Istat: Veneto e Lombardia ultime per insegnanti di sostegno

Redattore Sociale del 20-05-2018

Disabilita’, Istat: Veneto e Lombardia ultime per insegnanti di sostegno

VENEZIA. Il Veneto e’ la Regione in Italia con il piu’ basso rapporto tra insegnanti di sostegno e alunni disabili, ad esclusione della Lombardia, con cui e’ sostanzialmente pari-merito. Lo dicono i dati del rapporto annuale Istat 2018, pubblicato oggi, che evidenzia anche come in realta’ Veneto e Lombardia, con circa 0,5 insegnanti di sostegno per ogni alunno disabile, siano in linea con quanto previsto dalla legge nazionale, che prevede un insegnante ogni due alunni.
Sono quindi le altre Regioni, in particolar modo quelle del Mezzogiorno, ad essere sopra la norma, determinando una media nazionale di circa 0,62 insegnanti di sostegno per ogni alunno disabile. Discorso a parte va fatto per gli assistenti. Il Veneto ne ha circa uno ogni 10 alunni disabili, mentre la media nazionale, peraltro superata ampiamente dalla Lombardia, e’ di circa un assistente ogni cinque alunni disabili. (DIRE)

Realizzazione delle azioni finanziate con i Fondi Strutturali Europei

All’Autorità di Gestione
dott.ssa Alessandra Augusto
Ufficio IV – DGEFID

e p.c.
Al Direttore Generale della DGEFID
dott.ssa Simona Montesarchio
Al Capo di Gabinetto
dott.ssa Sabrina Bono
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Realizzazione delle azioni finanziate con i Fondi Strutturali Europei

Gentilissima dott.ssa Augusto,
i firmatari del presente documento intendono, con la massima urgenza e con molta
preoccupazione, segnalare quanto e come le farraginose e talvolta assurde procedure
previste per la realizzazione delle azioni finanziate con i Fondi Strutturali Europei rischino
di incidere negativamente sulla gestione ordinaria delle scuole, anzichè apportare benefici.
Elenchiamo in modo sintetico alcuni dei problemi più evidenti, ricordando che, dopo anni di
assenza di concorsi e procedure di selezione, molte scuole hanno DSGA in reggenza o
incaricati e, per quasi il 30%, un DS in reggenza. Per contro, il carico di lavoro
amministrativo è aumentato in modo esponenziale negli ultimi anni.
Nello specifico delle azioni PON, questi sono i problemi con i quali abbiamo a che fare e
per i quali chiediamo modifiche/soluzioni urgenti:
– la concentrazione temporale delle azioni PON (al momento le azioni avviate, tra FSE
e FESR, sono una quindicina e quattro sono i bandi aperti) non facilita una serena
programmazione dell’offerta formativa. Proponiamo una scansione meno compressa
e soprattutto rispettosa dei tempi di progettazione del PTOF: a inizio anno scolastico
dobbiamo sapere su quali risorse possiamo contare.
– i manuali di gestione e i cambi “in corsa” : l’intero processo è regolato da manuali di
80 pagine e più, diversi per ogni azione, molto complessi, che poi vengono integrati da
contrordini, modifiche, integrazioni, chiarimenti, imponendo ritmi di revisione pressochè
quotidiana delle procedure. Proponiamo una decisa semplificazione delle
procedure , e soprattutto una chiarezza iniziale e una non contradittorietà nelle
indicazioni successive.
– la piattaforma: la burocrazia elefantiaca prevista per ciascun PON corrisponde, in
pratica, alla duplicazione dell’archivio di segreteria, con l’aggravante che l’inserimento
massivo di tonnellate di documenti in una piattaforma peraltro rigidissima impone, il più
delle volte, la scannerizzazione del cartaceo ( come sta accadendo per le carte
d’identità e le domande di iscrizione ai moduli formativi da parte degli studenti). Per
esemplificare ulteriormente: è necessaria la validazione quotidiana delle presenze con
la scansione dei fogli firma, e spesso si hanno corsi quasi tutti i giorni. Prima ancora, ci
sono le procedure di gara che devono essere eseguite puntualmente su due canali: la
procedura ordinaria amministrativa e la procedura sulla piattaforma. E si potrebbe
continuare. Proponiamo che la piattaforma sia ridotta al minimo indispensabile
per lo sviluppo del progetto e non risulti più come un duplicato delle segreterie.
Qualsiasi rendicontazione o controllo può essere fatto attraverso i documenti prodotti
nell’attività amministrativa delle segreterie, ormai attrezzate digitalmente.
– la quantità e la tipologia di documenti da inserire : abbiamo contato circa 300
documenti e protocolli per la gestione di un’azione tra i 30 e i 40.000 euro. Riteniamo
assurda la pretesa di acquisire per ciascuno studente (regolarmente iscritto a scuola,
con tutto ciò che questo comporta) moduli di iscrizione con entrambe le firme dei
genitori, all’interno dei quali dobbiamo reperire e poi inserire come dati titolo di studio,
attività lavorativa e altre informazioni personali della famiglia, nonchè i documenti di
identità dei genitori… Per i FESR viene automatico l’esempio del verbale di collaudo
richiesto per la (obbigatoria) pubblicità (targhe, targhette, magliette, felpe…).
Proponiamo che siano eliminati tutti i documenti superflui (vedi documento
d’identità dei genitori o il collaudo delle targhette…), in particolare che sia ridotta la
necessità di scannerizzare cartacei, ed eliminata la ridondanza delle medesime
procedure.
– gli impegni economici e le decurtazioni a consuntivo : la decurtazione sugli alunni
assenti (e l’assenza certo non dipende dalla scuola e può essere dovuta a cause di
forza maggiore) non si conosce se non a chiusura del modulo, ad impegni di spesa già
fatti. Tutto il contrario di quello che richiederebbe una corretta gestione economica.
Peraltro si tratta, per definizione, di alunni fragili e maggiormente esposti alla
dispersione. Proponiamo che le somme a disposizione siano chiare e certe
dall’inizio, previa attivazione dei corsi, naturalmente.
– l’incarico di controllo ai revisori dei conti , investiti di un nuovo compito, sta
provocando ulteriori vessazioni e richieste di documentazione che non era prevista.
– certificazione finale per gli studenti: a fronte dell’impegno che da anni le scuole
investono sull’inclusione, il frontespizio del certificato standard della piattaforma, che
non si può vedere sino all’avvenuta conclusione dei moduli, recita così: “Azione:
sostegno ad allievi caratterizzati da particolari fragilità”. Quale effetto sugli studenti che
lo ricevono? Proponiamo che le certificazioni possano essere gestite in modo
autonomo dalle scuole, nel massimo rispetto degli studenti e delle loro caratteristiche
personali .
In tutta questa complessità di gestione, viene spesso rilevato che le interlocuzioni al
telefono con gli uffici dell’AdG, che dovrebbero avvenire nello spirito della massima
collaborazione, si traducono in velati rimproveri e sospetti di incompetenza. Il che di certo
non giova alle finalità della progettazione europea.
Il disagio e i disservizi che si creano, togliendo forza lavoro dalla quotidiana gestione della
scuola sono inaccettabili.
Le scelte a monte spesso contrastano con le buone pratiche o anche solo con le normali
procedure amministrative (vedi decurtazioni economiche non note dall’inizio e
replica/duplicazione dei documenti amministrativi in piattaforma).
Lo sconcerto professionale e la segnalazione delle assurdità indotte dalle procedure
fissate dal MIUR si possono facilmente verificare dal pullulare di discussioni, richieste di
mutuo aiuto e auto-sportelli di supporto (nonchè dal fiorire di aziende private che
propongono consulenze a pagamento…), anche in decine di comunità professionali e
gruppi Facebook, sorti ad hoc.
Molte scuole hanno già deciso o stanno decidendo di non accedere ai prossimi
bandi o di non completare le azioni già autorizzate.
Siamo convinti, da confronti diretti con la gestione dei fondi europei in altri stati, che le
vessazioni burocratiche che vengono spacciate come vincoli europei altro non siano che
l’esaltazione tutta italiana del concetto di trasparenza e correttezza, che si vorrebbero
garantite da documenti formalizzati all’estremo, anzichè dalla reale qualità dei processi e
dei risultati.
Lamentiamo la totale privazione dell’autonomia scolastica, a partire dalla progettazione
(indotta e vincolata persino sulle sotto-azioni specifiche o sui caratteri minimi/massimi da
inserire nelle aree compilabili) alla gestione.
Un’istituzione scolastica, che per legge è in possesso di autonomia organizzativa e
didattica, viene a questo punto diretta da un’agenzia esterna. È l’AdG, infatti, a stabilire in
grande dettaglio, cosa fare col finanziamento, quali figure retribuire, quanto pagarle, quanti
alunni si debbano coinvolgere. Le scuole, di fatto, non possono prevedere altro tipo di
organizzazione del progetto che non sia quello pensato dall’ AdG. Il dirigente scolastico
non può gestire efficacemente il budget per il conseguimento degli scopi del progetto, ad
esempio per ingaggiare una figura non prevista.
E’ paradossale che un investimento di tale misura, mai visto prima, provochi nelle scuole
più disagi che benefici. Vedersi un progetto finanziato dovrebbe essere fonte di
soddisfazione, non l’inizio di un incubo.
Chiediamo con forza che Lei intervenga immediatamente nella direzione di una sensibile e
significativa semplificazione delle procedure , altrimenti c’è il rischio che si possa assistere
alla fine dei PON nella scuola.
20 maggio 2018

Si allegano 2.267 firme (al 20.05.2018) di DS, DSGA, amministrativi e docenti attualmente impegnati nella gestione dei PON
La sottoscrizione resta aperta.

Conversando con Benedetto Vertecchi

Conversando con Benedetto Vertecchi

di Maurizio Tiriticco

Caro Benedetto (Vertecchi)! Ottimo il tuo quarto “pezzo” pubblicato su “Academia”, dai titolo “Esperti senza esperienza”! E’ triste il fatto che, a fronte di cambiamenti così profondi, così epocali, direi, che stanno attraversando il nostro contesto/scenario sociopolitico (penso al nostro Paese: degli altri non so), la ricerca educativa sia silente! A fronte, invece, del grande “fragore” che ha prodotto negli anni Settanta e Ottanta! Erano gli anni delle grandi riforme, dai “decreti delegati” ai “nuovi programmi della scuola media”! E poi vennero il Progetto 92 e il successivo Progetto 2002! Per non dire degli Orientamenti del ’91, relativi alla scuola per l’infanzia (ne sono seguite riscritture a iosa, però tutte vere e proprie “rimasticature”!). E delle innovazioni nell’istruzione tecnica! Insomma, la ricerca educativa e le ricadute sulla scuola erano “cose” concrete! Oggi non so!

A volte penso che sono vecchio e che i vecchi pensano solo ai tempi “loro” come ai migliori, ma… inorridisco, quando leggo una legge 107 e alla inutilità di certi adempimenti che vengono imposti alle scuole! Ad esempio RAV e PDM!!! Non ti dico poi quante parole seguono, spesso al vento e quanti copio copias! Carte su carte che molti scrivono e che… nessuno legge! Poi arrivano le prove Invalsi a dettar legge a una scuola che di prove oggettive non sa nulla, e neanche della differenza che corre tra il misurare e il valutare! Soprattutto perché i dpr sulla valutazione che si succedono (ogni ministro vuol dire la sua!) tutto dicono tranne che le cose essenziali!!! Che cosa sono le conoscenze, le abilità, le competenze? Che cosa comportano la misurazione, la valutazione, la certificazione? Si tratta di concetti grossi come case, ma che si danno per scontati! Poi, però, arriva la “certificazione delle competenze”! Anche nella scuola primaria! Un bambino competente!

Li hai letti i documenti e le schede ad hoc che il Miur propina alle scuole primarie e medie? Un alunno e un genitore che li leggono non capiranno mai se il soggetto apprende o non apprende, se sa fare due più due oppure no! Se sa scrivere un “pensierino” corretto o pure no! Per non dire poi che una grande maggioranza dei genitori ormai percepisce la scuola come un megaparcheggio spazio/temporale! E guai se un insegnante si permette di assegnare un voto negativo! Le aggressioni agli insegnanti sono il segnale del fatto che la scuola non è percepita come quell’ascensore sociale che piaceva tanto al ministro Giuseppe Fioroni! Taccio sulla certificazione delle competenze con cui si dovrebbero concludere gli esami che tutti si ostinano a chiamare di maturità, quando questa è stata cassata (si fa per dire!!!) dalla legge 425/97 (ministro Berlinguer), con cui si prevedeva che si dovesse “dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Altro che trasparenza! In effetti oggi fa fede solo il voto/punteggio finale! E, se poi c’è la lode, è meglio! Anche perché il nuovo “pezzo di carta” non differisce molto dal vecchio! Insomma, competenze addio!

In effetti, abbiamo una scuola in cui si insegna poco e male e in cui difficilmente si socializza a certi valori… se vogliamo tirare in ballo i “princìpi fondamentali” della Costituzione! Anche se esiste una disciplina ad hoc: Educazione alla Cittadinanza! Una volta Cittadinanza e Costituzione! E prima ancora “Educazione civica”! Come sai, questa disciplina venne introdotta nel lontano 1958 da Aldo Moro, allora Ministro della Pubblica Istruzione; interessava le scuole medie e le scuole superiori per due ore al mese, obbligatorie, affidate al professore di storia. Però, non prevedeva né valutazione né voto, per cui, in una scuola tutta fondata da sempre su voti e pagelle, l’Educazione civica di fatto, tranne forse qualche rara eccezione, non esisteva. Si tentò anche di farne una “cosa” diversa e più “appetiibile” per gli studenti ed anche per gli insegnanti! Ci lavorai anch’io con il buon Luciano Corradini, quando era ministro Giancarlo Lombardi, convinto che, con la sua esperienza di boy scout, la rivalutazione di questa disciplina avrebbe potuto fare qualcosa di buono per la scuola e per lo sviluppo/crescita dei nostri studenti! Illusione!

In effetti, una scuola più civica, o più civile, non mi sembra di vederla oggi! La scuola, se diamo retta a Marx, è la sovrastruttura di un dato contesto sociale, per cui, ne riproduce valori e disvalori! E quando i disvalori aumentano… Per non chiamare poi in causa anche Bourdieu e Passeron! Siamo agli inizi degli anni Settanta! Autori de “La riproduzione. Elementi per una teoria del sistema scolastico”. Insomma, secondo alcuni, l’educazione e la scuola non fanno altro che riprodurre atteggiamenti e comportamenti in atto nel sociale. Però è anche opportuno ricordare che, sempre in quegli anni, nel lontano Brasile, Paulo Freire sviluppava la teoria, anzi la teologia, dell’educazione come strumento di liberazione. Insomma, la scuola “conforma” o “libera”? Un dilemma che di fatto è più che attuale! Per non dire che un certo Ivan Illich aveva anche pensato che fosse venuta l’ora di “descolarizzare la società”! Mah! Anche se le TIC e il web oggi incrementano i processi dell’Insegnare/apprendere, la questione dei fini e dei valori è sempre aperta! Almeno mi sembra! E vorrei essere smentito!

A. Bennett, La cerimonia del massaggio

Bennett e la sua altra vita

di Antonio Stanca

Aveva sessantotto anni lo scrittore inglese Alan Bennett quando scrisse il breve romanzo La cerimonia del massaggio. Era il 2002 e in Italia fu pubblicato dalla casa editrice Adelphi di Milano che ora lo ripropone con la traduzione di Giulia Arborio Mella e Marco Rossari.

Bennett è nato a Leeds (Yorkshire Occidentale) nel 1934, ha studiato a Oxford e dopo la laurea in Storia è stato ricercatore e docente presso la stessa Università. Ha abbandonato poi l’attività accademica per dedicarsi al teatro. Sarebbe stato attore e autore di molte commedie, avrebbe collaborato alla loro trasposizione cinematografica e intanto avrebbe iniziato a scrivere di narrativa. Un autore molto noto in Inghilterra e all’estero sarebbe diventato.

Ora ha ottantaquattro anni e fino a tempi recenti sono comparsi suoi lavori teatrali e di narrativa. In entrambe queste direzioni Bennett si è mostrato sempre impegnato, anche attraverso quella maniera ironica che sarà sua propria, a mettere in evidenza i problemi di carattere individuale o sociale, privato o pubblico che stanno dietro quanto della vita appare, si vede. Alla ricerca dei segreti della vita, delle verità nascoste si è messo il Bennett drammaturgo e scrittore. E sempre interessante, sempre sorprendente è riuscito giacché comune, quotidiana è la vita nella quale egli va ad indagare, una vita che non fa mai pensare di nascondere tante cose. Questo della sorpresa, della rivelazione, è il motivo che gli ha procurato tanta notorietà.

Anche La cerimonia del massaggio contiene la storia di una persona comune, il giovane massaggiatore inglese Clive Dunlop morto in Perù a trentaquattro anni senza che ancora si sappia se la causa sia stata l’AIDS o la puntura di un insetto velenoso. Ad alcuni mesi di distanza dalla morte lo si vuole commemorare in una chiesa di Londra. Alla cerimonia sono presenti numerose personalità del mondo dello spettacolo televisivo e cinematografico. E’ questa una stranezza e tale risulta anche per il parroco che ha organizzato la cerimonia e che conosceva Clive, le sue origini piuttosto umili, la sua condizione piuttosto modesta.

Molti presenti sono soli ma molti altri sono accompagnati dalle rispettive mogli e tutti si mostrano partecipi, vicini alle parole del parroco circa la grave perdita che la morte di Clive ha rappresentato essendo avvenuta in età tanto giovane. Ma procedendo la cerimonia perde ogni aspetto religioso, ogni riferimento al sacro, al divino e si trasforma in uno spettacolo al quale ognuno dei presenti apporta il suo contributo. Si scoprirà così che tutti, signori e signore, erano lì convenuti perché tutti conoscevano Clive, tutti erano passati attraverso i suoi massaggi, si erano compiaciuti, si erano innamorati di lui fino ad averne fatto tutti, uomini e donne, il loro amante. Sarà una scoperta gravissima, scandalosa per ogni marito ed ogni moglie, sarà una paura terribile quella che si diffonderà al pensiero che Clive possa essere morto di AIDS e che avendo tutti “goduto” del “suo amore” tutti ne fossero stati contagiati.

La notizia, riferita da un ragazzo che era stato con Clive in Perù e che sosteneva che fosse morto per la puntura di un insetto velenoso, servirà a calmare gli animi ma non il chiasso, il frastuono che ormai si era creato in chiesa e che il parroco non riusciva a contenere giacché inutili si rivelavano i suoi continui inviti a pregare, a rivolgersi a Dio, a chiedere a Dio di essere buono per l’anima di Clive e per la vita degli altri. Si concluderà così quella che doveva essere una semplice cerimonia commemorativa e Bennett si mostrerà ancora una volta capace di muovere dalla vita quotidiana e mostrare quanto si cela dietro le apparenze, quante altre realtà stanno oltre l’evidenza, quanta altra vita c’è accanto a quella che si vede. Non è una scoperta, una rivelazione, una novità quella di Bennett ma nuovo è il modo col quale la fa apparire, la rappresenta, nuove sono le situazioni che crea con la sua scrittura e nuova soprattutto è l’ironia con la quale si esprime e che in questo romanzo raggiunge livelli esilaranti, diventa comicità pura.

L’alleanza educativa passa anche attraverso il “patto” sulla mensa

L’alleanza educativa passa anche attraverso il “patto” sulla mensa

di Cinzia Olivieri

Le modifiche allo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, apportate con il Dpr 235/07 che ha introdotto il Patto educativo di corresponsabilità (art. 5-bis), sono state guidate dall’indefettibile presupposto che scuola e famiglia costituiscano “la risorsa più idonea” per la diffusione di una cultura dell’osservanza delle regole e del “rispetto degli altrui diritti” (nota 31 luglio 2008).

Ispirato al “contratto formativo” della carta dei servizi scolastici di cui al DPCM 7 giugno 1995, destinatari naturali del patto sono i genitori, su cui incombe il dovere di educare i figli (art. 30 Cost., artt. 147, 155, 317 bis c.c.), al fine di impegnarli sin dall’iscrizione “a condividere” l’azione educativa.

Tuttavia appare inefficace alla realizzazione dell’auspicata alleanza educativa il richiamo dei tre attori: scuola – genitori – studenti, alle reciproche responsabilità, laddove tale strumento pattizio costituisca non il risultato di un effettivo generalizzato coinvolgimento e di un procedimento ampiamente condiviso, ma solo una mera formalità da adempiere all’iscrizione.

Da qui la necessità di una innovazione.

Tra scuola e famiglia c’è profonda crisi di dialogo, testimoniata dalla cronaca quotidiana ed i conflitti finiscono per essere rimessi alle aule di un tribunale o alla forza…

Significativa è la perdurante difficoltà nel condividere un momento naturale ed aggregante come il tempo mensa, nel rispetto della corresponsabilità e quindi delle scelte delle famiglie, considerate piuttosto responsabili di una scorretta educazione alimentare laddove non vogliano aderire al servizio dell’ente locale scegliendo il pasto domestico.

Tanto è ritenuta deteriore tale opzione, che si preferisce parlare piuttosto e riduttivamente del “panino da casa”.

Così, dopo il diffuso contenzioso in sede civile a seguito della chiara sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1049/2016 ed in attesa della pronuncia anche della Suprema Corte, nonostante i chiari principi di diritto espressi dalla summenzionata sentenza, spetterà al Consiglio di Stato, all’udienza fissata al 5 luglio p.v.,   decidere il cautelare ed il merito dell’appello proposto dal Comune di Benevento avverso la sentenza del TAR Campania N. 1566/2018, che ha annullato il regolamento emanato dall’ente locale che sanciva l’obbligatorietà del   servizio di ristorazione scolastica (art.1) con conseguente onere da parte del genitore non aderente di prelevare lo studente per il pranzo e riportarlo “all’inizio dell’orario delle attività pomeridiane secondo le indicazioni impartite dal dirigente scolastico” (art. 3).

Il TAR ha ritenuto che la asserita preoccupazione che il consumo di un pasto domestico nei locali scolastici “potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale, oltre che una possibile fonte di rischio igienico-sanitario” non possa legittimamente “fondare le disposizioni avversate”, anche perché il regolamento comunale non appare strumento idoneo e sufficiente di per sé ad escludere a priori la “sicurezza igienica degli alimenti esterni”, che va piuttosto contestualizzata e valutata caso per caso.

Rileva il Tribunale amministrativo che invece “non appare inibito agli alunni il consumo di merende portate da casa, durante l’orario scolastico, ponendosi anche per queste –a tutto concedere- la eventuale problematica del rischio igienico- sanitario”. È chiaro che con tale asserzione non si vuole certo interdire l’ingresso a scuola delle merendine, ma solo evidenziare la palese contraddizione che emerge dalle condotte e dall’affermazione di un presunto rischio sanitario per nulla dimostrato e comunque che non può essere escluso neanche dal regolamento.

Premesso che  il tempo mensa è parte integrante del tempo scuola, realizzando un continuum tra attività mattutine e pomeridiane in orario curricolare, per cui non appare legittimo privarne chi l’ha scelto, la sentenza del TAR Campania ha ribadito il pacifico principio (confermato da ultimo dal Dlgs 63/2017) che la ristorazione scolastica è un servizio pubblico locale a domanda individuale, attivabile a richiesta degli interessati, quindi non obbligatorio né per l’ente né per gli utenti ed ha rilevato come l’aggravio ed il disagio logistico per le famiglie, laddove costrette al ritiro del proprio figlio in caso di mancata adesione al servizio, non sia efficace a determinare un ripensamento.

Traspare comunque che, in considerazione della normata autonomia scolastica, tali questioni potrebbero essere risolte efficacemente a livello di singola istituzione attraverso il coinvolgimento delle componenti.

E mentre si attende si esprimano i più alti gradi della giurisdizione civile ad amministrativa l’impugnata sentenza del Tar Campania ci ricorda che già la nota MIUR, n. 348 del 3 marzo 2017, in considerazione del riconoscimento giurisprudenziale del diritto a consumare il pasto domestico negli stesso locali destinati alla refezione, aveva fornito indicazione, concordata anche con il Ministero della salute, “di adottare, in presenza di alunni o studenti ammessi a consumare cibi preparati da casa, precauzioni analoghe a quelle adottate nell’ipotesi di somministrazione dei cd pasti speciali”, raccomandando ai Direttori degli uffici scolastici regionali di “mantenere con le scuole un confronto costante e produttivo supportandole affinché nella gestione dell’erogazione del servizio per gli aspetti di competenza, non si discostino dalle pronunce della Magistratura, (…) così come pare opportuno favorire e sostenere l’interlocuzione serena e costruttiva con le famiglie, raccogliendone ove possibile, segnalazioni e richieste al fine di contemperare le opposte esigenze di tutte le alunne e gli alunni”.

Senza questo dialogo, che invece tuttora evidentemente manca, il patto è violato.

Senza il rispetto delle scelte, così come avviene normalmente in caso di menù alternativi, non c’è alleanza.

Ed è negato il valore del tempo mensa come momento educativo in cui si consuma insieme il proprio pasto, anche nel rispetto delle differenze, giacché “Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali(don Milani: Lettera a una professoressa ).

Dunque è forse legittimo pensare che il problema prima che giuridico sia relazionale.

Poiché siamo incapaci a quanto pare di condividere soluzioni fuori dalle aule di un tribunale, non resta che attendere le ulteriori pronunce della giurisprudenza. Ma non è su queste che si costruisce l’alleanza.

Il rispetto nella relazione uomo/donna

Il rispetto nella relazione uomo/donna:
una priorità nell’educare all’umano 

di Carlo De Nitti[1]

 

“Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica,
è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa,
ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia”
Matteo 7, 24-25

Il mondo sarebbe imperfetto senza la presenza della donna.
Tommaso d’Aquino

“La coppia felice che si riconosce nell’amore sfida l’universo e il tempo;
è sufficiente a se stessa, realizza l’assoluto”
Simone de Beauvoir

 

PREMESSA

Ogni ricerca pedagogica che voglia essere legittimamente fondata non sulla sabbia dell’autoreferenziale, ma sulla roccia del socialmente riconoscibile ed efficace non può che partire dall’empiria, da situazioni problematiche che vuole studiare per affrontarle e risolverle.

La ricerca pedagogica deve essere e non può non essere – come a chi scrive piace ripetere con le parole di un grande pedagogista pugliese del Novecento, Gaetano Santomauro – ‘in situazione’, ovvero una pedagogia che, forte dei suoi principi fondanti, vuole interagire con il mondo per rinnovarlo, rinnovandosi[2].

Con questo spirito, il Lions Club Bari San Nicola, nell’ambito del Progetto Donna 2016/17, coordinato dalla prof.ssa Concetta De Flammineis, ha voluto affrontare la problematica dell’educare al rispetto della persona, della donna e dei ruoli “portare l’attenzione alle continue violenze che vengono denunciate nei confronti delle donne, alle offese della dignità professionale di ciascuno, alla violenza che nella relazione uomo donna viene attuata in qualunque età”[3].

Da questa finalità è disceso il progetto che ha messo capo alla ricerca qui presentata da Cristiana Simonetti, docente dell’Università degli studi di Foggia, cofondatrice del CREADA ed attualmente Vice Presidente del CREADA Puglia, nel volume Educare al rispetto dei ruoli nella relazione uomo donna. Una prospettiva pedagogica attraverso una ricerca empirica, che ha recentissimamente visto la luce per i tipi di Adda Editore: tale ricerca è stata realizzata In collaborazione con il Centro di Ricerca Educativa ADulti Adolescenti (CREADA) PUGLIA Onlus, filiazione del CREADA, fondato nel 2011 e presieduto dalla prof.ssa Maria Luisa De Natale, pedagogista di preclara fama internazionale e Pro-Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano negli anni 2002-2010.

 

LE COORDINATE CULTURALI

L’educazione al rispetto dei ruoli e delle differenze nella relazione uomo donna è un tema cruciale in questo secondo decennio del XXI secolo: Esso è la cifra di quell’educare all’umano che non può non caratterizzare una società che si configura, suo malgrado, come sempre più abbisognevole di tempi e di luoghi educativi per tutte le età della vita. “L’educazione, in quanto dimensione della vita, si colloca proprio in una prospettiva lifelong per la rapidità delle trasformazioni sociali e culturali che rendono sempre più precario l’equilibrio della persona e mettono in crisi le scelte originarie del soggetto, il quale deve essere costantemente sollecitato ad interrogarsi sul senso del proprio esistere e del proprio essere, per restare ‘protagonista’ della propria vita”[4].

E’ questa dimensione ‘protagorea’[5] della pedagogia che la rende scienza al servizio dell’uomo per realizzare – come afferma Maria Luisa De Natale – “il superamento di quell’eclisse dell’educativo che sembra aver caratterizzato il periodo che ci ha preceduto, ove è […] si è sollecitata l’esaltazione di mentalità di tipo tecnocratico, manageriale, edonistico, si sono promosse innovazioni sulla base dell’utilizzazione dei prodotti più che sull’attivazione di processi, sottovalutando il rischio di imporre una formazione incapace di favorire la partecipazione della persona al percorso educativo e rendendola quindi più facilmente esposta a strumentalizzazioni di ogni genere”[6] .

Solo un rinnovato impegno educativo e pedagogico, teoreticamente e paticamente fondato ma anche normativamente sostenuto, che parta dalle situazioni critiche della fenomenologia dell’umano può sviluppare responsabilmente processi intimamente efficaci e relazioni prima che realizzare prodotti solo esteriormente efficienti che realizzino soltanto operazioni di marketing di facciata.

A parere di chi scrive, l’effettiva relazionalità dell’essere umano è , e deve essere, sostanziata di un’originaria responsabilità / libertà per … che lo contraddistingue, come scriveva, già molti decenni or sono, Giuseppe Semerari: “noi non siamo responsabili perché siamo socialmente impegnati, ma ci impegniamo socialmente perché siamo originariamente responsabili[7].

 

LA RICERCA EMPIRICA

L’indagine conoscitiva, che ha dato origine alla pubblicazione qui presentata, prende le mosse da una ricerca empirica svolta nell’anno scolastico 2016/17 tra circa cinquecento adolescenti, tutti studenti di quattro scuole superiori baresi [8] quale base materiale per delineare una possibile prospettiva pedagogica.

Oggi, il tema dell’educazione al rispetto dei ruoli nella relazione uomo – donna è, e deve essere, come quant’altri mai, al centro dell’azione educativa sinergica delle famiglie e della scuola, per formare persone competenti nell’umano, che imparino a riconoscere la dignità di ogni persona, e per elaborare percorsi personalizzati di riconoscimento e comprensione del mondo e dell’humanitas. L’educazione al rispetto dei ruoli nella relazione uomo / donna è una delle forme di educazione all’umano, così come concepita da Edgar Morin[9] .

In un mondo in cui, anche nel sé-dicente ‘civile’ Occidente, spesso le relazioni uomo donna sono drammaticamente traumatiche e sfociano in maltrattamenti ed uccisioni di donne (chiamate, con un neologismo in voga, femminicidio, peraltro, entrato per via legislativa nel vocabolario della nostra lingua[10]) interrogarsi su di esse e come educare a relazioni di genere positive è un imperativo categorico per chi svolge professioni educative con e per le bambine ed i bambini, le/gli adolescenti, le/i giovani, gli adulti, le famiglie in ogni contesto.

L’essere umano è costituito di relazioni, a partire da quella originaria generata dalla differenza sessuale, perché l’umano esiste in forma sessuata. Non è stata casuale la scelta dell’indagine svolta di iniziare le domande ai giovani a partire dall’esperienza dei loro genitori, quindi di figli e, nella maggioranza dei casi, membri di una società fraterna. “Tra i legami familiari quello della società fraterna è quello di più lunga durata che esprime la condivisione […] di un senso originario di appartenenza familiare”[11] . Il con-crescere di fratelli e sorelle è per ogni persona la prima esperienza dell’altro da sé ed, in particolare, dell’altro sesso.

Con un approccio ermeneutico di stampo rigorosamente e coerentemente personalistico, Cristiana Simonetti enuclea i temi fondanti dell’educazione di genere a partire dalle famiglie che gli adolescenti che vivono, in questi anni di inizio millennio, la loro ‘età difficile’. Lo spaccato del mondo giovanile che emerge dal campione dell’inchiesta, sapientemente investigato dall’Autrice del volume, è quello di adolescenti “che pare abbiano una grande capacità di autocoscienza e di lettura della realtà che li circonda e dei modelli comunicativi […] in cui sono immersi”[12]. E’ una vera e propria competenza relazionale che si concretizza “in un bisogno reale di comunicazione e di condivisione vera, che vada al di là dello schermo e delle esperienze virtuali”[13].

Il fondamento della comunicazione educativa a tutte le età è il dialogo, quello vero, “che coinvolge l’essere dei dialoganti, ne condiziona la formazione, ne definisce e modifica la costituzione […] un atto di compromissione ontologica”[14] .

Ciò che agli educatori (genitori, docenti e tutti gli adulti significativi) compete evitare è che “valori quali la fiducia, la speranza, la memoria, il futuro, tutti fondamentali per vivere e costruire relazioni tra ragazzo e ragazza hanno bisogno di ritrovare uno spazio nuovo”[15] senza essere schiacciati in una dimensione acronica che “non contempla né la memoria del passato né la prospettiva di futuro […] indispensabili “per il percorso della costruzione della nostra identità vera e propria di persone”[16]. L’appiattimento dell’uomo, monade tecnologica, alla mera dimensione temporale del presente, che atomizza i rapporti, non favorisce che l’altro da sé sia “una sorgente di senso e al tempo stesso uno spazio di libertà che richiede volontà, rispetto, impegno, progettualità”[17] .

Le identità sessuate non possono non coerire in una relazione che valorizzi le loro peculiari differenze e che si configuri come una vera e propria competenza affettiva, la quale consenta a ragazze e ragazzi di conseguire quella “consapevolezza di sé come individualità portatrice di peculiari emozioni e sentimenti, capace di compiere scelte autonome e responsabili a livello affettivo, sociale e morale, capace di leggere criticamente le seduttive immagini e i modelli che vengono presentati dal contesto culturale”[18] . In una parola, vivere la relazione tra i sessi sia all’interno di un gruppo di pari che in una situazione di coppia, sia improntata al rispetto reciproco ed alla parità: “si impone un rinnovato impegno da parte degli educatori nei confronti dei temi della libertà e della responsabilità umane, della necessità di vivere secondo una prospettiva consapevolmente scelta [… ] l’adolescenza termina quando queste relazioni sono assunte in termini significativi e responsabili”[19] .

La maturità acquisita non è certo un passaggio alla stabilità dei sentimenti e delle relazioni. “L’adolescente che vien fuori da questa ricerca, attraverso il questionario analizzato, è un giovane ben orientato, che desidera diventare autonomo e migliorarsi seguendo un cammino educativo, ma che non ha prospettive lontane né a livello affettivo, né professionale. Le cause di questo atteggiamento sono certamente da ritrovarsi nelle trasformazioni sociali, nei trend di modificazione sociale ai quali i nostri giovani assistono e di cui rimangono purtroppo vittime”[20]. Ciò li rende ancor più potenziali destinatari di interventi educativi in tutte le età.

 

LA PROSPETTIVA PEDAGOGICA

A parere di chi scrive queste righe, il pregio migliore del volume – uno tra i molti – è la delineazione sicura, proprio perché teoreticamente legittimata, di una prospettiva per il domani: quella del futuro è l’unica dimensione concreta che invera la ricerca pedagogica, perché essa non può non “scommettere”[21] sulla sua capacità di educare ed educarsi in un moto infinito che si interfaccia sempre con la vita, costituendone parte integrante.

La prospettiva pedagogica che Cristiana Simonetti avanza è rivolta fondamentalmente agli adulti, in primis nel senso etimologico della parola: insegnanti, ma anche genitori, adulti significativi, educatori, operatori del sociale, catechisti: essa si fonda “sulla metodologia della ricerca intervento propria del CREADA”[22] che si è posto, fin dalla sua nascita, l’obiettivo della promozione di una cultura dell’educazione ancorata alla fondazione antropologica del personalismo cristiano, che intende rispondere alle richieste più specifiche provenienti dalle diverse realtà territoriali, caratterizzandosi come realtà di servizio educativo nei confronti degli adulti, protagonisti responsabili della relazione educativa.

Il CREADA opera secondo la metodologia della ricerca-intervento, arricchita dai contributi di studio e di produzione scientifica che il gruppo di ricerca ha elaborato nel corso di questi ultimi anni attraverso percorsi innovativi.

Presupposto di questa modalità di ricerca è il “conoscere cambiando”, attraverso lo studio empirico e sperimentale – in situazione, appunto – del fenomeno da studiare sul campo, provocando modifiche negli eventi, osservandone gli effetti e procedendo con confronti di gruppo e con interventi di tipo formativo-educativo.

Attraverso il metodo della ricerca-intervento ogni educatore si responsabilizza nel suo impegno quotidiano e sente di poter contare sui suggerimenti e gli orientamenti che provengono dalla teoria, ma che sono declinati secondo le esigenze e i bisogni educativi dei suoi diretti ‘casi’. “Essere un educatore o un adulto che si educa e per esserlo responsabilmente, significa oggi essere capace di svolgere un ruolo attivo nelle dimensioni della ricerca, della creatività, della critica costruttiva, significa, in altri termini, essere capace di autoapprendimento e di autodirezionalità”[23].

Educatori e ricercatori cooperano – con funzioni diverse – ad una ricerca-azione riflessiva che parte dalle motivazioni concrete dei problemi da risolvere e procede in modo che agendo ci sia formi e formando si agisca in un coinvolgimento reciproco e totale dei soggetti della ricerca: “il livello di responsabilizzazione è molto elevato […] L’impegno educativo esige che ciascuno sia così totalmente appassionato da non sentirsi mai deresponsabilizzato di fronte al dovere che il proprio ruolo esige” [24].

Fondamentale è il ruolo – lo si è visto precedentemente – della comunicazione dialogica tra tutti i soggetti coinvolti nell’educazione: “ il dialogare è l’aspetto più appropriato e determinante della relazione della relazione interpersonale intesa non come rapporto avventizio sena ripercussioni ontologiche ma come instaurazione delle persone stesse nelle loro modalità concrete di essere e di fare” [25].

 

CONCLUSIONE

Palmare appare l’efficacia di una metodologia fondata sulla riflessione sulle prassi al fine di modificarle: un metodo per il quale la teoria non è aliena dalla prassi. In pedagogia il loro rapporto, ci si permette sommessamente di rilevare, è consustanziale: parafrasando Immanuel Kant, la teoria senza la prassi è vuota, la prassi senza la teoria è cieca. Proprio questa condizione evita tanto un agire non teoreticamente legittimato quanto un teorizzare vaniloquente, come sovente accade quando si cerca di raccogliere un tangibile prodotto, spesso effimero, piuttosto che implementare un processo che può essere impervio, ma non certo impossibile, quando l’educatore investa tutto se stesso nell’impresa dell’educare, identificandosi con essa.

A chi scrive piace sempre pensare che gli insegnanti, nel senso etimologico di in-segnare, gli educatori – come i filosofi ‘protagorei’ – siano dei ‘viaggiatori senza biglietto’[26], ovvero non possano avere una meta fissata aprioristicamente e la garanzia del successo che potrebbe non arridere loro per ragioni sovente indipendenti da loro: ma non per questo possono ridurre la loro opera alla ricezione di uno stantio formulario ereditato dalla tradizione, appreso malamente e spesso peggio applicato, condannandosi ad essere soltanto dei meri epigoni.

La prospettiva assiologica delineata da Cristiana Simonetti, fondamento dell’attività del CREADA, rappresenta un importante ‘spazio’ per la crescita delle giovani generazioni nel futuro che ogni giorno tutti sperimentiamo, sotto la guida di educatori competenti ed appassionati.

 


BIBLIOGRAFIA / SITIGRAFIA

  • MORIN, EDGAR, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano 2001, Cortina;
  • MORIN EDGAR, Tesi sulla scienza e l’etica, in AA. VV., Trattato di bioetica, a cura di F. BELLINO, Bari 1992, Levante;
  • SANTOMAURO, GAETANO, Il senso di una pedagogia impegnata, Lecce 1964, Milella;
  • SANTOMAURO, GAETANO, Per una pedagogia in situazione, Brescia 1967, La Scuola;
  • SEMERARI, GIUSEPPE, Responsabilità e comunità umana, Manduria 1966, II ed., Lacaita;
  • SEMERARI, GIUSEPPE, Filosofia e potere, Bari 1973, Dedalo.
  • creadaitalia.it

 


[1] CARLO DE NITTI (Bari, 1960) opera da circa trenta anni nel mondo della scuola, di cui da oltre dieci in qualità di dirigente scolastico; dal primo settembre 2015 è preposto all’I.I.S.S. “Elena di Savoia – Piero Calamandrei” di Bari.

[2] Non appare eccentrico a chi scrive, rispetto al tema di cui si discuterà nelle righe seguenti, accennare, nel secondo decennio di questo secolo, sulla ‘pedagogia in situazione’, così come teorizzata da Santomauro negli anni ’60 del secolo scorso, in quanto gli pare che essa costituisca l’indispensabile substrato culturale, pedagogico e no, della Weltanschauung personalista espressa nella ricerca e nel volume di cui qui si discuterà. Si vedano, nella prospettiva qui assunta GAETANO SANTOMAURO, Il senso di una pedagogia impegnata, Lecce 1963, Milella e IDEM, Per una pedagogia in situazione, Brescia 1967, La Scuola.
La ‘pedagogia in situazione’ è, a parere di chi scrive, la scommessa pedagogica che vive ogni giorno chi voglia operare con consapevolezza ed efficacia nella scuola del XXI secolo per formare persone, uomini e donne, competenti nell’umano, educando alla responsabilità, alla cittadinanza attiva, alla solidarietà, alla differenza, ma soprattutto al rispetto di tutt* e di ciascun*.
Sul pensiero di Santomauro (Minervino Murge, BA, 1923 – Bari, 1976), si veda il volume di RICCARDO PAGANO, Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro, Brescia 2008, La Scuola.
In questa sede, a chi scrive è gradito anche ricordare il Seminario di studi Il pensiero di Gaetano Santomauro nella scuola pugliese e meridionale del XXI secolo, tenuto, il 10/12/2010, presso il Liceo “Giordano Bianchi-Dottula” di Bari i cui risultati sono nell’omonimo fascicolo pubblicato nel febbraio 2012 in “Educazione & Scuola” al link https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=9066.

[3] CONCETTA DE FLAMMINEIS, Presentazione, in CRISTIANA SIMONETTI, Educare al rispetto dei ruoli nella relazione uomo-donna. Una prospettiva pedagogica attraverso una ricerca empirica, Bari 2018, Adda Editore, p. 9.

[4] MARIA LUISA DE NATALE, Introduzione alla ricerca, in CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., p. 12.

[5] Chi scrive pensa che esista un modello ‘protagoreo’ della pedagogia – al pari di quello della filosofia, come magistralmente teorizzato da GIUSEPPE SEMERARI. Si veda al riguardo IDEM, Filosofia. Lezioni preliminari, Milano 1991, Guerini e Associati, pp. 61 – 68.
Tale modello è, di certo, invenibile in quel personalismo realistico che trova nella persona il giusto equilibrio tra l’ ‘hic et nunc’ e l’ansia del trascendente: esso legittima e sostiene la ‘pedagogia in situazione’ che è ermeneutica allorchè sollecita a trovare i principi categoriali con i quali ‘comprendere’ le situazioni.

[6] MARIA LUISA DE NATALE, Op. cit., p. 13.

[7] GIUSEPPE SEMERARI, Responsabilità e comunità umana, Manduria 1966, II ed., Lacaita, p. 84

[8] L’équipe di ricerca ha coinvolto quattro istituti di diverso indirizzo: l’Istituto Istruzione Secondaria Superiore “Elena di Savoia – Piero Calamandrei”, il Liceo Scientifico “Gaetano Salvemini”, l’Istituto Tecnico Economico “Vito Vittorio Lenoci”, l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “Luigi Santarella”. Una ricerca come quella condotta ha consentito – alle scuole che lo abbiano voluto – di riflettere sui vissuti extrascolastici dei fruitori dei loro servizio di istruzione che, ovviamente, non possono non interagire con quelli scolastici stricto sensu, essendo essi l’humus della crescita dei discenti.

[9] EDGAR MORIN, I sette saperi necessari al futuro, Milano 2001, Cortina. Ancorché in una prospettiva tutt’affatto diversa da quella personalista, Morin sostiene l’educazione all’umano ed alla cittadinanza planetaria come uno dei saperi indispensabili per essere persone e cittadini consapevoli del XXI secolo.
Si può vedere anche il breve ma significativo testo del medesimo Autore, Tesi sulla scienza e l’etica, in FRANCESCO BELLINO (a cura di), Trattato di bioetica, Bari 1992, Levante, pp. 13 – 18.

[10] L. n° 119 del 15.10.2013 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province” (Governo Letta).
E’ appena il caso di notare, in questa sede, che la nascita del neologismo misura i cambiamenti nel mondo sociale intorno al ruolo della donna: in precedenza il reato era rubricato nel codice penale come “uxoricidio” (art. 577) e collegato (art. 587) al delitto d’onore, abolito soltanto circa trentacinque anni fa con la Legge n° 442 del 10 agosto 1981 (Governo Spadolini I).

[11] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., p. 205.

[12] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., p. 199.

[13] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit.., p. 200. Per un’efficace riflessione sui new media ed i social network ed il loro uso consapevole e critico, si veda il recente breve testo di FRANCESCO CACUCCI, I social network e la convinzione di interpretare la realtà, Bari 2018, Ecumenica editrice, pp. 16.

[14] GIUSEPPE SEMERARI, Filosofia e potere, Bari 1973, Dedalo, p. 78.

[15] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., p. 197.

[16] CRISTIANA SIMONETTI, Ibidem.

[17] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., p. 198.

[18] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., p.215.

[19] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., pp. 212 – 213.

[20] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., p. 227

[21] Non è casuale l’uso di un verbo che, a chi legge, rammemora sicuramente Blaise Pascal e la sua “scommessa”. Educare all’uso consapevole dei new media è – nel tempo che ci tocca di vivere, spesso caratterizzato da “miseria educativa” – è certamente un’urgenza per gli educatori ed, in primis, per il mondo della scuola.

[22] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., p. 231.

[23] CRISTIANA SIMONETTI, Ibidem.

[24] CRISTIANA SIMONETTI, Op. cit., pp. 233 – 234.

[25] GIUSEPPE SEMERARI, Op. cit., pp. 78 – 79.

[26] Cfr. “Aut aut”, nn° 214 – 215, 1986. Così Pier Aldo Rovatti definiva Enzo Paci e Jean-Paul Sartre nel numero monografico della Rivista dedicata al decennale della scomparsa di Enzo Paci (1911 – 1976), fondatore della medesima.