Un contratto elettorale

Come i ladri di Pisa i sindacati di Palazzo firmano di notte un miserabile contratto elettorale.. e la mattina fingono di litigare

Docenti ed ATA rispondano subito partecipando in massa allo sciopero generale del 23 febbraio e alla manifestazione nazionale a Roma (MIUR, ore 9.30)

Ci scuseranno i pisani/e se usiamo questo riferimento popolare ai “ladri di Pisa” di cui si dice che rubassero di notte insieme e poi di giorno fingessero di litigare. Però è l’immagine che ci è venuta subito in mente di fronte alla farsa ignobile messa in scena da sindacati che, dopo aver affermato che le trattative per il contratto non erano manco cominciate, le hanno poi chiuse di notte in una dozzina di ore; salvo poi, la mattina, farci assistere al “lamento” di una parte di essi per l’eccesso di fretta dell’operazione. Che però nella sua brutale essenzialità è maledettamente chiara: è stato firmato un miserabile contratto elettorale che serve al governo per cercare di raccattare qualche voto in più alle elezioni Politiche e ai sindacati di Palazzo per salvare la faccia in quelle RSU. Fermo restando che dovremo leggere tra le righe di un contratto di 176 pagine, le richieste più rognose del governo (80 ore di extra-cattedra obbligatorie ove infilare di tutto; attività di “potenziamento” e organizzative a totale discrezione dei presidi, così come l’attività di tutoraggio per l’Alternanza scuola-lavoro, formazione obbligatoria non pagata e fuori orario di servizio, nel codice disciplinare nuove “voci” per la sospensione dal servizio e dallo stipendio comminata dal preside), non sono state respinte ma solo, sembrerebbe, rinviate alla fase post-elettorale. E nel contempo pesa come un macigno l’ignobile “mancetta” economica su cui lorsignori si sono accordati e che dimostra l’assoluto disprezzo che Palazzo e sindacati di Palazzo nutrono per docenti ed ATA, ritenuti così sottomessi da dover ringraziare persino per un “aumento” medio netto mensile di 45 euro per gli ATA e di 50 per i docenti, dopo che in dieci anni di blocco contrattuale la categoria ha perso almeno il 20% del proprio salario, cioè alcune decine di migliaia di euro; e dopo che i carichi di lavoro e le responsabilità per docenti ed ATA si sono almeno raddoppiate.

L’intollerabilità di questo umiliante affronto è resa ulteriore da quello che soprattutto la FLC sostiene: e cioè che tale “mancetta” verrà integrata dai soldi del “bonus” che finalmente – sostengono – potrà essere assegnata ai “migliori” e sottratta all’arbitrio dei presidi. In realtà su questo punto il contratto ci fa cadere dalla padella nella brace. Perché stabilisce che ai presunti “migliori” dovrà andare un premio superiore almeno del 30% a quello degli altri/e, rendendolo un obbligo contrattuale e affidandone la gestione per lo più ai sindacati di Palazzo che, grazie alle regole assolutamente antidemocratiche con cui si eleggono le RSU, ne gestiscono gran parte.

Di fronte a questo sconcio, lasciano allibiti i “lamenti” dello Snals che fino a ieri teneva lo stesso “sacco” degli altri. Sostiene Serafini di non aver firmato non perché trattasi di schifezze ma perché “ci sono stati passi avanti e risposte, ma non tutte…non è stato possibile approfondire le modifiche” e che comunque non esistono “solo i docenti e non si vive di solo pane” (boh???): quasi a sostenere che i docenti sono stati compensati con tanto “pane” ma non è chiara la sorte degli altri.

Ora la parola passa a docenti e ATA che hanno una immediata occasione per ribellarsi e mandare un segnale forte, partecipando in massa allo sciopero  del 23 febbraio, indetto dai COBAS e da altri sindacati conflittuali, e alla manifestazione nazionale a Roma (MIUR, V.le Trastevere, ore 9,30) e successivamente non votando nelle elezioni RSU, pur truccate, i sindacati di Palazzo. Dai quali, se davvero almeno per qualche giorno vogliono prendere le distanze, possono distinguersi Snals e Gilda invitando i/le loro aderenti a scioperare anch’essi/e il 23.

Piero Bernocchi    portavoce nazionale COBAS

Siglata l’ipotesi di CCNL di comparto: un’occasione perduta

Siglata l’ipotesi di CCNL di comparto: un’occasione perduta

Il testo del nuovo CCNL del comparto “istruzione e ricerca” conferma, una volta di più, che per i sindacati che hanno sottoscritto l’ipotesi la qualità dell’istruzione e gli interessi degli stessi lavoratori non contano.

Conta solo condizionare (in peggio) le politiche governative, ridurre le (già modeste) risorse economiche destinate a premiare i migliori e ritardare (al massimo) la definizione di un sistema disciplinare più chiaro e rigoroso. Nulla di nuovo, insomma: i migliori non vanno premiati e i peggiori non vanno sanzionati!

La scuola rimane l’unico settore della Pubblica Amministrazione incapace di riconoscere e premiare l’impegno e di utilizzare la leva del merito per il miglioramento della qualità del servizio. 

Siamo di fronte all’ennesima occasione di rinnovamento perduta, sacrificata sull’altare dell’imminente appuntamento elettorale.

È necessario che tutto questo sia ben chiaro al Paese, alle famiglie e al personale tutto, destinatario – peraltro – di aumenti risibili (figli della deprecabile “Intesa del 30 novembre 2016”).

L’ANP rileva, comunque, la definitiva ammissione della non contrattabilità dell’organizzazione del lavoro (le ben note lettere h, i ed m del secondo comma dell’articolo 6 del vecchio contratto): non contrattabilità che abbiamo sempre sostenuto e che i Giudici del Lavoro hanno ormai da tempo univocamente riconosciuto.

Per quanto riguarda i procedimenti disciplinari, i dirigenti scolastici continueranno ad applicare le regole fissate dagli articoli 55 e seguenti del d.lgs. 165/2001, come novellato dalla riforma Madìa.

L’ipotesi firmata rivela la volontà di tutelare gli interessi corporativi di alcune sigle sindacali e il disinteresse per il rilancio della scuola e delle professionalità che la animano ogni giorno.

La funzione sociogiuridica della scuola dell’infanzia

La funzione sociogiuridica della scuola dell’infanzia

di Margherita Marzario

Abstract: L’Autrice illustra le caratteristiche specifiche e il ruolo della scuola dell’infanzia per e nella crescita del bambino

Attualmente la scuola è attaccata da più fronti ma quella più trascurata o ignorata, non solo nell’immaginario collettivo ma anche dai gradi scolastici successivi, è la scuola dell’infanzia tanto che è ancora impropriamente chiamata asilo o scuola materna.

La scuola dell’infanzia non è né asilo né scuola materna, né ludoteca né babysitting. Non è un servizio per i genitori, ma per i bambini, “tutte le bambine e i bambini dai tre ai sei anni di età” (dalla premessa relativa alla scuola dell’infanzia nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” del 2012). Non è il luogo del girotondo e dei lavoretti (o non solo). È una scuola “speciale” in cui il bambino (e non il lattante o quasi, come nel caso di molti dei cosiddetti “anticipatari”) è tale, deve essere tale e lasciato essere tale, tra sensi e sensazioni, segni e simboli, scoperta e sperimentazione di sé, socializzazione sino alla scolarizzazione in funzione della scuola primaria. Spesso i genitori, però, e il resto della società (che non fa comunità) hanno scarso o nessun rispetto di tutto ciò e conseguentemente dei bambini, della specificità della loro età e di quello che comporta.

Quella specificità dell’infanzia decantata da Ada Fonzi, professore emerito di psicologia dello sviluppo: “Il linguaggio è una mescolanza tra suoni, immagini, emozioni e rappresentazioni, è un tutto globale, per cui le prime parole di un bambino non sono solo parole, ma incantamenti magici. Il bambino arriva così, nell’età della scuola dell’infanzia, alla creazione inconsapevole di vere e proprie metafore, di invenzioni poetiche per cui un cielo nuvoloso diventa per il piccolo Matteo di 5 anni un «cielo rattoppato di grigio». Perché tutto questo possa avvenire è però necessario il sostegno e la discreta stimolazione dell’ambiente, che inviti il bambino a sviluppare i suoi sensi, a giocare con le parole, a relazionarsi con gli altri”.

Dialogo, ascolto, affetto e rispetto: quello che si vive (o si dovrebbe vivere) nella relazione e quello di cui hanno veramente bisogno i bambini per crescere e per sviluppare quello che è in loro, invece i genitori “corrono” perdendo il “genio” dell’infanzia che hanno davanti a loro e facendolo perdere irreversibilmente ai figli. “Genialità infantile” valorizzata e plasmata, invece, dalla scuola dell’infanzia dove, per esempio, col “circle time” si coniugano dialogo, ascolto, affetto e rispetto. “Il bambino possiede in lui importanti risorse. Esse si rivelano se egli può dialogare, essere ascoltato con affetto e rispetto, essere difeso” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance, sottoscritta a Parigi nel giugno 2007).

La scuola dell’infanzia non è la scuola dei “lavoretti” (termine datato che li sminuisce, per cui sarebbe il caso di chiamarli manufatti) e del girotondo, ma è la scuola della scolarizzazione e della valorizzazione dell’infanzia. Anche se fosse ancora la scuola dei lavoretti e del girotondo, attraverso i “lavoretti” e il “girotondo” si educa alla laboriosità e al tenersi per mano anche nella vita. “Lavoretti” che, comunque, hanno una polivalenza: dalla “catarsi” all’educazione al lavoro. La scuola dell’infanzia contribuisce all’esercizio fattivo e quotidiano dei diritti dei bambini enucleati nell’art. 31 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, nel cui par. 1 si stabilisce: “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo, allo svago, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età, ed a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica”.

“Bambino” significa etimologicamente “colui che balbetta, che parla inarticolatamente”. Con i bambini non bisogna usare né un linguaggio difficile e distaccato né edulcorato, ma bisogna fornire loro ogni linguaggio e dare di ogni parola il significato appropriato, per consentire loro di partecipare liberamente e pienamente alla vita culturale ed artistica “in condizioni di uguaglianza” (di cui al par. 2 art. 31 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). In questo ha un ruolo fondamentale la scuola dell’infanzia dove anziché dire, per esempio, “braccia a fiocchetto” o “verde brillante” si può dire tranquillamente “braccia conserte” e “verde chiaro” evidenziando le differenze rispetto al verde scuro (riferendosi alle cose, alla realtà) e aggiungendo l’esemplificazione e la spiegazione delle varie tonalità del verde, come verde salvia, sottobosco, bottiglia, acido, pistacchio o altro, perché così sono le nuances della vita e l’ambiente circostante. Le differenze tra i colori, tra l’altro, corrispondono anche ai differenti coloriti di pelle e ai differenti stati d’animo. In tal modo si contribuisce pure a educare alle differenze: educare i bambini alla realtà e alla verità. Non solo, si pensi anche al valore emozionale ed estetico delle sfumature, come il celeste, l’azzurro e il turchese, o i colori malva, lilla e glicine, alla sorpresa che suscitano nei bambini che sentono per la prima volta la terminologia corretta e successivamente cominciano a riconoscere i colori corrispondenti e ad esprimere i loro gusti. Si realizza così anche il “diritto alle sfumature”, enunciato nel decalogo dei cosiddetti diritti naturali dei bambini (formulato da Gianfranco Zavalloni).

L’obiettivo precipuo della scuola dell’infanzia dovrebbe essere custodire e coltivare i sogni dei bambini e educare questi ultimi a sognare ancora e di più: “I sogni sono come fiocchi di neve, a volte si sciolgono ancor prima di cominciare a pensare che essi possano essere realizzati; altre volte, invece, congelano il passato per far spazio al presente, che sembra essere incantevole come un paesaggio innevato” (Riccardo Messina, aforista).

Tra le tante definizioni, esplicativa quella del musicoterapeuta Luigi Mattiello: “L’infanzia, è l’unico periodo della vita in cui, si ha tutto senza possedere assolutamente nulla, l’unico periodo in cui, le lacrime non hanno il sapore della sconfitta o della delusione ma della ribellione. L’infanzia, è l’unico periodo della vita in cui, si ama senza provare alcun disprezzo e si odia senza alcuna ragione, l’unico periodo in cui, l’amore lo si insegna senza mai averlo appreso. L’infanzia, è l’unico periodo della vita in cui, si sa tutto senza conoscere assolutamente nulla… Poi si cresce e si dimentica ogni cosa”. I genitori e gli adulti in generale non devono dimenticare l’arte dell’infanzia, l’arte nell’infanzia. “Perché possa svolgere le sue attività di gioco e di lavoro, il fanciullo ha bisogno di convenienti rapporti umani; nonché di spazi, di tempi, di mezzi, di materiali e strumenti idonei alla sua età ed adatti alle sue condizioni fisiche e psichiche” (art. 2 Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro, Roma 1967). Da qui la rilevanza e anche la necessità della scuola dell’infanzia purché sia considerata tale e le si consenta di essere funzionale, a cominciare dalla disponibilità di spazi ove si possano allestire anche i cosiddetti “angoli” (o laboratori), per la pittura, per la lettura o altre attività affini.

Sui convenienti rapporti umani Ada Fonzi spiega: “Ben vengano dunque tutte le provvidenze messe in atto per combattere la violenza contro le donne: incoraggiare la denuncia, potenziare l’assistenza sia psicologica che pratica, dare protezione economica e un rifugio sicuro alle vittime. Ma ricordiamoci che l’origine del fenomeno viene da lontano, affonda negli abissi di una cultura che ha considerato, per secoli, il potere e la dominanza diritti della mascolinità. L’unica profilassi possibile resta quella di fare della cultura della non violenza una piattaforma di studio, di riflessione, di azione, a partire dalle scuole per l’infanzia”. La scuola dell’infanzia promuove e deve promuovere il processo di socializzazione e non continuare quello di maternalizzazione (predominanza della figura materna e del codice materno), che può ingenerare alterazioni nelle competenze relazionali e conseguentemente nei rapporti interpersonali e intrapersonali, sociali e intimi. In questo riveste un ruolo determinante il padre. Lo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli precisa: “Il padre è colui che espone il figlio all’esperienza del dolore, ed il suo segno è la ferita. Egli impone al figlio un sacrificio, lo sottopone alla prova. La natura della prova consiste nel chiedergli di affrontare la fatica delle rinunce necessarie per crescere bene, riuscire, avere buoni rapporti con gli altri ed essere davvero contento di sé”. “Padre” etimologicamente deriverebbe dalla radice “pa”, la stessa di “pane” e “pastore”, che comportano fatica, la fatica della quotidianità. Essere padre è anche faticare e educare alla fatica, la fatica del vivere, cominciando con piccoli gesti come accompagnare figlio/a alla scuola dell’infanzia affinché si distacchi dalla mamma o insegnando ad andare in bicicletta.

La scuola dell’infanzia fa sperimentare al bambino i cosiddetti “diritti naturali” e soprattutto l’appropriazione dello spazio e del tempo. A tale proposito nelle “Indicazioni nazionali”, nel paragrafo intitolato “L’ambiente di apprendimento” relativo alla scuola dell’infanzia è previsto:

“L’organizzazione degli spazi e dei tempi diventa elemento di qualità pedagogica dell’ambiente educativo e pertanto deve essere oggetto di esplicita progettazione e verifica. In particolare:

– lo spazio dovrà essere accogliente, caldo, ben curato, orientato dal gusto estetico, espressione della pedagogia e delle scelte educative di ciascuna scuola. Lo spazio parla dei bambini, del loro valore, dei loro bisogni di gioco, di movimento, di espressione, di intimità e di socialità, attraverso l’ambientazione fisica, la scelta di arredamenti e oggetti volti a creare un luogo funzionale e invitante;

– il tempo disteso consente al bambino di vivere con serenità la  propria  giornata,  di  giocare,  esplorare, parlare, capire, sentirsi padrone di sé e delle attività che sperimenta e nelle quali si esercita”.

Gli spazi della scuola dell’infanzia consentono la ritualità quotidiana importante anche per lo sviluppo psicologico armonico “riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”. Quell’importanza dei riti sottolineata nel capolavoro valido per tutte le età, “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry:

«Il piccolo principe ritornò l’indomani. “Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”. “Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore […]”».

L’insegnamento non è una semplice professione: è passione, è relazione. La scuola sta diventando (o è diventata?) progettificio, carrierificio e altro, ma chi ci crede deve continuare a farlo, pur lavorando nel silenzio e talvolta nella solitudine. Nella scuola dell’infanzia, in taluni casi, si fa un abuso di “schede” fotocopiate passivizzando il bambino e rendendo sterile l’insegnamento. Bisogna ricordare, invece, quanto prescritto nell’art. 3, par. 1 della Convenzione: “In tutte le decisioni riguardanti i fanciulli che scaturiscano da istituzioni di assistenza sociale private o pubbliche, tribunali, autorità amministrative o organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione”.

Si tenga sempre a mente che “cultura” significa etimologicamente “coltivare”, e “scuola”, “avere tempo di occuparsi di una cosa per divertimento”: ai bambini sia garantito questo per il loro presente, alla base del loro futuro, e nella scuola dell’infanzia si lavora (e si lavori) per garantire questo.

Firmato un cattivo contratto

Cgil, Cisl e Uil firmano un cattivo contratto scuola, dopo una notte in cui hanno impedito qualsiasi vera trattativa

Sullo schema già sperimentato con le funzioni centrali, ieri abbiamo assistito alla ormai consueta accelerazione della trattativa ferma da settimane e mai veramente decollata, che ha portato nell’arco di 18 ore alla firma dell’ennesimo contratto a perdere per i lavoratori pubblici. Con le nostre continue denunce abbiamo costretto i confederali a non accettare le parti più irricevibili del nuovo contratto (tutoraggio e formazione nella funzione docente, aumento dei carichi a parità di salario), portandoli sulle nostre posizioni e condizionando la trattativa; questo li ha spinti a dare vita ad una trattativa vergognosa svolta su due tavoli: uno con le confederazioni complici di CGIL CISL e UIL e le loro organizzazioni della Scuola e l’altro ritenuto dall’ARAN marginale, con tutte le altre organizzazioni sindacali comprese quelle di CGIL CISL e UIL di Ricerca e Università.
Cgil, Cisl e Uil, con questa indegna contrattazione separata, irrispettosa delle altre O.S. e dei lavoratori, hanno firmato l’ennesimo contratto “bidone” per tutta la categoria, con aumenti stipendiali ridicoli pari a un caffè al giorno e una parte normativa che lascia inalterati i peggiori aspetti della legge 107 e della legge Brunetta. Ancora più inaccettabile questa modalità da parte di un sindacato, la Flc Cgil, che ci propina costantemente solfe sulla democrazia sindacale e la partecipazione, mentre alla prova dei fatti nelle scuole e nei tavoli contrattuali assume atteggiamenti arroganti e antidemocratici.
Rinviata a data successiva la trattazione delle sanzioni disciplinari, ma questo significa semplicemente che resta in vigore la legge 165 del 2001, che tanti contenziosi ha creato nelle scuole, consentendo ai Dirigenti di comminare sanzioni con trattenuta dello stipendio a troppi lavoratori della scuola.
Alternanza scuola lavoro e formazione sono totalmente lasciate ai vari commi della legge 107 e pertanto, laddove nella bozza iniziale del contratto il tentativo di normare questi aspetti andava a ledere il capitolo relativo alla funzione docente, adesso la totale deregulation alla quale si torna senza alcun miglioramento contrattuale darà libera interpretazione e ampia discrezionalità ai Dirigenti Scolastici.
Inquietante l’Art. 26, realizzazione del PTOF mediante l’organico dell’autonomia, in cui si afferma che: “i docenti in servizio in ciascuna istituzione scolastica appartengono al relativo organico dell’autonomia di cui all’articolo 1, comma 63, della legge 13 luglio 2015, n.107 e concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa tramite attività individuali e collegiali: di insegnamento; di potenziamento; di sostegno; di progettazione; di ricerca; di coordinamento didattico e organizzativo”. Da domani tutti i docenti potranno essere utilizzati in piena libertà dal Dirigente Scolastico, senza alcun rispetto delle professionalità acquisite e nel totale arbitrio gestionale.
A poco serve il “nuovo fondo per il miglioramento dell’offerta formativa” costituito da varie voci tra cui FIS e Bonus premiale, il cui taglio progressivo annuale dovrebbe servire solo a mettere pochi spicci sulla retribuzione professionale docente ma privando le scuole di risorse già all’osso e comunque destinando ancora una buona parte per la premialità. Con la connivenza delle RSU si lascia ai Dirigenti Scolastici il ruolo di assoluta discrezionalità e autocrazia nella gestione della distribuzione di questi soldi che appartengono a tutti i lavoratori e continueranno a essere assegnati a pochi con la solita fasulla propaganda sul riconoscimento del merito.
Inaccettabile il passaggio sulla mobilità. Il contratto diventa triennale, si potrà presentare domanda ogni anno, ma sarà impedito ai docenti che hanno ottenuto titolarità su scuola, dopo le operazioni di mobilità, di presentare domanda per i successivi tre anni.
L’assegnazione dei docenti alle classi è oggetto di mera informazione, l’assegnazione ai plessi e alle sezioni staccate si limita ad un semplice confronto tra Dirigente ed RSU, così come i cinque giorni di formazione il cui utilizzo può essere deciso unilateralmente dal DS anche se le RSU non concordano.
Gli aumenti stipendiali vengono “pompati” con una perequazione che fa partire gli aumenti solo dal primo Marzo e non da Gennaio, senza alcuna garanzia che gli stessi siano riconfermati dal 2019, in quanto necessitano di un ulteriore ed eventuale intervento economico del futuro governo.
Resta una sezione “obblighi dei dipendenti” totalmente legata ai doveri di diligenza e collaborazione, aprendo scenari pericolosissimi in relazione all’uso dei social con genitori ed alunni, con la possibilità di pesanti sanzioni future per quanti non utilizzino con “finalità educative” tali strumenti.
Che dire? Un cattivo contratto, inutile nella sua incapacità di contrastare gli effetti nefasti degli ultimi interventi normativi che hanno modificato la scuola pubblica statale e totalmente prono alla logica gerarchica del preside padrone e dei “gruppetti” di potere che ormai incarnano nelle scuole la svolta aziendalistica. Un contratto dal quale alcuni aspetti nefasti sono stati espunti grazie alla denuncia che come USB abbiamo fatto in totale solitudine e informando costantemente i lavoratori. A quel che è stato eliminato dalla bozza non è subentrato alcun aspetto positivo o di miglioramento delle condizioni dei lavoratori docenti e ATA, nessuno dei problemi relativi ai numerosi contenziosi che negli ultimi anni abbiamo portato avanti con i lavoratori viene sanato con questo nuovo contratto. Nella storia della contrattazione collettiva i lavoratori ad ogni rinnovo hanno ottenuto un aumento di diritti e salario. Questa volta i lavoratori fanno i conti con una firma indegna apposta da quei sindacati abituati a venderli dentro e fuori dall’Aran. I diritti sempre in bilico fanno il paio con un salario da fame che sarà eroso in pochi mesi dall’inflazione, dalle prossime finanziarie lacrime e sangue, da quanto il nuovo governo riuscirà a stanziare per il sistema perequativo perché, in assenza di nuovi stanziamenti, quel piccolo aumento che vedremo dal mese di aprile potrebbe tornare a decrescere a partire dal gennaio 2019. La truffa è servita, la teatrale presenza sullo sfondo dei sindacati rappresentativi inutili comparse è stata utile solo alla svendita dei lavoratori pubblici.
Un’altra rappresentanza sindacale è possibile: siamo certi che i lavoratori della scuola daranno una sonora risposta alle prossime elezioni politiche, ma anche alle prossime elezioni RSU.
Lo sciopero del 23 febbraio rimane e lo confermiamo a gran voce nella consapevolezza che è necessaria più di prima una presenza forte e numerosa dei lavoratori in piazza.

USB P.I. Scuola
Prof. Luigi Del Prete

Ecco i motivi della non firma

Ecco i motivi della non firma

Si è conclusa la trattativa all’Aran per il rinnovo del Ccnl del comparto Istruzione e Ricerca. Lo Snals-Confsal non ha firmato.

Il Segretario Generale Snals ha affermato: “L’articolato non è risultato soddisfacente, nonostante alcune nostre pressanti richieste. Anche da qui nasce la decisione presa questa mattina di non firmare il contratto”.

Le motivazioni dello Snals per il no alla firma del contratto

SCUOLA

  • la scarsa considerazione del ruolo degli organi collegiali, in particolare il collegio dei docenti che non delibera più il PTOF, né il piano annuale delle attività;
  • i criteri delle assegnazioni ai plessi, sia per il personale docente che Ata, devono essere oggetto di contrattazione e non solamente oggetto di confronto, tenuto conto che alcune scuole hanno dei plessi molto distanti tra di loro;
  • la permanenza obbligata nella stessa sede per un triennio, una volta ottenuto il trasferimento, il che determina la possibilità di trasferimento solo triennale e, per di più, a scadenze diversificate per ogni docente, in relazione alla data dell’incarico attribuitogli dal Dirigente Scolastico;
  • la mancanza di chiarezza sulle procedure relative alle sanzioni disciplinari, nonché sull’organo che deve irrogarle e la mancanza di procedure conciliative, obbligatoriamente attuate,  una volta richieste dall’interessato; il rinvio ad una specifica sezione negoziale della responsabilità disciplinare per il personale docente ed educativo, lascia aperta un’area di grande vuoto normativo;
  • l’introduzione di “ misure atte a disincentivare le assenze del personale “, anche in presenza di motivazioni adeguate, che creano ripercussioni economiche sulla categoria
  • incrementi stipendiali irrisori: le cifre che vengono sbandierate dai sostenitori del contratto sono cifre lorde il che vuol dire che nelle tasche dei Colleghi entreranno dimezzate.

UNIVERSITA’

  • costituzione di un unico fondo per il personale EP (elevata professionalità)  e per le altre categorie B, C e D con il pericolo  di dare agli uni sottraendo agli altri;
  • l’obbligatorietà del pagamento delle attività dell’ufficio tecnico dal fondo, a causa del tetto fissato nell’anno 2016;
  • il pagamento del welfare dal fondo art. 63 in caso di mancata copertura delle risorse specifiche per pagare i benefici di natura assistenziale e sociale in favore dei propri dipendenti.

RICERCA

  • l’assenza di una precisa definizione dei destinatari del contratto, mentre sarebbe necessario un richiamo all’elenco degli Enti di Ricerca presente negli artt. 1 e 19 del D.Lgs 218/2016;
  • la mancanza di ogni riferimento all’unicità delle professionalità negli enti: si parla delle funzioni e del ruolo dei ricercatori e dei tecnologi ma non dei tecnici e degli amministrativi;
  • lo “svuotamento” dell’Organismo Paritetico per l’innovazione. Sarebbe meglio affidarne le funzioni al Comitato Unico di Garanzia che già si occupa dei temi relativi all’innovazione;
  • la scomparsa dell’articolo sul diritto di assemblea. E’ invece necessario assicurare il regime speciale delle 30 ore annue retribuite per gli Enti di Ricerca;
  • la mancata considerazione della proposta Snals-Confsal di spostare sullo stipendio tabellare alcune indennità generalizzate (indennità di valorizzazione professionale per ricercatori e tecnologi, indennità di ente annuale per gli amministrativi e i tecnici).

AFAM

Personale docente

Profilo professionale, funzioni ed attribuzioni

Occorre eliminare o ridefinire il comma 2 dell’art. concernente il profilo professionale, le funzioni e le attribuzioni del personale docente (già art. 21 del CCNL dell’ex comparto AFAM del 16/2/2005) tenuto conto che i corsi di I e II livello non sono più “sperimentali”.

Al fine di superare l’ingiusta ed ingiustificata disparità di trattamento della docenza AFAM, sia con la docenza universitaria che con docenza scolastica, occorre effettuare l’interpretazione autentica del combinato disposto degli artt. 25 c. 5 CCNL AFAM 16/2/2005 e 4 c. 3 CCNL 4.8.2010 nel senso di escludere i docenti AFAM dall’obbligo di essere  sottoposti a controlli di tipo automatizzato dell’orario di lavoro (cd. Badge) in quanto la rilevazione della presenza è assicurata dalla firma sul registro didattico, vidimato dal Direttore.

 

Personale Tecnico – Amministrativo

Occorre correggere, nella bozza del 9.1.2018, la denominazione della sezione del CCNL 2016-18 dedicata al personale non docente dell’AFAM da “Personale Amministrativo tecnico e ausiliario”, che è propria della scuola, in “Personale amministrativo e tecnico” in “Personale tecnico amministrativo”.

 

CONTRATTO: INSUFFICIENTI LE RISORSE ECONOMICHE

CONTRATTO, GILDA NON FIRMA: INSUFFICIENTI LE RISORSE ECONOMICHE  
No della Federazione Gilda-Unams al contratto. Dopo una lunga ed estenuante trattativa  all’Aran iniziata ieri pomeriggio e terminata questa mattina alle 7,45, la FGU ha deciso di non firmare il rinnovo contrattuale perché le risorse economiche stanziate dal Governo non consentono di colmare la forbice stipendiale tra il personale della scuola e quello degli altri comparti del pubblico impiego.
“Soltanto 80 dei 200 milioni del bonus per il merito sono confluiti nella retribuzione – spiega Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti – mentre tutto il resto è stato destinato alla contrattazione di istituto per la valorizzazione del personale. Inoltre, per quanto riguarda la mobilità, giudichiamo negativamente l’obbligo di permanenza triennale nella sede ottenuta per il trasferimento”.
La trattativa serrata ha comunque consentito di raggiungere importanti miglioramenti per la parte normativa rispetto alla prima bozza e di evitare ricadute negative della legge 107 sul contratto. Resta, dunque, invariato l’orario di servizio (comprese le 40+40), non vengono introdotti compiti aggiuntivi obbligatori e non retribuiti né per la formazione, né per l’Alternanza Scuola-Lavoro, il Collegio dei Docenti mantiene la prerogativa di deliberare il piano delle attività e non viene modificata la funzione docente. Per quanto concerne la delicata materia disciplinare, è stato stabilito il rinvio ad una successiva sequenza contrattuale. 
“Per la FGU, la valutazione complessiva del contratto – conclude Di Meglio – non raggiunge la sufficienza”. 

Scuola e disabili: i pregiudizi presentati come valori

Scuola e disabili: i pregiudizi presentati come valori

 

È di ieri la pubblicazione di un articolo di denuncia de “la Repubblica” dal significativo titolo: “Qui niente poveri né disabili”: le pubblicità discriminatorie dei licei.

L’articolista (Corrado Zunino) ha effettuato una verifica su documenti pubblici e presenti nel portale istituzionale “Scuola in chiaro” del Ministero dell’Istruzione.

In quel sito ogni istituto pubblica il proprio Rapporto di autovalutazione, cioè un documento pensato per orientare ragazzi e famiglie nella scelta della scuola.

Ebbene il pezzo, cui va il merito di aver portato all’evidenza gravi atteggiamenti discriminatori, riporta come troppi licei, di varie città, presentino come propri punti di forza, che favorirebbero “la coesione” e “l’apprendimento”, l’assenza tra gli alunni di ragazzi di origine straniera, poveri e disabili.

Riteniamo gravissimo che proprio quei luoghi che dovrebbero rappresentare il luogo primario di promozione dell’inclusione e di rigetto della discriminazione siano invece i veicoli del pregiudizio e dello stigma. – stigmatizza Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – Sono episodi che riportano indietro le lancette di decenni, che provocano repulsione non solo per l’ignoranza che non dovrebbe albergare nella scuola, ma anche l’insulto a milioni di persone con disabilità e loro familiari. Sì, molta strada è stata percorsa, ma di fronte a questi rigurgiti discriminatori comprendiamo che ce n’è ancora molta davanti a noi.”

La notizia ha provocato diffusa indignazione non solo nel movimento delle persone con disabilità, ma anche fra chi, all’interno del mondo scolastico, da anni si impegna per contrastare la discriminazione, per favorire l’inclusione di tutti considerando quello delle differenze un valore aggiunto e non un elemento da emarginare o escludere.

Il retropensiero, subdolo e strisciante, che i bambini con disabilità siano un ostacolo è emerso in modo esplicito. E questo è gravissimo. Bene ha fatto il Ministro Fedeli – prosegue Falabella – a replicare immediatamente con una propria dichiarazione ufficiale di condanna e ad attivare un attento monitoraggio dei Rav in riferimento a questo tipo di episodi.”

Firmato il nuovo contratto del comparto dell’istruzione e della ricerca

Firmato il nuovo contratto del comparto dell’istruzione e della ricerca.

Comunicato unitario

Firmato all’ARAN oggi, 9 febbraio, il primo contratto nazionale di lavoro del nuovo comparto Istruzione e Ricerca. Un milione e duecentomila tra docenti, personale ata, ricercatori, tecnologi, tecnici, amministrativi hanno finalmente riconquistato uno strumento forte di tutela delle proprie condizioni di lavoro, dopo anni di blocco delle retribuzioni e di riduzione degli spazi di partecipazione e di contrattazione.
Gli aumenti salariali sono in linea con quanto stabilito dalle confederazioni con l’accordo del 30 novembre 2016 e vanno, per la scuola, da un minimo di 80,40 a un massimo di 110,70 euro; pienamente salvaguardato per le fasce retributive più basse il bonus fiscale di 80 euro.
Nessun aumento di carichi e orari di lavoro, nessun arretramento per quanto riguarda le tutele e i diritti nella parte normativa, nella quale al contrario si introducono nuove opportunità di accedere a permessi retribuiti per motivi personali e familiari o previsti da particolari disposizioni di legge.
Il contratto segna una svolta significativa sul terreno delle relazioni sindacali, riportando alla contrattazione materie importanti come la formazione e le risorse destinate alla valorizzazione professionale. Rafforzati tutti i livelli di contrattazione, a partire dai luoghi di lavoro, valorizzando in tal modo il ruolo delle RSU nell’imminenza del loro rinnovo.
Tra le altre novità di rilievo il diritto alla disconnessione, a tutela della dignità del lavoro, messo al riparo dall’invasività delle comunicazioni affidate alle nuove tecnologie.
Per quanto riguarda il personale docente della scuola, si è ottenuto di rinviare a una specifica sequenza contrattuale la definizione del codice disciplinare con l’obiettivo di una piena garanzia di tutela della libertà di insegnamento. Riportando alla contrattazione le risorse finalizzate alla valorizzazione professionale, ripristinando la titolarità di scuola, assumendo in modo esplicito un’identità di scuola come comunità educante si rafforza un modello che ne valorizza fortemente la dimensione partecipativa e la collegialità.
Questo contratto, la cui vigenza triennale 2016-18 si concluderà con l’anno in corso, assume forte valenza anche nella prospettiva del successivo rinnovo di cui vengono poste le basi e dell’impegno che comunque andrà ripreso anche nei confronti del nuovo Parlamento e del nuovo Governo, per rivendicare una politica di forte investimento nei settori dell’istruzione e della ricerca. Si chiude cosi una lunga fase connotata da interventi unilaterali, aprendone una nuova di riconosciuto valore al dialogo sociale.

Francesco Sinopoli Flc Cgil
Franco Martini Cgil
Maddalena Gissi Cisl FSUR
Ignazio Ganga Cisl
Giuseppe Turi Uil Scuola RUA
Antonio Foccillo Uil

È la cultura dell’impunità che genera le baby gang

da Il Sole 24 Ore

È la cultura dell’impunità che genera le baby gang

di Pietro Bordo*

Il problema delle bande di bambini, in questi giorni all’attenzione della cronaca, non ha nella repressione l’elemento risolutivo fondamentale, che è invece l’eliminazione, o l’attenuazione, della cultura dell’impunità.
La cultura dell’impunità si sviluppa in tenera età in famiglia e nella società, soprattutto, a scuola. Il ministro Minniti ne ha parlato qualche giorno fa a Napoli, ma con una visione teorica, non concreta, in quanto non è il suo lavoro sapere cosa accade nelle scuole e quanto ciò che accade nella società influenza i ragazzi.
Tutti in Italia potremmo scrivere un elenco infinito di comportamenti negativi tenuti con la quasi certezza dell’impunità, o della prescrizione. Ecco alcuni di quelli che tutti i giorni attirano la nostra attenzione, dai più gravi a quelli apparentemente meno, passando per quelli incredibili.

I politici, i dirigenti o i funzionari ad ogni livello che chiedono esplicitamente o meno percentuali o altre dazioni per favori di ogni genere, a danno della collettività.
Il cittadino che butta la spazzatura fuori dei cassonetti, anche se non sono pieni; parcheggia come gli pare e butta carta o altro per strada.
I padroni dei cani che lasciano sui marciapiedi gli escrementi del loro animale.
Gli evasori fiscali che non solo non pagano la loro parte per i servizi che ricevono dai vari enti, ma ottengono “precedenze” in vari servizi pubblici rispetto a chi dichiara onestamente tutto. Caso tipico: il figlio dell’evasore va all’asilo pubblico, quello del vicino di casa onesto (che conosce bene lo stile di vita dell’altro) no.
Gli automobilisti che non lasciano passare i pedoni sulle strisce (in Spagna, ad esempio, non devi avvicinarti alla strada, altrimenti si fermano tutti pensando che tu debba attraversare).
E così via…
Uno dei motivi che determinano tale situazione è che la nostra società è ormai abituata alla mancanza di rispetto per le regole.

Perché? Ancor più della repressione, manca un’educazione adeguata e per i ragazzi (che poi diventano uomini) gli elementi diseducativi sono i preferiti, in quanto molto attraenti.
Fino a circa cinquant’anni fa erano presenti nella società, in generale, vari fattori educativi positivi.
Nell’ambito familiare, c’era almeno un genitore sempre molto presente in casa. Il ragazzo non era quasi mai da solo. Anche i nonni erano molto presenti, ed anche altri parenti. E quasi tutti educavano. Oggi i ragazzi sono spesso soli, con il cellulare ed il computer.
Un genitore presente in casa il pomeriggio è oggi un sogno per tanti ragazzi. Considerando che fino a cinquant’anni fa tale condizione è stata la norma per gli esseri umani per milioni di anni, è facilmente comprensibile come tale situazione alteri in maniera deleteria il loro equilibrio affettivo, togliendo loro serenità.

I nonni sono presenti in poche famiglie. I contatti con zii ed altri parenti sono molto limitati, rispetto al passato. Alcuni bambini sono abituati a trattare alla pari gli adulti con cui sono in contatto o che lavorano per la famiglia, pensando poi di poter esportare tale comportamento con gli altri adulti con i quali entrano in rapporto (ad esempio con i docenti).
Ed evidenziamo che i padri, per troppo lavoro, o ignoranza, spesso trascurano l’educazione dei figli e si interessano poco alla loro istruzione.
Quasi tutti si dimenticano che ciò che più vogliono i ragazzi è l’amore dei genitori, accompagnato dalla loro presenza fisica.
Nella società, molti adulti, per strada ed altrove, fino a non molti decenni fa si preoccupavano di controllare ed eventualmente rimproverare chi sbagliasse.

Oggi sono presenti vari fattori diseducativi.
Nella società, la TV, la diseducatrice per eccellenza, che quando reca poco danno intorpidisce la mente ed il cuore, generalmente propone modelli tremendamente affascinanti e vincenti, che portano i ragazzi a considerare come obiettivi fondamentali della loro vita il successo, il denaro ed il sesso, da ottenere a qualsiasi prezzo. Ovviamente se i bambini sono soli per ore a casa, o in compagnia di baby-sitter che se ne disinteressano o di nonni incapaci di gestirli, ne vedono quanta vogliono.
Internet, oggi ancor più “educante” della TV, un mare infinito, dove insieme ad informazioni utili puoi trovare, mi dicono, quanto di peggio si possa immaginare, ed anche di più. Ed immaginiamo dove la curiosità possa portare anche il migliore dei bambini, magari solo per ore ed ore a casa.

La scuola in passato educava come oggi ai valori positivi comuni, ma senza il buonismo e la tolleranza eccessivi attuali, che consentono a tanti bambini di fare tutto senza praticamente averne conseguenze significative. Oltretutto questo frustra quelli che rispettano le regole e li induce, o almeno stimola, a non farlo.
A scuola (i dati che uso li ho ottenuti dai miei nipoti; da centinaia di colleghe e da altre centinaia di alunni e genitori di varie scuole; dalle mie osservazioni dirette, poiché insegno nella scuola primaria da quarantatrè anni) i ragazzi vedono spesso cattivi esempi dei compagni e la mancanza di un intervento adeguato affinché tutti rispettino le regole positive.
Ciò che più produce danni nei ragazzi e nei docenti è l’acquisizione della consapevolezza della quasi impunità, qualunque sia il loro comportamento, poiché pochi se ne occupano sul serio, anche perché non hanno strumenti per farlo. E tanti “9” e “10” consentono a genitori, che hanno tanto da fare, ed agli insegnanti, che poco vogliono fare, o non vogliono problemi con i genitori, di vivere felici e tranquilli.

Un altro fattore diseducativo è l’abitudine di tanti genitori di superare il senso di colpa derivante dalla consapevolezza di stare poco con i figli “comprando” la loro gratitudine, abituandoli quindi ad avere subito, a prescindere dall’averli meritati, oggetti materiali, spesso costosi ed inutili. Molti genitori stanno poco con i figli per ignoranza, altri perché non possono proprio farlo, dovendo lavorare per sopravvivere. Peccato che il tempo che loro non danno ai propri figli è ciò che essi più desiderano. I bambini crescendo, a volte soprattutto o soltanto fisicamente, potranno sempre avere tutto?
Penso appaia evidente l’importantissimo, direi vitale, ruolo dei genitori e dei docenti, che dovrebbero insieme collaborare, con sicuro effetto sinergico, per educare ed istruire i bambini.

*docente scuola primaria

Ma il solo modo per imparare è confrontarsi con la diversità

da la Repubblica

Ma il solo modo per imparare è confrontarsi con la diversità

Michela Marzano

Niente neri, niente handicappati, niente nomadi, la lista potrebbe essere lunga, lunghissima, e via via includere tra gli “scarti” chiunque, con la propria alterità, possa rimettere in discussione l’identità italiana. È più o meno così che alcuni licei del nostro Paese vantano i propri pregi e si fanno pubblicità. Quasi tutti gli studenti sono di «nazionalità italiana» e nessuno è «diversamente abile», recita la presentazione di un celebre liceo romano. Subito dopo aver ricordato la propria «fama» e il proprio «prestigio». Come se ci fosse un legame di causa-effetto tra il colore della pelle e la fama, il prestigio e l’assenza di handicap — che poi sarebbe interessante capire come viene valutato il livello di abilità: li si mette tutti in fila, questi alunni, e li si fa correre, leggere, parlare, mangiare? È più o meno abile una ragazzina anoressica o bulimica? Spesso sono le più brave della classe, ma stando al Dsm, il manuale diagnostico dei disturbi mentali, anche loro, in fondo, dovrebbero essere considerate diversamente abili, e non ammesse, quindi, in un liceo così prestigioso. Come se l’apprendimento fosse ostacolato dalle “differenze”, e la parola d’ordine della contemporaneità fosse l’esclusione di tutti coloro che potrebbero contaminare la purezza della stirpe.

Dev’essere lo spirito dei tempi, ormai malato di conformismo, ad aver ispirato presidi, insegnanti, direttori o chiunque abbia ideato questi spot per attirare genitori creduloni, e illuderli che il «processo di apprendimento» possa veramente essere favorito dal “tra di noi”. Anche se poi, in quel “tra di noi”, rischia di non esserci quasi nessuno, e chi immagina che il proprio pargolo sia esente da ogni sorta di handicap di strada da fare per capire l’esistenza ne ha ancora molta. Non solo, infatti, ognuno di noi è “diversamente abile” rispetto a chiunque altro: diverso, unico, speciale, sempre e comunque “altro” rispetto alle aspettative altrui, “altro” pure rispetto a quello che vorrebbe essere. Ma anche l’apprendimento è favorito dall’incontro con le differenze: per imparare veramente c’è bisogno di uscire dal “tra di noi” e aprirsi alle mille sfumature della vita; anche solo perché sono le differenze che ci insegnano a comporre il puzzle complesso della realtà, a superare gli ostacoli, a immaginare soluzioni alternative quando quelle più scontate falliscono.

Certo, molti genitori cercano oggi di rassicurarsi: preferiscono immaginare che i propri figli crescano al riparo dalle difficoltà e non si mescolino con gli “altri”. Ma apprendere significa confrontarsi con le cose vere della vita, e le cose vere della vita, come scriveva Oscar Wilde, si incontrano. A cominciare dalla scuola, appunto, quando si incontra un ragazzo nero o una ragazza in sedia a rotelle, un compagno sordo-cieco o una compagna con disturbi del comportamento alimentare, tanto nessuno ha tutto e nessuno è tutto. La scuola dell’inclusione forse non è più di moda. Peccato.

Inutile, però, stupirsi poi del successo popolare del killer di Macerata.

“Qui niente poveri né disabili” Le pubblicità classiste dei licei

da la Repubblica

“Qui niente poveri né disabili” Le pubblicità classiste dei licei

E nelle presentazioni sul sito del Miur c’è chi parla di “difficile convivenza” tra ricchi e figli dei portinai

Corrado Zunino

La prosa con cui alcune scuole del Paese, spesso i licei più prestigiosi e selettivi, si sono offerte alle famiglie per attrarre l’iscrizione dei loro figli è da censura. Nell’ansia di far apparire un istituto privo di problemi, pronto a fornire la migliore didattica senza impacci con gli adolescenti stranieri o i ragazzi bisognosi di sostegno, i dirigenti scolastici hanno licenziato rapporti di autovalutazione classisti. È tutto visibile sul sito del ministero dell’Istruzione, “Scuola in chiaro”. Oltre ai numeri degli studenti presenti e alle informazioni sui percorsi di studio, ogni scuola ha offerto una valutazione di sé. Basata su parametri offerti dal ministero, ma restituita con una propria anima.

L’Ennio Quirino Visconti così si è raccontato: « L’essere il liceo classico più antico di Roma conferisce alla scuola fama e prestigio consolidati, molti personaggi illustri sono stati alunni » . L’illustrazione orgogliosa si addentra nei primi dettagli di censo: « Le famiglie che scelgono il liceo sono di estrazione medio- alto borghese, per lo più residenti in centro, ma anche provenienti da quartieri diversi, richiamati dalla fama del liceo». Fin qui, un dato di fatto. « Tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile » . La percentuale di alunni svantaggiati «per condizione familiare è pressoché inesistente » , mentre «si riscontra un leggero incremento dei casi di Dsa». Sono i Disturbi specifici di apprendimento. Il finale è una conclusione che spiazza: «Tutto ciò», e si intende la quasi assenza di stranieri e la totale assenza di poveri, « favorisce il processo di apprendimento » . Il buon apprendimento dei figli della buona borghesia di Roma Centro.

Al Visconti, « dove la maggior parte delle risorse economiche proviene dai privati, in primis le famiglie » , dove la presidente della Camera Laura Boldrini ha tenuto lezioni sulle fake news,la “ quota studenti con cittadinanza non italiana” è pari allo 0,75 per cento del totale. Lo dicono le tabelle. Solo che lo 0,75 per cento di 669 studenti non fa «un paio», ma cinque. E la quota di iscritti con «famiglie svantaggiate » è dello 0,8 per cento, un po’ più di «pressoché inesistente». Ecco, se si esce dalla pagina vetrina, quella che serve a far propaganda e richiamare iscrizioni, si scopre che i numeri del Visconti su stranieri e poveri sono più alti.

Anche l’intro dell’autovalutazione del liceo D’Oria di Genova, prestigioso e tradizionale classico, offre una presentazione di sé che accarezza l’idea per cui “ poveri e disagiati costituiscono un problema didattico”. Ecco cosa c’è scritto nel Rav: « Il contesto socio- economico e culturale complessivamente di medio- alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale ( come, ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia, nonché all’analisi delle specifiche esigenze formative nell’ottica di una didattica davvero personalizzata » . Senza altre questioni da affrontare, sembra di capire, ci possiamo dedicare ai limitati e ricchi studenti indigeni. Infatti: «Il contributo economico delle famiglie sostiene adeguatamente l’ampliamento dell’offerta formativa».

Il Parini di Milano, altro classico storico, anche questo statale, illustra nella presentazione: « Gli studenti del liceo classico in genere hanno, per tradizione, una provenienza sociale più elevata rispetto alla media. Questo è particolarmente avvertito nella nostra scuola. A partire da tale situazione favorevole, la scuola ha il compito ( obbligo) di contribuire a elevare il livello culturale dei suoi allievi » . La dirigente scolastica del Parini, non a caso, ammette «qualche criticità nelle attività di inclusione».

È un classico parificato, però, ad utilizzare il linguaggio più esplicito sul tema. Il Giuliana Falconieri, Roma Parioli. Così la sua autovalutazione: « Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana. La spiccata omogeneità socio- economica e territoriale dell’utenza facilita l’interazione sociale ». Ci si parla solo tra pari grado, e poi: «Non sono presenti né studenti nomadi né provenienti da zone particolarmente svantaggiate » . In questa scuola, tuttavia, c’è una questione particolare: « Negli anni sono stati iscritti figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere. Data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi».

Clara Rech, preside del Visconti di Roma, autrice di una delle autovalutazioni da censura, dice: «Il numero di battute a disposizione era limitato e pago un eccesso di sintesi. Rettificherò quel passaggio. Sono stata onesta nel rappresentare un dato oggettivo: al Visconti ci sono pochi studenti stranieri e non abbiamo disabili. Volevo dire che la didattica ordinaria, così, è più semplice: recuperare l’italiano di uno straniero chiede risorse e tempo. Credo che tutti gli studenti, ricchi e poveri, debbano crescere insieme e credo nella multiculturalità ».

Scuola, vince lo Scientifico «Professionali da rilanciare»

da Il Messaggero

Scuola, vince lo Scientifico «Professionali da rilanciare»

I dati, resi noti ieri dal ministero dell’Istruzione a seguito della chiusura delle iscrizioni martedì scorso, parlano chiaro: il 55,3% dei ragazzi ha scelto un liceo, contro il 54,6% dello scorso anno

ROMA

Il liceo non perde mai il suo fascino, anzi ne acquista sempre di più. Sul podio resta lo scientifico ma continua anche la ripresa del classico: sempre più numerosi, quindi, i ragazzi pronti a cimentarsi con le versioni di greco e latino. È sufficiente scorrere i dati delle iscrizioni per il prossimo anno alle scuole superiori per capire l’orientamento di mezzo milione di studenti di terza media e relative famiglie: il liceo, quindi lo studio che inevitabilmente prosegue con la laurea, mantiene il suo appeal in vista di una carriera lavorativa mentre gli studi professionali non riescono a conquistare la fiducia dei ragazzi nell’apprendimento di un mestiere. I dati, resi noti ieri dal ministero dell’Istruzione a seguito della chiusura delle iscrizioni martedì scorso, parlano chiaro: il 55,3% dei ragazzi ha scelto un liceo, contro il 54,6% dello scorso anno.

IL PRIMO DELLA CLASSE

Nel dettaglio, il primo della classe si conferma lo scientifico con il 25,6% di preferenze e un buon +0,5% sull’anno precedente. Anche il classico guadagna voti passando da 6,6% a 6,7% così come il linguistico e il liceo delle scienze umane. Stabile a 0,9% il liceo musicale e coreutico mentre perdono 0,2% e 0,1% rispettivamente il liceo europeo e il liceo artistico. Un dato, su tutti, è confermato: gli studenti preferiscono il liceo, nel Lazio il record con oltre il 68% di preferenze. Più di un ragazzo su due sceglie di studiare latino, matematica e fisica o le lingue. Ed è così dal 2014, in costante crescita. Non è lo stesso per gli indirizzi di studio che preparano al lavoro e che, in tempi di crisi, dovrebbero offrire maggiori possibilità di occupazione. Ma qualcosa ancora non funziona visto che se uno su due sceglie il liceo, solo uno su tre opta per l’istituto tecnico. Fanalino di coda resta il professionale che non riesce a decollare. Agli istituti tecnici è arrivato il 30,7% delle iscrizioni, rispetto al 30,3% di un anno fa, e a spiccare è il settore tecnologico con il 19,3% delle scelte. In perdita invece gli istituti professionali, scelti dal 14% degli studenti in netto calo rispetto al 15,1% del 2017/2018. Eppure a settembre partirà la riforma degli studi professionali, mirata a semplificare gli indirizzi, senza le sovrapposizioni di materie che si creavano fino ad oggi e con un aumento di ore di laboratorio. Evidentemente non c’è stato il tempo necessario per far recepire alle famiglie il cambiamento, con un adeguato orientamento tra i ragazzi di terza media. «Dal prossimo anno potremo vedere il vero avvio della riforma e le scelte dei ragazzi – spiega il sottosegretario Gabriele Toccafondi, in prima linea per il rilancio dei professionali – dobbiamo avviare un cambiamento culturale: fino ad oggi i professionali sono stati considerati studi di serie B e i laboratori spesso sembravano musei. Con i fondi Pon e la riforma cambieremo l’approccio: meno materie e più ore di laboratorio. Resta la preparazione scolastica in materie come italiano e matematica a cui si aggiunge l’apprendimento di un mestiere. Una competenza in più».

PROCEDURE ON LINE

C’è un altro dato allarmante che emerge dalle iscrizioni online: solo il 71,8% delle procedure sono state fatte autonomamente. Vale a dire che il restante 28,2% delle famiglie coinvolte ha dovuto chiedere aiuto alla scuola. Una famiglia su tre, quindi, non ha un computer in casa o non ha l’accesso a Internet. Oppure non sa utilizzarlo. «Le procedure on line – ha spiegato la ministra all’Istruzione, Valeria Fedeli – costituiscono un’importante facilitazione per chi deve fare la propria scelta e anche per le scuole che possono gestire in modo più rapido le domande. Si tratta di una importante innovazione che il Ministero ha introdotto ormai da qualche anno e che cerchiamo di migliorare per rendere il servizio sempre più efficiente». I maggiori problemi sono stati registrati in Puglia dove il 58,2% delle famiglie ha dovuto chiedere assistenza, in Campania con oltre il 56%, in Calabria e in Sicilia con il 54%.
Lorena Loiacono

Coding, robotica e competenze computazionali si insegnano dalla scuola primaria

da La Tecnica della Scuola

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Iscrizioni 2018/2019: cosa devono fare le scuole dopo la chiusura delle funzioni per le famiglie

da La Tecnica della Scuola

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