AA.VV., Educare alle immagini e ai media

Bambini, immagini, nuovi media: ecco il manuale per educare i “nativi digitali”, dal primo anno di età. Da Coopselios uno strumento pratico per insegnanti e genitori

Le immagini digitali sono divenute centrali nella vita dei più piccoli sin dai primissimi anni di vita: su tablet, televisione, pc, smartphone confluiscono e convivono enormi quantitativi di immagini, autentiche e manipolate. Possono diventare uno strumento didattico? “Educare alle immagini e ai media. Manuale per un uso consapevole da 0 a 11 anni” (ed. Spaggiari Junior) è un libro voluto dalla cooperativa Coopselios, specializzata nei servizi all’infanzia, come guida pratica per educatori e genitori: propone attività concrete, laboratori ed esperienze sul campo per imparare attraverso le immagini 2.0. Questi percorsi didattici innovativi, sperimentati sul territorio reggiano, sono già realtà presso il nido “Le Corti” di Correggio (RE). Il libro viene presentato il 19 febbraio presso il Teatro Asioli di Correggio dalla curatrice Sabrina Bonaccini, Direttore Tecnico Area Educativa Coopselios, insieme a Lorella Zanardo – autrice, documentarista e scrittrice – che si è occupata della supervisione

I giochi sul tablet sono il peggiore intrattenimento per i nostri figli? No, basta scegliere quelli giusti. Vietare internet ai bimbi? È una battaglia senza senso, meglio educare i più piccoli a sfruttarne le potenzialità e a evitarne i rischi. La tecnologia è un danno per l’apprendimento? Al contrario, se usata correttamente può diventare una grande risorsa.

Oggi i bambini, sin da piccolissimi, sono immersi in un mondo di immagini mediate da uno schermo – soprattutto smartphone e tablet – in modo invasivo: secondo l’Istituto di Neuroscienze del CNR è possibile che in futuro, accanto ai centri del linguaggio, che hanno la loro sede nell’emisfero sinistro del cervello (per i destrimani), si sviluppino centri per il linguaggio digitale.

L’Italia, però, risulta ancora arretrata rispetto all’alfabetizzazione ai media, mentre la necessità di tutelare la crescita dei bambini di fronte ai contenuti mediatici è un tema urgente, non più rinviabile, che coinvolge docenti, insegnanti e genitori. Per questo Coopselios, cooperativa sociale da sempre molto attenta e impegnata nella promozione di tematiche educative contemporanee, ha realizzato con la supervisione di Lorella Zanardo il libro “Educare alle immagini e ai media. Manuale per un uso consapevole da 0 a 11 anni”, edito dalla casa editrice Spaggiari Junior e curato da Sabrina Bonaccini, Direttore Tecnico Area Educativa Coopselios.

Il volume è una bussola riguardo a questi temi e si muove su tre linee guida che sono anche gli obiettivi da raggiungere per una corretta “dieta mediatica” per i nostri bambini: la prima riguarda la promozione – in bambini, insegnanti e genitori, della consapevolezza e dell’abilità nel guardare e comprendere le immagini che arrivano dall’esterno, imparare a riconoscere la distinzione tra finzione e realtà, l’attivazione di azioni di denuncia nei confronti di immagini che si ritengono dannose, discriminanti o lesive della dignità. La seconda è volta alla promozione della capacità di gestire la propria immagine comprendendone il valore, le implicazioni e le conseguenze nel tempo della presenza delle nostre immagini e dei comportamenti che vi sono collegati, in modo da sapersi tutelare nel rispetto di sé e degli altri. Infine, la terza è relativa al piano creativo: promuovere le abilità e le conoscenze per imparare a “fare media”, cioè ideare, progettare e realizzare messaggi e contenuti da promuovere nella “mediasfera”.

Il libro offre numerose proposte didattiche concrete e già sperimentate rivolte agli insegnanti e agli educatori che vogliano iniziare un percorso di ricerca con i bambini e le bambine da 0 a 11 anni. Questi percorsi didattici innovativi, sperimentati su diverse strutture del territorio reggiano gestite da Coopselios, sono già realtà presso il Centro di sperimentazione creativa per l’infanzia “Le Corti” di Correggio (RE): il centro si propone come laboratorio di cultura digitale, dove condividere idee, risorse, opportunità. Atelier creativi, contesti di esplorazione e conoscenze innovativi diventano al Centro “Le Corti” importanti occasioni di apprendimento.

Gli autori

Il volume è curato da Sabrina Bonaccini, Direttore Tecnico Area Educativa Coopselios e pedagogista che da 26 anni si occupa di progettare contesti educativi che sostengono le potenzialità dei bambini e delle bambine, oltre che di formazione, ricerca e innovazione nel campo dei servizi educativi. Il testo è il frutto di un lavoro collegiale e raccoglie diversi contributi di chi opera direttamente nei servizi (pedagogisti, insegnanti, atelieristi e genitori) e vede l’importante contributo e la supervisione di Lorella Zanardo e Cesare Cantù. Lorella Zanardo, autrice, documentarista, scrittrice coautrice del documentario “Il corpo delle donne” e dell’omonimo libro edito da Feltrinelli. Ideatrice con Cesare Cantù del percorso educativo “Nuovi occhi per i media” che propone l’educazione all’immagine per i giovani come strumento di cittadinanza attiva.

L’evento

Coopselios, in collaborazione con il Comune di Correggio (RE), promuove e organizza l’incontro “Educare alle immagini e ai media per diventare cittadini consapevoli”, con la partecipazione di Lorella Zanardo, autrice, documentarista e scrittrice. L’appuntamento è per lunedì 19 febbraio alle 16.30 presso il Teatro Asioli di Correggio.

L’evento, aperto alla cittadinanza e in particolare alle famiglie e agli insegnanti, vuole porre al centro del dibattito una riflessione sull’influenza che le immagini hanno nella vita di ognuno di noi e in particolare sui bambini. E’ un’occasione di confronto e di scambio per riflettere sull’importanza di sostenere i bambini, gli insegnanti e i genitori nell’essere consapevoli e abili nel comprendere la qualità delle immagini che arrivano dall’esterno, nel farne un consumo consapevole e non passivo. Solo in questo modo è possibile educare e crescere una “cittadinanza attiva”.

La scheda del libro

Autore: AA.VV. a cura di Sabrina Bonaccini

Titolo: Educare alle immagini e ai media. Manuale per un uso consapevole da 0 a 11 anni

Editore: Spaggiari Junior

101 pagine

€ 20,00

ISBN 978-88-8434-822-7

Contro il blocco triennale della mobilità

Docenti immobilizzati, Associazione insegnanti in movimento e Vecchi docenti in ruolo contro il blocco triennale della mobilità
In relazione all’Ipotesi di CCNL, sottoscritta frettolosamente in data 9 Febbraio 2018 tra l’Aran e le Organizzazioni e Confederazioni sindacali, fatta eccezione per lo SNALS CONFSAL e la FED. GILDA UNAMS, i Docenti immobilizzati e i Vecchi docenti in ruolo con vecchie regole manifestano tutto il loro dissenso e la loro disapprovazione, evidenziando come tale accordo penalizzi ancora una volta la categoria dei docenti per quanto attiene ai diritti costituzionalmente garantiti della libera circolazione sul territorio nazionale e del rispetto all’unione familiare.
Aver introdotto ex novo un blocco triennale per quei docenti che, indicando su base volontaria delle scuole, ottengano titolarità su una di queste istituzioni scolastiche, rappresenta una gravissima limitazione. Moltissimi docenti lontani da anni dalle proprie famiglie e vittime dell’algoritmo impazzito, e che stanno provando gradualmente ad avvicinarsi a casa, magari indicando scuole delle province viciniori, rischiano di rimanere bloccati per tre lunghi anni lontani dai propri affetti.
Di fatto si costringono i docenti immobilizzati lontano dalla residenza che hanno già abbondantemente assolto al vincolo triennale, a subirne un altro ancora più subdolo, perché il blocco triennale induce a richiedere solo ambiti e ad essere assoggettati alla chiamata diretta, perdendo ogni possibilità di aspirare alla titolarità su scuola.
Non tenere conto dei disagi che migliaia di docenti stanno vivendo sulla propria pelle da anni, con modifiche peggiorative del proprio status contrattuale e soprattutto dalla ricaduta retroattiva, è lesivo dei propri diritti acquisiti, che non sono stati in alcun modo tutelati dai sindacati firmatari di questo contratto capestro.
Anni di scelte scellerate circa la mobilità territoriale dei docenti hanno prodotto una situazione vergognosa, che anziché essere sanata si continua a peggiorare, con soluzioni vessatorie che sono ben lontane da quello che dovrebbe essere adottato in un Paese civile.
I Docenti immobilizzati, l’ Associazione insegnanti in movimento e iVecchi docenti in ruolo con vecchie regole, pertanto, chiedono che venga eliminato dal CCNL ogni riferimento a vincoli e a restrizioni alla mobilità territoriale e professionale, a maggior ragione per tutti quei docenti che sono entrati in ruolo ante L. 107/15 e che si ritrovano gravemente danneggiati nel loro diritto al rientro in sede di residenza. Rientro che ormai risulta impedito da anni, vedendo i vecchi docenti di ruolo vessati anche dalle aliquote irrisorie assegnate alla mobilità, in favore delle nuove assunzioni.
Si ponga rimedio a questa situazione ingiusta e illegittima: si ripristini la mobilità annuale su scuola senza blocchi di sorta, altrimenti saremo costretti ad adire per l’ennesima volta le vie legali.
Docenti immobilizzati(11.326 membri), Associazione insegnanti in movimento (280 membri),
Vecchi docenti in ruolo con vecchie regole (5134 membri).

Il liceo… mon amour!

Il liceo… mon amour!

di Maurizio Tiriticco

Mi sembra che nel nostro Paese il cambiamento in atto, ormai da tempo, nell’economia e nel mondo del lavoro non sia correttamente percepito dalle famiglie italiane per quanto concerne l’avvenire dei loro figli dopo il conseguimento della licenza media! Fino a questo livello tutto procede regolarmente: scuola materna sì o no, tanto poi ci sono i nonni che con i nipoti ci stanno tanto tanto volentieri; comunque anche socializzare con gli altri bambini non fa male e le maestre poi sono tanto buone e tanto brave! Ma il fatto è che gli otto anni di scuola elementare e media scappano via in un attimo e poi… e poi bisogna scegliere! Insomma, fino ai 14 anni il bambino è stato un bambino, tanto tanto bravo, e poi ha preso pure un bel 10 all’esame finale! E poi ci sono le competenze… sì le competenze… questa novità che rende grandi! Tutte raggiunte e tutte al livello A! Certi suoi compagni hanno tanti livelli D e non sanno neanche che, in altri tempi sarebbero stati bocciati! Ma adesso siamo buoni! E poi i primi anni di scuola sono obbligatori… e allora? Ce la devono fare tutti, anche con il livello D! Che, insomma, è un modo per dire: noi lo licenziamo, ma poi… sono fatti vostri!

Ed è proprio così! Tutto OK fino ad ora, ma ora si deve scegliere! Che fare? Sì, lo sappiamo: le professoresse – ma i professori alle medie ci sono? – ci hanno detto che, tutto sommato, i primi due anni delle superiori sono una sorta di anticamera per… e che i professori – però anche qui mi sembra che siano tutte donne – dopo un mesetto ci dicono che forse era meglio che… ma noi genitori che ne sappiamo? Sappiamo solo che il liceo è il meglio, perché non ci sono né stranieri né disabili, come hanno detto certi presidi! E che al professionale ci vanno solo quelli che non hanno voglia di studiare! Ma nostro figlio è bravo! Ha tutti A sulla scheda finale, quindi… può andare ovunque, ma… i ma sono tanti!

Lui non ci vuole pensare troppo! Dice solo che tanta voglia di studiare non ce l’ha! Però non vuole neanche andare a lavorare! Lo zio Piero ha una pasticceria e… hai voglia a far dolci e a venderli! Gli affari non vanno male! La gente i pasticcini li compra sempre, soprattutto il sabato e la domenica, quindi… ma lui non ne vuole sapere! Io in cucina tutto il giorno a far pasticcini? E pure la domenica? Ma manco per sogno! E manco se mi mettono alla cassa! Allora? Ne abbiamo parlato in famiglia, poi abbiamo sentito altri genitori! Quelli dei suoi compagni di scuola! Il mio Filippo ha scelto il liceo scientifico – mi ha detto la signora Bonani – perché con i numeri ci va a nozze! Ma la Ceccarelli mi ha detto che la figlia vuole andare al liceo, che ormai non è più la scuola dei signori! Al classico dove c’è il greco! Ma il greco poi a che serve? Tanto tanto il latino…

Insomma! Io e mio marito ci siamo informati! In Italia ci sono i licei, i tecnici e i professionali! Il liceo è quello che “apre la mente” – così dicono – ma che non dà soldi! Poi devi andare per forza all’università! Gli istituti tecnici sono tanti! Mio marito ha fatto una ricerca con il computer. Le scelte sono tante: agraria, amministrazione, finanza, marketing, chimica, biotecnologie… ma che roba è! E poi che ne sappiamo che cosa si insegna all’istituto vicino a casa?! Per i professionali ci hanno detto di no! Ci vanno solo quelli che devono sbrigarsi presto ad avere un titolo che ti fa lavorare in qualche azienda. Dicono che dopo tre anni ti danno una qualifica! Ma poi… a trovarlo il lavoro!!!

Sai che ti dico: io lo mando al liceo scientifico… poi si vedrà! Ho visto che una su Facebook – forse è una professoressa – ha scritto: “Ci si dovrebbe soffermare su cosa veramente, concretamente, si fa negli istituti tecnici e professionali. Se sto tre o cinque anni a studiare come si usa una macchina e poi quando esco è obsoleta…cosa avrò fatto? Meglio avere il cervello aperto e motivato verso la diversità. I percorsi umanistici aiutano a non morire. Uno dei miei più bravi in filosofia, è un talento straordinario come meccanico, ripara i motori di vecchie Panda, 500 e 500 anni ‘70”.

Mah! Sai che ti dico… che forse è proprio meglio il liceo, ma quello scientifico!

Spunti educativi

Spunti educativi dall’articolo 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia

di Margherita Marzario

Uno degli articoli più ricchi di spunti di riflessione pedagogica (e non solo) in tutta la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989 (il cui acronimo è CRC) è l’articolo 5: “Gli Stati parti rispettano le responsabilità, i diritti ed i doveri dei genitori o, all’occorrenza, dei membri della famiglia allargata o della comunità secondo quanto previsto dalle usanze locali, dei tutori o delle altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di impartire a quest’ultimo, in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti che gli riconosce la presente Convenzione”.

Significativo che l’articolo cominci col richiamo delle responsabilità e che nell’elencazione soggettiva, poi, si riferisca pure alla famiglia allargata e alla comunità.

Un esempio di “famiglia allargata” o “comunità” ai sensi dell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è il popolo Himba, basato su una cultura semplice e meravigliosa che avrebbe molto da insegnare ai cosiddetti “civilizzati”: il legame con gli antenati; il rispetto; la tutela dei piccoli; la vera democrazia tanto che non hanno il capo, ma il custode del villaggio.

La scrittrice Melania Gaia Mazzucco precisa: “Gli africani hanno tra loro legami profondi. La famiglia allargata non è solo quella di sangue: un africano chiama papà o fratello molte persone. Difficilmente è solo. Ha la certezza che chi gli è vicino morirebbe per lui. È lo specchio rovesciato della nostra solitudine: spesso fuori dalla famiglia mononucleare in Occidente c’è una generica società”. La famiglia allargata di cui ha bisogno il bambino è una rete affettiva e relazionale in cui ci si mette veramente l’uno al servizio dell’altro, una base di solidità e solidarietà e non un insieme di relazioni fragili e frammentate le quali cambiano in base agli alterni sentimenti degli adulti.

Si dice che ai giovani non bisogna dare punti di riferimento ma persone di riferimento. I giovani hanno sempre più bisogno di adultità, autorità, autenticità. Non hanno bisogno di sermoni e spiegazioni, ma di “orientamento e consigli”.

“Abbiamo ritenuto che i metodi educativi di una volta fossero senz’altro troppo autoritari e coercitivi, d’accordo. Ma se li abbiamo sostituiti con il nostro semplice «assenteismo», non ci abbiamo guadagnato un granché. Non esistono ragazzi cattivi: fanno il loro mestiere, talvolta esagerando. Ma gli adulti, fanno il loro?” (fra Fabio Scarsato, esperto di problematiche minorili). È responsabilità comune occuparsi dei bambini e dei ragazzi e educarli alla cultura dei diritti, affinché non sviluppino un atteggiamento di abuso o sopruso, distruttivo per loro e per tutti.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni sostiene: “L’autorità degli adulti diviene il contenitore in cui l’adolescente può sperimentare e godere di un certo grado di aggressività senza pericolo: la carenza di tale autorità è fonte di angoscia, perché lascia i ragazzi soli di fronte alla paura di non sapere maneggiare la propria aggressività; un eccesso di controllo impedisce all’adolescente di assumere su di sé la gestione della propria aggressività in modo maturo”. Nella genitorialità è insita l’autorità, quell’autorità che ha la stessa origine etimologica di “autore”, “far crescere, aumentare”, perché i genitori sono “autori di vita”. L’autorità si manifesta anche nell’orientamento e consigli: orientare e orientarsi, volgere lo sguardo verso oriente, avere e fissare i punti cardinali della vita.

Fantoni aggiunge: “[…] è necessario che un ragazzo sviluppi un suo pensiero, anche se magari in modo incerto e infastidito. Non consentendogli di dare risposte scontate e generiche. Ultimo: anche facendo tutto questo, restiamo aperti al fatto che il risultato conclusivo non è scontato, e non sempre va nella direzione che vorremmo”. Genitori e educatori, più che rimproverare, devono correggere (etimologicamente “reggere, guidare diritto con”), che non è dare direzioni ma indicazioni. È anche questo il senso della locuzione “impartire orientamento e consigli”. “Consigliare”, che può significare letteralmente “fare insieme silenzio” o “sedersi insieme”, evoca “consolare”, “stare con chi è solo”: ciò che devono fare i genitori nell’accompagnare i figli verso la loro vita (e non lasciarli soli sul divano o davanti ad un tablet).

Il pedagogista Daniele Novara spiega: “I bambini non hanno intenzione di provocare gli adulti, spesso semplicemente vogliono attirare la loro attenzione. A questa età i piccoli non sono in grado di riflettere su una loro azione, è inutile cercare di convincerli con spiegazioni e divieti. L’urlo non fa che spaventarli, provocando una gran confusione. Servono viceversa poche regole chiare e semplici, date in accordo da entrambi i genitori”. Le regole di famiglia e di vita non si inventano né si impongono ma si condividono e si costruiscono prima tra i genitori e poi con i figli.

Anche Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, scrive: “I ragazzi tendono a dribblare le nostre regole, a eluderle non appena noi abbiamo voltato le spalle, soprattutto se queste regole hanno a che fare con la loro frequentazione delle tecnologie, ambito che li vede impegnati per molto tempo e con molte energie. […] In questa fase della vita si ha una fisiologica tendenza a oltrepassare il limite e a cercare zone di trasgressione e l’adulto deve esercitare un buon presidio del territorio della crescita e ribadire con la propria presenza e i propri interventi educativi che le regole sono eventualmente negoziabili, ma non trasgredibili. In particolare le regole che hanno a che fare con l’uso delle tecnologie, che, se abusate al di fuori di un chiaro modello di autoregolazione, rischiano, soprattutto in preadolescenza, di generare un impatto veramente forte sullo sviluppo cerebrale dei ragazzi. […] Anche per questi motivi, ha senso oggi essere genitori “rompiscatole”. In preadolescenza più che in altre fasi della vita. Naturalmente senza essere ossessivamente controllanti”. Etimologicamente “ragazzo” significa “garzone, corriere”, pertanto colui che esegue degli ordini; i ragazzi hanno bisogno di regole. “Regola”: dal verbo latino “regere”, “reggere, dirigere, guidare, amministrare, fissare, stabilire”. Nell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla contestualmente sia di “comunità” sia di “impartire orientamento e consigli”. I genitori, proprio perché tali, devono fare comunità per i figli (tra i vari esempi, il cosiddetto patto educativo di corresponsabilità scuola-famiglia) e orientarli e consigliarli (usando i verbi nella forma attiva, giacché la genitorialità è un’attività e un’interazione e non isolati interventi), poiché anche la vita si basa su leggi, come le “leggi di Mendel”.

Quanto avviene nella pratica della cosiddetta “Riunione di famiglia”. “Sperimentata per la prima volta in Nuova Zelanda alla fine degli anni Ottanta, da diversi anni la pratica delle Family Group Conference ha preso piede anche nel nostro Paese, fino a coinvolgere un ampio gruppo di operatori sociali e di volontari, che stanno già costituendosi come “comunità di pratica professionale”, con collegamenti anche internazionali. La pratica ha perfino trovato un proprio nome in italiano (Riunione di Famiglia), fatto che già di per sé descrive la capacità di questa metodologia di adattarsi al nostro contesto nazionale. In effetti la carica innovativa di questa pratica risiede in una interazione tra operatori sociali e famiglie che non lascia passiva la famiglia, ma la rende protagonista, e quindi responsabile del proprio rilancio. Gli operatori, con diverse modalità (facilitatori, portavoce, referenti dei vari servizi) devono infatti lavorare per far sì che una famiglia in difficoltà (in genere per sostenere un minore) possa trovarsi attorno ad un tavolo, per una riunione di due – tre ore in cui scrivere un progetto condiviso, in cui tutti i membri della famiglia possono indicare (e sottoscrivere) cosa si può fare per cominciare ad uscire dalla difficoltà. Emerge peraltro con nettezza la natura sussidiaria e promozionale di questo intervento, che deve “parlare con voce di famiglia”; e non con quella degli operatori. In primo luogo quando si deve scrivere il progetto il facilitatore della Riunione (che fino a quel momento è stato “regista attivo” della scena) esce della stanza, confidando nelle capacità autonome della famiglia: sono i membri della famiglia a dover dare parola agli accordi. Inoltre, uno degli elementi “cruciali” della Riunione è in genere la presenza di uno “spuntino”: perché anche il cibo condiviso costruisce il linguaggio familiare, necessario per aiutare la famiglia a confidare in se stessa, per poter ripartire” (il sociologo Francesco Belletti). Con la prassi delle “Riunioni di famiglia” la famiglia si riappropria altresì della sua natura all’insegna dei principi costituzionali espressi negli articoli 2 e 29-31 della Costituzione.

Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla di “esercizio dei diritti” (articoli 5, 13, 14, 15), perché è bene che il bambino sia educato all’esercizio dei diritti per comprenderne i limiti e i corrispondenti doveri. “Nulla educa alla democrazia più dell’esercizio della democrazia”, affermava il filosofo Norberto Bobbio. I bambini non si devono abituare pian piano (come dicono alcuni genitori, più per giustificare il loro operato che i figli stessi), ma devono essere educati pian piano: l’educazione non è un processo passivo e adattivo, ma attivo e interattivo.

“La scuola deve adeguarsi, ormai assumiamo tecnici”

da La Stampa

“La scuola deve adeguarsi, ormai assumiamo tecnici”

La sferzata del presidente di Confindustria Cuneo: «Questo è il futuro»
MATTEO BORGETTO

«Cari genitori, qualsiasi percorso scolastico individuerete per i vostri ragazzi, avrete fatto una buona scelta, perché tutte le nostre scuole sono eccellenti e qualificate. Ma nostro dovere è evidenziarvi questa realtà. Perché sono queste le persone che troveranno subito lavoro una volta terminati gli studi». È la lettera alle famiglie del presidente di Confindustria Cuneo, Mauro Gola, in vista delle iscrizioni alle Superiori e che ha aperto un dibattito di valenza nazionale.

Nasce da un focus sul mondo del lavoro nella “Granda”, al 26° posto fra le province italiane per prodotto interno lordo pro-capite (27.300 euro). Un mondo in cui l’anno scorso sono entrate 40.360 persone, la maggior parte nei settori del commercio, turismo e servizi (61%), il resto nell’industria. Ma sul totale degli assunti, oltre la metà ha un diploma professionale: il 19% sono addetti agli impianti, il 18% operai specializzati, l’11% tecnici specializzati. Numeri forniti dal Centro studi di Confindustria Cuneo, analizzati dai vertici e messi a disposizione dei genitori.

«Mai detto che i ragazzi non debbano andare al liceo e poi all’università – sottolinea Gola, 51 anni, imprenditore del settore informatica -. Mio figlio frequenta lo Scientifico, l’ho consigliato in base alle prospettive che potrei offrirgli, così come se fossi stato un artigiano del legno lo avrei indirizzato verso una scuola professionale. Il punto è che Confindustria ha responsabilità sociali e morali, prima che economiche. La cosa più giusta, è fare capire alle famiglie quali figure le nostre aziende hanno intenzione di assumere nei prossimi anni». Tecnici e operai, che nel settore industriale cuneese hanno anche un’altra forma di garanzia: il 91,5% dei nuovi assunti firma un contratto a tempo indeterminato, contro il 16,5% di chi trova lavoro in altri comparti. «L’imprenditore, quando assume – continua Gola -, lo fa perché considera il nuovo entrato una persona della famiglia, un soggetto in cui credere. E spesso gli offre le migliori condizioni contrattuali, o comunque di stabilità».

Anche se in settori che riguardano una minoranza di giovani, l’indagine di Confindustria Cuneo evidenzia altre figure di difficile reperimento. Nella Granda, su 3.790 nuovi laureati richiesti dal mondo del lavoro nel 2017, più del 33% non è stato trovato sia per assenza di candidati, sia per la loro preparazione inadeguata. Mancano ingegneri industriali (55% di richieste disattese), architetti (77,7%), chimici (76%) e informatici (54,2%). «Serviranno sempre ingegneri e architetti – aggiunge Gola – ma le principali necessità sono di operai specializzati. E va cambiato anche un concetto: non sono più gli operai sfruttati Anni ’60, ma persone con competenze tecniche, creatività e manualità, oltre che molto ben pagate, perché spesso vengono impiegate all’estero». Ribadisce la «libera scelta dei ragazzi e delle loro famiglie», e conclude: «Il lavoro è dignità. Trovarlo subito dopo la scuola, in un’Italia dove un giovane su tre è disoccupato, non è cosa da poco».

Cgil: smantellate leggi negative

da ItaliaOggi

Cgil: smantellate leggi negative

di Francesco Sinopoli* *segretario Flc-Cgil

Dopo nove anni di attesa, abbiamo siglato il contratto. Ed è stato un bene averlo fatto, perché, mentre il nostro paese attraversava la più profonda crisi economica dai tempi del secondo dopoguerra, si sono affacciate almeno due generazioni di nuovi docenti, di lavoratori amministrativi, tecnici, ausiliari e di dirigenti scolastici a cui è stato negato il diritto di partecipare al rinnovo contrattuale, di parlare del proprio lavoro. Un messaggio di svalorizzazione della funzione sociale di oltre 1 milione di lavoratori.

Il rinnovo del contratto è stata anche l’occasione per smantellare leggi negative che hanno fatto male alla scuola senza fare il bene dei lavoratori (Brunetta, Gelmini, 107). Alcuni esempi di come il nuovo contratto rimette al loro posto alcune delle storture contenute nella 107: superamento del comma 73 che imponeva la mobilità solo su ambito; confermata la possibilità del trasferimento o passaggio su scuola; la chiamata diretta (assegnazione da ambito a scuola) sarà contrattata a livello nazionale; il «bonus» premiale docenti confluisce in parte nel salario e in parte nelle risorse del Fondo da contrattare; chiariti gli obblighi dell’organico potenziato; si contrattano le risorse della formazione; si contrattano i compensi dalle risorse dell’Alternanza scuola-lavoro; viene superata la discriminazione nei confronti dei supplenti esclusi dalle risorse del bonus.

Sul piano salariale, gli aumenti medi attribuiti sono pari al +3,48% e con l’elemento perequativo si è consentito, per molti profili Ata e per alcuni ruoli docenti al di sotto della soglia di 85 euro, di potersi avvicinare quanto più possibile ad un incremento pari a tale somma. In questo modo la forbice degli incrementi si è ridotta a favore dei salari più bassi con aumenti che vanno da un minimo di 80.40 euro a 110,70. E poi, solo per elencare alcuni capitoli, la contrattazione integrativa è assai più corposa e razionale, i dipendenti a tempo determinato avranno un contratto con un termine preciso… Si poteva fare di più e meglio? Crediamo di no. È questo il punto di ripartenza.

Trasferimenti solo ogni tre anni

da ItaliaOggi

Trasferimenti solo ogni tre anni

Carlo Forte

I docenti che otterranno il trasferimento o il passaggio nella sede richiesta, acquisendone la titolarità, non potranno presentare domanda di trasferimento o passaggio per i tre anni successivi. La preclusione non vale per i titolari su ambito che abbiano ottenuto un incarico triennale su sede, che potranno continuare a partecipare, anno per anno, alla mobilità a domanda ai fini dell’attribuzione di una sede di titolarità. Ma quando la otterranno, dovranno rimanere in tale sede per tre anni prima di riacquisire il diritto a partecipare alla mobilità a domanda (trasferimenti e passaggi). Lo prevede il comma 4, dell’articolo 22, dell’ipotesi di contratto collettivo nazionale della scuola, siglata il 9 febbraio scorso dai rappresentanti dell’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) e i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil (Snals e Gilda non lo hanno firmato). Il nuovo contratto prevede che la contrattazione integrativa sulla mobilità si svolgerà con cadenza triennale (e non più annualmente come è accaduto fino ad oggi). E in tale sede saranno pattuite le procedure e i criteri generali per la mobilità professionale e territoriale, fatte salve le disposizioni di legge.

La preclusione del diritto di partecipare alla mobilità a domanda (relativamente ai trasferimenti e ai passaggi) è stata motivata dalle parti facendo riferimento al principio della continuità didattica, intesa come «continuità di offerta formativa, secondo una linea ed un programma costante (Tribunale di Trieste, ordinanza 22.12.2007». Principio che, secondo la giurisprudenza di merito, non può essere inteso come un diritto assoluto del docente a non essere rimosso dalla propria cattedra, bensì come una regola da osservarsi, da parte dell’amministrazione scolastica, soprattutto nell’interesse degli alunni, finendo per integrare, in questo specifico contesto, un modo preferenziale di gestione delle decisioni sulla mobilità degli insegnanti (Tribunale di Bologna sentenza 10/12/2013 n.947). Per lo stesso motivo, le parti hanno ritenuto di conservare l’istituto dell’utilizzazione: un trasferimento annuale finalizzato a ricollocare il personale trasferito d’ufficio o a domanda condizionata che indichi nella domanda, come prima preferenza, la sede di ex titolarità. L’articolo 22, peraltro, salva anche l’istituto dell’assegnazione provvisoria: un trasferimento annuale finalizzato a consentire al personale interessato di ottenere, almeno per un anno, una sede più vicina alla dimora della propria famiglia. Ciò anche in forza del fatto che le norme di legge sull’assegnazione provvisoria non sono mai state abrogate, ma solo disapplicate in favore della contrattualizzazione del rapporto di lavoro.

Le nuove norme scatteranno dalla prossima tornata negoziale che si terrà il prossimo anno. Per quest’anno, infatti, rimarranno in vigore le disposizioni pattuite con l’ultimo contratto sulla mobilità sottoscritto il 21 dicembre scorso da Cgil, Cisl, Uil e Snals (la Gilda –Unams non lo ha firmato in quanto contraria al sistema degli ambiti e della chiamata diretta). Contratto che, peraltro, non fa che prorogare l’accordo dello scorso anno. Le domande di trasferimento e di passaggio dei docenti dovranno essere presentate dal 3 al 26 aprile. Per istanze di mobilità del personale Ata i termini andranno dal il 23 aprile e il 14 maggio.

In ogni caso, la tempistica delle operazioni dovrà fare i conti anche con i tempi tecnici dell’Inps per la comunicazione dei nominativi dei docenti e dei non docenti che andranno in pensione dal 1° settembre. I posti lasciati liberi dai pensionati, infatti, assumono rilievo sull’organico di diritto. Vale a dire, sull’organico in riferimento al quale vengono disposti i trasferimenti, i passaggi di cattedra e di ruolo, le immissioni in ruolo e le supplenze annuali fino a 31 agosto. Tra le novità più importanti (novità che riguardano solo l’ordinanza ministeriale di quest’anno) il fatto che l’individuazione dei soprannumerari sui posti di sostegno nella scuola superiore sarà effettuata previa compilazione di una graduatoria unica.

I docenti di sostegno delle scuole superiori, dunque, saranno trattati secondo il criterio della fungibilità dell’insegnamento, così come avviene nelle scuole secondarie di I grado. In altre parole, anziché essere suddivisi nelle consuete quattro aree a seconda dei gruppi di classi di concorso di provenienza (AD01, AD02, AD03 E AD04) e in 4 graduatorie di istituto diverse suddivise per aree (una graduatoria per AD01, una per AD02, una per AD03 e una per AD04) le istituzioni scolastiche compileranno un’unica graduatoria di istituto dei docenti di sostegno nella quale gli interessati entreranno a pettine con il loro punteggio a prescindere dall’area di appartenenza. E i posti di sostegno dell’organico di diritto della scuola di servizio saranno trattati come se appartenessero ad un’unica area, esattamente come già avviene nelle scuole secondarie di I grado, con graduatoria unica (non divisa per aree).

Il merito fa salire lo stipendio

da ItaliaOggi

Il merito fa salire lo stipendio

Quota del bonus nel salario accessorio generale dei prof

Alessandra Ricciardi

Doppia operazione sul merito nel contratto firmato la scorsa settimana dall’Aran l’agenzia governativa per la contrattazione nel pubblico impiego, e Flc-Cgil, Cisl scuola e Uil scuola. Da un lato una quota parte dei fondi della legge 107 vanno ad arricchire stabilmente la retribuzione tabellare dei docenti, attraverso il salario accessorio della Rdp, rispettivamente per 70 milioni nel 2018, 50 milioni nel 2019 e 40 milioni a regime. Fondi che potranno anche essere incrementati in sede di contrattazione integrativa attraverso le altre voci che compongono il nuovo mega fondo per il miglioramento dell’offerta formativa.

Sul resto del fondo per il merito, che la legge 107 fissava all’origine in 200 milioni annui, le parti hanno stabilito che «i criteri generali per la determinazione dei compensi finalizzati alla valorizzazione del personale» saranno oggetto di contrattazione a livello di istituzione scolastica (articolo 22). Una formula che dovrebbe riguardare il solo quantum, visto che sui criteri qualitativi del cosa premiare dovrebbe invece pensarci l’apposito comitato.

L’altra novità è il fondo unico per l’offerta formativa in cui confluiscono tra l’altro le risorse per le ore eccedenti e quelle per le risorse strumentali, quelle per le aree a rischio e per gli Ata, le risorse per la valorizzazione dei docenti. A definire come utilizzarle sarà la contrattazione di istituto, nel confronto tra dirigente scolastico ed Rsu. Complessivamente si tratta di una partita che vale, dopo l’integrazione del bonus merito, per 819 milioni di euro.

Gli aumenti stipendiali da contratto nazionale scattano dal prossimo primo marzo, con arretrati dai 400 ai 600 euro a copertura dei due anni pregressi. Il contratto firmato infatti scade a dicembre 2018. Si va dai 96 euro medi di aumento al mese per i docenti delle scuole ai 105 euro per i docenti dell’Afam, l’alta formazione artistica. In base alle tabelle allegate al contratto, se un insegnante di scuola elementare, con alle spalle 15 anni di servizio, il 1° gennaio 2016 aveva una retribuzione tabellare di 23.424 euro annui, dal primo marzo passerà a 24.136 euro.

Un prof delle superiori con 28 anni di carriera passa da 31.475 euro a 32.444. Per il personale ausiliario, tecnico e amministrativo delle scuole l’incremento medio mensile è invece di 84,5 euro (si va da un minimo di 80 a 89 euro), per l’università di 82 euro, per ricercatori e tecnologi di 125 euro, per l’area amministrativa della ricerca di 92 euro, per l’Asi di 118 euro. Salvaguardato, per le fasce retributive più basse, il bonus di 80 euro.

Il contratto ora è all’esame della Corte dei conti. Ultimati i controlli di rito sarà firmato definitivamente e diventerà operativo.

Prof aggrediti: sì la scuola sta fallendo, ma è specchio della società

da La Tecnica della Scuola

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Contratto scuola, introdotto il congedo per la violenza di genere

da La Tecnica della Scuola

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Fedeli: linee guida per l’uso del cellulare in classe. Il successore deve attuare le deleghe della 107

da La Tecnica della Scuola

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Contratto scuola, chiarimenti sindacali su bonus docenti

da La Tecnica della Scuola

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Concorso docenti 2018, in G.U. il Regolamento con le modalità di espletamento delle prove

da La Tecnica della Scuola

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Smartphone a scuola, il decalogo del Miur

da Tuttoscuola

Smartphone a scuola, il decalogo del Miur

L’ingresso degli smartphone in classe a fini didattici è oggetto di forti controversie in tutto il mondo. Nei Paesi dove le scelte didattiche sono rimesse alla competenza delle scuole e/o degli insegnanti (come avviene in genere nei sistemi educativi di tradizione e lingua anglosassone) la decisione viene presa a livello locale dalle scuole. In quelli con ordinamenti storicamente accentrati, come la Francia e l’Italia, i rispettivi ministeri hanno invece ritenuto di disciplinare la materia a livello centrale.

Ma lo hanno fatto, quasi in contemporanea, andando in due direzioni diametralmente opposte: il divieto assoluto in Francia, dove il ministro Jean-Michel Blanquer li ha vietati, un chiaro via libera in Italia, dove la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, capovolgendo la decisione presa nel marzo 2007 dall’allora ministro Giuseppe Fioroni di vietare agli studenti di usare in classe i “cellulari”, ha varato addirittura un Decalogo per l’uso dei dispositivi mobili a scuola: un uso “responsabile e competente”, sotto la guida degli insegnanti, ma visto senza riserve come un’apertura all’adozione degli strumenti di comunicazione oggi più diffusi tra i giovani (assai più di undici anni fa), nell’intento di ricondurli a una finalità educativa. Di seguito il decalogo del Miur relativo all’utilizzo degli smartphone a scuola:

1. Ogni novità comporta cambiamenti
Ogni cambiamento deve servire per migliorare l’apprendimento e il benessere delle studentesse e degli studenti e più in generale dell’intera comunità scolastica.

2. I cambiamenti non vanno rifiutati, ma compresi e utilizzati per il raggiungimento dei propri scopi.
Bisogna insegnare a usare bene e integrare nella didattica quotidiana i dispositivi, anche attraverso una loro regolamentazione. Proibire l’uso dei dispositivi a scuola non è la soluzione. A questo proposito ogni scuola adotta una Politica di Uso Accettabile (PUA) delle tecnologie digitali.

3. La scuola promuove le condizioni strutturali per l’uso delle tecnologie digitali.
Fornisce, per quanto possibile, i necessari servizi e l’indispensabile connettività, favorendo un uso responsabile dei dispositivi personali (BYOD). Le tecnologie digitali sono uno dei modi per sostenere il rinnovamento della scuola.

4. La scuola accoglie e promuove lo sviluppo del digitale nella didattica.
La presenza delle tecnologie digitali costituisce una sfida e un’opportunità per la didattica e per la cultura scolastica. Dirigenti e insegnanti attivi in questi campi sono il motore dell’innovazione. Occorre coinvolgere l’intera comunità scolastica anche attraverso la formazione e lo sviluppo professionale.

5. I dispositivi devono essere un mezzo, non un fine.
È la didattica che guida l’uso competente e responsabile dei dispositivi. Non basta sviluppare le abilità tecniche, ma occorre sostenere lo sviluppo di una capacità critica e creativa.

6. L’uso dei dispositivi promuove l’autonomia delle studentesse e degli studenti.
È in atto una graduale transizione verso situazioni di apprendimento che valorizzano lo spirito d’iniziativa e la responsabilità di studentesse e gli studenti. Bisogna sostenere un approccio consapevole al digitale nonchè la capacità d’uso critico delle fonti di informazione, anche in vista di un apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

7. Il digitale nella didattica è una scelta: sta ai docenti introdurla e condurla in classe.
L’uso dei dispositivi in aula, siano essi analogici o digitali, è promosso dai docenti, nei modi e nei tempi che ritengono più opportuni.

8. Il digitale trasforma gli ambienti di apprendimento.
Le possibilità di apprendere sono ampliate, sia per la frequentazione di ambienti digitali e condivisi, sia per l’accesso alle informazioni, e grazie alla connessione continua con la classe. Occorre regolamentare le modalità e i tempi dell’uso e del non uso, anche per imparare a riconoscere e a mantenere separate le dimensioni del privato e del pubblico.

9. Rafforzare la comunità scolastica e l’alleanza educativa con le famiglie.
È necessario che l’alleanza educativa tra scuola e famiglia si estenda alle questioni relative all’uso dei dispositivi personali. Le tecnologie digitali devono essere funzionali a questa collaborazione. Lo scopo condiviso è promuovere la crescita di cittadini autonomi e responsabili.

10. Educare alla cittadinanza digitale è un dovere per la scuola.
Formare i futuri cittadini della società della conoscenza significa educare alla partecipazione responsabile, all’uso critico delle tecnologie, alla consapevolezza e alla costruzione delle proprie competenze in un mondo sempre più connesso.

La parola chiave del decalogo è “responsabilità”, che viene richiamata in ben cinque dei dieci punti con prevalente riferimento al ruolo degli insegnanti, ma anche a quello degli studenti e delle loro famiglie, impegnate a dare senso concreto, su un tema di grande attualità e rilevanza come quello dell’uso degli smartphone, alla alleanza educativa tra scuola e famiglia.

Insomma gli esperti, almeno quelli interpellati dal Ministero, non hanno dubbi sull’utilità dell’ingresso degli smartphone in classe e sul loro impiego positivo a sostegno di una didattica innovativa.