J. Tweet e K. Lewis, Mia nonna era un Pesce

Jonathan Tweet e Karen Lewis
Mia nonna era un Pesce
– Il mio primo libro sull’evoluzione –

In occasione del Darwin Day, che il 12 febbraio celebra la nascita di Charles Darwin, il Centro Studi Erickson presenta: Mia nonna era un Pesce di Jonathan Tweet, il primo albo illustrato sull’evoluzione spiegata ai bambini, con un’introduzione di Telmo Pievani. Da sempre le Edizioni Erickson vogliono stimolare la curiosità dei bambini verso l’apprendimento, avvicinandoli, con semplicità e chiarezza, alla scienza (e non solo!).

Da dove veniamo? È una domanda che ci siamo posti tutti, soprattutto da piccoli. Adesso, da grandi, sapremo spiegarla ai bambini? Da oggi non dobbiamo più preoccuparci di trovare le parole giuste, Jonathan Tweet le ha trovate per noi. Stimolando immaginazione e curiosità, Nonna Pesce porta piccoli e grandi dentro l’affascinante storia della vita sul nostro pianeta, spiegando come siamo connessi a tutti gli altri organismi viventi nel grande “Albero della vita”. Colori brillanti e disegni vivaci accompagnano la lettura, rendendo tutto più avvincente.

È vero che discendiamo dalle scimmie? È vero che l’evoluzione culmina con la razza umana? È vero che i pesci si evolvono in rettili e i rettili in mammiferi? È vero che tutti i rettili depongono le uova?

Il libro è corredato da un prontuario che riporta gli errori più comuni in cui rischiamo di imbatterci parlando di evoluzione. La teoria di Darwin non è mai stata così semplice!

Mia nonna era un Pesce è marchiato STEM, acronimo inglese di Scienza-Tecnologia-Ingegneria-Matematica che indica storie e narrazioni che mirano a suscitare la curiosità verso il mondo della scienza. Libri pensati per giovani lettrici e giovani lettori che non temono di sperimentare, inventare, provare.

Jonathan Tweet, game designer da oltre 25 anni. Mia nonna era un pesce è il suo primo libro per bambini.

Karen Lewis, vive a Seattle ed è un’illustratrice di libri per l’infanzia.

Pagine: 44 a colori – più poster
Prezzo: 13,50 €
Autore: Jonathan Tweet
Illustratrice: Karen Lewis
Età: 4+

https://youtu.be/uMwDyKvkHkk

Quale Dirigenza nella Scuola dell’autonomia?

Quale Dirigenza nella Scuola dell’autonomia?
Tavola rotonda all’Università con la prof.ssa Tomarchio

di Giuseppe Adernò

 

 

La funzione del dirigente nella scuola di oggi  intreccia responsabilità amministrative e di “datore di lavoro” senza esserlo, e la dimensione educativa che sollecita ascolto, attenzione, dialogo e positiva relazione all’interno della comunità scolastica.

Questi sono stati gli argomenti trattati nel seminario di studio, promosso dal dipartimento di Scienze della formazione dell’Università di Catania, con la guida della Prof.ssa Marinella Tomarchio.

In un’affollatissima aula di studenti e docenti che si preparano al concorso per dirigenti si sono alternati i relatori che hanno presentato il modello organizzativo dell’Educational Leadership negli USA (prof. Christopher Tienken) e la dimensione della leadership distribuita che impegna il dirigente scolastico nel dare identità e autonomia alla scuola che dirige.

La ricerca del prof. Giambattista Bufalino ha, infatti, aperto un ventaglio di considerazioni che presentano nuove prospettive per la dirigenza nella scuola dell’autonomia che la Legge 107 prefigura, in un disegno non ancora ben delineato.

Al centro del sistema resta sempre la scuola, gli studenti che crescono, apprendono, acquisiscono e sviluppano nuove competenze e si preparano ad essere “cittadini” e “lavoratori”.

I molteplici compiti del dirigente che vanno dall’organizzazione degli spazi, al clima di accoglienza e di relazione, dalle complesse norme della sicurezza, alla gestione amministrativa delle risorse, lo rendono quasi un “equilibrista “ si diventa a volte anche “eroe” nel sapere intrecciare e collegare le molteplici dimensioni connesse con il ruolo e la funzione dirigenziale che si connota per lo stile efficace ed efficiente che rendono “la scuola, un corpo vivo, presidio di democrazia e di partecipazione” come ha affermato la prof.ssa Tomarchio.

Leader non si nasce, ma si diventa, e già la professione docente ha tutte le caratteristiche per formare la “teacher leadership” che qualifica il compito del docente educatore, che si prende cura dei suoi alunni, li guida, li accompagna, li stimola e, sapendo “ guardare tutti e osservare ciascuno” diventa artefice di una costruttiva relazione educativa, garanzia per un vero “successo formativo” e per un apprendimento efficace.

Nella tavola rotonda si sono intrecciati in maniera armonica gli interventi dei proff. Gaetano Bonetta, Cristiano Corsini, Roberta Piazza e Raffaella Strongoli .

La centralità pedagogica della scuola assegna alla leadership dirigenziale una specifica connotazione di “leader educativo” che, come disegnato dalla commissione europea deve possedere: coraggio, ottimismo, realismo, coerenza, impegno, capacità di gestire le risorse e risolvere i problemi e tanto “appetito di apprendimento”.

Utilizzando le metafore che corredano la presentazione della leadership all’immagine del castello che prevede un principe, un capitano, un esercito di soldati, degli ordini da eseguire, si contrappone quella dell’orchestra che rende i musicisti attori e protagonisti, il direttore svolge la funzione di coordinamento ed è bello vedere anche “orchestre senza direttore” e la responsabilità diffusa tra i partecipanti diventa garanzia di successo.

Creare e sentirsi “azionisti” nell’impresa educativa della scuola costituisce l’impegno primario del dirigente che guida una comunità scolastica, complessa e variegata, dove i ruoli di ciascun componente hanno sempre una connotazione educativa e si ricerca il miglior bene dello studente che “cresce, diventa uomo, apre i suoi occhi al vero e scopre la dimensione dei valori”.

Baby gang

“Figli organizzati in baby gang e genitori dall’altra, talvolta logorati dalla povertà oppure gaudenti e distratti, mentre la scuola soccombe senza una pedagogia emendativa.”

di Gennaro Iasevoli

 

Prima il bullismo, ora le baby gang e di questo passo vedremo anche il completamento del percorso criminale. Molti ragazzi trascorrono un’infanzia di strada e poi finiscono direttamente nei reclusori, by-passando buona parte della vita scolastica, eludendo le sue esperienze, le sue conoscenze, i suoi ricordi e le sue prospettive.

Un quadro spiacevole ma vero e attuale, che non sorprende la comunità ed è già sul tavolo degli studiosi e degli Organi Istituzionali, al fine di trovare il modo di rallentare il fenomeno criminoso che ora comincia a produrre anche terrore nei genitori e soprattutto nei ragazzi più miti ed educati. Tanti ragazzi e giovani, da tempo, hanno preso l’abitudine di passare la sera e la notte fuori casa con la piena approvazione dei genitori od anche con un consenso-assenso ove la situazione familiare è un po’ carente per indigenza o per un eccessivo allargamento e promiscuità della convivenza.

La scuola italiana dopo tante discussioni istituzionali e metodologiche ha trovato, 40 anni addietro, negli anni ‘70, un proprio assetto pedagogico che prevede un piano di offerta formativa concordato tra scuola-famiglia che viene attuato dagli insegnanti e vagliato a tappe insieme con la famiglia, ma, a ben riflettere, ci riferiamo alla famiglia del secolo scorso!

La scuola italiana, imperniata sugli organi collegiali, promette quindi il raggiungimento degli obiettivi formativi ed educativi mediante l’apporto della famiglia che oggi per alcuni cambiamenti strutturali è diventato incostante, se non assente. Oggi le famiglie sono aperte, “a trama larga”, temporanee, inconsistenti o super-affollate da fratellastri, compagni e compagne della mamma e del padre. Viene a mancare l’assidua collaborazione della famiglia e quindi manca la piena collegialità: tutta la programmazione è soccombente. Ma la soluzione ci sarebbe dotando la scuola di strumenti e metodi cosiddetti “emendativi” già studiati dall’antichità ed applicati in varie epoche ai ragazzi senza famiglia. I ragazzi “scaricati dalle famiglie” ci sono sempre stati, ma nelle Scuole convitto di Giovanni Bosco e di Ovidio Decroly, con la pedagogia emendativa venivano educati alla perfezione e davano esempio di buona condotta. La spiegazione in parole semplici è questa: il ragazzo nasce buono, ma per natura fa tutte le cose che gli piacciono e che lo distraggono e commette anche i crimini organizzandosi in baby gang, senza rendersene conto, fin quando il danno provocato gli viene spiegato, o gli viene impedito con una punizione adeguata pedagogicamente. Consideriamo poi che, se oggi per gli adulti che delinquono è prevista la riabilitazione presso i servizi sociali, perché non proporre anche ai più piccoli – che attualmente sono impunibili – una possibilità di emendare gli errori attraverso un graduale percorso emendativo di riabilitazione, non necessariamente punitivo, ma efficacemente dissuasivo, che impedisca il ripetersi sistematico dell’errore?. A proposito di San Giovanni Bosco, che con la “pedagogia emendativa”, tolse dalla strada tanti ragazzi deviati, ci sarebbe molto da apprendere studiando i suoi metodi, oggi ritornati di piena attualità. Così pure da Ovidio Decroly bisognerebbe riprendere esempio e rivisitare l’importanza di una metodologia scolastica applicata fino agli anni settanta ed oggi quasi del tutto abbandonata, per far posto al libero pragmatismo della multimedialità, non ancora prioritariamente ancorata ai principi all’umanesimo. La stessa condivisione multimediale effettuata dai ragazzi deviati delle baby gang, esercitata anche sui social, ha come obiettivo la diffusione, per accrescere la sola notorietà personale, che in psicologia si interpreta come ipertrofia dell’io, ma non è finalizzata alla solidarietà umana: le baby gang non rispettano i principi umanitari della convivenza civile.

Gli studenti italiani preferiscono i licei ma i tecnici migliorano

da Il Sole 24 Ore

Gli studenti italiani preferiscono i licei ma i tecnici migliorano

di Eugenio Bruno

Agli studenti italiani continua a piacere il liceo. La conferma giunge dai numeri sulle iscrizioni al prossimo anno scolastico. Ha scelto un indirizzo liceale il 55,3% dei ragazzi e delle ragazze che a settembre frequenteranno la prima superiore. Con una predilezione per lo scientifico: 25,6%, quattro volte il classico. Ma una buona notizia arriva anche dagli istituti tecnici che registrano un “rimbalzo”. Seppure mini: dal 30,3% al 30,7 per cento. Male i professionali che, nonostante la riforma appena varata, scendo al 14 per cento. Ma la ministra Valeria Fedeli non si arrende ed è convinta che già tra 12 mesi saranno il laboratori del Made in Italy.

I numeri complessivi
Le famiglie italiane dimostrano di avere sempre più dimestichezza con le iscrizioni online. Che si sono chiuse ieri sera alle 20.00 e hanno riguardato 1.455.850 studentesse e studenti dalla primaria alla secondaria di secondo grado. Esclusa solo l’infanzia per cui anche quest’anno la domanda era cartacea.
Il 71,8% degli utenti è riuscito a fare da sé, utilizzando la procedura web senza chiedere l’ausilio delle scuole. Un anno fa erano il 69 per cento.

Le scelte dei ragazzi
Per il quinto anno consecutivo i licei convincono più di un iscritto su due. Arrivando stavolta a quota 55,3% contro il 54,6% delle scelte per il 2017/18 . Lo scientifico (tra indirizzo tradizionale, scienze applicate e sezione sportiva) si conferma in testa alle preferenze: lo sceglie il 25,6% delle studentesse e degli studenti. Erano il 25,1% lo scorso anno. Aumenta anche quest’anno la percentuale di iscritti al Classico: sono il 6,7%, rispetto al 6,6% dell’anno scorso
In lieve aumento le preferenze per il Liceo linguistico (dal 9,2% al 9,3%). Lieve calo per l’artistico (dal 4,2% dell’anno scorso al 4,1% di oggi) e per il liceo europeo/internazionale (dallo 0,7 all0 0,5%). Cresce anche il liceo delle scienze umane cresce: lo sceglie l’8,2% rispetto al 7,9% dell’anno scorso. Licei musicali e coreutici ancora sotto l’1 per cento:i primi sono fermi allo 0,8%, i secondi allo 0,1.

Incremento per i Tecnici, lieve flessione per i Professionali
Dai tecnici arriva il primo segnale di risveglio. Si passa, come detto, dal 30,3 al 30,7 per cento. Il settore economico è all’11,4% (l’anno scorso era all’11,2%); il tecnologico, con i suoi indirizzi, continua ad attrarre maggiormente, con il 19,3% delle scelte (il 19% lo scorso anno). Diminuisce invece l’appeal dei professionali. Che passa, nonostante il recente riordino, dal 15,1 al 14 per cento. Ma la ministra Fedeli è convinta che gli effetti delle novità si sentiranno l’anno prossimo: «Siamo convinti che l’eliminazione della sovrapposizione con alcuni indirizzi tecnici e la maggiore aderenza dei percorsi offerti con la tradizione del Made In Italy e le peculiarità dei territori potrà fare dei professionali laboratori di innovazione, rilanciandoli definitivamente».

Licei al top nel Lazio, tecnici in Veneto
Anche quest’anno il Lazio si conferma la regione con la maggiore percentuale di iscritti ai Licei, con il 68,1%. Seguono Abruzzo(60,8%), Campania (59,8%), Umbria (59,5%), Sicilia (59%). Il Veneto si conferma la regione con meno ragazzi che scelgono gli indirizzi liceali (46%) e la prima nella scelta dei tecnici (39,2%). Davanti a Friuli Venezia Giulia (37,7%) ed Emilia Romagna (36,2%). Il territorio con la più alta percentuale di iscritti negli istituti professionali è infine la Basilicata (16,8%), seguita da Emilia Romagna (16,6%), Campania e Puglia (15,9%).

Bonus mobili, lavori in condominio, fondi pensione: i nuovi dati nel 730

da Il Sole 24 Ore

Bonus mobili, lavori in condominio, fondi pensione: i nuovi dati nel 730

di Giovanni Parente

Più dati e più precisi. La dichiarazione dei redditi precompilata si avvia a spegnere le tre candeline nel 2018 con un nuovo pacchetto di informazioni maggiormente dettagliato rispetto agli anni precedenti. A partire dal bonus mobili, passando per la cessione del credito per i lavori di ristrutturazione o di risparmio energetico su parti comuni degli edifici condominiali fino ad arrivare alle pensioni complementari e ai rimborsi di spese mediche. È l’effetto dell’aggiornamento delle modalità di trasmissione delle informazioni messo a punto dall’agenzia delle Entrate. A questo obiettivo di una maggiore completezza delle comunicazioni, si aggiungono poi per la prima volta: le spese sostenute per l’iscrizione e la frequenza di asili nido e le erogazioni liberali che saranno comunicate dagli enti del Terzo settore ma solo in via facoltativa (non c’è un obbligo, quindi). Vediamo meglio nel dettaglio.

Asili nido

Accanto a queste novità di dettaglio, ne arrivano altre più sostanziali. Con la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» del decreto del ministero dell’Economia , diventa pienamente operativa la nuova comunicazione sugli asili nido. Così entro il prossimo 28 febbraio le strutture interessate dovranno trasmettere all’Anagrafe tributaria i dati relativi alle spese sostenute nell’anno precedente dai genitori, con riferimento a ciascun figlio iscritto all’asilo nido, per il pagamento di rette relative alla frequenza dell’asilo nido e di rette per i servizi formativi infantili. Si tratta di un mondo che conta, secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istat aggiornati all’anno educativo 2014/2015, 13.262 strutture mentre i bambini iscritti negli asili nido e nei servizi integrativi per la prima infanzia comunali o privati convenzionati sono stati 197.328.

La detrazione del 19% spetta per le spese sostenute dai genitori per pagare le rette relative alla frequenza di asili nido – pubblici o privati – per un importo complessivamente non superiore a 632 euro annui per ogni figlio fiscalmente a carico. Ma fiscale è incompatibile con il bonus asili nido che viene erogato dall’Inps: quindi chi ha scelto quest’ultimo non può sfruttare lo sconto fiscale in dichiarazione dei redditi.

L’acquisto di mobili con bonifico

Per distinguere meglio e quindi avere un dato più preciso precaricato nel modello 730 – o almeno nel foglio informativo che accompagna la precompilata – è stata prevista una causale a parte nella comunicazione a carico degli intermediari bancari per mobili e arredi pagati con bonifico per i quali si ha diritto alla detrazione fiscale del 50% qualora, però, siano stati effettuati lavori di ristrutturazione che danno diritto sempre allo sconto Irpef.

La cessione del credito per lavori condominiali
Altra informazione aggiuntiva che potrebbe conoscere la precompilata 2018 è quella se il contribuente ha deciso di avvalersi della cessione del credito che gli spettava per le spese di ristrutturazione o di risparmio energetico su parti comuni di lavori condominiali. Anche in questo caso con l’aggiornamento delle regole di trasmissione, a carico degli amministratori di condominio, il dato dovrebbe essere distinto e quindi il Fisco potrebbe tenerne conto nell’elaborazione della precompilata.

Pensioni integrative e rimborsi sanitari
Anche su pensioni integrative e rimborsi sanitari l’obiettivo è arrivare a dati più precisi. Sul primo fronte, debutta l’obbligo di comunicare da parte degli operatori del settore anche il dato relativo al codice fiscale del contribuente che ha sostenuto la spesa, se diverso dalla persona iscritta alla forma di previdenza complementare. Sul secondo fronte, invece, arriva anche l’informazione dei contributi detraibili, anziché quelli deducibili, ricevuti dai soggetti che erogano rimborsi delle spese sanitarie.

Le donazioni al Terzo settore

Altra novità di rilievo è rappresentata dalla possibile presenza nella dichiarazione precompilata delle erogazioni liberali al Terzo settore che danno diritto a deduzioni e detrazioni. Possibile perché per ora la comunicazione è solo facoltativa e quindi non si applicano sanzioni (si vedrà in futuro se la sperimentalità potrà essere superata o meno). I soggetti del non profit comunicheranno entro il 28 febbraio l’ammontare delle erogazioni liberali effettuate l’anno precedente tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento tracciabili, con l’indicazione dei dati identificativi dei soggetti eroganti. Questo, di fatto, rappresenta una limitazione per evitare di gravare con un ulteriore adempimento anche piccoli soggetti per donazioni di importo ridotto e quindi scarsamente significativo per la dichiarazione precompilata.

Normale anormalità

Normale anormalità

di Vincenzo Andraous

 

Si spara, si accoltella, si aggredisce, senza fare una piega, nella più desolante normalità. Una vera e propria a-normalità, ben vestita di giustificazioni, di attenuanti, di indifferenza ubriaca di falso moralismo, di buonismo venduto al miglior offerente.

Un giovane, un adolescente, a pochi passi da un’adultità purtroppo disacerbata, taglia la faccia a una insegnante, a una donna, alla propria docente, le affetta una guancia con la lama di un coltello.

In questa nuova puntata sul bullismo, ma che bullismo proprio non è, tutt’altro, la comunicazione permane un soggetto privato del complemento oggetto, l’informazione costantemente manipolata dalle suggestioni, piuttosto che dalle spiegazioni oggettivamente riscontrabili.

Diciassette anni non sono proprio pochi, non sono proprio anni ciechi, neppure anni irrisolti, neanche somigliano ai tredici anni domiciliati al rifiuto delle regole.

Diciassette anni hanno prossimità con la maggiore età.

Colpisce e tramortisce la “normalità” con cui il colpevole, l’imputato reo confesso, defenestrato del suo piedistallo dalla platea non più plaudente, venga fermato, condotto in caserma, accompagnato in una comunità di recupero.

Indipendentemente dalle varie scuole di pensiero, dalle psicologie più o meno astruse, dalle didattiche mordi e fuggi, rimane il fatto, che quell’adolescente si recava a scuola, in classe, insieme ai coetanei ignari ( si spera ) con un serramanico in tasca, come si trattasse di un astuccio porta matite, oppure una medaglietta ben appuntata sul petto.

Non mi pare a onor del vero che girare armati sia sinonimo delle solite ragazzate, del tram tram obsoleto del così fan tutti, anche peggio, sono soltanto menate che da sempre coinvolgono i più giovani.

No, non è così, in ogni tempo, luogo, questo tipo di comportamento-atteggiamento è dichiaratamente un devianza, una permanenza residenziale-delinquenziale, per cui addolcire la pillola significherebbe arrendersi, non mettersi a mezzo, di traverso, affinché ciò non solo non accada più, ma soprattutto ne venga compresa la gravità del gesto.

Colpire una docente in volto, sfregiandola con 33 punti di sutura, significa non essere un bullo, un famoso per forza, un maledetto per vocazione, piuttosto si tratta di una fascinazione delinquenziale.

Bullismo è un disagio relazionale, non è ancora un accadimento criminale, in questo caso si tratta di delirio di onnipotenza, di uso e abuso di intolleranza culturale, al di là del disturbo di personalità che verrà diagnosticato.

L’atto di forza o miserabile debolezza che dir si voglia, dimostrato dallo studente, impugnando quel serramanico, non è la studiata scientificamente reazione adolescenziale a un richiamo ricevuto, ma la sub-cultura del ferro, del fuoco, della botta che annichilisce, il brodo culturale dell’io vinco e tu perdi non si fanno prigionieri.

Nel carcere per minori ci sono ragazzetti detenuti per spaccio, per rapina, per furto, per violenze sulle cose e sulle persone, infatti il carcere c’è, esiste, perché ha, o dovrebbe possedere ruolo, scopo, utilità, non soltanto equivoche sintesi a non farvi entrare i più giovani, in quanto non ancora criminali,

Ho la sensazione che criminali si diventa apprendendo la locazione dell’uscita di emergenza, la possibilità dello scarto di lato, dell’attenuante prevalente alla aggravante.

Quanto accaduto in quella scuola ancora una volta si farà beffe della giustizia, in nome di una comprensione educativa che nulla ha a che fare con l’educazione alla legalità, l’educazione al rispetto delle regole, il rispetto per se stessi e degli altri, soprattutto degli innocenti.

La scuola è autorevole quando il suo educare non contempla soltanto la trasmissione delle nozioni, ma il valore della conoscenza, la traducibilità di qualcosa che appare incomprensibile, come ad esempio il dazio da pagare quando si commettono atti di una gravità eccezionale, dazi da pagare per apprendere il rispetto della vita umana.

Contro il cyberbullismo lezioni di Web fin dalla scuola primaria

da Il Sole 24 Ore

Contro il cyberbullismo lezioni di Web fin dalla scuola primaria

di Alessia Tripodi

Formare i ragazzi a un uso consapevole e responsabile di Internet a partire dal primo anno della scuola primaria fino all’ultimo della superiore. Per aiutarli a comprendere i rischi del bullismo in rete e a distinguere le “fake news” da ciò che è autentico. È uno degli approcci più efficaci contro la violenza e le molestie in rete secondo Anna Maria Giannini, docente di Psicologia all’università Sapienza di Roma e autrice di una ricerca sul cyberbullismo tra i 14-19enni italiani realizzata con la Polizia Postale e con il Moige. «I ragazzi non si rendono conto dell’azione devastante delle molestie online» spiega Giannini, che all’indomani del Safer Internet Day celebrato ieri in tutto il mondo, traccia anche una sorta di “decalogo” anti cyberbullismo rivolto ai giovani, alle famiglie e agli insegnanti.

Violenza sui social? In certi casi è «giustificabile»
La ricerca, svolta su una campione di oltre 1.300 adolescenti in 18 città italiane, svela che più del 93,5% dei ragazzi possiede uno smartphone, con il quale condivide soprattutto video e messaggi, nella maggior parte dei casi sui social (Facebook, Twitter e Instagram). Messi di fronte alla storia (autentica, fornita dalla giustizia minorile) di una 16enne che – scoperto il tradimento del suo fidanzato – ha creato un profilo falso sui social per inviare minacce e insulti al ragazzo e ai suoi amici, i giovani intervistati ritengono «giustificabile» il comportamento della ragazza tradita e più del 16% pensa che la vittima farebbe bene a vendicarsi. «I giovani intervistati – spiega la professoressa Giannini – evidenziano un meccanismo di funzionamento a “doppio sistema”: conoscono le regole, conoscono le “tecnicalità” , ma usano un “meccanismo giustificatorio” quando la deriva comportamentale li tocca da vicino».

Millennials analfabeti emotivi
Secondo la psicologa, lo smartphone (così come lo schermo di un computer) viene vissuto dai ragazzi come un vero e proprio diaframma tra la realtà vissuta e quella virtuale, un velo che «abbassa l’empatia con la vittima, della quale non riconoscono il dolore» dice Giannini, e questo «aumenta il processo di deumanizzazione, il disimpegno morale». Ragazzi molto esperti dal punto di vista strettamente tecnico, dunque, ma «analfabeti emotivi della rete – aggiunge la professoressa – e ignari delle regole, visto che nella maggior parte dei casi pensano che il materiale messo on line venga visto solo da poche persone».

Lotta al bullismo online: le istruzioni
Per prevenire e combattere il cyberbullismo è essenziale la formazione all’uso della Rete sin dalle elementari, come si è detto, ma anche «l’alfabetizzazione emotiva per i ragazzi, che – spiega Giannini – debbono sapersi mettere nei panni degli altri, capire cosa provano e dare valore alle proprie azioni, comprese le parole». Ai genitori, poi, Giannini raccomanda «una maggiore presenza nella vita dei figli, non tanto come controllori di quello che fanno sul Web, ma piuttosto un dialogo costante per diventare punto di riferimento in caso di bisogno». Ma anche «attenzione a ogni variazione significativa nel comportamento dei ragazzi, che è spesso il segnale di allarme di qualcosa che non va». Non ultimo, infine, per tutti raccomanda il capovolgimento della rappresentazione del “bullo”, che non è forte come vuole apparire, ma in realtà «è fragile e vigliacco», afferma Giannini.

Ma il solo modo per imparare è confrontarsi con la diversità

da la Repubblica

Ma il solo modo per imparare è confrontarsi con la diversità

Michela Marzano

Niente neri, niente handicappati, niente nomadi, la lista potrebbe essere lunga, lunghissima, e via via includere tra gli “scarti” chiunque, con la propria alterità, possa rimettere in discussione l’identità italiana. È più o meno così che alcuni licei del nostro Paese vantano i propri pregi e si fanno pubblicità. Quasi tutti gli studenti sono di «nazionalità italiana» e nessuno è «diversamente abile», recita la presentazione di un celebre liceo romano. Subito dopo aver ricordato la propria «fama» e il proprio «prestigio». Come se ci fosse un legame di causa-effetto tra il colore della pelle e la fama, il prestigio e l’assenza di handicap — che poi sarebbe interessante capire come viene valutato il livello di abilità: li si mette tutti in fila, questi alunni, e li si fa correre, leggere, parlare, mangiare? È più o meno abile una ragazzina anoressica o bulimica? Spesso sono le più brave della classe, ma stando al Dsm, il manuale diagnostico dei disturbi mentali, anche loro, in fondo, dovrebbero essere considerate diversamente abili, e non ammesse, quindi, in un liceo così prestigioso. Come se l’apprendimento fosse ostacolato dalle “differenze”, e la parola d’ordine della contemporaneità fosse l’esclusione di tutti coloro che potrebbero contaminare la purezza della stirpe.

Dev’essere lo spirito dei tempi, ormai malato di conformismo, ad aver ispirato presidi, insegnanti, direttori o chiunque abbia ideato questi spot per attirare genitori creduloni, e illuderli che il «processo di apprendimento» possa veramente essere favorito dal “tra di noi”. Anche se poi, in quel “tra di noi”, rischia di non esserci quasi nessuno, e chi immagina che il proprio pargolo sia esente da ogni sorta di handicap di strada da fare per capire l’esistenza ne ha ancora molta. Non solo, infatti, ognuno di noi è “diversamente abile” rispetto a chiunque altro: diverso, unico, speciale, sempre e comunque “altro” rispetto alle aspettative altrui, “altro” pure rispetto a quello che vorrebbe essere. Ma anche l’apprendimento è favorito dall’incontro con le differenze: per imparare veramente c’è bisogno di uscire dal “tra di noi” e aprirsi alle mille sfumature della vita; anche solo perché sono le differenze che ci insegnano a comporre il puzzle complesso della realtà, a superare gli ostacoli, a immaginare soluzioni alternative quando quelle più scontate falliscono.

Certo, molti genitori cercano oggi di rassicurarsi: preferiscono immaginare che i propri figli crescano al riparo dalle difficoltà e non si mescolino con gli “altri”. Ma apprendere significa confrontarsi con le cose vere della vita, e le cose vere della vita, come scriveva Oscar Wilde, si incontrano. A cominciare dalla scuola, appunto, quando si incontra un ragazzo nero o una ragazza in sedia a rotelle, un compagno sordo-cieco o una compagna con disturbi del comportamento alimentare, tanto nessuno ha tutto e nessuno è tutto. La scuola dell’inclusione forse non è più di moda. Peccato.

Inutile, però, stupirsi poi del successo popolare del killer di Macerata.

“ Qui niente poveri né disabili” Le pubblicità classiste dei licei

da la Repubblica

“ Qui niente poveri né disabili” Le pubblicità classiste dei licei

E nelle presentazioni sul sito del Miur c’è chi parla di “difficile convivenza” tra ricchi e figli dei portinai

Corrado Zunino

La prosa con cui alcune scuole del Paese, spesso i licei più prestigiosi e selettivi, si sono offerte alle famiglie per attrarre l’iscrizione dei loro figli è da censura. Nell’ansia di far apparire un istituto privo di problemi, pronto a fornire la migliore didattica senza impacci con gli adolescenti stranieri o i ragazzi bisognosi di sostegno, i dirigenti scolastici hanno licenziato rapporti di autovalutazione classisti. È tutto visibile sul sito del ministero dell’Istruzione, “Scuola in chiaro”. Oltre ai numeri degli studenti presenti e alle informazioni sui percorsi di studio, ogni scuola ha offerto una valutazione di sé. Basata su parametri offerti dal ministero, ma restituita con una propria anima.

L’Ennio Quirino Visconti così si è raccontato: « L’essere il liceo classico più antico di Roma conferisce alla scuola fama e prestigio consolidati, molti personaggi illustri sono stati alunni » . L’illustrazione orgogliosa si addentra nei primi dettagli di censo: « Le famiglie che scelgono il liceo sono di estrazione medio- alto borghese, per lo più residenti in centro, ma anche provenienti da quartieri diversi, richiamati dalla fama del liceo». Fin qui, un dato di fatto. « Tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile » . La percentuale di alunni svantaggiati «per condizione familiare è pressoché inesistente » , mentre «si riscontra un leggero incremento dei casi di Dsa». Sono i Disturbi specifici di apprendimento. Il finale è una conclusione che spiazza: «Tutto ciò», e si intende la quasi assenza di stranieri e la totale assenza di poveri, « favorisce il processo di apprendimento » . Il buon apprendimento dei figli della buona borghesia di Roma Centro.

Al Visconti, « dove la maggior parte delle risorse economiche proviene dai privati, in primis le famiglie » , dove la presidente della Camera Laura Boldrini ha tenuto lezioni sulle fake news,la “ quota studenti con cittadinanza non italiana” è pari allo 0,75 per cento del totale. Lo dicono le tabelle. Solo che lo 0,75 per cento di 669 studenti non fa «un paio», ma cinque. E la quota di iscritti con «famiglie svantaggiate » è dello 0,8 per cento, un po’ più di «pressoché inesistente». Ecco, se si esce dalla pagina vetrina, quella che serve a far propaganda e richiamare iscrizioni, si scopre che i numeri del Visconti su stranieri e poveri sono più alti.

Anche l’intro dell’autovalutazione del liceo D’Oria di Genova, prestigioso e tradizionale classico, offre una presentazione di sé che accarezza l’idea per cui “ poveri e disagiati costituiscono un problema didattico”. Ecco cosa c’è scritto nel Rav: « Il contesto socio- economico e culturale complessivamente di medio- alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale ( come, ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia, nonché all’analisi delle specifiche esigenze formative nell’ottica di una didattica davvero personalizzata » . Senza altre questioni da affrontare, sembra di capire, ci possiamo dedicare ai limitati e ricchi studenti indigeni. Infatti: «Il contributo economico delle famiglie sostiene adeguatamente l’ampliamento dell’offerta formativa».

Il Parini di Milano, altro classico storico, anche questo statale, illustra nella presentazione: « Gli studenti del liceo classico in genere hanno, per tradizione, una provenienza sociale più elevata rispetto alla media. Questo è particolarmente avvertito nella nostra scuola. A partire da tale situazione favorevole, la scuola ha il compito ( obbligo) di contribuire a elevare il livello culturale dei suoi allievi » . La dirigente scolastica del Parini, non a caso, ammette «qualche criticità nelle attività di inclusione».

È un classico parificato, però, ad utilizzare il linguaggio più esplicito sul tema. Il Giuliana Falconieri, Roma Parioli. Così la sua autovalutazione: « Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana. La spiccata omogeneità socio- economica e territoriale dell’utenza facilita l’interazione sociale ». Ci si parla solo tra pari grado, e poi: «Non sono presenti né studenti nomadi né provenienti da zone particolarmente svantaggiate » . In questa scuola, tuttavia, c’è una questione particolare: « Negli anni sono stati iscritti figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere. Data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi».

Clara Rech, preside del Visconti di Roma, autrice di una delle autovalutazioni da censura, dice: «Il numero di battute a disposizione era limitato e pago un eccesso di sintesi. Rettificherò quel passaggio. Sono stata onesta nel rappresentare un dato oggettivo: al Visconti ci sono pochi studenti stranieri e non abbiamo disabili. Volevo dire che la didattica ordinaria, così, è più semplice: recuperare l’italiano di uno straniero chiede risorse e tempo. Credo che tutti gli studenti, ricchi e poveri, debbano crescere insieme e credo nella multiculturalità ».

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da La Tecnica della Scuola

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Bonus merito, i criteri di assegnazione devono essere pubblici

da La Tecnica della Scuola

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da La Tecnica della Scuola

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Emergenza educativa e il ruolo del prof-maestro

da La Tecnica della Scuola

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Minori stranieri, inversione di tendenza: sempre più quelli che lasciano l’Italia (e i nostri banchi di scuola)

da Tuttoscuola

Minori stranieri, inversione di tendenza: sempre più quelli che lasciano l’Italia (e i nostri banchi di scuola)

Forse sarà per la crisi economica, forse per effetto delle tensioni xenofobe. Fatto sta che, mentre si accende la polemica elettorale sugli stranieri clandestini che alcuni partiti intendono rispedire al Paese d’origine, sta emergendo tra gli stranieri regolari residenti in Italia una tendenza imprevista, destinata forse ad acuirsi: molti di loro stanno lasciando il nostro Paese.

I dati da cui si può rilevare questa tendenza sono quelli ufficiali che l’Istat pubblica periodicamente in riferimento alla popolazione straniera intesa come popolazione residente con cittadinanza non italiana. È quello che ha fatto Tuttoscuola che ha esaminato il fenomeno relativamente ai minori stranieri (da 0 a 17 anni) residenti sul territorio nazionale e ha elaborato i dati scoprendo che, mettendo a confronto le singole annate, in un solo anno, dal 2015 al 2016, non risulta più residente in Italia il 5% dei minori rilevati. Infatti i minori stranieri residenti erano 1.020.111 nel 2015, ma sono risultati 970.491 l’anno dopo, con un calo di 49.620 unità (-5%).

Per la precisione, i minori stranieri che hanno lasciato il nostro Paese da un anno all’altro sono stati 51.740 (tutti residenti al Nord e al Centro Italia), bilanciati in parte da 2.120 minori arrivati per la prima volta al Sud e nelle Isole, con un risultato finale, appunto, di 49.620 unità in meno.

Va detto, tuttavia, che l’inversione della tendenza migratoria dagli ingressi alle uscite, era cominciata pochi anni prima, come si può rilevare dai dati Istat.

Nota 8 febbraio 2018, AOODGSIP 684

Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione
Ufficio II
“Welfare dello Studente, partecipazione scolastica, dispersione e orientamento”

agli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI
all’Intendenza Scolastica per la
Lingua Italiana di
BOLZANO
all’Intendenza Scolastica per la
Lingua Tedesca di
BOLZANO
all’Intendenza Scolastica per la
Lingua Ladina di
BOLZANO
alla Provincia di Trento Servizio Istruzione
TRENTO
alla Sovrintendenza Agli Studi per la
Regione Autonoma della Valle D’Aosta
AOSTA
e. p.c.
alle Istituzioni Scolastiche
di ogni ordine e grado
LORO SEDI
ai Referenti Regionali dei Presidenti
delle Consulte Studentesche Provinciali
LORO SEDI
ai Forum regionali
delle associazione dei genitori
LORO SEDI
al Forum Nazionale delle
Associazioni Studentesche
SEDE

Nota 8 febbraio 2018, AOODGSIP 684

Oggetto: Giorno del Ricordo – 10 febbraio 2018