A mezzo secolo dal mio ‘68

A mezzo secolo dal mio ‘68

di Gabriele  Boselli

Il 1968 fu un anno di trasformazione davvero profonda di una società in piena elaborazione del novum culturale, politico, scientifico, economico, etico, religioso. Nonché dell’esistenza mia e del privato di tanti coetanei. Io parlerò qui della mutazione di pensieri e atteggiamenti che avvenne in campo scolastico, letta attraverso quel che ricordo di quegli anni, mezzo secolo dopo.

1.  Il ’68 tra il paese e Urbino

Cinquant’anni fa abitavo a Savignano sul Rubicone, in una casa ancora non riparata dai disastri della guerra. Ero studente di Pedagogia presso l’università di Urbino, iscritto alla FGSI (Federazione giovanile socialista). Leggevo molto, più di adesso, e discutevo di scienza, di politica e di motori, nonché di poesia e ancor più di ragazze, con i coetanei. Di solito ci si vedeva intorno al monumento ai caduti di Savignano sul Rubicone oppure nel bar ACLI o anche a casa mia, da cui mia mamma nel corso di quell’anno sarebbe partita per il cielo. Non essendo obbligatoria la frequenza, andavo all’università solo qualche volta e per dare esami. Gli amici del circolo studentesco savignanese, alcuni altri e il Partito erano, dopo i miei genitori e la biblioteca della Rubiconia Accademia dei Filopatridi, la mia più importante finestra sul mondo.

2. Un ’68 critico/giocoso

Il mio ’68 cominciò verso la fine dell’anno ed ebbe il culmine nel ’69. Con gli esami del I anno avevo vinto il presalario (allora piuttosto sostanzioso, 500.000 lire) e un posto gratuito alla Casa dello studente di Urbino; potevo frequentare per tre giorni alla settimana poiché negli altri davo lezioni private e lo facevo per le scuole medie in tutte le materie, tranne inglese e disegno.

Dovessi definire con qualche aggettivo il mio ’68 lo chiamerei seriamente critico e giocoso insieme.

Critico perché pensavo di essere in uno dei frattali della storia, in un punto in cui le tensioni accumulatesi stavano per scatenarsi per dare poi luogo a nuovi stati della scienza e della vita quotidiana. Critico perché i miei autori preferiti erano (e sono rimasti) Kant, Husserl e Heidegger e, per indicazione di Nando Filograsso, Dewey. Critico perché avvertivo pochissimo il comune senso di soggezione all’Autorità. Critico perché “contestavo” i miei professori di allora non con le uova come altri facevano ma poiché analizzavo con altri studenti i libri di testo e i loro discorsi decomponendoli in strutture più elementari, esplicitandone le matrici e ricomponendoli secondo principi diversi, generatori di altre tesi. Di solito contrastanti. Per fortuna la Pedagogia era allora soprattutto filosofia e non ho dovuto affaticare la memoria con noiose questioncelle di didattica. Solo un po’ di fastidio nella compilazione dei test previsti negli insegnamenti di psicologia.

Giocoso perché in quel tempo veniva analizzata, ricostruita ed espressa con diletto una scienza non ingessata, viva, generativo-trasformazionale, intenzionata al futuro; e noi studenti ci arrogavamo il diritto di concorrere all’impresa. Giocoso perché condotto con il piacere di far agire idee e cose importanti, spesso con il gusto goliardico di prendere in giro ragionamenti e comportamenti seriosi e a volte anche quelli seri ma lontani da noi.

3. Il controcorso di metafisica

L’espressione per me più bella di questa tendenza fu il “controcorso di metafisica” nato in una dura ma rispettosa dialettica con il prof. Pasquale Salvucci e altri esponenti della cultura allora egemone e non solo a Urbino: quella marxista, che mi appariva allora intrappolata dalla propria presunzione di costituire l’unica a ridisegnare in buonafede autentiche visioni e “scientifiche” prassi -nel e del- mondo.

Mentre le lezioni ufficiali vertevano quasi tutte su Marx, Engels, Althusser (letto comunque con sospetto) o Massolo, noi del controcorso (mediamente una decina) commentavamo Parmenide, Platone e il Kant della Critica del giudizio o il Gentile di La filosofia di Marx e di  Genesi e struttura della società. Partecipando al controcorso mi venne l’idea di cominciare a scrivere fin dall’inizio del terzo anno una tesi teoretica a partire dalle idee della Dialettica trascendentale kantiana, una scelta per allora “rivoluzionaria” e comunque, credo, per molti versi mai più praticata.

4. Un episodio “militare”

A Urbino non ci fu alcuna “valle Giulia”. Solo qualche giornata di tranquilla “occupazione” e assemblee solitamente di alto profilo culturale. I rapporti degli amici del controcorso e miei con la maggioranza del Movimento studentesco erano in genere molto critici sul piano culturale ma –condividendone età e condizione- segnati da una solidarietà di fondo.

Fu così che, a università chiusa e mentre quelli del movimento studentesco premevano per entrare dalla porta principale, noi ci trovammo sul retro, di fronte al muro del cortile universitario e nei pressi di una scala tentatrice. Il senso di solidarietà studentesca e la presenza di alcune ragazze –e forse la connessa speranza nella ricompensa che spetta agli eroi- fecero sì che prendessimo quella scala, scalassimo il muro e andassimo ad aprire la porta d’ingresso ai compagni/avversari del Movimento.

Il tutto con molta allegria e noncuranza delle possibili conseguenze disciplinari.

5. La costruzione della tesi

Per la tesi mi rivolsi a Italo Mancini, filosofo della religione e sommo studioso di Heidegger e Gadamer  (1). Caro Boselli -questo in sostanza quel che mi disse, o che io capii del suo discorso- è bene che tu non scriva del pensiero di altri perché non ami troppo soffrire la “fatica del concetto” lavorando sulle pagine altrui; racconta in prima persona, in forma di teoria, cosa pensi tu delle grandi e per te più interessanti questioni filosofiche trattate dagli autori che ami.

Nacque così in due anni  (avevo dato quasi tutti gli esami nei primi due per riservare alla tesi il tempo necessario: volevo, con l’entusiasmo dei vent’anni, il “capolavoro”) il DE METAPHISICA,  un quaderno di sole settanta pagine in cui mi sembrava di esser riuscito ad astrarre e condensare il mio pensiero sulle questioni dell’anima, del senso del mondo e di Dio non secondo il tale e il tal’altro autore ma in prima persona e in tendenziale esclusione da ogni contesto, al punto che né sul frontespizio né all’interno vi erano le rituali scritte indicanti l’università, il relatore, il trattarsi di tesi di laurea etc . Poco prima che mi laureassi, nel 1970, morì anche mio babbo.

Massima astrazione dal contesto, niente di meno ermeneutico per una tesi discussa con uno dei massimi studiosi di ermeneutica di quel tempo. Fu discussa nel 1970 con grave scandalo di gran parte del corpo accademico, come poi mi riferirono alcuni colleghi quando nel 1997 tornai in quelle aule come professore a contratto di filosofia dell’educazione.

Il ’68 fu anche quello. Oggi non sarebbe possibile che uno studente esponesse liberamente criticamente, creativamente e senza citazioni il proprio punto di vista sull’universo.

6. L’eredità del ‘68

Questo mio piccolo personale contributo alla coscienza attuale del ’68 non tocca i grandi temi non scolastici che comunque venivano molto dibattuti in paese e a Urbino e si riflettevano nell’esistere quotidiano di studenti e professori. Vorrei qui limitarmi a esplicitare due tra i motivi per cui il ’68 rappresentò un anno scardinante e cardinale (i cardini sono il necessario ancoraggio del movimento ma anche le condizioni di possibilità di ogni evoluzione).

6.1 Fine della soggezione intellettualmente immotivata all’autorità scolastica e accademica.

Pur cercando di evitare atti di superbia, contestavamo i professori ignoranti (ce n’erano e ce ne sono) o intellettualmente chiusi o, a volte, semplicemente di altro avviso e non bravi ad argomentare. Ma era una con-testazione, prevalentemente condotta sul piano intellettuale e quasi sempre nei termini consentiti dalla legge. Sentivamo infatti di partecipare alla costruzione del sapere spostando la cattedra dalla nostra parte. Un paio di volte su un invito che mi rivolse Salvucci, ordinario di storia della filosofia, per contro-lezioni di raffronto fra Kant e Husserl.

Consentivamo quando vi era intelligente provocazione al con-sentire; dissentivamo decisamente e spesso rumorosamente quando era sottintesa l’affermazione “perché ve lo dico io”. Oggi il dissenso studentesco si manifesta il più delle volte con l’apatia, il rifugio nello smartphone o le cuffie nelle orecchie, non con vere e proprie argomentazioni contrarie.

6.2 Lieve indebolimento della ritrosia femminile.

In materia circolano molte leggende come quelle che l’università e le scuole superiori si fossero trasformate in un immenso casino. Il linguaggio diventò in effetti molto libero, ma solo quello; il reale rimase sostanzialmente quello di sempre: conquiste statisticamente irrilevanti e le poche vittorie ottenute solo dopo lunghi indiretti e diretti corteggiamenti articolati anche in faticose argomentazioni politico-culturali notturne per favorire i rari appannamenti delle difese femminili.

Naturalmente al ritorno in paese si raccontavano imprese qualitativamente e quantitativamente gloriose o le si faceva raccontare da amici compiacenti cui il favore veniva poi restituito con i dovuti interessi.

Conclusione

Altri tempi, salvo che per 6.2 ove -mi dicono- è cambiato poco. Il non pensiero economicistico e sintagmatico domina, specie al MIUR; quello critico/creativo langue in ogni ordine di scuola, da quella dell’infanzia all’università. L’intelligenza divergente dei migliori docenti e studenti viene sistematicamente mortificata dagli apparati di valutazione INVALSI e ANVUR (2).

Agli studenti oggi sarebbe impedito anche solo di tentare una tesi come quella che io mi vidi approvare, e pure cum laude. La ricerca filosofica, estetica, religiosa, pedagogica è oggi riconosciuta quando infiorettata da citazioni conferma la visione dell’esistente, disconosciuta quando apre originali vedute sul reale.

Mi piacerebbe tanto tornare a quegli anni, a quelle radicali e irriverenti discussioni, al tempo di quelle scuole e di quella università, a quelle compagne di studi e amori felici o anche solo tentati. Soprattutto riabbracciare i miei genitori. E per il mondo e per me un nuovo inizio.

(1) G. Boselli Per una filosofia dell’educazione in AAVV Italo Mancini.Dalla teoresi classica alla modernità come problema, Edizioni Studium, Roma, 2000

(2)  G.Boselli Sulla pedagogia fenomenologica come scienza valutabile: i rischi dell’omologazione, l’avventura della diversità. In Encyclopaideia, Bologna, Bononia University Press n. 26 (2009)

Presidenza Commissioni Esami di Stato Scuola Secondaria II ciclo – Atto di diffida

Le persone con neurodiversita’ hanno bisogno di aiuto nell’educazione affettiva

Redattore Sociale del 11-04-2018

“Le persone con neurodiversita’ hanno bisogno di aiuto nell’educazione affettiva”

A parlare è Davide Moscone dell’associazione Spazio Asperger, relatore del workshop sul tema dell’affettività nella disabilità che si terrà il 19 aprile a Exposanità, la mostra internazionale dedicata a sanità e assistenza in programma a Bologna dal 18 al 20 aprile.

BOLOGNA. È possibile pensare a una “sessualità sostenibile” nella disabilità? Il tema è al centro di “Affettività e sessualità nella neurodiversità: nuovi orizzonti e prospettive”, il workshop organizzato dalle Edizioni Centro studi Erickson che si terrà il 19 aprile a Exposanità, la mostra internazionale dedicata a sanità e assistenza giunta alla ventunesima edizione (Bologna, 18-20 aprile). “Le persone con neurodiversità, i soggetti con disturbi dello spettro autistico e con condizioni neurologiche atipiche, hanno bisogno di un aiuto particolare nell’ambito dell’educazione sessuale e affettiva”, ha detto Davide Moscone, psicoterapeuta e presidente dell’associazione Spazio Asperger onlus di Roma, per presentare il worshop di cui sarà relatore.

“La sessualità rappresenta una dimensione umana spesso esclusa dai progetti di vita delle persone disabili. Il suo imporsi nei progetti educativi, tuttavia, richiede una risposta coerente e rigorosa pur nelle difficoltà che il tema evoca, tanto per i genitori, quanto per gli insegnanti e gli operatori dei servizi: la negazione o la repressione sono le strade più spesso praticate, abdicando però al ruolo educativo inizialmente assunto. Attraverso percorsi educativi e formativi è tuttavia possibile pensare a una sessualità sostenibile nella disabilità che possa tradursi in quote di autogratificazione personale e in una contemporanea riduzione di comportamenti problematici”, si legge nella presentazione dell’incontro rivolto ad assistenti sociali, medici di base, operatori socio-assistenziali, tecnici della riabilitazione, psichiatri e docenti. Obiettivo del workshop è offrire spunti teorici e metodologici che possano essere applicati per affrontare il tema, “partendo dal presupposto che non esiste una sessualità speciale ma solo una forma di amore e sessualità che deve fare i conti con impedimenti di natura diversa (biologica, corporea, comunicativa, ambientale, ecc.)”.

Il workshop analizzerà le difficoltà comunicative e di rapporto con gli altri, per quanto riguarda la sfera dell’affettività e della sessualità, a cui vanno incontro le persone con neurodiversità, in particolare durante l’adolescenza, età che porta con sé cambiamenti difficili da accettare o a cui adattarsi. Come spiegano i promotori: “Le persone con neurodiversità faticano a inserirsi nei gruppi sociali di riferimento, soprattutto nel periodo dell’adolescenza. Le loro difficoltà nella comprensione dello stato d’animo degli altri, nella gestione delle amicizie e degli affetti, causati spesso dall’isolamento che è una delle caratteristiche delle persone con diagnosi di disturbi dello spettro autistico e di sindrome di Asperger, può sfociare, nel momento della ricerca di una relazione più intima e sentimentale in comportamenti di tipo ossessivo e persecutorio. Oggi ci sono protocolli educativi, destinati a bambini e adolescenti che propongono un approccio strutturato per far comprendere cos’è l’amicizia, come si instaurano relazioni affettive, come si fa a capire quando le persone ti stanno manifestando affetto e come si fa a manifestare affetto”.

La valutazione della dirigenza scolastica per l’a.s. 2017/18

La valutazione della dirigenza scolastica per l’a.s. 2017/18: Proposte per l’incontro al MIUR del 16 aprile 2018

 

DIRIGENTISCUOLA accoglie l’invito dell’Amministrazione e formula qui di seguito le previe osservazioni e le coerenti proposte in riferimento alla bozza consegnata al termine dell’informativa del 5 aprile, concernente il procedimento di valutazione dei dirigenti delle scuole per l’anno scolastico 2017/18.

  1. Si contesta in radice lo sganciamento dalla valutazione della essenziale retribuzione di risultato: già attuato nell’anno scolastico 2016/17 come intervento di pronto soccorso sulle unanimemente convenute criticità del modello costruito dalla Direttiva 36/16; reiterato per il 2017/18 in attesa che l’imminente(?) nuovo contratto, allineandosi alle norme imperative che hanno novellato sul punto il D. Lgs. 165/01, e con i vincoli quivi statuiti, regoli gli aspetti economici.

Diventa così del tutto priva di senso l’inflizione ai dirigenti scolastici dell’identico dispositivo che ora si vorrebbe alleggerito di qualche incombenza cartacea, ma che è rinforzato dall’ancor più invasiva presenza tutoria di esperti – reali o presunti – chiamati ad assistere creature perennemente imberbi nel percorso di orientamento, riflessione e analisi della loro azione dirigenziale e nel loro sviluppo professionale; con l’ulteriore supporto degli uffici scolastici regionali che si periteranno di organizzare azioni di informazione, formazione e accompagnamento dei dirigenti scolastici affinché possano conoscere, familiarizzare e sperimentare i nuovi strumenti della loro valutazione: in particolare per quel 33% di reprobi che nel decorso anno scolastico si sono rifiutati di compilare l’inaffondabile Portfolio con le sue implausibili appendici.

  1. La valutazione ha molteplici configurazioni e correlate funzioni, che tutte si giustificano – e giuridicamente si legittimano – iuxta propria principia.

Perciò per DIRIGENTISCUOLA, quale sindacato rappresentativo nell’area dirigenziale Istruzione, Università e Ricerca, non sono più tollerabili tutti quei confusivi diversivi fin qui accavallatisi e sistematicamente naufragati; che, eludendo il dettato della legge, perpetuano l’assurdità dell’unica dirigenza pubblica a non essere valutata, a quasi un ventennio dalla sua nascita nell’ordinamento giuridico. Beninteso, a non essere valutata, ai sensi e per gli effetti della norma generale contenuta nell’art. 21 del D. Lgs 165/01 e s.m.i., espressamente richiamata dalla norma speciale del successivo articolo 25.

Il concettuoso marchingegno, che si vuole rivitalizzare con una cocciutaggine degna di miglior causa – emblema di una dirigenza scolastica inchiodata nel proprio status di figlia di un dio minore – è palesemente contra legem, se si ha cura di porre un minimo di attenzione alle menzionate disposizioni del D. Lgs. 165/01, novellate dal D. Lgs. 150/09 prima, integrabili con il D.P.R. 80/13 poi, per essere infine riprese alla lettera nel comma 93 sgg. della legge 107/15.

Nelle predette fonti di diritto positivo si legge de plano che la valutazione dirigenziale – se valutazione dirigenziale è! – vuole accertare le competenze (o i comportamenti) organizzativo-gestionali e il grado di raggiungimento degli obiettivi definititi nei provvedimenti d’incarico, unitamente alle direttive impartite dal committente pubblico nell’esercizio dei suoi poteri di indirizzo politico.

E una valutazione dirigenziale è semplicemente preordinata alla retribuzione di risultato ovvero, in caso di esito negativo, collegata alle conseguenze sanzionatorie graduate nel cennato art. 21 del D. Lgs. 165/01: come per ogni soggetto di qualifica dirigenziale.

Precisamente, la valutazione dirigenziale apprezza la performance individuale e il contributo recato alla performance della struttura organizzativa (che nel caso di specie è ogni istituzione scolastica): come per tutta la dirigenza pubblica, inclusi i dirigenti scolastici, atteso che le deroghe (recte: gli adattamenti) riguardano la Presidenza del Consiglio, la dirigenza medica, la dirigenza in alcune amministrazioni di piccole dimensioni e, testuale, il personale docente della scuola e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale, nonché i tecnologi e i ricercatori degli enti di ricerca (art. 74, comma 4, D. Lgs. 150/09).

All’opposto, sempre il Legislatore, neanche nell’ultima norma speciale (art. 1, comma 93, legge 107/15), ha inteso attribuire alla valutazione dei dirigenti scolastici l’esclusiva finalizzazione al miglioramento professionale e un loro maggior protagonismo, come vorrebbe l’Amministrazione insieme alle anime belle delle associazioni professionali e delle restanti associazioni sindacali della categoria. Perché – i dirigenti scolastici – hanno vinto un concorso pubblico, si sono sottoposti al canonico corso di formazione, hanno superato il prescritto periodo di prova e sono sempre tenuti a seguire specifiche iniziative istituzionali di formazione su nuove tematiche e/o di aggiornamento.

La valutazione dirigenziale e la valutazione definibile, in senso lato, formativa (di affiancamento e supporto lungo l’intero percorso professionale, per il c.d. miglioramento continuo), ancora una volta imposta a chi sembra essere destinato a fungere perennemente – e gratuitamente! – da cavia per legittimarsi ruoli e funzioni altrui, sono fattispecie diverse e ben distinte – sebbene correlabili – sotto il profilo concettuale e, più ancora, per gli esiti cui mettono capo: strutturalmente dura e classificatoria la prima, prosaicamente proiettata su benefici economici e sviluppi di carriera; amicale e priva ex se di incidenza sulla sfera giuridica soggettiva la seconda.

Lo stesso D.P.R. 80/13, Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, nell’ambito della generale valutazione collaborativa delle istituzioni scolastiche prevede un distinto capitolo – dunque, da non confondere – per l’individuazione di indicatori per la valutazione del dirigente (art. 3, comma 1, lett. d), che l’INVALSI avrebbe dovuto produrre entro il 31 dicembre 2014, e tuttora latitanti, tesi ad evidenziare … le aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente (a lui) riconducibili ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale (art. 6, comma 4): passaggi richiamati – giova ripeterlo – dal comma 93 della legge 107, che ne conferma l’obbligata coerenza con le disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

Se ciò è vero – e, sino a prova di smentita, lo è – il Portfolio e suoi ammennicoli può dirsi, come minimo, inconferente, mentre può essere utile strumento per i soggetti in anno di formazione e prova, ovvero per implementare innovazioni normative attraverso un percorso di riflessione partecipata e conseguenti azioni sul campo.

  1. Per contro, un modello di valutazione dirigenziale rispettoso dei vincoli di legge – e che funziona – è quello impiegato dallo stesso MIUR per i propri dirigenti amministrativi e tecnici, contenuto nel D.M. n. 971 del 23.11.13, recante ricognizione di indicazioni e criteri per l’attribuzione del trattamento accessorio al personale dirigenziale e delle Aree per gli anni 2012 e 2013.

Consta di una premessa che, tra le altre disposizioni normative, richiama quelle che hanno introdotto importanti modifiche in materia, ad opera della legge 135/12, di conversione del decreto legge 95/12, delineante il processo di valutazione del personale nelle more dei rinnovi contrattuali, di cui all’art. 6 della legge 141/11. Rinnovi contrattuali che potranno solo definire il quantum della retribuzione di risultato, rispettando la norma imperativa che esige un’effettiva diversificazione dei trattamenti economici, collegata ad una significativa differenziazione dei giudizi, ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs. 150/09, come rivisitato dal D. Lgs. 74/17.

Seguono cinque articoli – di cui uno riguarda il personale non dirigente – che, per la valutazione dirigenziale, prescrivono:

– che per i dirigenti di seconda fascia sia effettuata dal Capo di gabinetto se in servizio negli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dal Capodipartimento per quelli operanti nei suoi uffici di supporto;

– che avvenga tramite un’apposita allegata scheda SOR (scheda degli obiettivi e dei risultati), che consente di valutare sia il conseguimento degli obiettivi assegnati e il contributo dato alla performance complessiva dell’amministrazione, che il comportamento organizzativo, ivi compresa la capacità di valutazione dei propri collaboratori. Gli obiettivi sono desunti dal Piano della performance e possono dar luogo all’attribuzione di un punteggio massimo di 100;

– che il comportamento organizzativo, cui potranno essere attribuiti non più di 10 punti, andrà valutato con riguardo a analisi e programmazione; gestione e realizzazione; relazione, coordinamento e capacità di valutazione dei propri collaboratori;

– che il valutatore potrà tener conto degli eventuali elementi di difficoltà riscontrati nell’attività gestionale e indicati dal valutato nell’apposita scheda EDE (elementi di difficoltà evidenziati, così predefiniti: mutamento obiettivi programmati, insufficiente consistenza del personale, non adeguata preparazione professionale del personale coinvolto, non adeguate risorse strumentali, non sufficienti risorse finanziarie, difficoltà di coordinamento con altre strutture dell’amministrazione; il tutto semplicemente crociando le voci nelle apposite caselle del SI, ovvero aggiungendo Altro, da specificare nei successivi righi, unitamente a ulteriori osservazioni del valutato;

– che il valutatore, relativamente ai dirigenti di seconda fascia, dovrà assicurare che il punteggio massimo venga attribuito a non più del 30% del personale in servizio.

Ben si vede che non ci sono visite di Nuclei, né interlocuzioni in loco o nell’Ufficio scolastico regionale, né assistenze tutoriali. E sono del tutto estranei portofolii o consimili scartoffie da compilare, essendo lasciata alla libertà dei singoli interessati l’allegazione documentale a loro giudizio significativa per comprovare quanto asseritamente realizzato. Dunque, una procedura gentile, sostanzialmente un’autovalutazione, con il punteggio che ognuno si attribuisce e che il valutatore di ultima istanza potrà poi confermare o correggere.

  1. La sua adozione per la dirigenza scolastica la si stima però problematica, scontrandosi – per inscalfibili pregiudizi ideologici o per materiali e meno nobili interessi – con i ricorrenti mantra della sua specificità e dei grandi numeri. Ma sono obiezioni facilmente smontabili.

4.1. Circa la specificità, essa può tranquillamente essere rilevata, valutata e rendicontata da quello che è un modello neutro, con alcuni adattamenti sia per il comportamento organizzativo che per gli obiettivi da perseguire.

In primo luogo si tratterebbe di riferire la valutazione ai criteri/parametri del pluricitato comma 93 della legge 107/15 (norma imperativa, occorre ricordarlo), incluso l’apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale, naturalmente avendosi cura di ponderarne il peso e di predisporre idonei accorgimenti per tenersi il più possibile sotto controllo gli effetti distorsivi.

Allo stesso modo, previo puntuale e sistematico raccordo tra l’Amministrazione centrale e gli Uffici scolastici regionali, dovrebbero definirsi gli obiettivi: anch’essi pochi e ben selezionati, che possano armonizzarsi reciprocamente e con gli obiettivi (non più di due) figuranti nel Piano di miglioramento dell’istituzione scolastica: tutti compendiati nel provvedimento d’incarico e figuranti nella scheda SOR. Obiettivi, che siano nella diretta disponibilità del soggetto valutato; non ridondanti declaratorie di profilo, estrapolate in copia conforme dalle eterogenee e sedimentate norme che delineano, semplicemente, il perimetro dell’oggetto dell’incarico e che, per definizione, non sono perseguibili!

Andrebbe solo invertito il peso attribuito al primo – il comportamento organizzativo – e ai secondi – gli obiettivi – per corrispondere alla peculiarità delle istituzioni scolastiche, non assimilabili ad un ufficio amministrativo siccome strutturalmente contrassegnato da procedure in larga prevalenza standardizzate. Ragion per cui qui la prevalenza non può essere quella dei risultati, attingibili con strumenti quantitativi (valutazione di prodotto), bensì dei comportamenti organizzativi, essenzialmente deducibili con un sistema di indicatori e descrittori e la cui frequenza e intensità siano convenzionalmente ravvisati significativi, in termini di causalità adeguata, salvo verifica e loro consequenziale rimessa a punto (valutazione di processo).

4.2. La seconda obiezione – quella dei grandi numeri – sembra più solida, ma è anch’essa inconsistente.

Sì è vero, un capodipartimento valuta un numero di direttori generali che non sempre superano le dita di una mano, dei quali ha conoscenza diretta in forza di un quotidiano rapporto di prossimità (e sarebbe interessante svilupparne le implicazioni, in termini di supposta maggiore garanzia di oggettività per i valutati: che peraltro risulta essere un problema mai posto e mai oggetto di ricorsi seriali) . E, a cascata, un direttore generale valuta i dirigenti del proprio ufficio, che non di rado alle dita di una mano neanche ci arrivano.

E’ certo ben diverso quando il direttore generale di un ufficio scolastico regionale deve concludere una valutazione, in media, di 450-500 dirigenti scolastici, sparsi sul territorio ed esercitanti la funzione non già in un omogeneo ufficio amministrativo strutturato su livelli gerarchici, bensì – con ben più ampia libertà – in più complessi enti-organi dotati di soggettività giuridica nell’agire doverosamente la propria autonomia funzionale; e in cui sono incardinati soggetti – individuali e collettivi – attributari di facoltà decisionali addirittura garantite dalla Costituzione.

Pur tuttavia, il Legislatore la soluzione l’ha indicata nell’articolo 25 del D. Lgs. 165/01, statuendo che i dirigenti scolastici – nel rispondere, agli effetti dell’articolo 21 (norma-base per tutta la dirigenza pubblica) dei risultati (estensivamente: dei comportamenti organizzativi, del raggiungimento degli obiettivi, nonché dell’osservanza delle direttive degli organi d’indirizzo) – si relazionano in via previa con un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa, in ragione – evidentemente – della specificità delle funzioni (ante) svolte dai valutandi.

Le disposizioni di cui è parola nel comma 94 della legge 107/15 hanno previsto, nell’ambito della dotazione organica dei dirigenti tecnici del MIUR, l’attribuzione temporanea di incarichi di livello dirigenziale non generale, di durata non superiore a tre anni, per le funzioni ispettive, impiegabili per la costituzione dei nuclei di cui all’art. 25 del D. Lgs. 165/01 (che possono ora essere articolati con una diversa composizione in relazione al procedimento e agli oggetti di valutazione), data l’indifferibile esigenza di assicurare la valutazione dei dirigenti scolastici; per la realizzazione del sistema nazionale di valutazione, di cui al D.P.R. 80/13; infine per garantire le indispensabili azioni di supporto alle scuole alle scuole, non ai dirigenti! impegnate nell’attuazione delle presente legge.

Non sembrano perciò sussistere particolari difficoltà a che i nuclei esaminino con tempi sufficientemente distesi di tre-quattro mesi (come peraltro previsto nella Bozza dell’Amministrazione) le due schede (dei comportamenti organizzativi, degli obiettivi assegnati e delle eventuali difficoltà evidenziate) dei 150-200 soggetti valutati, unitamente all’essenziale documentazione a corredo. Ed è, di sicuro, un compito meno impegnativo di quello esigito dal replicato armamentario.

Eventuali visite dovrebbero essere limitate ai casi in cui l’Amministrazione, in corso d’anno, sia venuta a conoscenza di fatti e circostanze che lascino ragionevolmente presumere un giudizio negativo, o gravemente negativo, per il dirigente scolastico.

Il Nucleo, quindi, per ogni dirigente scolastico assegnatogli, formulerebbe un giudizio adeguatamente motivato e definirebbe la collocazione nei previsti livelli.

Ben si potrà, e si dovrà, assicurare un’uniformità territoriale e la qualità professionale dei suoi componenti, oltre che mettere a punto un adeguato protocollo standard e un metodo riguardo gli esiti della valutazione, differenziati ex lege: purché si guadagni l’onesta consapevolezza della necessità di un punto d’ arresto.

Il direttore generale dell’USR potrà infine confermare il giudizio nell’adozione del provvedimento formale oppure potrà assumere, parimenti motivandola, una decisione diversa.

La procedura fin qui illustrata, con i correttivi suggeriti, sembra, oltre che pienamente fattibile, abbondantemente garantista: di sicuro non meno di quella riguardante i dirigenti amministrativi e tecnici, atteso che l’eliminazione della dimensione soggettiva nella valutazione è, per definizione, impossibile.

Se poi l’Amministrazione ritiene, allo stato, insormontabile il vincolo della Direttiva 36/16, allora sospenda il tutto e continui a corrispondere la – miserevole – retribuzione di risultato parametrata sulla fascia di complessità dell’istituzione scolastica diretta, vale a dire per mero automatismo. In attesa del nuovo ministro che voglia rispettare le leggi votate da Parlamento della Repubblica.

CONCORSO, CERCASI COMMISSARI

CONCORSO,  CERCASI COMMISSARI. GILDA: ESONERO DA ATTIVITÀ DIDATTICHE
“Nuovo concorso, vecchi problemi: come due anni fa, mancano commissari e presidenti. Una latitanza più che comprensibile se si considera che i componenti delle commissioni ricevono compensi ridicoli per svolgere un lavoro molto delicato e di grande responsabilità come quello di esaminare gli aspiranti futuri docenti. È quanto dichiara Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, commentando le prime rilevazioni sulle domande di partecipazione alle commissioni per il concorso riservato agli abilitati.
“I termini per la presentazione delle istanze sono scaduti da due giorni e già emergono le prime difficoltà dovute chiaramente all’ingiusto trattamento economico previsto per i commissari e agli estenuanti tour de force ai quali sono costretti tra attività didattica e di valutazione dei candidati”.
“Per incentivare i docenti a far parte delle commissioni, la strada da percorrere non consiste nell’abbassare i requisiti previsti dal bando, come ha fatto l’USR Lombardia, perché così si mina la qualità della valutazione. Piuttosto – afferma Di Meglio – il Miur conceda l’esonero dalle lezioni e dalle altre attività scolastiche”. 

Arriva il bollino di qualità per le mense scolastiche bio

da Il Sole 24 Ore

Arriva il bollino di qualità per le mense scolastiche bio

di Al. Tr.

Una sorta di stella Michelin, il marchio oro e argento voluto dal ministero delle Politiche agricole, segnalerà le mense scolastiche biologiche di qualità. Lo prevede il decreto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, del ministero delle Politiche agricole, che definisce i criteri ed i requisiti delle mense scolastiche biologiche. Il marchio sarà oro se la percentuale di ingredienti da agricoltura e allevamenti in mare e in stalla provengono da aziende biologiche almeno nel 50% dei casi, argento argento se la quota bio è di almeno il 30%. I criteri di classificazione, precisa il Mipaaf, sono stati individuati e concordati con Miur, regioni e comuni.

Premiate freschezza e recupero per beneficenza
«Per la prima volta in Italia – sottolineano dal Mipaaf- vengono definite e regolate le mense biologiche, dando così maggiori informazioni agli studenti e alle famiglie. Con l’obiettivo di ridurre i costi a carico degli studenti e realizzare iniziative di informazione e promozione nelle scuole è anche istituito un fondo stabile gestito dal Ministero delle politiche agricole con le Regioni». Come incentivo alla green economy, sono previsti nei bandi di gara premialità per chi riduce lo spreco alimentare e l’impatto ambientale. Premiate, ad esempio, la freschezza delle produzioni locali, con fornitori in un raggio massimo di 150 km. E l’impegno a recuperare i prodotti non somministrati destinandoli ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di cibo. I criteri di classificazione, concordati con il Miur , sono stati individuati – precisa ancora il Mipaaf – con le Regioni e i Comuni, e i marchi che identificano le mense biologiche scolastiche».

I requisiti
Nel dettaglio, la mensa scolastica, per qualificarsi come biologica, è tenuta a rispettare, con riferimento alle materie prime di origine biologica, percentuali minime di utilizzo in peso e per singola tipologia di prodotto. L’oro che corrisponde a una qualificazione d’eccellenza, si ottiene se sono derivanti da colture biologiche almeno il 90% di frutta, ortaggi, legumi, prodotti trasformati di origine vegetale, pane e prodotti da forno, pasta, riso, farine, cereali e derivati, olio extravergine. Mentre esclusivamente bio devono essere uova, yogurt e succhi di frutta. Biologici in quota almeno pari al 50% anche i prodotti lattiero-caseari, la carne, e il pesce da acquacoltura. L’iniziativa piace a Coldiretti:«Per valorizzare la leadership dell’Italia in Europa con oltre 60mila imprese che coltivano biologico è importante – commenta l’associazione – garantire anche la provenienza locale o nazionale dei piatti serviti. Il fatturato realizzato dal settore al consumo supera i 2,5 miliardi di euro, e incontra una crescente domanda degli italiani».

Ballerini i costi dei prof assunti

da ItaliaOggi

Ballerini i costi dei prof assunti

E così l’Istruzione quasi dimezza le cattedre da stabilizzare

Alessandra Ricciardi e MArco Nobilio

I soldi, 150 milioni di euro, bastano appena per disporre 3.530 assunzioni a tempo indeterminato, frutto della trasformazione di posti di organico di fatto in diritto. Costo quasi 42 mila euro a regime per contratto. Lo scorso anno con 400 milioni di euro di stabilizzazioni in diritto se ne fecero 15mila. Costo meno di 27 mila euro a contratto. Per il ministero dell’istruzione, nel vertice con i sindacati sull’organico 2018/2019, i conti sono diversi ma tornano. Per i sindacati no, si tratta sempre di assumere docenti che già lavorano con contratti di supplenza e per i quali dunque uno stipendio, anche se non per 12 mensilità e senza scatti, viene già pagato. E per i quali la ricostruzione di carriera va fatta come del resto accaduto in passato. Eppure tant’è. In una nota tecnica, che ItaliaOggi ha letto, il dicastero guidato da Valeria Fedeli ha argomentato la differenza dei conti. Sostenendo che di stabilizzazioni da organico di fatto in diritto se ne possono fare non 6mila, come si attendevano le sigle sindacali, ma 3. 350.

L’incongruenza tra fondi stanziati e posti previsti deriva dal fatto che, è la tesi del Miur, il legislatore, legge n. 205/2017 non ha considerato i costi delle ricostruzioni di carriera. Vale a dire il riconoscimento, ai fini retributivi, degli anni di servizio prestati dai docenti neoimmessi in ruolo prima dell’assunzione a tempo indeterminato. A differenza dei docenti di ruolo, il cui stipendio viene incrementato automaticamente al crescere dell’anzianità (cosiddetta progressione di carriera), i docenti precari, infatti, vengono retribuiti sempre con l’importo minimo dello stipendio anche se insegnano da molti anni (cosiddetta classe 0).

Dopo la conferma in ruolo, che si ottiene a seguito dell’esito positivo dell’anno di prova, gli insegnanti maturano il diritto a vedersi riconoscere anche gli anni di insegnamento prestati quando erano supplenti. Tale diritto, al quale si accede a domanda dell’interessato, dà luogo ad un procedimento che termina con il cosiddetto decreto di ricostruzione di carriera: un provvedimento con il quale l’amministrazione adegua lo stipendio del docente all’anzianità di servizio maturata, riconoscendogli anche gli anni di preruolo. In prima battuta il riconoscimento avviene parzialmente: i primi 4 anni per intero e gli ulteriori anni per i 2/3. Dopo un certo periodo di anni, però, l’amministrazione procede alla formazione di un ulteriore decreto di ricostruzione con il quale riconosce per intero tutti gli anni di precariato.

Il riconoscimento dell’anzianità di servizio comporta aumenti delle retribuzioni di circa 100 euro a seconda del gradone maturato. La progressione di carriera, infatti si articola in periodo corrispondenti ai cosiddetti scatti di anzianità che, nella scuola, vengono denominati gradoni. Il primo si matura dopo otto anni di servizio, il secondo dopo 15, il terzo dopo 21, il quarto dopo 28 e l’ultimo dopo 35 anni di servizio. Le scadenze dei gradoni vanno però ritardate di un anno, perché il governo Monti cancellò l’utilità del 2013 ai fini della carriera.

L’omessa considerazione dei maggiori costi retributivi a carico dell’erario è stata individuata dal ministero dell’istruzione come elemento distorsivo. Abbracciando dunque la tesi da tempo sostenuta dal ministero dell’economia. L’Istruzione ha evidenziato anche la necessità di garantire ai docenti neoimmessi i 500 euro per l’aggiornamento ed ha formulato due ipotesi. La prima è calcolata su 3.950 posti e la seconda su 3.530. Ma l’unica effettivamente sostenibile, dice il Miur, è la seconda.

I fondi necessari a sostenere il peso retributivo di 3950 posti in più, secondo le stime ministeriali, potrebbero essere coperti dai 150 milioni l’anno previsti dalla legge solo fino al 2021. Dal 2022 si sforerebbe il budget perché gli oneri sarebbero pari a 151, 795 euro l’anno. E i costi sarebbero destinati a crescere al ritmo di 3 milioni di euro in più l’anno sforando i vincoli di bilancio.

L’ipotesi sostenibile, dunque, è quella delle 3530 immissioni in ruolo. Perché i fondi basterebbero a garantire stipendi ed incrementi fino al 2028. Resta il fatto, però, che questa seconda ipotesi raggiunge il limite di spesa proprio nel 2028. In ciò determinando il mancato impegno di diversi milioni di euro che non verrebbero spesi negli anni precedenti. Ecco un esempio. La legge dice che dal 2019 in poi l’amministrazione scolastica dovrebbe spendere 150 milioni l’anno in più per retribuire i docenti immessi in ruolo per effetto dell’incremento di spesa. Nel 2019, però, se venissero effettuate solo 3.530 immissioni in ruolo, il maggior costo per le retribuzioni ammonterebbe al 132,87 milioni di euro. L’amministrazione, dunque, applicando il proprio metro, ometterebbe di utilizzare circa 11 milioni di euro e così progressivamente fino al raggiungimento del regime di piena spesa che si verificherebbe solo nel 2028.

Le nuove assunzioni, frutto del fatto portato in diritto, andranno ad incrementare quelle che saranno disposte all’esito del turnover. E avverranno per metà scorrendo le graduatorie dei concorsi a cattedra e, per il restante 50%, scorrendo le graduatorie a esaurimento. Per i posti e le classi di concorso le cui graduatorie risulteranno esaurite, le immissioni avverranno utilizzando solo le graduatorie dei concorsi.

Antincendio, dopo 16 anni gli istituti non sono ancora a norma

da ItaliaOggi

Antincendio, dopo 16 anni gli istituti non sono ancora a norma

Il decreto di interno e istruzione: le vie di fuga devono essere illuminate adeguatamente

A quasi 16 anni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 16 settembre 1992 del decreto ministeriale 26 agosto 1992 contenente le norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica, molte delle disposizioni ivi contenute non hanno ancora trovato completa applicazione nonostante la concessione di diverse proroghe l’ultima delle quali è scaduta il 31 dicembre 2017.Considerata la necessità di definire indicazioni programmatiche prioritarie ai fini dell’adeguamento degli edifici e dei locali adibiti a scuole di qualsiasi tipo, ordine e grado alla normativa di sicurezza antincendio, il ministro dell’interno Minniti ha ritenuto necessario porre in essere un ennesimo tentativo per conseguire il suddetto adeguamento. Di concerto con il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Fedeli ha disposto, con il decreto 21 marzo 2018 (G.U. 29 marzo 2018, n. 74), fatti salvi gli obblighi stabiliti in particolare dagli articoli 3 e 4 del Dpr n. 151/2011 e ferma restando l’integrale osservanza del decreto 26 agosto 1992, che le attività di adeguamento degli edifici e dei locali adibiti a scuole di qualsiasi tipo, ordine e grado, potranno essere realizzate secondo le indicazioni attuative contenute nel decreto ministeriale 26 agosto 1992 e in base a un livello di priorità programmatica.Tra le priorità vengono indicate le disposizioni di cui ai punti 7, 8, 9 e 10 del decreto 26 agosto 1992 relative all’impianto elettrico di sicurezza che deve alimentare l’illuminazione di sicurezza, compresa quella indicante i passaggi, le uscite e i percorsi delle vie di esodo che garantisca un livello di illuminazione non inferiore a 5 lux e all’impianto di diffusione sonora e/o impianto di allarme.

Rientrano inoltre: il sistema di allarme che deve avere caratteristiche atte a segnalare il pericolo a tutti gli occupanti il complesso scolastico ed il suo comando deve essere posto in locale costantemente presidiato durante il funzionamento della scuola; gli estintori portatili in ragione di uno ogni 200 metri quadrati di pavimento o frazione, con un minimo di due estintori per piano; la segnaletica di sicurezza di cui al decreto legislativo n. 493/1996 e un registro dei controlli, che deve essere costantemente aggiornato e disponibile per i controlli da parte dell’autorità competente, ove sono annotati tutti gli interventi e i controlli relativi all’efficienza degli impianti elettrici, dell’illuminazione di sicurezza, dei presidi antincendio, dei dispositivi di sicurezza e di controllo, delle aree a rischio specifico e dell’osservanza della limitazione dei carichi d’incendio.

Il decreto del 21 marzo 2018 richiama inoltre espressamente anche le disposizioni elencate nel punto 12 delle norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica contenute in allegato al più volte citato decreto 26 agosto 1992. Tra queste meritano di essere ricordate e sottolineate le seguenti:

– deve essere predisposto un piano di emergenza e devono essere fatte prove di evacuazione, almeno due volte nel corso dell’anno scolastico;

– le vie di uscita devono essere costantemente sgombre da qualsiasi materiale;

– le attrezzature e gli impianti di sicurezza devono essere controllati periodicamente;

– nei locali ove vengono depositate o utilizzate sostanze infiammabili o facilmente combustibili oltre al fumare è fatto divieto di usare fiamme libere;

– al termine dell’attività didattica o di ricerca, l’alimentazione centralizzata di apparecchiature o utensili con combustibili liquidi o gassosi deve essere interrotta azionando le saracinesche di intercettazione del combustibile, la cui ubicazione deve essere indicata mediante cartelli segnaletici facilmente visibili;

– negli archivi e depositi, i materiali devono essere depositati in modo da consentire una facile ispezionabilità, azionando corridoi e passaggi di lunghezza non inferiore a 0,90 m.

Possibili attività alternative: le opere di adeguamento di cui al presente decreto, si legge nel comma 2 dell’articolo due del documento ministeriale, potranno essere effettuate, in alternativa, con l’osservanza delle norme tecniche di cui ai decreti del ministro dell’interno agosto 2015 e agosto 2017.

Il testo del decreto illustrato sembra non lasciare spazio a ennesimi rinvii. Le norme di prevenzione antincendio e di sicurezza degli edifici scolastici e del personale che in essi circola( alunni, docenti, personale Ata, dirigenti e genitori) dovrebbero essere prioritarie anche senza l’input ministeriale.

Commissioni d’esame, è caos sui presidi del primo ciclo

da ItaliaOggi

Commissioni d’esame, è caos sui presidi del primo ciclo

Il miur: possono presiedere. i sindacati: nei fatti non è così

Il Miur torna sui propri passi e consente anche ai dirigenti scolastici del I ciclo di candidarsi alla presidenza delle commissioni per gli esami di Stato del II ciclo. Il chiarimento nella nota n. 6078 del 6 aprile che segue all’incontro del 30 marzo al ministero. Una nota però in cui, accusano Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola ed Anp, sono stati inseriti cavilli e paletti ad hoc per impedire di fatto la nomina dei dirigenti del I ciclo alla presidenza delle commissioni d’esame. L’apertura del Miur si è limitata alla sola facoltà di far presentare loro l’istanza, è l’accusa. Inserendo una serie di vincoli e condizioni nella individuazione del sostituto del dirigente scolastico negli esami di I ciclo che renderebbero l’apertura vana.

Nella nota si afferma che il dirigente scolastico deve individuarlo tra i docenti di scuola secondaria che abbiano già svolto la funzione di presidente di commissione per l’esame di Stato del I ciclo e che non siano impegnati negli esami. Una limitazione incomprensibile poiché «non è certo prevista neppure nel caso di docenti di scuola secondaria individuati come presidenti negli esami nel II ciclo», osservano i sindacati. Né una condizione necessaria per svolgere il ruolo di presidente di commissione. Semmai, nota l’Anp, «può essere considerato requisito aggiuntivo». O «un motivo di preferenza», per Cgil, Cisl e Uil.

Una richiesta, inoltre, in contrasto con il decreto legislativo 62/2017 secondo cui compete esclusivamente al preside la scelta del docente a cui delegare la funzione di presidente. E destinata ad avere conseguenze anche nella sostituzione del dirigente in caso di reggenza o di assenza per malattia.

Concorso Dirigenti Scolastici, il 18 aprile altra riunione per quiz prova selettiva. Il 24 aprile si saprà se date saranno confermate

da Orizzontescuola

Concorso Dirigenti Scolastici, il 18 aprile altra riunione per quiz prova selettiva. Il 24 aprile si saprà se date saranno confermate

di redazione

Ieri si è riunito il Comitato tecnico-scientifico che ha il compito di formulare i i quesiti per la prova preselettiva del concorso per Dirigenti Scolastici.

L’ANP comunica che la prossima riunione si terrà il 18 aprile, nel tentativo di recuperare un po’ di tempo perso.

PROSSIME DATE PER IL CONCORSO DIRIGENTE SCOLASTICO

Le prossime date per l’espletamento del concorso per Dirigenti Scolastici sono

24 aprile sarà pubblicata in GU ogni altra comunicazione relativa al corso-concorso ed eventuali modifiche delle date di pubblicazione dei quesiti e della prova selettiva, che per il momento dovrebbero svolgersi secondo il calendario

8 maggio pubblicazione sul sito internet del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ( www.miur.gov.it ) della banca dati dei 4.000 quiz da cui saranno estratti i quesiti della prova preselettiva e la pubblicazione avrà valore di notifica a tutti gli effetti

14 maggio, tramite avviso pubblicato sul sito internet del MIUR ( www.miur.gov.it ), sarà pubblicato l’elenco delle sedi della prova preselettiva con la loro esatta ubicazione. Per esigenze organizzative, i candidati saranno distribuiti, ove possibile, secondo la regione di residenza in ordine alfabetico. Oltre all’elenco saranno fornite le ulteriori istruzioni operative.

29 maggio prova preselettiva

Docenti aggrediti, Fedeli: non servono nuove leggi, ma un cambiamento culturale profondo

da Orizzontescuola

Docenti aggrediti, Fedeli: non servono nuove leggi, ma un cambiamento culturale profondo

di redazione

“La scuola è il luogo della nostra società per natura più lontano dalla violenza. La contrasta con l’educazione alla cittadinanza attiva e al rispetto. E la ripudia in qualsiasi forma essa si manifesti e chiunque sia a commetterla”.

Lo scrive la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. “La violenza – aggiunte – è riuscita a farsi largo e a penetrare all’interno delle comunità scolastiche”, con le aggressioni ai docenti da parte di studenti e genitori.

“Partendo dalla vicenda di Franca Di Blasio, sfreggiata da un alunno – afferma ancora – e dagli ultimi casi di docenti aggrediti da genitori dei loro alunni, faccio un appello alle famiglie e alla società tutta: un appello al rispetto come valore centrale per la società e per la scuola”.

“Non servono nuove leggi, le leggi contro chi compie violenza esistono già – osserva -. Lavoriamo, piuttosto, con intensità e determinazione, per produrre un cambiamento sociale e culturale profondo”. “Lo scorso ottobre – ricorda – abbiamo lanciato il Piano nazionale per l’educazione al rispetto” e “abbiamo poi rilanciato il Patto di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglie”. “Denunciamo gli atti e i comportamenti violenti che possono verificarsi all’interno della scuola. Non minimizziamoli mai. Ma disinneschiamoli prima che facciano comparsa nella vita delle studentesse e degli studenti, delle nostre figlie e dei nostri figli: ripartiamo dal rispetto”.

ATA modello D3, ultimi giorni scelta scuola. Scadenza 13 aprile

da Orizzontescuola

ATA modello D3, ultimi giorni scelta scuola. Scadenza 13 aprile

di redazione

 

Sono gli ultimi giorni utili per il personale ATA che si appresta a completare la domanda per l’inserimento o l’aggiornamento della III fascia. Il 13 aprile ore 14 scade il termine per la scelta, su Istanze on line, delle scuole in cui inserirsi.

Riepiloghiamo i passaggi più importanti

Il modello è su Istanze on line. Il percorso per accedere

Se compare il messaggio “domanda non acquisita” Leggi tutto

NUMERO DI SCUOLE DA INSERIRE

E’ possibile inserire sino a 30 scuole della stessa e unica provincia cui è stato inviato il modello di domanda di inserimento/aggiornamento.

Nell’ambito delle 30 scuole è possibile inserire o meno la scuola destinataria del modello di domanda inviato precedentemente (la cosiddetta scuola capofila). Non c’è obbligo ad inserire la scuola capofila. Indicazione Miur

Non esistono neanche limiti nella tipologia di scuole. Leggi tutto

Come effettuare il recupero del codice personale . Leggi tutto

Entro il 13 aprile ore 14 è possibile modificare la scelta delle scuole tutte le volte che si vuole. Leggi tutto

ATA III fascia, cosa accade se non presento il modello D3. Scelta sedi entro il 13 aprile: si inseriscono fino a 30 scuole

Mobilità insegnanti di religione cattolica: domande dal 13 aprile al 16 maggio

da La Tecnica della Scuola

Mobilità insegnanti di religione cattolica: domande dal 13 aprile al 16 maggio

Scuola media, la normativa per l’anno scolastico 2018/2019

da La Tecnica della Scuola

Scuola media, la normativa per l’anno scolastico 2018/2019

Mare Scuola 4.0 – #FuturaCatania #PNSD

Piano Scuola Digitale, 24 eventi per raccontarlo nei territori. Si parte da Catania: 74 moduli formativi per studenti e docenti

Tre giorni di iniziative e confronti per raccontare e approfondire i temi del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) con laboratori, biblioteche e atelier aperti al territorio e alle comunità scolastiche, buone pratiche, gare di innovazione e gare di idee per le scuole. È il programma di “Mare Scuola 4.0 – #FuturaCatania #PNSD”, che prende il via mercoledì 11 aprile e prosegue fino a venerdì 13 aprile, presso il Porto di Catania – Nuova Dogana. Dopo l’evento nazionale di Bologna, parte infatti da Catania un tour di 24 eventi promossi dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dedicati al PNSD per continuare ad accompagnarne l’attuazione e raccogliere dai territori stimoli e proposte per migliorarla.

A Catania studentesse e studenti e docenti di tutte le scuole di ogni ordine e grado saranno chiamati ad approfondire, nell’ambito di 74 moduli formativi, le tematiche legate all’innovazione didattica e digitale delle scuole. L’edizione siciliana di “Futura” si coniuga con anche la “Giornata del Mare”, che si celebra domani.

Oltre alle mostre, agli atelier, ai workshop formativi, ai progetti e laboratori didattici, alle proiezioni e alle vetrine tecnologiche, due saranno le occasioni di maggior confronto per ragazze e ragazzi. La prima sarà “For Migration – Global Compact for Migration Model United Nations. La prima simulazione sul processo di sviluppo dell’accordo globale per le migrazioni”, una simulazione dei lavori negoziali delle Nazioni Unite durante la quale cento fra studentesse e studenti, provenienti da tutte le Regioni italiane e assistiti da mentori, esperti e ricercatori, lavoreranno all’elaborazione di nuovi modelli e soluzioni che favoriscano una cooperazione internazionale costruttiva sul tema delle migrazioni.

La seconda esperienza di confronto offerta alle partecipanti e ai partecipanti sarà “Civic Hack”, una vera e propria maratona progettuale durante la quale centoventi studentesse e studenti provenienti da istituzioni scolastiche della provincia di Catania, si confronteranno sul tema dello sviluppo urbano e territoriale analizzando criticità e proponendo soluzioni. Alle vincitrici e ai vincitori del “Civic Hack” e della simulazione “For Migration” sarà offerta la possibilità di partecipare ad altre esperienze formative e laboratoriali di livello nazionale per acquisire nuove conoscenze e competenze.