Potenziale innovativo dei progetti

Dieci milioni di euro per verificare il potenziale innovativo, in ambito industriale, dei progetti di ricerca degli Enti e delle Università. Li mette a disposizione il bando pubblicato oggi dal MIUR nell’ambito dell’attuazione del Programma nazionale per la ricerca.

Potranno partecipare docenti, ricercatrici e ricercatori, personale della ricerca dipendente degli Enti per la ricerca che abbiano ricevuto finanziamenti europei o nazionali o regionali per progetti di ricerca fondamentale. Attraverso il bando il MIUR darà loro la possibilità di verificare, con il supporto delle istituzioni pubbliche di afferenza, il potenziale innovativo delle idee e delle conoscenze sviluppate nell’ambito dei predetti progetti (il cosiddetto Proof of concept).

Le domande potranno essere presentate entro il 5 luglio prossimo.

Qui il bando completo

Un contratto difensivo in una scuola ingessata

UN CONTRATTO DIFENSIVO IN UNA SCUOLA INGESSATA

Francesco G. Nuzzaci

(Anticipiamo qui una sintesi dell’articolo che sarà pubblicato con più distesa argomentazione nel prossimo numero della rivista Scienza dell’Amministrazione Scolastica, Euroedizioni, Torino)

1. Ci siamo presi il tempo necessario per verificare la prima impressione di “copiaconforme” del CCNL per il personale della scuola (nonché dell’università e della ricerca), firmato il 19 aprile da CGIL-CISL-UIL, con l’ipotesi di accordo del 9 febbraio u.s.; e per esplorare le loro soddisfatte dichiarazioni.

L’unica novità del testo definitivo è l’apposizione della firma “tecnica” da parte della GILDA, mentre resiste ancora lo SNALS, deluso di un contratto esito di una trattativa “conclusa in maniera approssimativa e in assenza di approfondimento”, destinato ad una “manovalanza, da blandire con pochi spiccioli e soggetta alla perdita decisionale degli organi collegiali”, infine chiuso in regime di vigenza della legge 107/15 e della quale “ne ripropone tutti i difetti”. Ma è da presumere che la quinta, ed ultima, firma “tecnica” non tarderà, sempre per la medesima ragione di “potercontinuare a rappresentare il personale della scuola nelle contrattazioni integrative e nelle importanti sequenze contrattuali previste dallo stesso contratto”.

Il non lieve lasso di tempo intercorso, dopo il celere via libera della Funzione Pubblica e del MEF, è ascrivibile ad una pseudo-impuntatura della Corte dei conti, che ha dato poi il suo “placet”, necessario per il completamento della procedura dei controlli di legge, solo concedendosi l’ininfluente chiosa di censurare il “deludente” utilizzo delle risorse disponibili “quasi esclusivamente per corrispondere adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione”, senza spazio alcuno per premiare la produttività e la qualità della prestazione lavorativa, nonostante l’imperio della legge 15/09 e del relativo decreto di attuazione 150/09 (c.d. “Riforma Brunetta”).

Ma è una delusione ingenerosa, perché si è dovuto davvero raccattare un po’ di qua e un po’ di là  – dandosi mostra di una notevole dose di creatività quanto ad artifici contabili – per poter assicurare ai beneficiati i famosi ottanta euro lordi mensili, poco più di cinquanta euro netti: “un primo passo che consente di offrire migliori condizioni alle dipendenti e ai dipendenti, di proseguire nella valorizzazione e nel riconoscimento della professionalità fondamentale delle docenti e dei docenti”

A fronte di cotanta benevola elargizione a coloro che, nelle solenni ed universalmente condivise dichiarazioni sono chiamati a redimere l’umanità intera, la contropartita offerta alle sigle sindacali che li rappresentano è l’ulteriore massiva tutela impiegatizia dei fungibili “lavoratori della conoscenza”, ai quali – a dire della segretaria generale di CISL-Scuola – il nuovo contratto “non ha tolto nessuna tutela, ne ha rafforzato qualcuna, ha ridato spazio alla contrattazione a tutti i livelli”. E’ peròuna tutela preclusiva di qualsivoglia riconoscimento professionale, cui fa da contraltare una scuola ancor più ingessata.

Per il personale ATA tutto è rinviato a eventuali “soluzioni più idonee” da parte di una commissione che dovrà concludere i lavori entro il 31 luglio 2018; mentre al personale docente una dichiarazione congiunta, la n. 6, in calce all’articolato negoziale, promette che “le parti”, semplicemente e senzal’indicazione di alcun termine, “si impegnano” – un impegno che dura dal 1995, all’atto della stipula del primo contratto delpubblico impiegoprivatizzato! – “a prevedere una fase istruttoria che consenta di acquisire ed elaborare tutti gli elementi utili ad individuare forme e strumenti di valorizzazione nell’ottica dello sviluppo professionale…”

Ma, soprattutto, il celebrato “contratto di svolta…frutto di una scelta giusta eresponsabile”, che dà “certezze e dignità a più di un milione di lavoratrici e lavoratori che operano nella scuola”, ha segnato la “riconquista alle relazioni sindacali” dello spazio ad esse sottratto in progresso di tempo dalla rilegificazione brunettiana e, nello specifico, consentendo – per bocca del segretario generale di UIL-Scuola – lo smantellamento di “leggi che hanno sconvolto l’identità della scuola statale italiana”, primariamente della legge 107/15, segnata da una “logica liberista” e rilevata dalla “scuola della comunità incontrapposizione con quella burocratica e dirigista”, che ora “limita il potere dei dirigenti scolastici” perché “le decisioni sono collegiali”; cui fa seguito la rivendicazione del segretario generale di FLCGIL della “ripristinata normale dialettica delle relazioni sindacali con lo svuotamento delle parti più negative sul piano dei rapporti di lavoro della legge 150 e della legge 107”.

Se pure la riconquistata “signoria del contratto” si è resa in fatto possibile non da una lettura travisata, confusiva e corruttiva della norma di diritto positivo, bensì per il cedimento dell’Amministrazione e per la connivenza degli organi di controllo, CGIL, CISL e UIL hanno tutte le ragioni per poter gongolare, qui insieme alle altre due sigle sindacali rappresentative nel comparto, essendo riuscite ad assestare pesanti colpi di piccone alla “buona scuola” e al “preside-sceriffo” che la incarna.

2. Il nuovo contratto conferma la rigidità – e se ne mena vanto – delle prestazioni contrattualmente esigibili, sia nelle attività d’insegnamento che funzionali all’insegnamento (sempre 40+40 ore e includenti quelle impegnate per la formazione – “che resta un diritto,non un obbligo”! –, superate le quali spetta la correlata retribuzione aggiuntiva).

Rinvia ad un’apposita sessione negoziale, da concludere entro il mese di luglio 2018, la riscrittura del sistema disciplinare dei docenti, “nel rispetto dellenorme imperative di cui al D. Lgs. 165/01 e s.m.i.”, al fine di reprimere condotte antidoverose, ma non a sindacare, neppure indirettamente, la libertà d’insegnamento; con l’inconfessata speranza, nel frattempo, di poter neutralizzare la prerogativa dei dirigenti scolastici di irrogare – espressamente anche ai docenti e non più al solo personale ATA – la misura massima della sospensione dal servizio e dallo stipendio sino a dieci giorni, codificata come eccezione (“lex specialis”) proprio da quelle appena richiamate “norme imperative” di cui si professa il rispetto, ma non disperando di far valere la regola generale che facoltizza tutti gli altri dirigenti pubblici a comminare direttamente il solo rimprovero verbale e per il resto obbligandoli a rimettere gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari.

Il “vulnus” inferto alla legge 107/15 è di palmare evidenza con riguardo alle risorse, extracontrattuali, di 200 milioni di euro per il c.d. “bonus” premiale, nei commi 126-130 regolate organicamente e individuandosi con puntualità soggetti e procedure per la loro attribuzione.

Dopo che nel testo negoziale è stata inserita la contrattazione dei criteri generali di “determinazione degli inerenti compensi”, si concorda adesso la riduzione dei predetti 200 milioni di 70 milioni per l’anno 2018, di 50 milioni per il 2019 e di 40 milioni a regime: che, svincolati dalla prescritta previsione legale di destinarli al differenziato riconoscimento del merito, valgono adesso ad incrementare la voce generalizzata della retribuzione professionale(RP), anche per i docenti con incarico a tempo determinato sino al 30 giugno o al 31 agosto.

La contrattazione dei “criteri generali” in ordine ai compensi – riferiti all’intera cifra dei 200 milioni – può anche condividersi nella lettura offerta dal MIUR, pur se pare aver prodotto un capolavoro da azzeccagarbugli: si contrattano “i criteri generali per la determinazione dei compensi” previsti dal “bonus” dei docenti, non ”i criteri valutativi”, che restano nella competenza del Comitato di valutazione, così come al dirigente scolastico resta la competenza “per l’individuazione dei docenti meritevoli”.

Lo stesso non può affermarsi per lo scorporo della summenzionata quota-parte, che viola palesemente una norma imperativa, statuendo l’articolo 1, comma 196, legge 107/15 che “sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge”. Ma, “Quis custodiet custodes”?

Il saccheggio consentito a private corporazioni – secondo il codice civile e la Costituzione – di leggi votate dal Parlamento della Repubblica, legittimo rappresentante del Popolo Sovrano, continua con la rieditata libera mobilità dei docenti su singola istituzione scolastica, già sancita in un “Accordo politico” limitatamente all’anno scolastico 2017/18 per sanarsi in qualche modo i danni provocati dall’ “algoritmo” l’anno prima, poi prorogata in previsione del rinnovo contrattuale per l’anno scolastico 2018/19, con l’ “Intesa” del 22.12.17, quindi dallo stesso nuovo contratto – nell’articolo 22, comma 4 – resa strutturale, con tanto di graduatorie fatte di punteggi e di automatismi; a domanda riproponibile annualmente fino a quando non si sia ottenuta la sede richiesta, ma non prima di tre anni se tale sede la si è ottenuta: con buona pace della “chiamata per competenze” sulla base del PTOF e di che quel che resta della stessa dopo essere stata gravata da ultronee bardature in via amministrativa. Inutile precisare come si sia bellamente aggirato il divieto del comma 73, legge 107, al di cui inequivoco tenore “dall’anno scolastico 2016/17 la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli ambiti territoriali”

3. E vi è di più. Questa volta non “contra legem”,bensì con la formale legittimazione del dato normativo, sempre il plurimenzionato decreto legislativo 75/17, nel punto in cui ha voluto assicurare una sorta di “riequilibrio tra legge e contratto”; non già riespandendo le materie oggetto di necessaria regolazione pattizia; dunque andando in tutt’altra direzione rispetto a quella pretesa dalle confederazioni sindacali sottoscrittrici dell’Intesa del 30 novembre 2016: di riappropriarsi del diritto di coogestione – e di veto – sugli atti di macro organizzazione, che continuano a permanere nella sfera pubblicistica, e – soprattutto – sugli atti di micro organizzazione degli uffici e delle misure inerenti il rapporto di lavoro, gli uni e le altre sempre spettanti ai dirigenti in via esclusiva, che operano con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

Il “riequilibrio” in parola è invece affidato alle “ulteriori forme di partecipazione se previste dai contratti”. E tra di esse vi è primariamente l’ “esame congiunto”, dalla legge 135/12 (c.d. “Spending Review”) già introdotto per i rapporti di lavoro ed ora esteso all’organizzazione degli uffici.

Esso è attivabile per tutte le materie oggetto di informazione – dunque, anche per gli atti di organizzazione degli uffici e per le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro – e su tutte quelle oggetto di contrattazione, con le formalità ridotte all’essenziale, in coerenza con la sua ragione giustificativa: di “costruire relazioni stabili tra amministrazioni pubbliche e soggetti sindacali, improntate alla partecipazione attiva e consapevole, alla correttezza e trasparenza dei comportamenti, al dialogo costruttivo, alla reciproca considerazione dei rispettivi diritti ed obblighi, nonché alla prevenzione dei conflitti”, come si (ri)legge nell’art. 4, comma 1 del nuovo CCNL.

L’esame congiunto può ben sfociare in un’intesa, che in tal caso le parti dovranno eseguire secondo i principi della correttezza e della buona fede, dotati di valenza normativa. Diversamente, esso si conclude con la mera “verbalizzazione delle rispettive posizioni”.

E’ indiscutibile l’astratta positività del nuovo istituto, che nel CCNL che qui ne occupa è denominato “confronto” e volutamente appesantito nei suoi aspetti procedurali; oltretutto rendendolo obbligatorio e non già libero, ancorché (ri)fondato sulla “comunità educante”, che di per sé non dovrebbe comportare costrizioni.

Sennonché – e soprattutto – difettano in radice le consustanziali correttezza e buona fede di chi rappresenta “i lavoratori”, avendo in via previa e reiteratamente essi dichiarato – ora in modo “soft”, con un dosaggio elegante degli eufemismi, ora in maniera esplicita e non di rado truculenta – che il confronto lo utilizzeranno come un grimaldello per scardinare ancor più la legge 107/15 nei suoi elementi più innovativi e dirompenti. E, naturalmente e sempre, “perdare meno potere ai dirigenti scolastici”(sic!).

4. Con simili premesse – incassata la garanzia di non belligeranza delle superiori sfere – è agevole prefigurare sistematici interventi sul ventre molle delsistema per condizionarne l’azione, dovendo obbligatoriamente il dirigente scolastico “inviare per iscritto” ai soggetti sindacali “gli elementi conoscitivi delle misure daadottare”.

Potere esclusivo sugli atti di organizzazione e sulle misure inerenti la gestione del rapporto di lavoro, sì. Ma sospensivamente condizionato! Perché il dirigente scolastico – fosse pure per il temporaneo spostamento d’un bidello in una diversa area dell’edificio – dovrà attendere fino a cinque giorni nel caso che i soggetti sindacali, “anche singolarmente”, richiedano il confronto, che si svolge per unperiodo non superiore a quindici giornie al termine del quale è redatta una sintesidei lavori e delle posizioni emerse. Dopodiché ciascuna delle parti riassume la libertà di azione, fino al prossimo giro di giostra.

E’ questo “un contratto di svolta”, che sarebbe corretto definire un contratto “a doppia mandata sulle relazionisindacali”. Che, nel tenere perennemente sotto schiaffo la “controparte datoriale”, conduce al soffocamento dell’istituzione scolastica in una fitta rete di procedure labirintiche e dalla quale colui che legalmente la rappresenta, e ne risponde, non potrà prescindere, pur a fronte di richieste scopertamente strumentali, se non addirittura mosse da intenti emulativi. Perché il prescinderne potrebbe ben integrare gli estremi di una denuncia per comportamento antisindacale, senza che egli possa, ragionevolmente, trovare il sostegno della “sua” Amministrazione.

Stranieri in fuga dai banchi

da Il Sole 24 Ore

Stranieri in fuga dai banchi

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

In Italia c’è un’emergenza educativa in atto. Da almeno dieci anni. Ma i governi che si sono succeduti nel frattempo non se ne sono accorti. Come dimostra l’incapacità del nostro sistema di istruzione di portare al diploma migliaia di alunni stranieri. Ancora oggi, infatti, un 18enne su tre abbandona gli studi prima del tempo e due su tre accumulano almeno un anno di ritardo tra i banchi. Con effetti a cascata facilmente immaginabili sulle competenze e la formazione di base con cui si presenteranno sul mercato del lavoro.

Una miopia doppiamente ingiustificata. Sia perché la nostra collocazione al centro del Mediterraneo ci rende naturalmente esposti ai fenomeni migratori – che piaccia o meno – sia perché i ragazzi di cittadinanza non italiana rappresentano ormai l’unico «fattore dinamico» del nostro sistema scolastico, complici i bassi tassi di natalità e quindi la continua riduzione della popolazione scolastica (anche il prossimo anno ci saranno circa 21mila studenti in meno tra i banchi, -90mila nell’ultimo triennio).

L’allarme – che le forze politiche impegnate in una lunghissima campagna elettorale, vista la delicatezza del tema, si sono guardate bene dal rilanciare – arriva dall’ultimo monitoraggio del Miur sulla presenza straniera in classe. Che continua ad aumentare (è arrivata a quota 826mila unità, pari al 9,4% del totale) a differenza degli studenti italiani che diminuiscono ancora. E non può essere la tendenza in atto alla stabilizzazione – sottolinea il paper – a farci pensare «che l’accoglienza e i processi di inclusione scolastica dei giovani di origine migratoria siano un fatto ormai compiuto». Tanto più che nel 61% dei casi stiamo parlando di bambini e bambine nate in Italia (dalla prima generazione siamo ormai passati alla seconda).

I contorni dell’emergenza si fanno nitidi quando si passa ad esaminare i tassi di scolarità di italiani e stranieri. Che sono analoghi solo nelle fasce d’età 6-13 (intorno al 100%) e 14-16 anni (più o meno al 90 per cento). Prima e dopo la forbice si allarga. Si pensi, ad esempio, alla scuola dell’infanzia. Dove i tassi di iscrizione sono del 77% per i bimbi tra 3 e i 5 anni con cittadinanza non italiana e del 96% dei loro coetanei italiani. Un gap decisivo considerando che sono gli anni in cui si acquista la dimestichezza con la lingua che sarà indispensabile alle elementari.

Con queste performance di partenza il punto di approdo è inevitabile: tra i 17 e 18enni la partecipazione scende al 64,8% rispetto all’80,9 dei giovani “autoctoni”. Statistiche del genere gonfiano a dismisura il plotone degli early school leavers. In un Paese che fa fatica a centrare il target del 10% di abbandoni scolastici entro il 2020 (attualmente la media nazionale è del 13,8%) non si può prendere sotto gamba quel 32,8% di dispersione fatta registrare dai ragazzi stranieri. Addirittura al 35,1% se ci si concentra sulla componente maschile contro il 30,5% delle ragazze.

Non è che chi resta sui banchi fino al diploma se la passi meglio. Come testimonia la scarsa regolarità del percorso scolastico dei minori arrivati dall’estero. Che si può riassumere in due numeri: gli studenti italiani in ritardo sono il 10%, quelli stranieri il 31,3. Una divaricazione che nasce all’inizio della scuola dell’obbligo e cresce andando avanti negli studi. Meno di un minore straniero su due viene inserito nella classe corrispondente alla sua età. A 10 anni il 13,6% degli alunni è indietro di un anno e l’1,8% di due. A 14 anni le percentuali salgono, rispettivamente, al 33,2% e all’8,5 per cento. Fino al “boom” che si verifica alle superiori quando appena il 67% dei 18enni non italiani è in regola con gli studi. Un dato che appare in miglioramento rispetto all’80,8 di dieci anni fa ma che rimane comunque troppo elevato.

Nonostante il silenzio della politica, probabilmente ”scottata” dalle polemiche di qualche mese fa sullo ius soli, il tema è in cima ai pensieri delle scuole. Come dimostrano i tassi di partecipazione ai bandi del Pon Istruzione – finanziati dai fondi strutturali europei – destinati alle iniziative anti-dispersione. A quello del settembre 2016 che, puntava a tenere aperti gli istituti di pomeriggio, hanno risposto in 4.633. Avanzando richieste per 10.035 moduli didattici pari a 31.117 ore di campo scuola. Per un importo complessivo di 187 milioni. All’avviso pubblico di aprile 2017, che mirava al recupero dell’istruzione di base e al conseguimento di un diploma o di una qualifica, si sono candidate invece 2.336 scuole. Per 33.653 moduli (durata media 30 ore) pari a 1.062.080 ore di attività didattica con il potenziale coinvolgimento di 600.000 allievi. Per un totale di 77 milioni. Senza dimenticare i due “slot” aperti per altri 280 milioni (130 per aprire gli edifici oltre l’orario normale e 150 per rafforzare le competenze innovative).

Dentro le scuole comunque non mancano le idee: è il caso, ad esempio, della sperimentazione del curricolo internazionale a indirizzo cinese lanciata dall’istituto Sassetti-Peruzzi di Firenze: «Sfruttando la quota di flessibilità abbiamo introdotto lo studio bilingue, italiano e cinese – racconta il preside Osvaldo Di Cuffa -. In autonomia sono stati presi contatti con le autorità cinesi e ora in Cina il nostro diploma è un titolo riconosciuto». Stessa intraprendenza e “voglia di integrazione” anche alla scuola primaria, Carlo Pisacane, di Roma, quartiere Tor Pignattara: «Qui curiamo l’inserimento degli alunni stranieri a 360 gradi – aggiunge la professoressa Maria Novellino -. Gli strumenti utilizzati sono laboratori e progetti personalizzati». Almeno in classe «Italia è una parola aperta, piena d’aria», parafrasando l’Erri De Luca di “Sola andata”.

Il bullismo sconcerta, ma la scuola merita di più

da Corriere della sera

Il bullismo sconcerta, ma la scuola merita di più

Non è vero che tutti gli alunni siano maleducati e tutti gli insegnanti inadeguati, al contrario. E il prossimo governo farebbe bene a garantire sedi e stipendi più giusti

Paolo Di Stefano

La nostra economia arranca, superata dai risultati spagnoli, la politica è in bilico e offre tutti i giorni uno spettacolo discutibile e persino nel calcio siamo arretrati al punto da non meritarci nemmeno i Mondiali. Siamo gli ultimi, siamo sempre gli ultimi, e spesso ce ne facciamo un vanto. Ma la scuola no, per favore. Nonostante tutto.

L’episodio di Lucca è sconvolgente: e la punizione proposta dal consiglio degli insegnanti è una punizione esemplare che forse aiuterà i responsabili diretti e indiretti a riflettere sulla gravità inaudita dei loro gesti. Speriamo, almeno, perché il tema, sempre eluso, della punizione educativa riguarda le famiglie prima della scuola. Pur tuttavia, il rischio ora è di semplificare accusando la scuola italiana di essere incapace di «formare» e/o di «educare». Non è così. Proprio adesso, nel pieno del marasma, verrebbe da dire: salviamo la scuola italiana. E salviamola anche dai (nostri) pregiudizi secondo cui la scuola fa schifo, i docenti sono pessimi e gli studenti (a parte i nostri figli) maleducati e violenti. Non è così. Basta andare a vedere. Seguire qualche lezione, parlare con gli insegnanti, entrare in una scuola elementare, in una media o in un liceo: conoscere, vedere e ascoltare. E non sto parlando delle cosiddette «eccellenze». Sto parlando delle scuole pubbliche delle periferie cittadine, del Nord, del Centro e del Sud. Per favore, salviamo la scuola dal nostro catastrofismo e dal sistematico tentativo di affossarla perpetrato dai vari governi, ciascuno con la propria riforma miracolosa. La prima riforma seria sarebbe quella che si impegna a ridare dignità ai maestri e ai professori, adeguando gli stipendi agli standard europei (dunque almeno raddoppiandoli) e si propone di rendere decorose strutture spesso indecenti in cui nessuno vorrebbe passare le sue giornate. Bisognerebbe partire da questi provvedimenti-base, riducendo le pretese sulle «offerte formative», per migliorare l’istituzione scolastica italiana. Evitando di aggiungere confusione alla confusione, riforme burocratiche soffocanti, didattiche pseudo moderniste (lo smartphone e l’inglese…), false soluzioni iper valutative o aziendaliste (i presidi-dirigenti) che misurano la qualità sulla quantità di «fruitori».

La realtà scolastica è molto complessa perché complesso è il mondo. Capita però, a me come a tanti scrittori e giornalisti, di frequentare la «scuola reale» per presentazioni di libri e incontri, di conoscere insegnanti e presidi. Pochi giorni fa sono stato invitato nell’ennesimo istituto, una media milanese della zona Stazione Centrale: ragazzi tra i 12 e i 13 anni, tre insegnanti donne che ponevano domande sul fare letteratura, sullo scrivere, sul rapporto tra scrittura e mondo, e sollecitavano quelle degli studenti. Scuola cosiddetta multietnica, con giovani africani, filippini, cinesi, sudamericani, oltre agli italiani. Ebbene, udite udite: erano ragazzi e ragazze vivaci, interessanti e attenti, rispettosi, qualcuno ha preso la parola per raccontare la storia della propria famiglia, qualcuno ha detto la sua (magari ingenua ma non generica) sulla società, sulla funzione della memoria, sulla necessità di ascoltare gli altri. Gli altri ascoltavano pazienti anche quando un compagno si dilungava in considerazioni un po’ cervellotiche. Le docenti hanno parlato senza retorica della solitudine e della tecnologia. Una scuola «normale», non d’élite e non di frontiera, in cui si percepiva subito il senso di una comunità intelligente. Un’eccezione? Le eccezioni sono purtroppo quelle che fanno notizia, anche se non hanno il clamore di quella di Lucca, con tutto ciò che si può aggiungere sulla «debolezza» o frustrazione o spaesamento di quel professore come di altri, e sul declino dell’autorità: ma quale ragazzo può conoscere il rispetto delle regole e il senso di responsabilità se non gli viene trasmesso dai genitori ben prima che dagli insegnanti, e se anzi è circondato da persone pubbliche e private che se ne fanno beffe ovunque nella vita collettiva?

Non so quante scuole «normali» ci siano in altri Paesi europei. Conosco abbastanza bene le scuole svizzere e posso dire che quel che le distingue davvero dalle nostre non è la qualità dell’«offerta formativa», ma le aule accoglienti e prive di umidità e di calcinacci, i cortili accessibili, i bagni funzionanti. Ciò che le distingue è soprattutto il livello economico (non quello culturale!) dei docenti e di conseguenza la dignità di cui godono nel contesto sociale. I problemi di bullismo esistono anche lì, così come le famiglie sempre più invadenti. Anche lì sono tempi difficili per l’istituzione scolastica. È vero che non c’è il tasso di dispersione scolastica che si registra in Italia, ma non si può pretendere che la scuola italiana, deprivata del minimo di sopravvivenza, ponga rimedio ai malesseri della società, con la sua povertà minorile, l’esclusione, le diseguaglianze eccetera. Del resto, alzi la mano chi ha sentito pronunciare la parola «scuola» durante la campagna elettorale. Dunque, un modesto consiglio al prossimo governo: niente riforme magniloquenti e risolutive, pensiamo ai fondamentali. Muri e stipendi, cioè decoro e dignità minima. Il resto verrà.

 

Elezioni RSU: notizie ancora imprecise e parziali

da La Tecnica della Scuola

Elezioni RSU: notizie ancora imprecise e parziali

Un dossier sul bullismo

da La Tecnica della Scuola

Un dossier sul bullismo

Diplomati magistrali, il parere dell’Avvocatura di Stato: circa 2mila docenti esclusi dalle GAE

da Tuttoscuola

Diplomati magistrali, il parere dell’Avvocatura di Stato: circa 2mila docenti esclusi dalle GAE

È arrivato il parere dell’avvocatura di Stato sulla sentenza del Consiglio di Stato che, nel dicembre 2017, ha escluso dalle graduatorie ad esaurimento (Gae), chi non è in possesso della laurea e del diploma della scuola di specializzazione. Secondo quanto riportato da Agi.it e scritto da Repubblica, l’effetto è immediato per i circa duemila docenti che hanno presentato ricorso contro la sentenza. Saranno subito esclusi dalle Gae e dovranno passare alle graduatorie di Istituto, perdendo così il diritto alla cattedra fissa. In tutti gli altri casi – spiega in una nota il Miur – bisognerà attendere le rispettive sentenze nel merito, che, con ogni probabilità, si uniformeranno alla decisione del Consiglio di Stato. Intanto l’Anief indice lo sciopero della fame per il prossimo 28 aprile.

Diplomati magistrali: contromossa dei sindacati. Anief in sciopero della fame il 28 aprile

In vista delle prossime sentenze e della necessità di garantire un ordinato avvio del prossimo anno scolastico, le Organizzazioni sindacali hanno espresso l’esigenza di un urgente intervento in sede parlamentare. Un’iniziativa legislativa tesa a salvaguardare, innanzitutto, il diritto delle studentesse e degli studenti alla continuità didattica e a un insegnamento di qualità e che possa contemperare le attese dei diplomati magistrali coinvolti dalle sentenze con quelle dei laureati in Scienze della formazione primaria.

Il Miur si è dichiarato favorevole a una soluzione di tipo legislativo in sede parlamentare, nel rispetto dei diritti di tutte e tutti, a partire da quelli delle studentesse e degli studenti, e si è messo a disposizione per il supporto tecnico-amministrativo necessario. In questo senso è già stata programmata una prima riunione tecnica di approfondimento con le Organizzazioni sindacali che si terrà il prossimo 3 maggio.

L’Anief, il sindacato che ha promosso i ricorsi di massa dei diplomati, attacca: “L’Avvocatura di Stato espelle le maestre, mette a rischio il prossimo anno e mina lo stato di diritto”. E, come scrive La Repubblica, indice il 28 aprile uno sciopero della fame, con un presidio permanente davanti al Miur, sino al nuovo sciopero il 3 maggio, il terzo in quattro mesi con manifestazione a Roma.

Diplomati magistrali, Miur favorevole a una soluzione di tipo legislativo in sede parlamentare

Il Ministero dell’Istruzione si è dichiarato favorevole a una soluzione di tipo legislativo in sede parlamentare, nel rispetto dei diritti tutti, a partire da quelli degli studenti, e si è messo a disposizione per il supporto tecnico-amministrativo necessario. In questo senso è stata programmata una prima riunione tecnica di approfondimento con le Organizzazioni sindacali che si terrà il prossimo 3 maggio.
Nel frattempo, già da domani, lunedì 23 aprile, proseguirà il confronto con i gruppi e le organizzazioni che nei mesi passati erano stati ricevuti dal Miur a seguito della sentenza di dicembre.

Avviso 23 aprile 2018, AOODGSIP 1866

Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione
Ufficio II
“Welfare dello Studente, partecipazione scolastica, dispersione e orientamento”

Alla cortese attenzione
del Dirigente scolastico
dell’I.I.S. Don Milani
Via Balista
38068 Rovereto (TN)
segr.donmilani@scuole.provincia.tn.it
del Dirigente scolastico
dell’I.I.S. “M. Ramadu”
Via Rimini, 1
04012 Cisterna di Latina
ltis00100r@istruzione.it

OGGETTO: Nota MIUR 4835 del 3/10/2017 avente ad oggetto “La Camera e i giovani contro i fenomeni d’odio” e “La Camera e i giovani per i diritti e i doveri relativi ad Internet”, anno scolastico 2017/2018. Nomina Vincitori.

Al termine delle operazioni di valutazione dei lavori pervenuti, il Comitato paritetico di valutazione composto da rappresentanti del MIUR e della Camera dei Deputati ha il piacere di comunicare i seguenti vincitori:
· per “La Camera e i giovani contro i fenomeni d’odio” l’istituto scolastico vincitore è l’Istituto di Istruzione superiore don Milani, di Rovereto con il video “L’odio non è un’opinione” realizzato dalla classe IVB;
· per “La Camera e i giovani per i diritti e i doveri relativi ad Internet” l’istituto scolastico vincitore è l’IIS M. Ramadu di Cisterna di Latina con l’opera “La rete divina nel mezzo del cammin del nostro web…”.

Il Dirigente
Giuseppe PIERRO