Quando l’alfabeto non funziona più

Quando l’alfabeto non funziona più

di Giovanni Fioravanti

Mettiamoci d’accordo almeno su un punto fermo: picchiare un altro, a prescindere dalle motivazioni, foss’anche per legittima difesa, non è un fatto normale. Come non è normale essere costretti a una condizione in cui occorra difendersi legittimamente.

Allora l’alunno che picchia l’insegnante e viceversa, il genitore che aggredisce l’insegnante e viceversa, non sono avvenimenti da relegare alla scuola, ma riguardano tutta la società e le sue metamorfosi.

I sintomi non sono le cause, come neppure i contesti. Ciò che dobbiamo domandarci è perché le parole cedono sempre più il passo alle mani. Perché i pensieri sono sempre più corti e le mani sempre più lunghe.

I sociologi potrebbero dire che sono venuti meno i ruoli, le categorie sociali e quant’altro. Ma attenzione, nella nostra storia i ruoli hanno autorizzato anche a menare, per restare nella scuola, pensiamo alla pedagogia nera praticata da tanti genitori e da tanti insegnanti, in famiglia come a scuola.

Sorge un sospetto quando l’alfabeto non funziona più. L’alfabeto come civilizzazione, come conquista di civiltà nelle relazioni umane. Il sospetto che l’era tecnologica ci stia accompagnando a una regressione tribale, riporti in auge l’uomo-tribù.

Sono soprattutto le tribù ad essere fragili, a sentirsi esposte, rispetto alle istituzioni della società organizzata che ingabbiano le libertà individuali. Non si condividono più le ragioni comuni del patto di ingabbiamento, le regole una volta accettate e riconosciute.

Sono gli scompensi del nuovo che ti lasciano indietro, per cui può essere che nel villaggio evoluto in società, in umanità responsabile, in qualche comunità ora scuola, ora famiglia, ora altro, ancora un rigurgito tribale, come un sussulto identitario porti a deviare dalla alfabetizzazione comune. Per cui può riemergere, se sollecitato, quel singolare amalgama emozionale che, a detta di McLuhan, caratterizzerebbe l’uomo tribale.

Se famiglia e scuola non sanno ritrovare o rinnovare l’identità perduta, è possibile, per i più sprovveduti, alzare gli steccati della propria tribù.

“Nessun uomo è un’isola” è lo slogan rubato alla letteratura da una nota catena di supermercati, forse intuendo che questo può essere il male del secolo peggiore di ogni altro. La riedizione dell’anomia di Durkheim in tante isole identitarie che si trasformano in tribù per annullare l’altro. Dove la propria identità non è sufficiente ha bisogno di essere aumentata, accrescendo la visibilità del proprio corpo con i tatuaggi, fino all’uso della prepotenza per affermare la superiorità del proprio sé-mondo.

Di fronte all’incapacità delle persone a legare tra loro, a relazionarsi ed a partecipare alla vita della propria comunità, non c’è quanto di più della relazione e del dialogo a rendere maggiormente potente una alfabetizzazione condivisa. Quando gli alfabeti si scontrano manca il riconoscimento reciproco e la violenza, non necessariamente come attacco ma come difesa o affermazione di sé, prende il sopravvento.

Nulla più della violenza mette in evidenza le solitudini, i deserti delle persone. Le solitudini disperate. Esibire le proprie insegne per farsi riconoscere, come docente, come alunno, come genitore.

La società ha le sue leggi, chi sbaglia paga e questo è il patto fondamentale che va rispettato per non tornare tutti ad essere una tribù. Ma poi, una società non volta pagina, non passa ad altro, la pena deve essere rieducativa non solo per il colpevole, ma anche per la società.

E allora è forse il caso di ragionare dell’io diviso, delle nostre schizofrenie, delle identità incerte di cui soffriamo di fronte alle nostre navigazioni internaute, alle nostre rade d’approdo virtuali, ai nostri ritiri dal sociale, per condurre a socializzare il tuo nickname e il tuo avatar, mentre il tuo sé sociale atrofizza, apprende l’alfabeto della rete ma perde familiarità con l’alfabeto della vita.

Allora si crea squilibrio nel rapporto con l’altro, la frattura tra il sociale e il personale si allarga, si crea, direbbe Laing, il “sistema dei falso io”, riportando al dualismo tra “essere” ed “essere nel mondo”, la malattia della frattura sociale che stiamo rischiando, che rischia di propagarsi e i segnali intorno a noi certo non mancano.

Le solitudini creano arroganza, portano a disegnare mondi che non sono il mondo. La solitudine tribale è l’esaltazione del proprio sé, ognuno si sente più bravo, più intelligente degli altri.  Crede nelle proprie sciocchezze e si oppone attivamente a imparare di più, pur di non abbandonare le proprie errate convinzioni. Spieghiamo ai nostri medici i farmaci che ci devono dare e insistiamo con gli insegnanti che i nostri figli non hanno sbagliato anche se siamo messi di fronte ai loro errori.

Rischiamo il dirottamento della democrazia da parte del solipsismo ignorante.

Strumenti per salvarci non ne abbiamo tantissimi, tra questi la scuola e l’istruzione. Per la scuola non è il momento della difesa, del ripiegamento che invoca tutela e compassione. È il momento dell’attacco, è il momento di recuperare la propria professionalità, le proprie competenze, trasformandosi nell’istituzione intelligente al servizio del paese che sa affrontare con capacità e preparazione professionale le evenienze che sono educative e relazionali, che sa essere il luogo dove affrontare correttamente le nuove sfide che ogni giorno la nostra società ci pone.

Scuola, DSGA e ATA in protesta

Scuola, DSGA e ATA protestano: “Per noi solo una manciata di caramelle”

Scuola, DSGA e ATA in protesta*

di Agata Scarafilo
 
Con la firma del nuovo CCNL 2018 – Comparto Scuola e Ricerca (ipotesi del 9/2/18) è il terzo duro colpo che subiscono i DSGA (Direttori dei Servizi Generali ed Amministrativi) e gli Assistenti Amministrativi facenti funzione, che dopo essere stati dimenticati dalla Legge 107/2015 e, di recente, anche dalla Legge di Bilancio 2018, hanno appreso che, dopo 10 anni di blocco, il loro lavoro vale poco più di una manciata di caramelle. Infatti, ai DSGA è stato riconosciuto un incremento di indennità di direzione mensile pari a € 6,50 lordi.

Insomma, trattasi del più basso di tutti gli incrementi che ha scatenato la protesta da parte di un profilo professionale ritenuto centrale del mondo della scuola (vedasi indagine del 2015 della fondazione Agnelli dal titolo“Gli equilibristi”), ma che, stando ai fatti, pochi conoscono davvero. Un profilo scarsamente valorizzato sia “ad intra” che “ad extra”, nonostante su di esso poggiano la maggior parte delle dinamiche organizzative, contabili, fiscali, patrimoniali e, per derivazione, anche didattiche delle istituzioni scolastiche. Così, i “DSGA in rivoluzione” hanno incominciato a far sentire la propria voce con una petizione che, prendendo le distanze dalle sigle sindacali firmatarie del nuovo CCNL, rivendica dei legittimi diritti.

I DSGA evidenziano di non essere stati assolutamente tutelati sia per l’entità dei carichi di lavoro che per le conseguenti responsabilità che ne derivano. La risposta alla questione non potrebbe mai trovare giustificazione dall’impossibilità di reperire risorse economica. Infatti, nasce spontaneo il confronto con le altre figure professionali del mondo della scuola.

In un tempo di “vacche magre”, non si comprendono i “due pesi e le due misure” che hanno portato, le più recenti norme (L. 107/2015 e L. di Bilancio 2018) a riconoscere ai docenti “premialità” e bonus di € 500 e ai Dirigenti Scolastici gli incrementi del FUN e lo stanziamento di appositi finanziamenti in ragione delle competenze attribuite, mentre i risparmi sono stati tutti concentrati unicamente sul personale ATA della Scuola.

Circa la negazione del bonus per la formazione, è bene ricordare che il DSGA, per le mansioni che svolge, non solo non può far a meno di essere formato ed aggiornato, ma egli è addirittura il formatore del personale ATA, di cui ne è a capo. Eppure nulla di tutto ciò gli è stato riconosciuto.

Una situazione davvero paradossale se si unisce al fatto che, alla mancata valorizzazione del profilo, vi è anche l’impossibilità di poter fare carriera.   Infatti, nonostante per accedere al ruolo in questione sia prevista la laurea, al DSGA è impedito di accedere al concorso di Dirigente Scolastico oltre ad essere privato dell’impossibilità di chiedere il part time e di avere la possibilità di poter esercitare la libera professione, così come invece riconosciuto ai docenti, ai sensi dell’art. 508 del Testo unico della scuola.

Insomma, sul danno la beffa! Infatti, il DSGA è l’unico profilo del mondo della scuola ad essere soggetto ad una ”esclusività” mal pagata e che, in più, tarpa loro le ali della crescita professionale e dell’avanzamento di carriera.

Così, anche quest’ultima questione potrebbe essere riequilibrata, evidenziano i DSGA, attribuendo loro la Dirigenza Amministrativa, che nei fatti già svolgono. Come pure sarebbe auspicabile l’attivazione per gli Assistenti Amministrativi dell’area C, già prevista, tra l’altro, dalla stessa fonte contrattuale, ma di cui immancabilmente ci si dimentica.

*da Affari Italiani, 22 febbraio 2018

Disturbi specifici di apprendimento: istituita una nuova detrazione Irpef

Fisco Oggi del 22-02-2018

Disturbi specifici di apprendimento: istituita una nuova detrazione Irpef

Prevista dalla legge di bilancio 2018, si applica alle spese sostenute a partire da quest’anno, anche nell’interesse dei familiari fiscalmente a carico. Necessario il certificato medico.

La recente legge di bilancio 2018 ha previsto un’agevolazione fiscale per minori o maggiorenni a cui è stato diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento (Dsa), introducendo all’interno del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) una nuova ipotesi di detrazione Irpef (articolo 1, commi da 665 a 667, legge 205/2017).
In particolare, è stato modificato il comma 1 dell’articolo 15 del Tuir (Detrazioni per oneri), la cui nuova lettera e-ter prevede che dall’Irpef lorda si detrae un importo pari al 19% delle “spese sostenute in favore dei minori o dei maggiorenni, con diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento (Dsa) fino al completamento della scuola secondaria di secondo grado, per l’acquisto di strumenti compensativi e di sussidi tecnici e informatici, di cui alla legge 8 ottobre 2010, n. 170, necessari all’apprendimento, nonché per l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento delle lingue straniere, in presenza di un certificato medico che attesti il collegamento funzionale tra i sussidi e gli strumenti acquistati e il tipo di disturbo dell’apprendimento diagnosticato”.

Il meccanismo agevolativo, quindi, si concretizza in una detrazione d’imposta del 19%, da scomputare dall’Irpef lorda dichiarata annualmente.

Le spese agevolabili.
Le spese agevolabili sono quelle sostenute in favore dei minori o dei maggiorenni, a cui è stato diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento (Dsa), fino al completamento della scuola secondaria di secondo grado, per: •l’acquisto di strumenti compensativi e di sussidi tecnici e informatici necessari all’apprendimento
• l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento delle lingue straniere.
Condizione necessaria per fruire della detrazione è la disponibilità di un certificato medico dal quale risulti il collegamento funzionale tra i sussidi e gli strumenti acquistati e il tipo di disturbo dell’apprendimento diagnosticato.

I disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa).
La nuova disposizione rinvia espressamente a quanto previsto dalla legge 170/2010 che, appunto, contiene le norme in materia di Dsa in ambito scolastico.
Pertanto, l’ambito di applicazione della nuova detrazione d’imposta deve essere delineato alla luce delle definizioni di ordine generale contenute nella legge 170/2010, in base alla quale sono disturbi specifici dell’apprendimento: •la dislessia – difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura
• la disgrafia – disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione grafica
• la disortografia – disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica
• la discalculia – disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri.
La dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia possono sussistere separatamente o insieme e, pur manifestandosi in presenza di capacità cognitive adeguate e in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana.

La diagnosi dei Dsa è effettuata nell’ambito dei trattamenti specialistici assicurati dal Servizio sanitario nazionale e deve essere comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello studente.
Le regioni nel cui territorio non sia possibile effettuare la diagnosi nell’ambito dei trattamenti specialistici erogati dal Servizio sanitario nazionale possono prevedere che essa sia effettuata da specialisti o strutture accreditate.

Spese per familiari a carico.
Data la particolare tipologia di spese, il legislatore ha previsto che la nuova detrazione d’imposta spetta anche per le spese sostenute nell’interesse dei familiari fiscalmente a carico.

Decorrenza della detrazione.
Le nuove disposizioni si applicano alle spese sostenute a partire dal 2018. Pertanto, la detrazione Irpef potrà essere fatta valere a partire dalla dichiarazione dei redditi che sarà presentata nel 2019 per il 2018.

Disposizioni attuative.
È attribuito all’Agenzia delle entrate il compito di stabilire le disposizioni attuative per beneficiare della detrazione.

Trattenimento alunni con disabilita’ per uno o piu’ anni scolastici

Disabili.com del 22-02-2018

Trattenimento alunni con disabilita’ per uno o piu’ anni scolastici: cosa ne pensano le famiglie?

Le norme e gli studi concordano nel preferire che i bambini con disabilità frequentino le classi cui appartengono anagraficamente. Non tutti i genitori, però, concordano

Già negli anni ’70 il ministero dell’istruzione aveva stabilito che i bambini con disabilità devono essere iscritti alla Scuola dell’Infanzia a 3 anni e alla Scuola Primaria a 6 anni. Da allora, tutte le norme di riferimento hanno promosso politiche orientate alla frequentazione dei pari, limitando i trattenimenti nei diversi gradi solo a situazioni definite eccezionali. Questa tendenza non ha riguardato solo gli alunni con disabilità, ma tutti i bambini ed oggi le situazioni in cui si decide una bocciatura sono diventate rare, non solo nella Scuola dell’Infanzia, ma anche nella Primaria e in tutto il primo grado.

Già in passato ci siamo occupati di questo argomento, rilevando come anche la letteratura e gli studi di riferimento concordino nel promuovere l’integrazione con i pari. Tuttavia, non sempre le famiglie dei bambini con disabilità sono sostenitrici di questo orientamento e non sono rari i casi in cui chiedano che i loro bambini vengano trattenuti un anno in più, soprattutto alla scuola dell’infanzia. Più in generale, i pareri dei genitori in merito appaiono piuttosto divisi e tendenzialmente orientati a scelte diverse in base alle specifiche situazioni riguardanti i singoli bambini.

Ancora una volta abbiamo chiesto il parere di alcune mamme che, ormai da qualche tempo, stanno portando contributi consapevoli al dibattito sui diversi aspetti riguardanti la realtà scolastica dei bambini con disabilità. Anche tra di loro, come vedremo, si riscontrano opinioni diverse sul trattenimento.

Daniela è la mamma di un ragazzino di 12 anni con una disabilità motoria e sensoriale grave, che ha cominciato a frequentare l’asilo nido a 13 mesi. A 3 anni F. non era assolutamente in grado di affrontare il passaggio alla materna, non avevamo ancora trovato un sistema di postura adeguato e mangiava esclusivamente in braccio. L’anno in più di nido ci ha permesso di raggiungere queste autonomie e di cominciare la scuola materna riuscendo a restare almeno per un po’ di tempo seduti al tavolo con gli altri bambini. In due anni F. avrebbe dovuto quindi fare il percorso dei 3 della Scuola dell’Infanzia. Motivare la richiesta di permanenza non è stato semplice e l’accettazione è arrivata solo a maggio lasciandoci in balia della situazione per tutto l’anno e non permettendo una programmazione certa a lungo temine. F. avrebbe avuto necessità di fare un ulteriore anno di materna per consolidare alcuni strumenti. L’ingresso alla Scuola Primaria su basi non solide ha appesantito notevolmente il percorso e ci ha obbligati a rivedere alcuni obiettivi. Avere la possibilità di programmare un fermo anche in seconda primaria avrebbe permesso di consolidare il percorso del biennio e di affrontare su basi più solide il percorso successivo. Crediamo che con bambini come F., dove è presente una notevole differenza di capacità motorie, comunicative e cognitive, può essere utile progettare un rallentamento del percorso degli studi in modo da permettere di avere una programmazione quanto più allineata possibile alla classe, avendo così più tempo per raggiungere alcuni obiettivi che, a causa della disabilità stessa, richiedono semplicemente tempi maggiori.

Silvia evidenzia l’importanza di essere pronti, sia per i bambini che per l’ambiente che li accoglie. La vita di mio figlio è stata un susseguirsi di diagnosi. La fase più critica è stata intorno ai 5 anni, quando giunse una diagnosi che purtroppo avrebbe inciso più di tutte le altre, perché riguardava non solo l’ambito cognitivo, anche quello sociale e relazionale. Coscienti di questa situazione chiedemmo di poter trattenere nostro figlio ancora per un anno alla Scuola dell’Infanzia, in modo da migliorare le sue abilità nei vari contesti. Questa opportunità ci fu negata dalla Dirigente. Iniziammo la prima elementare con grandi problemi: non era ancora in grado di vivere in un ambiente grande, con forti rumori, parlava poco e cercava di farsi capire tramite comportamenti violenti. Ci chiesero di tenerlo a casa. Fu difficile far capire quanto fosse importante lavorare nell’ambito sociale, relazionale e delle autonomie. Ci vollero ben due anni prima di trovare un equilibrio e ancora oggi si vedono i segni per ciò che visse in quel periodo. Il passaggio da un ordine di scuola ad un altro è sicuramente un’occasione, per i nostri figli, di nuovi stimoli, ma è necessario che siano pronti ed è prioritario che le persone che li accoglieranno siano davvero in grado di sostenerli con competenza e professionalità. Ogni essere umano nasce e cresce seguendo un suo percorso naturale, influenzato da un ambiente sociale che non sempre è in grado di saper individuare e accogliere le sue richieste. Ha invece diritto ad essere rispettato per le sue abilità e competenze e dev’essere aiutato a svilupparle nel contesto a lui più idoneo.

Stefania, invece, ci racconta di essere diventata contraria al trattenimento nel tempo. D. è nato con malformazione cerebrale complessa; alla nascita abbiamo avuto una prognosi pessima. Abbiamo trovato aiuto intorno ai 5 anni nel Metodo Feuerstein, che ci ha aperto nuovi orizzonti e possibilità di modificare ciò che la natura aveva impedito. Avevamo proposto il fermo alla materna per cercare di renderlo più consapevole, più autonomo, più preparato ad affrontare i nuovi percorsi. Ci è stato negato. Lo stesso abbiamo proposto in prima elementare. il DS di allora, effettivamente molto illuminato, ha detto nuovamente NO. D. ha proseguito il suo percorso, con PEI condivisi, progettati e rivisti più volte in corso d’anno per permettere di avere buoni risultati. Abbiamo avuto un riscontro davvero fantastico con l’esame di terza media: 8 tutto meritato con grandi applausi dalla commissione. Oggi penso che il PEI abbia un valore, se noi lo firmiamo siamo consapevoli dell’importanza di un percorso condiviso, ne siamo responsabili e dobbiamo in tutti i modi renderlo positivo e stimolante. Se mio figlio raggiunge buoni risultati perché bocciarlo? Perché passare un messaggio culturalmente negativo, di sconfitta? Perché perdere i suoi compagni di viaggio che a fatica lo hanno accolto e riconosciuto come pari? Perché perdere docenti che si sono messi in gioco considerandolo un proprio alunno? Io dico NO al fermo per rispetto di questi ragazzi che faticano tanto per raggiungere obiettivi condivisi. Il futuro? Ci penseremo a tempo debito, anzi ci stiamo già pensando.

di Tina Naccarato

“Giardiniamoci”

Redattore Sociale del 22-02-2018

“Giardiniamoci”: i giovani con autismo imparano a coltivare la terra

PALERMO. Si intitola “Giardiniamoci” il progetto rivolto a 16 giovani adulti autistici ad alto funzionamento, tra i 18 e i 29 anni, presentato stamattina a Palermo, presso l’istituto di Villa Nave delle suore, utilizzato da molti anni come centro di riabilitazione per le persone con disabilità. L’obiettivo è quello di formare i giovani per la professione di giardiniere e ortofrutticoltore. Il progetto prevede la realizzazione di un corso di formazione gratuito e il successivo inserimento lavorativo grazie alle misure previste in tema di agricoltura sociale. Iniziato già due settimane fa, si svolge la mattina con la guida di un assistente agronomo e si concluderà il 23 marzo prossimo, quando verranno rilasciati degli attestati spendibili a livello lavorativo.

“Insieme alla musica che studio da quando ero piccolo sto imparando ad amare grazie a questo progetto anche la terra e la sua lavorazione – dice Alessio Allegra, 29 anni, pianista -. Stiamo imparando a girare la terra per seminarla e fare sì che poi possiamo raccogliere le verdure. Quando sbagliamo Luigi ci dice come possiamo migliorare per diventare dei bravi agricoltori. A turno tutti ci impegniamo ed è davvero emozionante. E’ bello anche stare insieme agli altri ragazzi ed in particolare insieme al mio migliore amico Riccardo”.

“Sono una mamma lavoratrice e per potere svolgere la mia attività ho dovuto trasferirmi a casa dei miei genitori che assistono mia figlia. Dopo la scuola, purtroppo per i nostri figli c’è il vuoto più totale per cui queste attività assumono un’importanza e un significato notevoli – spiega Rossana Geraci mamma di Valeria che ha 27 anni -. Il progetto dà a questi ragazzi sicuramente l’opportunità di imparare delle competenze nuove, speriamo anche spendibili nel mercato del lavoro. Sto percependo anche tutta la gioia di mia figlia che si sente molto gratificata da questo percorso da cui sta imparando tante cose. Il problema che avverte anche lei è il “dopo progetto” quando mi chiede ‘dopo mamma che cosa mi farai fare’. Noi speriamo fortemente che ci possano essere le condizioni per continuare questa esperienza anche in altri contesti”.

“Il progetto è finanziato da FormaTemp un’agenzia nazionale finanziata dal ministero del lavoro – sottolinea Vincenzo La Mantia coordinatore del centro di Villa Nave e responsabile del progetto -. Si tratta di una sperimentazione, poi faremo una serie di verifiche per valutare come procedere dopo la sua conclusione per una sua eventuale replicabilità. I giovani stanno conoscendo com’è un seme, come si pianta e come si deve curare per farlo crescere affinchè si trasformi in pianta. Finora siamo rimasti positivamente sorpresi su come stanno rispondendo e soprattutto riescono a fare gruppo. Anche i medici della nostra struttura che seguono i ragazzi stanno valutando i benefici di questo percorso. Nel progetto è prevista la partecipazione del CNA (confederazione nazionale artigianato) che dovrebbe dare la possibilità di inserire alcuni di questi giovani in ambiti lavorativi dove potranno avere un ruolo specifico proprio in ambito agrario”.

“Questo è sicuramente un percorso di bellezza che nello stesso tempo è anche una sfida – aggiunge Rosi Pennino presidente dell’associazione Parlautismo onlus – perché oggi i giovani adulti con disabilità non hanno ancora opportunità per impegnarsi nella nostra società come vorrebbero. Un grazie forte va anche alla disponibilità che ci stanno dando le suore. Il nostro desiderio è che queste attività possano inserirsi nella prospettiva molto più ampia di una vera e propria competenza professionale che le persone con disabilità possano spendere per gli altri nella considerazione di fondo che la disabilità deve essere vista non come un ostacolo ma come una risorsa da valorizzare per il bene di tutti”.

“Il progetto è un bell’esempio di come oltre alle parole esistano i fatti concreti – conclude l’assessore regionale all’Agricoltura e foreste Edy Bandiera – . Oggi l’agricoltura tocca ambiti molto importanti come il sociale che devono essere valorizzati pienamente. La nostra intenzione è quella di favorire proprio progetti di questo tipo che possano in maniera significativa soprattutto rispondere ai bisogni socio-lavorativi di queste persone del territorio”. (set)

“Multiforme”, “geniale”, “sotterraneo”. Umberto Eco visto dai ragazzini

da La Stampa

“Multiforme”, “geniale”, “sotterraneo”. Umberto Eco visto dai ragazzini

Gli studenti di Alessandria al concorso dedicato allo scrittore
valentina frezzato
alessandria

Umberto Eco non è noioso, è «multiforme», è «geniale», «sotterraneo». I 150 ragazzi di sette scuole superiori della provincia di Alessandria che per primi si sono confrontati in un concorso studentesco dedicato al grande semiologo a due anni dalla morte non hanno dubbi sulla sua profondità e capacità espressiva. Ma non ne sono nemmeno tanto intimoriti: affrontano le 31 tracce del saggio da scrivere, penna nera sul classico foglio protocollo a righe, con la consapevolezza di chi ha fronteggiato (almeno) dieci letture di altrettanti libri dell’alessandrino più illustre, si è arricchito cercando le sue pagine più pungenti sul web e ha letto di lui su altri volumi e sui giornali, dove appariva spesso.

«Il modo migliore per ricordare Eco è essere qui, partecipare a questo concorso» confermano i ragazzi nell’aula del liceo classico Plana, la scuola che lui ha frequentato e amato, in cui affrontano la prova. Quattro ore concentrati su Baudolino, Il nome della rosa, Diario minimo. «Per ricordarlo è giusto leggerlo, capirlo. Mantenere viva la memoria delle sue opere». «È dissacrante: ha distrutto delle certezze e non si è mai limitato a studiare ma ha sempre cercato di criticare quello di cui si è occupato». «Un grande cultore della lingua italiana, fondamentale per le nuove generazioni», come dire che sarebbe stato bello averlo seduto lì in cattedra, a bacchettare tutti gli «esatto» e i «cioè», a incitare l’utilizzo delle parole giuste, perché l’italiano è ricco di sinonimi. «Bisogna leggerlo, leggerlo e leggerlo», dicono quasi in coro i diciottenni che oggi si affastellano nei corridoi del Plana, dove lui si è formato.

Una delle tracce – pensate dai professori della Società alessandrina di Italianistica, Unitre di Alessandria, Amici del Plana, Fondazione Francesca e Pietro Robotti – era proprio sulla lettura e su una delle citazioni più note: «Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… Perché la lettura è una immortalità all’indietro». Sbirciando sui fogli dei ragazzi, si scopre che «la massima di Eco non è così dissimile dalle considerazioni di Seneca», e che «le opere di Eco ci permettono di deporre i nostri panni e vestire quelli medievali, dialogare con Barbarossa, sederci insieme a Baudolino, viaggiare, innamorarci di una creatura mitica». È Eco stesso a «darci l’immortalità». In un altro saggio – si parla della volontà di Eco di non autorizzare convegni fino a 10 anni dalla morte – uno studente sostiene: «Eco non temeva l’oblio, la caduta nella buia voragine della memoria. E infatti continua a vivere nei ricordi della sua famiglia, nei saggi e nei libri, tra i muri del liceo Plana e per le strade di Alessandria, sulle labbra di insegnanti e studenti». Anche sui fogli protocollo.  

Invalsi, ad aprile debuttano inglese e prove al Pc

da Il Sole 24 Ore

Invalsi, ad aprile debuttano inglese e prove al Pc

di Claudio Tucci 

Ad aprile, dal 4 al 21, si svolgeranno le prove nazionali di italiano, matematica e inglese, come previsto da uno dei decreti attuativi della Buona Scuola. La partecipazione a tali prove, ricorda il Miur in una circolare inviata alle scuole, è requisito di ammissione all’esame.

Le indicazioni del Miur
L’introduzione delle prove Invalsi computer based (Cbt) per la classe terza secondaria di primo grado tiene conto della fase di loro prima applicazione, utilizzando metodologie e strumenti che consentano di fornire agli alunni la possibilità di conseguire risultati positivi e che diano loro il giusto riconoscimento delle competenze acquisite durante il percorso scolastico. Proprio in questa prospettiva, il tempo di svolgimento delle prove è stato incrementato di 15 minuti ciascuna, (90 minuti per ogni prova) in modo che gli alunni abbiano tutto il tempo per rispondere serenamente alle domande. Inoltre, la modalità Cbt consente di mantenere la stessa precisione nella definizione dei risultati con un numero minore di quesiti di un’equivalente prova cartacea. Pertanto, le prove Cbt di aprile 2018 avranno circa il 10% in meno di domande rispetto alle prove cartacee degli anni passati.

Invalsi ha già messo a disposizione alcuni esempi di prove, e altri saranno pubblicati nel corso delle prossime settimane. Lo scopo dei predetti esempi è quello di fornire agli alunni e ai loro docenti la possibilità di familiarizzare con la piattaforma Invalsi.

I contenuti delle prove
Per quanto riguarda i contenuti della prova d’italiano e di matematica, essi saranno in perfetta continuità con quelli delle prove degli anni passati, mentre quelli della prova d’inglese sono in linea con quanto previsto dal Qcer (Quadro comune europeo di riferimento delle lingue, livello A1 e A2). Si precisa che le prove Invalsi Cbt sono state predisposte su una piattaforma online già utilizzata in diversi Paesi europei per lo svolgimento di prove analoghe e in alcune importanti ricerche comparative internazionali.

Più di sei italiani su dieci faticano a pagarsi gli studi

da Il Sole 24 Ore

Più di sei italiani su dieci faticano a pagarsi gli studi

di Eugenio Bruno

Studiare costa. E gli italiani sembrano saperlo se è vero che più di sei su dieci faticano a sostenere i costi di scuola e università. A dirlo sono le ultime statistiche di Eurostat sulla sostenibilità dei costi legati all’istruzione formale. Con il 62,5% di residenti in difficoltà il nostro paese si colloca di oltre 20 punti sopra la media dell’Ue.Ben lontano da Finlandia (13%), Germania e Svezia (entrambe al 15%). E pericolosamente vicini alla Romania, terzultima con il 78 per cento. Peggio ancora fanno solo Grecia (89%) e Cipro (82%).

Le famiglie italiane in difficoltà
Le rilevazioni europee prendono in esame i costi dell’istruzione formale nel suo complesso. Si va dai contributi di iscrizione alle tasse universitarie, dai servizi mensa alle gite scolastiche, dai libri alle spese per gli esami. Il totale di residenti che nel 2016 ha accusato il colpo nel sostenerli ammonta, come detto, al 62,5 per cento. Di questi, per fortuna solo il 7% ha difficoltà serie. La parte restante manifesta criticità moderate (16,9%) oppure lievi (38,6%). Numeri da tenere comunque in debita considerazione se si tiene conto che la media dell’Ue a 28 si ferma al 41 per cento e che nelle aree rurali i risultati della penisola sono ancora più preoccupanti. Visto che gli italiani in difficoltà ammontano, rispettivamente, al 7,8, al 17,1 e al 41,5 per cento.

Lontani dalla Germania vicini alla Romania
Qualche spunto di riflessione ulteriore arriva dal confronto con gli altri Stati membri. Dell’Ue a 28 e del suo 41% si è detto. Passando ai singoli casi il primo elemento degno di nota è che l’Italia rientra nel gruppo dei 15 paesi in cui più di un residente su due fatica a sostenere le spese per diplomarsi e laurearsi. Risultando cosi più vicina agli ultimi tre delle classe – Grecia (89%), Cipro (82%)e Romania (78%) – che ai migliori tre: Finlandia (13%), Germania e Svezia (entrambi al 15%). Senza contare la distanza che ci separa anche da Francia (20%) e Regno Unito (41,8%). Un quadro che rende ancora meno digeribile lo spazio ,arginale dato all’istruzione nei programmi elettorali in vista delle politiche del 4 marzo. Specie se declinata sui bisogni degli studenti e delle loro famiglie anziché sui mal di pancia, piccoli e grandi, dei docenti.

Sciopero scuola: altre adesioni per il 23 febbraio

da La Tecnica della Scuola

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Stipendi supplenti: nuova emissione con esigibilità 23 febbraio

da La Tecnica della Scuola

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Sciopero 23 febbraio, la normativa per il personale della scuola

da La Tecnica della Scuola

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Contratto scuola, bonus 80 euro salvaguardato. Ecco cosa accade nella busta paga di febbraio

da La Tecnica della Scuola

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Contratto scuola, Miur: ‘Bonus 80 euro salvaguardato per le fasce più deboli’

da Tuttoscuola

Contratto scuola, Miur: ‘Bonus 80 euro salvaguardato per le fasce più deboli’ 

Con riferimento a notizie apparse oggi sulla stampa in merito al bonus da 80 euro, il Miur ha inviato una precisazione sul fatto che, anche dopo gli aumenti previsti dal rinnovo del contratto del comparto Istruzione e Ricerca, il bonus è stato salvaguardato per le fasce retributive più basse.

«Nessun passo indietro – sottolinea quindi il Ministero -, nessuna restituzione. Anzi, ci saranno dipendenti che percepiranno il bonus per la prima volta. Questo grazie agli effetti dell’articolo 18 della legge di bilancio che ha innalzato, dal primo gennaio 2018, le soglie del reddito previste per accedere al bonus. In particolare la soglia di 24.000 euro, entro la quale già oggi il bonus viene percepito per intero, viene innalzata a 24.600 euro. Mentre quella di 26.000 euro, oltre la quale attualmente non si ha diritto al bonus, nemmeno in misura ridotta, passa a 26.600. Dunque, anche chi avrà redditi compresi tra 26.000 e 26.600 euro, cioè fra la precedente e la nuova soglia per l’accesso al bonus, potrà accedere per la prima volta agli 80 euro che si sommeranno così all’incremento previsto dal rinnovo del contratto.

Quanto alle buste paga di febbraio che, secondo le notizie di stampa, dovrebbero testimoniare la “restituzione degli 80 euro”, si fa presente che nella busta paga dei dipendenti della scuola, così come in quella di tutti i dipendenti, sia pubblici sia privati, si registra il normale conguaglio fiscale che scatta, per esempio se, durante l’anno, oltre al normale stipendio vengono percepiti compensi accessori. Nulla a che vedere con il contratto. Normale prassi fiscale».

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