T. Montefusco, Competenze chiave europee e RAV

Tommaso Montefusco

COMPETENZE CHIAVE EUROPEE E RAV

Quali sono, come si valutano, con quali rubriche

I Quaderni Pearson Academy

Per la Scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado

ISBN: 9788891907790

Le scuole sono chiamate ogni anno a redigere oppure ad aggiornare il Rapporto di Autovalutazione (RAV) che, peraltro, nella scuola dell’infanzia è obbligatorio dall’anno scolastico 2017/2018.

Nel RAV è presente un’area riguardante le competenze chiave europee, sulle quali la scuola deve operare una riflessione autovalutativa, ma a differenza delle altre dieci aree presenti, per le quali l’INVALSI fornisce indicatori precisi ed espliciti, in questa sezione non sono indicati in maniera altrettanto chiara i criteri di valutazione. Questi indicatori tuttavia, secondo l’INVALSI, «contribuiscono a supportare il gruppo di autovalutazione per l’espressione del giudizio su ciascuna delle aree in cui è articolato il Rapporto di Autovalutazione».

Come operare allora? Come predisporre le rubriche di valutazione? Come indicare i punti di forza e di criticità? Sulla base di quali indicatori individuare gli obiettivi di processo e i traguardi misurabili nel Piano di Miglioramento (PDM)? Questo volume traccia una breve storia della genesi delle competenze chiave di cittadinanza, da quelle individuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a quelle proposte dal MIT di Boston e dall’Institute for the Future di Palo Alto, per conto dell’Università di Phoenix. Quindi le confronta con quelle elaborate in Europa e propone un elenco ragionato di numerosi indicatori possibili, validi per varie tematiche e per differenti fasce di età.

Una scuola da ripensare

Una scuola da ripensare ***

di Maurizio Tiriticco

Com’è noto, la nostra scuola – o meglio, il nostro “Sistema nazionale di Istruzione e Formazione” – non è molto diversa da quella di tanti anni fa. C’è la scuola per l’infanzia, triennale, a cui seguono la scuola primaria quinquennale, la scuola media triennale, il primo biennio dell’istruzione secondaria di secondo grado e il successivo triennio. Comunque, sarebbe meglio parlare dei primi tre bienni, e successivi trienni, relativi all’istruzione liceale, a quella tecnica e a quella professionale. Com’è noto, l’istruzione che copre la fascia d’età dai 6 ai 16 anni oggi è obbligatoria. Un obbligo lungo! Dieci anni non sono affatto pochi, ma… il fatto è che questi dieci anni sono “frantumati” – se si può dir così – negli ordinamenti di sempre! Quindi, cinque anni di istruzione primaria, governata, se si può dir così, dalle “maestre”, perché i maestri – che pur sarebbero tanto necessari per un equilibrato sviluppo/crescita di un bambino – ormai sono rarae aves; tre anni di istruzione media e due di istruzione secondaria superiore. Quindi un percorso di studi obbligatori che, se pur spezzettato, si sviluppa dai sei ai 16 anni di età. A cui segue il triennio conclusivo: il che significa che ancora seggono sui banchi di scuola cittadini ormai maggiorenni! Com’è noto, è allo studio la proposta di accorciare di un anno l’uscita dai percorsi di istruzione.

Il percorso di studi obbligatori è lungo! Dieci anni, ma… perché sono frantumati nei tre gradi di sempre? Cinque più tre più due! E ciascuno chiuso nella sua specificità: la scuola primaria, la scuola media, il biennio. E ciascuno risponde più a se stesso che non alla necessità di una necessaria continuità. E il tutto nonostante da più parti e da più anni si parli di un curricolo di studi continuo, verticale e progressivo! Com’è noto, non sono pochi gli insegnanti, soprattutto dei licei, che lamentano la scarsa preparazione dei nuovi iscritti! “Ma che cosa hanno studiato fino ad ora? Non sanno spiccicare una parola! Non sanno tenere la penna in mano”! E via dicendo! In effetti, otto anni di scuola (primaria più media) sono tanti! Possibile che in otto anni gli insegnanti non riescano a fare apprendere il minimo delle competenze del leggere, scrivere e far di conto, come si diceva un tempo? E non è una considerazione azzardata! Ricordo che circa un anno fa ben seicento professori universitari hanno sottoscritto un appello indirizzato al Governo e al Parlamento con cui lamentavano il fatto che “gli studenti non sanno l’italiano”! Un appello con cui si chiedeva di “mettere in campo un piano di emergenza che rilanci lo studio della lingua italiana nelle scuole elementari e medie”.

E va aggiunto che, nonostante le gravi carenze culturali dei nostri ragazzi denunciate e accertate, le indicazioni normative negli ultimi anni hanno innalzato l’assicella dei traguardi dell’apprendimento! Non ci si contenta più delle CONOSCENZE di un tempo, quelle che comparivano sulle pagelle come esiti delle materie di studio! Oggi si vola alto! Oltre le conoscenze ci sono le ABILITA’ (precedute e sostenute dalle relative CAPACITA’) e ancora più oltre le COMPETENZE! Mamma mia! Le proposte avanzate dal – ripeto – “Sistema nazionale di Istruzione e Formazione” sono di alto profilo, ma il sistema scolastico non sembra in grado di sopportare questo balzo in avanti! E’ stata recentemente varata una legge, la 107, un solo articolo, ma ben 202 commi, a cui sono seguiti otto decreti legislativi! Un fiume di parole, ma non un Po, un Nilo, un Rio delle Amazzoni!

Chissà se la nostra scuola può reggere a queste piene! Per non dire poi dell’insofferenza di tanti studenti, ormai quasi uomini, ma ancora costretti sui banchi! Gli stessi su cui sedevo io negli anni trenta! Lo studente che insulta o schiaffeggia l’insegnante è la punta dell’iceberg che denuncia una grande sofferenza indotta da una sistema scolastico che non regge alle esigenze dei tempi! E dei nostri ragazzi! E ragazze! Ovviamente! L’ho sempre detto e scritto! Le tre C, la Cattedra, la Classe e la Campanella, sono funzionali ad una scuola direttiva di una società altrettanto direttiva!

Oggi i processi di Istruzione nonché di Educazione e di Formazione (che non sono sinonimi: vedi il comma 2 dell’articolo 1 del dpr 275/99) si devono confrontare con iniziative del tutto nuove, che necessitano di proposte altrettanto nuove ed audaci! Ma il Governo ci vara una 107 che, invece di “liberare”, crea ulteriori laccioli!

Per questo dico che occorre ripensare tutto da capo!


***   Intervento tenuto a Jesolo al convegno organizzato dall’ANDIS, Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici, nei giorni 16 e 17 u.s. sul tema: “Ripensare la scuola nella società che cambia”

Alternanza, al via l’Osservatorio. A giugno il primo report sulla qualità dei percorsi

da Il Sole 24 Ore

Alternanza, al via l’Osservatorio. A giugno il primo report sulla qualità dei percorsi

di Cl. T.

Al via l’Osservatorio per monitorare la qualità dell’alternanza scuola-lavoro. L’Osservatorio, spiega la ministra, Valeria Fedeli, «mette intorno a un tavolo tutti gli attori coinvolti. Sarà un luogo di dibattito e confronto, ma sarà anche molto operativo: ogni sei mesi prevediamo un report sullo stato di attuazione dell’alternanza, con un’attenzione specifica agli obiettivi qualitativi, oltre che quantitativi». Il primo report, ha annunciato la ministra durante la riunione odierna, sarà reso noto a giugno.

Gli altri obiettivi
L’Osservatorio seguirà anche l’aggiornamento della guida operativa per le scuole e suggerirà linee guida in relazione ai Protocolli di intesa sull’alternanza. È composto da 25 componenti individuati tra i rappresentanti di studenti, famiglie, docenti, presidi, Anci, conferenza delle Regioni, imprese e dirigenti e funzionari del Miur. I lavori saranno coordinati dal professor Antonio Schizzerotto e potranno essere aperti di volta in volta anche ad esperti di istituzioni formative e di ricerca, imprese, associazioni, per un eventuale loro contributo.

Diploma in quattro anni, partenza slow “Troppo faticoso”, iscrizioni al palo

da la Repubblica

Diploma in quattro anni, partenza slow “Troppo faticoso”, iscrizioni al palo

Il liceo breve non strega le famiglie. I genitori, a gennaio, hanno tutt’altro che sgomitato per iscrivere i figli al percorso per ottenere il diploma in 4 anni, anziché cinque. Anzi: più di una scuola ha avuto difficoltà a trovare alunni disposti a sobbarcarsi il superlavoro necessario

Salvo Intravaia

Di che cosa stiamo parlando

Prenderà il via a settembre il progetto nazionale che consentirà, a un numero limitato di classi di scuola superiore, di sperimentare il percorso per conseguire il diploma di maturità in quattro anni di corso, anziché nei canonici cinque. Per partecipare alla sperimentazione si sono candidati 192 istituti superiori (127 statali e 65 paritari), sparsi in tutta Italia, in ognuno dei quali, nell’anno scolastico 2018-2019 partirà una prima classe quadriennale.

Licei ancora a caccia di alunni: “Famiglie scoraggiate dal super lavoro”. Il Miur: “Dati in linea con le attese”

Il liceo breve non strega le famiglie. I genitori, a gennaio, hanno tutt’altro che sgomitato per iscrivere i figli al percorso per ottenere il diploma in 4 anni, anziché cinque. Anzi: più di una scuola ha avuto difficoltà a trovare alunni disposti a sobbarcarsi il superlavoro necessario. Ma al ministero dell’Istruzione sono soddisfatti: «I numeri sono in linea con le attese. È una sperimentazione impegnativa, attivata per la prima volta in un numero di classi così importante e in tutta Italia».

A dicembre, quando il Miur approvò il primo elenco di cento istituti, cui a gennaio se ne sono aggiunti altri 92, sembrava probabile che ci sarebbe stato un assalto. Al punto che i tecnici inserirono nel decreto due requisiti ulteriori: che la scuola fosse in grado di formare una prima con gli stessi parametri previsti per le altre classi ( 25/ 27 alunni) e che stabilisse i criteri di priorità in caso di domande in sovrannumero. Ma al momento non sembra ce ne sarà bisogno. Il 6 febbraio, alla chiusura delle iscrizioni, gli aderenti erano meno di 2mila: in media 17/ 20 a istituto. Segno che gli studenti hanno ancora qualche dubbio sul piano che, dal 2018/2019, vedrà ai nastri di partenza 192 prime quadriennali, in base al progetto di didattica innovativa presentato nei mesi scorsi.

Al Carlo Emilio Gadda di Fornovo di Taro, nel Parmense, sono solo 15 le richieste per lo scientifico quadriennale delle scienze applicate. Per arrivare a 27, bisogna convincere altri 12 ragazzi. « Nei prossimi giorni, organizzeremo incontri con chi ha già fatto l’esperienza — spiega il vicepreside, Fabrizio Boschi — per spiegare il progetto ai genitori. Così contiamo di arrivare a venti. Ci aspettavamo più adesioni, ma forse la novità ha spaventato le famiglie». È andata meglio (18 richieste) al Galilei- Vetrone di Benevento: « Pensiamo di aprire comunque — assicura il vicario, Umberto Ficociello — Il numero di 25 alunni per classe è una media di riferimento. E possiamo inserire più studenti nelle altre sezioni per avviare la prima quadriennale con meno ragazzi » . Anche se, ammette, «l’impegno non è da poco: 6 ore al giorno, più qualche rientro, perché abbiamo concentrato in 4 anni le ore di 5. E per chi fa sport nel pomeriggio non sarà semplice».

Le adesioni, spiegano dal ministero, variano « a seconda degli indirizzi e dei territori. Con picchi più alti dove c’è già una tradizione sperimentale. E con più iscritti negli indirizzi liceali, in particolare classico e scientifico, soprattutto nell’opzione scienze applicate. In alcuni casi, come nelle sezioni coreutiche, il minor numero di alunni è dovuto anche alla selezione a monte, con le audizioni per verificare la propensione dei ragazzi a musica e danza».

La prima sperimentazione è stata avviata nel 2012, e finora le scuole coinvolte sono state in tutto 12. Tra queste il Majorana di Brindisi, che a settembre replica: «Abbiamo già 32 iscritti — spiega il preside Salvatore Giuliano — L’esperienza fatta è stata positiva. E posso affermare che non è un percorso da super studenti » . C’è ottimismo anche al classico Fossombroni di Grosseto: «Siamo a una ventina d’iscrizioni — dice la vicepreside, Laura Lenzi — ma contiamo di essere autorizzati a formare una prima anche con questi numeri. Certo, al di sotto sarebbe difficile » . Ridono, invece, al Telesio di Cosenza: 22 le richieste per il classico quadriennale. Il dirigente, Antonio Iaconianni, ammette però che si aspettava « di dover selezionare i ragazzi in entrata. Secondo me, a scoraggiare le famiglie sono stati alcuni sindacati, che hanno bocciato il progetto a monte. Però è vero, il boom di iscrizioni non c’è stato: alcuni colleghi ne hanno avute solo 3 o 4. Forse l’anno prossimo, con informazioni più precise, sarà la volta buona».

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da La Tecnica della Scuola

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da La Tecnica della Scuola

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da La Tecnica della Scuola

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da La Tecnica della Scuola

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Reclutamento scuola primaria e dell’infanzia: quale fase transitoria?

da La Tecnica della Scuola

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Lavorare per competenze è un fatto consolidato?

da Tuttoscuola

Lavorare per competenze è un fatto consolidato?

Le riforme scolastiche nel nostro Paese subiscono sempre uno scarto tra il consenso politico che ottengono in Parlamento e l’applicazione nella quotidiana azione dei docenti. Sarà perché si susseguono troppo rapidamente e non si ha il tempo di assimilarle, oppure che si investe poco nella formazione per l’implementazione, sta di fatto che nonostante l’impegno dell’amministrazione ad emanare linee guida ed indicazioni di vario genere l’innovazione si fa strada sempre molto lentamente e a macchia di leopardo.

Prendiamo gli ultimi due periodi più significativi: quello di fine del secolo scorso con la didattica per obiettivi e dell’inizio del nuovo con le competenze. In entrambi i casi si trattava di porre al centro l’apprendimento e di utilizzare i contenuti per conseguire dei risultati in termini di conoscenze, ma anche di abilità da far emergere con metodiche attive. Da qui ne discendeva una valutazione basata sostanzialmente sulla descrizione del processo formativo e dei suoi traguardi, sulla base di un percorso personalizzato che andasse oltre la frammentazione disciplinare.

Questa modalità valutativa era contenuta nelle famose schede personali degli alunni, che però furono abolite per ritornare anche nella scuola primaria e secondaria di primo grado ai voti numerici, che avrebbero dovuto facilitare, così veniva detto, la comunicazione con le famiglie. Risultato più evidente invece che tali indicatori si adattavano molto meglio ad un’impostazione centrata sulla trasmissività dei contenuti, che era rimasta nell’operare concreto dei docenti.

Sulle competenze hanno investito, com’è noto, l’UE, ma anche la legge 53/2003 per quanto riguarda il primo ciclo. La 107/2015 ha cercato di consolidarne l’utilizzo nei diversi gradi del nostro sistema, proponendo modelli di certificazione su scala nazionale per quanto riguarda l’obbligo di istruzione e avvicinando sempre di più scuola e modo del lavoro.

Nella pratica questa diffusione è davvero avvenuta? Sembrerebbe di no, non abbastanza, e le motivazioni riecheggiano quanto abbiamo già sentito in passato. Il rapporto OCSE (2017) rimprovera l’Italia in quanto ha più difficoltà di altri Paesi a completare la transizione verso una società dinamica, così la definisce l’istituto di ricerca, fondata sulle competenze. Migliorare questa performance sarà cruciale per favorire una crescita che sia sostenibile e inclusiva in tutto il territorio nazionale. E questo vale a partire dai piccoli fino agli adulti, compresi i laureati, per meglio utilizzare i saperi, per i lavoratori e le imprese. Ci si riferisce soprattutto alle competenze di base e trasversali (digitali) ed all’apprendimento pratico.

La strategia nazionale di educazione finanziaria per i CPIA

da Tuttoscuola

La strategia nazionale di educazione finanziaria per i CPIA

Le Linee Guida del progetto Progetto EduFinCPIA, inviate lo scorso 8 febbraio agli Uffici scolastici regionali, sono finalizzate a favorire e sostenere l’attivazione di “Percorsi di Garanzia delle Competenze” destinati alla popolazione adulta in età lavorativa per l’acquisizione di competenze di base trasversali, tra cui l’alfabetizzazione finanziaria.

Il progetto EDUFIN avviato nell’AS 2016-2017 su proposta della Rete nazionale dei CPIA-RIDAP con l’ambizioso obiettivo di contrastare il deficit formativo della popolazione adulta in materia di educazione finanziaria, coinvolge nel corrente anno scolastico 90 dei 128 CPIA attivi su tutto il territorio nazionale. Nel decorso dell’anno scolastico 14 CPIA hanno erogato percorsi specifici di educazione finanziaria coinvolgendo in totale 389 studenti adulti e giovani-adulti.

La financial literacy è un fattore importante per “la stabilità economica e finanziaria e per lo sviluppo, come conferma anche la recente adozione da parte del G20 dei principi OCSE/INFE “High-level Principles on National Strategies for Financial Education” (G20, 2012; OCSE INFE, 2012)”.

Il progetto intende favorire l’avvio graduale nel sistema di istruzione degli adulti di quanto previsto dalla Legge 13 luglio 2015, n. 107 (art. 1, comma 7, lett. d) nella prospettiva delineata dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15 (art.24 bis), in modo da rendere sistematica ed organica l’educazione finanziaria nei percorsi di istruzione degli adulti e superare le criticità evidenziate nella recente rilevazione delle Autorità di vigilanza.

Le Linee Guida del progetto Progetto EduFinCPIA” chiosa il dirigente tecnico Sebastian Amelio, coordinatore del Comitato Tecnico Nazionale per la promozione dell’Educazione Finanziaria nei CPIA, “intendono dare sistematicità e organicità alla realizzazione dei percorsi di educazione finanziaria nei CPIA al fine di contrastare il deficit formativo della popolazione adulta in materia di educazione finanziaria”.

Non si tratta solo di garantire ad adulti – conclude il dirigente tecnico Sebastian – la capacità di portare a compimento ed esattezza semplici operazioni di natura finanziaria, ma di condurli, lungo tutto il corso della vita, a conoscenze più adeguate anche nel campo economicofinanziario e previdenziale in modo da garantire loro le condizioni per un esercizio attivo e responsabile della cittadinanza”.

Un aspetto particolarmente interessante riguarda la possibilità che i CPIA hanno di destinare una quota parte delle risorse ricevute per realizzare percorsi di alfabetizzazione finanziaria destinati anche alle insegnanti, in particolar modo madri, delle scuole di ogni ordine e grado. L’elemento dirimente di questa ipotesi progettuale sperimentale è il considerare gli insegnanti in quanto genitori e, come tali, portatori di un bisogno connesso principalmente alla sfera personale e familiare.

Il Miur con le Linee guida ha definito strategia e significative iniziative” – sottolinea a Tuttoscuola  Giovanna Paladino, direttore del Museo del Risparmio di Torino – “ora occorre concretizzarla nei contesti scolastici. Senza perdere tempo. Noi siamo pronti a fare la nostra parte.