti un maglione e dai ai bambini un futuro migliore”, nel 2016 più di 700 scuole hanno partecipato alla prima edizione e quest’anno lo spirito del Christmas Jumper Day è sempre più vivo. Basta iscriversi (link) per ricevere in omaggio un Jumper kit per insegnanti, contenente un manuale ricco di attività e materiali cartacei replicabili per divertirsi con i propri alunni. È incluso anche un piccolo box per la raccolta fondi, facoltativa e diretta solo agli adulti: anche una piccola cifra può fare la differenza.

Tutti potranno creare un Christmas Jumper team: gli insegnanti potranno unire le proprie conoscenze per decorare le aule, proporre attività creative, tutto per trasmettere un messaggio di solidarietà al tempo stesso divertente. Seguendo la pagina facebook dell’evento https://www.facebook.com/Christmasjumperdayitalia/ è possibile restare aggiornati su tutte le novità e, perché no, condividere con gli altri le attività fatte nella propria scuola.

Se siete insegnanti o genitori non esitate a richiedere informazioni, cliccando su questo link, dove potrete vedere i progetti che Save the Children supporterà anche grazie al vostro contributo. Il messaggio dell’iniziativa è semplice e potente: organizzare una festa poco prima di Natale per stare insieme, imparare divertendosi e contribuire alla gioia di altri bambini.

‘In cattedra con la valigia’: insegnanti migranti nel rapporto 2017 sulle migrazioni interne in Italia

da Tuttoscuola

‘In cattedra con la valigia’: insegnanti migranti nel rapporto 2017 sulle migrazioni interne in Italia

Le migrazioni e il pendolarismo del personale docente nelle scuole italiane rappresentano un fenomeno sociale importante e radicato nel tempo, che per la prima volta viene affrontato a livello scientifico nella ricerca “In cattedra con la valigia. Gli insegnanti tra stabilizzazione e mobilità. Rapporto 2017 sulle migrazioni interne in Italia”. Il volume, curato da Michele Colucci e Stefano Gallo dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Issm-Cnr) ed edito da Donzelli, verrà presentato il 7 novembre alle 10.30 presso la sede centrale del Cnr a Roma.

Da dove vengono e dove si dirigono gli insegnanti migranti? Quali sono le cause di questa mobilità, come viene vissuta, in che modo le modifiche legislative l’hanno cambiata? I ricercatori rispondono a queste domande con un approccio interdisciplinare che cerca di superare l’ottica emergenziale.

«L’importanza del comparto scuola nella composizione del mercato del lavoro è sempre più significativa: nell’anno scolastico 2016-17 gli insegnanti sono 855.829, l’11,8% in più rispetto a cinque anni prima. Per quelli non di ruolo le zone di maggiore emigrazione sono Basilicata, Sicilia e Campania, mentre le regioni più attrattive sono Toscana, Piemonte e Lazio: il flusso più consistente va dalla provincia di Napoli a quella di Roma, e dalla Sicilia verso le zone di Milano e Torino», spiega Colucci. «Al contrario, tra i docenti di ruolo prevale la tendenza a chiedere il trasferimento dal Centro-nord al Sud: in questo caso il flusso più consistente è quello Roma-Napoli, in direzione opposta a quella dei precari».

La mobilità è comunque consistente sia tra i docenti con contratto a termine sia tra quelli di ruolo. «Il 10,5% degli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento nel 2014 ha scelto una regione diversa rispetto al 2011: circa 20.000 docenti si sono spostati dal Sud al Centro-nord. Tra gli insegnanti di ruolo, invece, nel 2015 il 5,9% si è trasferito in una regione diversa da quella in cui insegnava nel 2012: circa 8.000 di loro si sono cioè spostati dal Centro-nord al Sud, tornando evidentemente nei luoghi di origine dopo una esperienza al nord», specifica Gallo.

Si tratta in genere di spostamenti di lunga distanza e coloro che si spostano tra le diverse aree del paese sono più di quelli che si spostano all’interno delle stesse aree. La distanza media percorsa ad esempio dai docenti precari di Palermo e Catania interessati a insegnare fuori regione è rispettivamente di 788 e 854 Km, con Milano e Torino come destinazioni preferite. La distanza media dei docenti precari della provincia di Napoli che si iscrivono alle graduatorie fuori regione è 523 Km, con Roma, Firenze e Milano come destinazioni preferite. La prevalenza di genere degli insegnanti migranti rispecchia quella generale del corpo docente: a muoversi sono soprattutto le donne. L’87% delle iscrizioni in graduatoria in altra provincia nel 2014 è attribuibile alle docenti precarie.

Le fluttuazioni delle regole che riguardano il reclutamento scolastico hanno ovviamente effetti sulla struttura sociale, sulla percezione del lavoro e sulla vita quotidiana dei docenti.

«I cambiamenti delle logiche di selezione e di accesso incentivano i movimenti migratori», afferma Colucci. «La scuola è un gigantesco mercato del lavoro gestito dallo Stato, ma dobbiamo ripensare l’immagine dell’insegnante obbediente e docile: proprio il tema della mobilità rivela la rilevanza delle lotte e delle resistenze opposte alle scelte operate “dall’alto”, molto evidente nella storia, soprattutto nel periodo fascista», sottolinea Gallo.

Il volume contiene una serie di approfondimenti sui territori dove l’impatto degli insegnanti migranti è più forte, quali le provincie di Bergamo, Bologna, Reggio Emilia, Asti e Alessandria, «e sul pendolarismo quotidiano con partenza notturna degli insegnanti che si muovono dalle province di Napoli e Caserta per andare a Roma, dove si recano per una supplenza anche solo giornaliera», conclude Gallo.