Scuola: ancora emergenza disabilità

Scuola: ancora emergenza disabilità

Con uno specifico dossier diffuso qualche giorno fa, il Ministero dell’Istruzione ha segnalato l’iscrizione nella scuola statale di 245.723 alunni con disabilità, in crescita rispetto allo scorso anno. Di questi, 21.434 frequentano la scuola dell’infanzia, 89.029 la primaria, 66.823 la secondaria di I grado, 68.437 la secondaria di II grado.

Il Ministero riporta anche i dati sugli insegnanti di sostegno: in quest’anno scolastico ne sono previsti 141.412. In linea teorica ogni insegnante di sostegno segue mediamente poco meno di due studenti.

Da sempre sosteniamo che l’azione di sostegno deve essere assunta dall’intero gruppo classe e coinvolgere attivamente gli insegnanti curricolari oltre a quelli di sostegno, tutti però con adeguata formazione e aggiornamento”, sottolinea Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap

La recente stabilizzazione di circa 13.000 insegnanti di sostegno – prosegue Falabella – è un intervento positivo e che si aspettava da tempo, ma non sufficiente a garantire la continuità didattica e a fare in modo che tutti gli alunni con disabilità possano, ogni giorno, seguire proficuamente le lezioni. Secondo nostre stime, circa l’80% degli alunni ha cambiato due insegnanti di sostegno nel corso dell’anno, il 48% ne ha cambiati tre, il 15% ne ha cambiati quattro e il 6% addirittura cinque. E per questo anno scolastico non sembra vi siano segnali in controtendenza.”

Ma c’è un aspetto ancora più grave: “Solo una parte degli insegnanti di sostegno è in possesso di specifica abilitazione e quindi dimostrata formazione. Questo è un problema che persiste anche in questo anno scolastico. Accettereste che l’insegnante di inglese di vostro figlio non conosca quella lingua?”

Ed in ogni caso già in questi giorni si segnalano i consueti ritardi nell’assegnazione degli insegnanti di sostegno, ma anche degli altri supporti all’inclusione scolastica e all’apprendimento.

Il fronte è ancora quello dell’assistenza all’educazione, alla comunicazione e al trasporto scolastico, affidati agli Enti locali.

Paghiamo ancora lo strascico della riforma che ha soppresso le Province e dei conseguenti coni d’ombra, incertezza di risorse, ricadute operative e organizzative che ancora influenzano fattivamente la reale inclusione. Di fatto un numero significativo di alunni con disabilità inizia l’anno scolastico senza quei sostegni.”

E un ultimo dato riguarda le barriere presenti in troppe scuole. Secondo la Corte dei Conti, per l’anno scolastico 2017-2018, su un totale di 39.847 edifici attivi, più di 10.000 non erano in regola con la normativa sulle barriere architettoniche. Non a norma, in particolare, risultavano le scale e i servizi igienici, soprattutto nelle scuole del Mezzogiorno, oltre ad una generale scarsa presenza di segnali visivi, acustici e tattili nelle scuole di tutto il territorio nazionale.

Queste ed altre emergenze che comprimono in modo irricevibile il diritto allo studio devono essere affrontate tempestivamente e con determinazione. Chiediamo al Ministro dell’Istruzione la convocazione immediata dell’Osservatorio per l’inclusione scolastica. Alle famiglie chiediamo di segnalare lacune, ritardi e violazioni perché solo grazie ad un’azione diffusa e condivisa si può accelerare il cambiamento.”

Ricominciare a pensare!

Ricominciare a pensare!

 

Un documento del CIDI – 18 settembre 2018 – Per non dimenticare!

Esattamente 80 anni fa il governo fascista varava le leggi razziali!!!

 

È il momento di riprendere la parola. C’è voluto tempo per superare lo sconforto di fronte a ciò che sta succedendo nel Paese, ma la scuola non può più restare in silenzio. Sarebbe imperdonabile far finta di niente quando nel Paese si sta rapidamente volatilizzando quella idea di società democratica, aperta, plurale, che supera le proprie paure accettando la propria vulnerabilità e le contaminazioni in quanto necessarie per rinnovarsi e trovare risposte nuove alle esigenze di sempre, oggi più urgenti, di convivenza.

La scuola è il laboratorio dove storicamente il Paese ha cercato risposte, non solo un luogo pubblico capace di rispondere ai bisogni di ciascuno come un supermercato ben fornito, ma il luogo pubblico civile che chiede l’ascolto e l’accordo reciproco per raggiungere gli obiettivi di ciascuno.

La scuola italiana ha integrato dal dopoguerra in poi prima i figli dell’immigrazione e dopo i nuovi italiani, senza lasciare in un angolo i portatori delle tante e diverse disabilità.

Ecco perché non possiamo più far finta di niente. Occorre agire, e farlo in forma collettiva, perché sia un segnale forte e significativo in un momento storico che segna la rottura di argini all’intolleranza che credevamo indistruttibili. La scuola vince l’intolleranza con la conoscenza.

Perché abbiamo il dovere di insegnare a porsi delle domande e a cercare le risposte. Contro l’oscurantismo, l’approssimazione e l’ignoranza dobbiamo mettere in campo il sapere scientifico e la ricerca; il linguaggio della matematica e della logica; la conoscenza della storia, con tutto quello che significa; la consapevolezza del proprio corpo; la bellezza e l’importanza dell’arte e di tutte le forme espressive; la letteratura, che aiuta a capire il mondo, le passioni e i sentimenti; la costruzione del pensiero critico.

È un dovere che tuttavia è anche la nostra più grande risorsa per educare alla convivenza perché, se attraverso lo studio disciplinare insegniamo a interpretare la realtà, ad ascoltare e a ragionare, a interloquire tra pari sentendosi liberi di essere se stessi, si insegna anche il rispetto verso tutti.

La scuola è veramente scuola se fa sentire ciascun alunno e alunna “soggetto”, portatore di valori e di aspettative da sviluppare, ma in un contesto in cui si è costantemente “soggetti all’altro”, che sarà conosciuto e rispettato nella sua singolarità grazie alla collaborazione che la scuola impone fra tutti.

Fuori non è così. Fuori, nel Paese, sembrano crescere ignoranza, arroganza, indifferenza ai soprusi dei fondamentali diritti dell’uomo nel nome di una effimera ricerca di sicurezza, utilizzando argomenti e falsificando la realtà al solo scopo di fomentare le paure. È questo il clima culturale che permette a una politica della crudeltà, indegna in qualunque Paese voglia dirsi civile, di diventare possibile.

La scuola è il luogo privilegiato dove elaborare le paure, quelle vere e quelle artatamente costruite, e dove prendere la rincorsa per saltare quei muri che purtroppo ovunque stanno rialzandosi.

Dove, se non nelle aule e nei laboratori, che sempre più diventano un ologramma di mondo, può costruirsi quella “convivialità delle differenze” che sappia fare di esse una risorsa preziosa per l’apprendimento?

Ma gestire le diversità in classe non è una passeggiata, è una fatica che può diventare improba se non si mette in discussione lo schema tradizionale, e purtroppo resistente, della scuola. Se la didattica resta nella sostanza ancorata alla triade spiegazione-studio individuale-interrogazione, la disomogeneità della classe rappresenterà sempre un problema e la crescente varietà degli alunni lascerà traccia solo nella crescente varianza della distribuzione dei loro esiti.

Ecco perché è una sfida che non si vince solo portando nella scuola quelle conoscenze e valori che vogliamo siano fatti propri dai nostri allievi.

Non è sufficiente insegnare la Carta costituzionale, se ciò avviene in una scuola che non si faccia carico di essere presidio di democrazia del Paese; che non riesce a rispettare il mandato che la Costituzione stessa le ha dato con l’articolo 3: quel “rimuovere gli ostacoli” impegna in primis la scuola. Ma, quando leggiamo che abbiamo perso negli ultimi 12 anni 3 milioni e mezzo di studenti, dobbiamo dirci che la nostra non è ancora la scuola secondo Costituzione.

Dobbiamo cambiarla, perché non si fa inclusione in una scuola fatta ancora per escludere. Se non la cambiamo, la scuola risponderà alla diversità degli alunni introducendo diversità nei percorsi, nei progetti, nei piani; non dando a ciascuno il supporto di cui ha bisogno nel percorso di tutti, ma individuando un percorso per ciascuno. Sarà la deriva anche inconsapevole dell’impossibilità di dare le risposte giuste senza fare spazio alle domande dei nostri alunni. Perché non ci si prende il tempo necessario e non si fa scuola a partire da queste.

La precondizione dell’inclusione la si trova nei tempi distesi perché da un lato solo questi garantiscono la possibilità di instaurare una relazione educativa con ogni alunno, dall’altro ogni problematica importante ha bisogno di tempi e metodi adeguati per poter essere acquisita in modo significativo.

Dobbiamo mettere in discussione la lezione puramente trasmissiva, il ruolo passivo degli studenti, l’intoccabilità dei contenuti, l’erosione costante del tempo curricolare che va di pari passo con l’esplosione dell’extra curricolare, ormai contenitore/recinto di progetti di ogni tipo, che di comune acquisiscono la totale ininfluenza sulle dinamiche quotidiane della scuola.

Bisogna rimettere in discussione il voto che è il nemico del piacere di apprendere. Motiva allo studio solo chi è in una logica di competizione, ma per fortuna molti giovani ancora non lo sono.

Dobbiamo compiere scelte radicali, diminuire la quantità di contenuti e fare della scuola un centro di ricerca permanente per la costruzione della conoscenza. Un luogo di studio anche per gli insegnanti, perché, se nel Talmud la parola maestro non esiste ed è sostituita da “studente saggio”, significa che chi ha smesso di studiare non può essere maestro di nessuno.

Fondamentale sarà l’uso formativo delle discipline e del sapere perché attraverso il loro studio – serio, impegnativo, senza sconti – dobbiamo coltivare negli alunni la capacità di ascolto tra pari, la pratica del dialogo e della argomentazione rigorosa.

Non ci sono dubbi che la scuola debba tornare ad essere “severa”, ma nell’accezione etimologica originaria che rimanda a “rilevante”.

Le discipline non sono il fine ma lo strumento per rendere l’insegnamento significativo per tutti gli studenti, attraverso la cura delle modalità didattiche e relazionali, problematiche, laboratoriali, costruttive.

L’insegnamento può essere efficace se ogni studente è interessato, motivato e attivo nella costruzione della conoscenza, all’interno della dimensione sociale, nel contesto della classe. Come si vede, stiamo indicando tutta un’altra scuola rispetto a quella attuale, tradizionale, enciclopedica, trasmissiva e nozionistica. Non si può fare tutto, occorre scegliere perché l’obiettivo da raggiungere è la profondità e significatività delle conoscenze, non la quantità.

Il sapere sarà significativo per gli studenti se da un lato esso è sviluppato prima di ogni cosa in un contesto di apprendimento motivante e se è capace di dialogare con il loro mondo e con le loro esigenze, in modo da rendere ciascuno soggetto attivo nella costruzione della conoscenza; dall’altro se è un sapere a loro accessibile ed esplorabile in profondità, cioè non atomico, ma connesso a molti altri fatti, conoscenze, concetti.

Serve un grande esercizio di pensiero, con la consapevolezza che non ci sarà un’alternativa a questa scuola – a questa politica, a questa società – se non ci sarà un pensiero alternativo che la sorregga.

Sappiamo che le risposte in tempi brevi non sono nelle corde della scuola; ci vorrà tempo, ma proprio per questo siamo chiamati ad agire subito, nell’immediato, per difendere le possibilità e le potenzialità che sono presenti nella scuola.

Riprendiamo la parola. Ricominciamo a pensare.

Non si usa il microscopio per osservare un elefante

Non si usa il microscopio per osservare un elefante

di Enrico Maranzana

Andrea Gavosto, direttore della fondazione Giovanni Agnelli, scrive su La Repubblica del 14 settembre: “La scuola dell’autonomia, voluta da Luigi Berlinguer, prevede che gli istituti abbiano ampi margini di manovra sui contenuti e gli orari degli insegnamenti, superando la
rigidità dei vecchi programmi ministeriali; la gestione delle risorse umane e finanziarie, con un ruolo rafforzato dei presidi; il rinnovamento della didattica; la risposta agli specifici
bisogni dei territori. L’autonomia deve però andare di pari passo con una seria rendicontazione dei risultati delle scuole al ministero e alle famiglie, a partire dagli apprendimenti: di qui la necessità di un sistema di valutazione”.
Un’asserzione disarticolata, che sterilizza lo spirito e la lettera della norma: non si sceglie il microscopio per osservare un elefante!
Ecco il perché. Il DPR 295/99 recita: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana …”. “Sostanzia” e “progettazione” sono le parole chiave: l’autonomia consiste nella rimodellazione dell’attività delle scuole.
Lo scritto glissa sulla visione d’insieme: gli “ampi margini di manovra” sono stati concessi per facilitare il governo dei processi d’apprendimento. A. Gavosto sovrappone i mezzi ai
fini. Lampante è la disattenzione alla struttura decisionale prevista dal TU 297/94. Nella formazione, nell’educazione e nell’ istruzione riverbera la forma organizzativa che la legge ha introdotto nel 1974:
– Il Consiglio di Istituto orienta il sistema scolastico per “adeguarlo al contesto”. A tal fine “elabora e adotta gli indirizzi generali” e li esprime sotto forma di competenze generali, punto d’ingresso alla progettazione formativa;
–  Il Collegio dei docenti “programma l’azione educativa” per enucleare le capacità da promuovere dai traguardi indicati dal Consiglio. A tal fine ipotizza e controlla i processi d’apprendimento: “Valuta periodicamente l’andamento complessivo
dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica”;
– Il Consiglio di Classe coordina gli insegnamenti per garantire la loro convergenza verso i traguardi collegialmente individuati.
La confusione e la disattenzione ostacolano il cambiamento: la mera trasmissione dei saperi disciplinari offusca le problematiche poste dalla dinamicità e imprevedibilità della società contemporanea.

La fissità e la connessa disubbidienza sono i mali della scuola, caratteri originati dalla noncuranza per le regole del sistema.
I programmi della scuola media del 1979, tuttora vigenti, comparati con la loro ordinaria applicazione nelle classi, siano d’esempio. La loro ratio è del tutto conforme alla struttura organizzativa sopra ricordata: “Tutte le discipline curriculari – sia pure in forme diverse –
promuovono nell’allievo comportamenti cognitivi, gli propongono la soluzione di problemi, gli chiedono di produrre risultati verificabili, esigono che l’;organizzazione concettuale e la verifica degli apprendimenti siano consolidate mediante linguaggi appropriati. Nella loro differenziata specificità le discipline sono, dunque, strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte.
Le fasi della programmazione:
a. Individuazione delle esigenze del contesto socio-culturale e delle situazioni di partenza degli alunni;
b. Definizione degli obiettivi finali, intermedi, immediati che riguardano l’area cognitiva, l’area non cognitiva e le loro interazioni;
c. Organizzazione delle attività e dei contenuti in relazione agli obiettivi stabiliti:
d. Individuazione dei metodi, materiali e sussidi adeguati;
e. Sistematica osservazione dei processi di apprendimento;
f. Processo valutativo essenziale finalizzato sia agli adeguati interventi culturali ed educativi sia alla costante verifica dell’azione didattica programmata;
g. Continue verifiche del processo didattico, che informino sui risultati raggiunti e servano da guida per gli interventi successivi.”
La norma prevede che il servizio scolastico evolva sequenzialmente: il problema educativo è collocato all’interno delle problematiche formative. I traguardi da conseguire sono specificati, le ipotesi d’intervento sono formulate; adempimenti che costituiscono il terreno di germinazione della progettazione dei docenti che, in essi, trova la propria vitalità.
Disposizione disattesa.
Il programma della scuola media contiene un altro aspetto, auspicato dal direttore della fondazione Agnelli: la rendicontazione. La norma postula che si realizzi attraverso “la sistematica osservazione dei percorsi d’apprendimento” al fine di dirigere i “processi valutativi, essenziali” e “la costante verifica dell'azione didattica programmata”. Perché si chiede di soddisfare un’esigenza senza aver verificato il rispetto delle disposizioni esistenti?
L’assunzione di un corretto punto di vista sarebbe stato necessario per intraprendere un percorso volto alla riconquista della credibilità e della dignità dell’istituzione.
Lo scollamento tra le regole del sistema scolastico e l’ordinaria gestione avrebbe dovuto essere denunciato: prestigio e razionalità avrebbero riconquistato la scena.

Edilizia scolastica, piano sicurezza al rallentatore: in 15 anni attuato al 61%

da Il Sole 24 Ore

Edilizia scolastica, piano sicurezza al rallentatore: in 15 anni attuato al 61%

di Massimo Frontera

Sovrapposizione di troppe norme, risorse inadeguate, mancato passaggio dalla logica dell’intervento emergenziale alla logica della prevenzione, mancato dialogo tra amministrazioni competenti, carente progettazione delle opere programmate.
È lunga la lista delle “criticità” che emergono dalla relazione della Corte dei Conti sul “Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici nelle zone a rischio sismico ”, avviato con la legge 289/2002 e attuato in vari programmi stralcio.
Intanto i numeri: «A distanza di oltre 15 anni dalla legge 289/2002 – si legge nella relazione – a fronte di 2.645 interventi complessivamente programmati, ne risultano avviati 1.945, mentre 637 non sono mai iniziati (24 per cento). Gli interventi ultimati sono complessivamente pari a 1.617 su 2.651 previsti, pari al 61 per cento». Sulla base di questi dati, la valutazione non può che essere negativa: «Complessivamente, non può ritenersi adeguato lo stato di attuazione, essendo tutti i piani, a distanza di 15 anni, ancora in corso di attuazione, peraltro parziale».

Sulle cause della lentezza, la relazione fornisce varie indicazioni. «La messa in sicurezza degli edifici scolastici – osserva la Corte dei Conti – è prevista da una pluralità di norme tra loro sovrapposte» e anche una pluralità di finanziamenti. «Questa Sezione – si ricorda – aveva osservato che le risorse avrebbero potuto essere meglio utilizzate ove avessero fatte parte di un unico piano coordinato nelle modalità e nei criteri, in modo da garantire uno stanziamento adeguato di risorse, la regolarità nella loro erogazione ed evitare che su uno stesso immobile fossero effettuati interventi, contemporaneamente o in tempi diversi, finanziati in base a leggi diverse e che i lavori non potessero essere estesi all’intero immobile perché legati a finalità proprie delle specifiche normative».

Una confusione che genera inefficienza. Emblematico è un grave caso di mancato dialogo tra amministrazioni centrali. «Lascia perplessi – dice la Corte – che, in sede istruttoria, solo il Mit, nonostante le disposizioni esaminate attribuiscano specifiche competenze anche al Miur, fosse informato dello stato di attuazione dei piani straordinari predisposti in attuazione della legge 289/2002. Va anche sottolineato che, in sede istruttoria, né il Mit, né la Conferenza unificata e il Cipe sono stati in grado di trasmettere l’elenco degli interventi originariamente previsti per il Terzo piano stralcio».

Anche sulle risorse si esprime una valutazione negativa, nel senso che non sono lontanamente adeguate al problema. A dirlo sono i numeri. Rispetto al fabbisogno prioritario indicato in 4 miliardi di euro (rispetto a un fabbisogno totale di 13 miliardi), «sono stati stanziati 193,88 milioni (pari al 4,84 per cento del fabbisogno) per il Primo programma stralcio, 295,2 milioni per il Secondo (corrispondenti al 7,38 per cento) e 111,8 milioni per il Terzo (pari al 2,8 per cento), per un totale complessivo, tenendo conto del piano di rimodulazione, di 600,88 milioni, corrispondenti al 15 per cento del fabbisogno originariamente stimato».

A fronte di queste inefficienza, la Corte esprime invece apprezzamento per l’istituzione dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica. «Va valutato positivamente – si legge nella relazione – l’avvio dell’Anagrafe degli edifici scolastici, dopo oltre venti anni dalla sua previsione normativa. Dall’analisi dei dati disponibili, riferiti all’anno scolastico 2017-2018, un numero pari a 17.160 edifici (pari al 43 per cento) risultava essere in zona sismica 1 e 2 (cioè dove possono verificarsi terremoti, rispettivamente fortissimi e forti), oltre il 50 per cento di questi edifici risale a prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica (1976) e solo il 21 per cento delle scuole presenti in queste aree risulta progettato o adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica. Dall’anagrafe è peraltro possibile verificare che, complessivamente, il patrimonio edilizio scolastico risulta di bassa qualità, con carenze significative di vario tipo, dalla messa in sicurezza antisismica, all’acquisizione del certificato di idoneità statica, di agibilità e di prevenzione incendi come previsto dalla normativa». I magistrati contabili concludono con un monito: «Tale circostanza deve essere vista, per ovvie ragioni, con forte preoccupazione e, tenendo conto della più recente giurisprudenza in materia penale, che ha affermato la categorica impossibilità di utilizzare gli istituti non a norma, può determinare rilevanti rischi per l’organizzazione dell’attività didattica».

Il Garante dell’Infanzia al premier Conte: 5 priorità a tutela minori

da Il Sole 24 Ore

Il Garante dell’Infanzia al premier Conte: 5 priorità a tutela minori 

In occasione dell’avvio dell’anno scolastico l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza,
Filomena Albano, ha segnalato al presidente del Consiglio Giuseppe Conte cinque tra le principali priorità a tutela, anche a scuola, dei diritti delle persone di minore età.

«I bambini e i ragazzi – riassume Filomena Albano – hanno diritto a edifici scolastici sicuri, salubri e accessibili. A scuole aperte e a misura di studente contro povertà educativa e
marginalità. Hanno diritto che a scuola si contrastino bullismo e cyberbullismo. La scuola deve essere inclusiva: per gli studenti con disabilità, per i minorenni non accompagnati, per
quelli provenienti da famiglie con fragilità, in affido o in adozione e per quelli temporaneamente collocati in strutture di accoglienza. Bisogna lottare contro la dispersione scolastica. È attuando i diritti di ciascuno che potremo dire alla fine: “non uno di meno”».

«Si tratta di interventi – aggiunge la Garante – la cui realizzazione è funzionale alla concreta realizzazione di molti importanti diritti sanciti dalla Convenzione Onu del 1989, quali il diritto all’educazione, all’istruzione e molti altri. Le cinque priorità che abbiamo individuato sono frutto dello sguardo d’insieme sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza che l’Autorità riesce ad avere grazie alla sua posizione di terzietà e, insieme, grazie all’esperienza sul campo. Da parte dell’Agia, va detto, c’è sin da ora disponibilità a fornire supporto affinché, nell’ambito della più ampia collaborazione istituzionale, le priorità segnalate trovino concreta attuazione».

Ridateci la maturità

da Corriere della sera

Ridateci la maturità

di Alessandro D’Avenia

«Prof, come sarà la nuova maturità?». È stata questa la prima domanda dei miei studenti, nella prima ora di lezione in quinta. «Ci sarà la terza prova? I crediti verranno ricalcolati? E la tesina?». Domande inevitabili, alle quali ho dovuto rispondere — non senza imbarazzo — con il solito triste adagio: aspettiamo. Tutti sanno che quest’anno la maturità cambierà, ma nessuno sa esattamente come: chi ha costruito per tempo i propri obiettivi didattici sarà probabilmente costretto a rivederli alla luce delle direttive ministeriali. Come se non bastasse, l’assegnazione delle cattedre è incompleta, tante sono le classi scoperte e i colleghi in attesa. In molte città anche le aule sono insufficienti. Alcuni ragazzi, a Pistoia, a causa dell’inagibilità dei locali scolastici, stanno lottando per fare i turni pomeridiani pur di far partire l’anno. In una scuola di Napoli professori e alunni sono stati spediti al mare per permettere la rotazione delle classi, il cui numero è superiore alle aule. È una malattia endemica del Paese: non pensare alle cose «per tempo». Ma torniamo alla mia quinta.

Comincio con un appello lento, nome per nome. Guardo il loro volto abbronzato per coglierne piccole o grandi trasformazioni, e chiedo a ciascuno di raccontare «la cosa più felice» delle vacanze. Una sola. So dove voglio arrivare e ho bisogno dei loro ricordi. Di solito i racconti felici, estivi e non solo, si collocano in due territori paralleli dell’anima.

I l primo riguarda le scoperte personali relative ad attitudini e passioni, e quindi al futuro: «Ho passato due settimane in una scuola americana, affiancando le maestre nell’attività didattica», «Sono riuscito a fotografare Marte come non si riusciva da tempo, perché quest’estate era particolarmente visibile»… Il secondo ha a che fare con la condivisione: «Un viaggio a Londra con la mia migliore amica», «Una nottata di chiacchiere fino all’alba»… Tutto ciò che hanno detto era in linea con la parola che avrei definito in quella lezione: «maturo». Amo restaurare le parole con le crepe, prima che vadano in frantumi.

Sono però partito dalla parola «felicità», dicendo loro che è sinonimo di maturo. Non ci credevano. «Felix», in latino, indicava semplicemente l’albero che dà frutto (la radice è la stessa di fecondo): «arbor felix» era per il contadino l’albero che porta frutti buoni, pronti per essere imbanditi in tavola o usati per nuove seminagioni. L’albero felice è l’albero fertile, nutre e dà altre piante. La parola «felice» occupa la prima pagina dei libri di psicologia come motore della vita umana. E, a conti fatti, i due ambiti che consentono di definirci felici sono la costruzione di relazioni autentiche con gli altri e la realizzazione delle proprie attitudini nella vita, non solo professionale. I due aspetti, in continua crescita se non si vuole che la vita si fermi e invecchi, sono proprio i due territori della «felicità» dei racconti estivi. Uno di loro mi ha chiesto quale fosse stata per me la cosa più felice, e ho raccontato i giorni trascorsi al mare con i miei familiari, riposando, chiacchierando, leggendo, scrivendo… Ero stato felice perché avevo tutto quello che serve ad esserlo: potevo tranquillamente prescinde re da ciò che durante l’anno sembra imprescindibile: internet, tv, telefono… Amiamo la nostra condizione estiva perché ci permette di abitare proprio i due territori capaci di renderci felici, cioè fecondi: relazioni e vocazioni.

A questo punto era venuto il momento di passare al termine «maturo», perché l’albero felice dà frutti maturi, né acerbi né marci. La parola maturo ha una storia affascinante, ed è l’orizzonte che presento ai miei studenti per liberarli dall’ansia dell’esame e aiutarli a concentrarsi sull’essenziale che servirà ad affrontarlo, indipendentemente dal risultato. Maturo è imparentato con: mattutino, (do)mani, mese… parole derivanti da una radice che indicava il misurare e si utilizzava per le cose del grande misuratore: il tempo. Per questo maturo indica propriamente: «ciò che arriva a tempo, di buon’ora, e quindi a perfezione, a compimento, detto soprattutto di frutti o messi, nel giusto accordo con le stagioni».

La storia della parola ci obbliga a spostare la nostra attenzione dalla statica (maturità) alla dinamica vitale (maturazione). Chi è maturo? Colui che arriva per tempo, quindi la maturazione non è compatibile con la pigrizia o con la fretta: i frutti maturano nella stagione giusta e nelle precedenti si preparano; maturo è colui che arriva a compimento, quindi bisogna aver chiaro quali aspetti della propria persona occorre curare perché diano il frutto atteso; maturo è colui che sa misurare i fenomeni, ed è quindi capace di affrontare la realtà a partire da una presa di posizione «radicata» — senza radicalismo — sul mondo, per non lasciarsi trasportare dai venti emotivi e nei luoghi comuni. Maturo, insomma, è chi misura e si misura con la realtà. Per questo ho ripreso le parole con cui Enrico V, nell’omonima opera shakespeariana, incita i soldati. Le condizioni sono avverse, i nemici molto più numerosi. Il re Enrico vince la loro paura ribadendo che non vuole un solo uomo in più, perché la vittoria è da un’altra parte: «Quando l’anima è pronta, lo sono anche le cose». Per me è il motto per l’anno della maturazione e della maturità, l’opposto di chi ci dice di affrontare le cose solo quando siamo sicuri di poter avere successo: «quando le cose sono pronte allora l’anima lo sarà». È questo l’alibi che imprigiona il senso dell’avventura proprio del giovane, la cui maturazione può avvenire solo con il coraggio di uscire da se stesso e rischiare la vita, affrontando il vuoto che ogni scelta comporta: «avventura» viene da ad-ventura, le cose che accadranno, per le nostre scelte, senza che possiamo controllarne l’esito. Abbiamo barattato l’avventura con l’ossessione per la «sicurezza», fonte di paura che porta a rifugiarsi in copioni dettati da altri, pur di non fallire. Così il successo (risultato) ha sostituito il processo (vita): ci si impegna per qualcosa se è facile, comodo o garantito. Esattamente il contrario di ciò che fa il seme per maturare, cioè uscire da sé, per dare un giorno i frutti scritti nel suo stesso innato dinamismo.

Il corpo e il cervello di un adolescente condividono questo slancio, che si esaurisce attorno ai 20 anni. L’espansione del cervello adolescenziale è simile a quella di un bambino da 0 a 6 anni, una spugna di esperienze ma con la differenza degli effetti reali delle proprie azioni, non più controllate dai genitori. La natura, che n on fa nulla a caso, ha dotato l’adolescente di tale energia per farlo uscire dall’inerzia infantile. La scelta di lasciare casa, inaugurare un lavoro, costruire un proprio nucleo familiare, è frutto della spinta naturale a dar vita al nuovo, vincendo la seduzione della sicurezza che preferisce im-plorare (piangere perché la realtà non ci soddisfa) a es-plorare (misurarsi con la realtà facendo scelte coraggiose). Maturo è chi lascia casa per inaugurarne una propria. Imbandisce i suoi doni per altri e dà nuovi frutti in nuove generazioni. Può farlo se ha colto, nella stagione di preparazione, quale novità è venuto a introdurre nel mondo, sviluppando le risorse che ha già. La maturità è uno degli ultimi riti di passaggio rimasti a segnalare la necessità di una svolta vitale. Gli educatori sono quindi giardinieri che mettono il seme in condizione di fruttificare, e poi potano, non per mortificare, ma per concentrare la linfa, che un giorno renderà «felix» l’albero: fecondo. Tante crisi di felicità sono crisi di infecondità esistenziale.

Ho detto ai ragazzi che la maturità potranno ottenerla tutte le volte che aggiungeranno una gemma che, a suo tempo, darà frutto, sia nella vocazione professionale (astrofisica per il ragazzo di Marte, educazione per la ragazza della scuola?) sia nella cura di relaz ioni sane, allontanando quelle che avvelenano e scegliendo, in modo molto accurato, amori, amici e maestri. Soltanto così potranno essere felici e rendere altri felici, dare frutto in un Paese in cui la maturità la dovrebbe affrontare, purtroppo, il sistema scolastico: un sistema non a tempo, incapace di realizzare l’originalità di un giovane, che non è eccentricità, ma esplosiva tensione al compimento di ciò che, in lui, è originario e ancora potenziale.

Il letto da rifare oggi è nei versi della poesia «Un’adolescente» del nobel Wislawa Szymborska. La poetessa 86enne immagina di incontrare se stessa 16enne. Non hanno in comune neanche una cellula, tutto è cambiato. Eppure c’è qualcosa che dà continuità: la stessa passione per la scrittura che allora si manifestava in poesie ancora acerbe, e una sciarpa, cucita all’uncinetto dalla madre, che ancora lei conserva. Nulla dell’essenziale è andato perduto, si è misurata con il tempo e il tempo l’ha misurata: «Sul suo modesto orologio/il tempo è ancora instabile e costa poco./Sul mio è molto più caro ed esatto». L’albero ha dato frutto, è una donna felice, perché ha portato a maturazione la sua vocazione e ha curato le relazioni essenziali. Non è invecchiata, è maturata .

Mattarella: assicurare l’istruzione è un dovere della Repubblica

da Orizzontescuola

Mattarella: assicurare l’istruzione è un dovere della Repubblica

di redazione

“Lo studio è un diritto fondamentale della persona, di ogni persona.

Assicurare l’istruzione è un dovere inderogabile della Repubblica. Organizzare, e garantire, un sistema formativo adeguato ai tempi è una assoluta priorità politica e istituzionale. Ogni attenzione, ogni risorsa destinata alla scuola e alla ricerca ritorna con gli interessi alla società”. Lo ha detto il presidente della Repubblica Mattarella durante l’inaugurazione dell’anno scolastico all’isola d’Elba.

“Rendere il sistema scolastico migliore, più forte sul piano culturale e formativo, più aperto alla società e al lavoro– ha detto Mattarella – è un compito anzitutto delle istituzioni. Ma a questo impegno tanti sono chiamati a concorrere nella società, tutti in realtà. La scuola è un patrimonio comune e come tale va curato. La scuola è anche una cartina al tornasole, un barometro della nostra concreta condizione di giustizia, di libertà, di uguaglianza tra le persone”.

La valutazione della dirigenza scolastica

La valutazione della dirigenza scolastica

di Francesco G. Nuzzaci

Nella remotissima ipotesi che uno dei cinque quesiti a risposta aperta nella prova scritta del concorso a dirigente scolastico, che si terrà il 18 ottobre 2018, riguardi l’araba fenice della valutazione della dirigenza scolastica, avremmo da suggerire una risposta nei termini che seguono a un lettore interessato che sventuratamente maturasse il convincimento di prenderci in parola.

Come ogni dirigente pubblico, il dirigente scolastico è – dovrebbe essere –valutato in ordine ai risultati (estensivamente, raggiungimento degli obiettivi formalizzati nell’atto d’incarico e qualità dei comportamenti organizzativi), oltreché sul rispetto delle direttive impartite dall’Amministrazione.

Senonché, in forza di una specificità dilatata a dismisura e mai persuasivamente chiarita alla stregua del dato normativo, a tutt’oggi ogni dispositivo – eternamente sperimentale – per corrispondersi a un obbligo di legge non ha mai avuto il tempo di essere compiutamente messo alla prova, prontamente sostituito dal suo clone e puntualmente naufragato come i suoi precedenti; così come l’ultimo – escogitato dalla Direttiva 36/16 – fatto virtualmente abortire dal ministro Bussetti senza attendere la scadenza del canonico triennio.

Ci si dovrebbe allora chiedere se la perdurante inosservanza delle norme di legge non dipenda dalla natura e funzione del modello testardamente reiterato da un ventennio: che, in luogo di accertare il raggiungimento dei risultati, si prefigge – e dichiara – l’intendimento di accompagnare il dirigente scolastico in un incessante percorso di orientamento, analisi e riflessione sui suoi compiti e sulle sue competenze richieste, sotto costante tutela di esperti – reali o improvvisati – che lo conducano mano nella mano lungo un itinerario di miglioramento continuo destinato a concludersi con la sua collocazione in quiescenza.

(Scritto da un direttore didattico sul cui petto è stata appuntata la luccicante patacca di dirigente nell’anno di grazia 2000 e andato in pensione il primo settembre 2018 senza essere stato mai valutato).

Telecamere a scuola, Bussetti: “Non ci vedo niente di male”

da Orizzontescuola

Telecamere a scuola, Bussetti: “Non ci vedo niente di male”
di redazione

“Se le telecamere sono utili come deterrente, non ci vedo niente di male e se vengono poste per allontanare certe situazioni negative, va benissimo”.

Sono le parole del Ministro Bussetti, come riferito da lacnews24.it, a commento del progetto “Scuole sicure” lanciato da Matteo Salvini, che prevede anche l’installazione di videocamere davanti alle scuole, al fine di contrastare la criminalità e lo spaccio di droga.

Scuole sicure

Il Ministero dell’Interno, Gabinetto del Ministro, ha diramato la circolare avente per oggetto  “Attività di prevenzione e contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti nei pressi degli istituti scolastici.  “Scuole sicure”.  Approfondisci

Sicurezza scuole, Corte dei Conti: non avviato 24% interventi previsti. Difficoltà procedurali

da Orizzontescuola

Sicurezza scuole, Corte dei Conti: non avviato 24% interventi previsti. Difficoltà procedurali
di redazione

La Corte dei Conti è intervenuta sulla sicurezza delle scuole, sottolineando la “preoccupante lentezza” con cui si sta attuando il relativo piano straordinario.

Programmazione interventi

La Corte, come riferisce askanews.it, ha evidenziato le criticità relative agli interventi in materia di sicurezza, prima fra tutte il passaggio da una logica emergenziale ad una programmazione degli stessi.

A quanto detto sopra si aggiungono l’inadeguatezza delle risorse disponibili in relazione al fabbisogno e all’urgenza degli interventi e la parzialità degli stessi.

Progetti avviati, conclusi e non iniziati

La Corte, vagliando i tre programmi stralcio e il programma di rimodulazione, ha sottolineato che:

  • 1.951 interventi sono stati avviati;
  • 637 interventi non sono stati ancora avviati (24% del totale);
  • 1.617 interventi sui 2.651 previsti, pari al 61%, sono stati conclusi.

Difficoltà procedurali

I ritardi sono da attribuire alle difficoltà relative alla procedure di attuazione del piano, in particolare a quella di finanziamento e alla concertazione tra Miur e regioni.

La Corte, nella relazione, sottolinea infine il ritardo nelle procedure di revoca nei casi di mancata attuazione degli interventi.

Alunni stranieri in classe, percentuali più basse nel Sud

da Orizzontescuola

Alunni stranieri in classe, percentuali più basse nel Sud

di Elisabetta Tonni

In Italia il 10% degli studenti che frequentano la scuola pubblica statale, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, è straniero.

E’ quanto emerge incrociando i dati del  Focus “Principali dati della Scuola – Avvio anno scolastico 2018/2019” pubblicato dal Ministero dell’Istruzione.

Se si mette a paragone la tabella 9, che contiene la ripartizione del totale degli studenti stranieri per i vari gradi di scuola suddivisi anche per regione, con la colonna del totale degli alunni per regione riportata nella tabella 4, risulta che su una popolazione complessiva di 7.682.635 di alunni, gli stranieri sono 787.936 , cioè il 10,26%, ovvero un alunno su dieci.

Focus regionale

A rendere interessante la situazione è la ripartizione percentuale a livello regionale. Con questa lettura, è l‘Emilia Romagna la regione che registra il valore percentuale più alto di studenti stranieri. Su 459.100 alunni, il 17,43% non ha la nazionalità italiana, per un valore assoluto di 95.703  alunni. L’Emilia Romagna è seguita a ruota dalla Lombardia con il 17,01% di stranieri in aula e rappresenta una piccola eccezione sull’andamento del fenomeno che vede primeggiare il Nord. Le percentuali, infatti, scendono gradualmente prima nelle scuole del Centro Italia, fino al Sud dove si registrano, infatti, le percentuali più basse. Si va dalla percentuale minima del 2,93% registrata in Sardegna al 4,2% di Calabria e Basilicata.

Esonero visita fiscale con invalidità al 74%, è possibile?

da Orizzontescuola

Esonero visita fiscale con invalidità al 74%, è possibile?
di Consulente Fiscale

Esonero visita fiscale, quando è possibile e con quale invalidità? Tutte le informazioni utili, analizzando nel dettaglio le patologie che ne danno diritto.

Buonasera, sono una docente con invalidità al 74% a causa di una patologia (miastenia gravis). Se prendo malattia a causa della mia patologia sono esonerata dalla visita fiscale? Quale normativa devo sottoporre all attenzione del mio medico di base? Lo chiedo perché la mia dottoressa mi disse che non ho diritto all esonero ma data l’invalidità mi sembra strano e vorrei chiarimenti. Grazie

L’esonero della visita fiscale, è previsto per tre categorie, ed esattamente:

  • patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
  • causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all’ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto;
  • stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%.

Visita fiscale e invalidità al 74%

Per l’esonero della visita fiscale non basta solo il grado di invalidità superiore o uguale al 67%. Le tipologie di invalidità, che il medico può ritrovare nella documentazione da dover esaminare e conservare a supporto della prescrizione di esonero, sono le seguenti:

  1. l’invalidità civile, cecità civile e sordità civile;

  2. l’invalidità del lavoro – tecnopatica e infortunistica – accertata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) in base alle disposizioni vigenti;

  3. l’invalidità ordinaria previdenziale dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) in base alle disposizioni vigenti;

  4. l’invalidità di guerra, civili di guerra e per servizio con minorazioni ascritte a categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni.

Mentre le prime due tipologie sono tabellate e nella valutazione prevedono l’assegnazione di una percentuale di minus al verificarsi del rischio, la terza prevede il cut-off dei 2/3 e la quarta ascrivibilità a range categoriali.

Patologie esenti

Dal 13 gennaio 2018, per effetto del decreto Madia, sono state riformate le percentuali di invalidità, la percentuale che ne dà diritto è pari o superiore al 67% sia per i dipendenti pubblici che privati.

L’elenco stati patologici invalidità INPS senza obbligo visite fiscali e dal rispettare le fasce per la visita medica di controllo da parte del datore di lavoro o INPS, sono:

  • Sindromi vascolari acute con interessamento sistemico;
    emorragie severe /infarti d’organo;
  • coagulazione intravascolare disseminata e condizioni di shock – stati vegetativi di qualsiasi etiologia;
  • insufficienza renale acuta;
  • insufficienza respiratoria acuta anche su base infettiva (polmoniti e broncopolmoniti severe, ascesso polmonare, sovrainfezioni di bronchiectasie congenite, fibrosi cistica);
  • insufficienza miocardica acuta su base elettrica (gravi aritmie acute);
    ischemica (infarto acuto), meccanica (defaillance acuta di pompa) e versamenti pericardici;
  • cirrosi epatica nelle fasi di scompenso acuto;
  • gravi infezioni sistemiche fra cui aids conclamato;
  • intossicazioni acute ad interessamento sistemico anche di natura;
    professionale o infortunistica non Inail (arsenico, cianuro, acquaragia, ammoniaca, insetticidi, farmaci, monossido di carbonio, etc.);
    ipertensione Liquorale Endocranica Acuta;
  • malattie dismetaboliche in fase di scompenso acuto;
  • malattie psichiatriche in fase di scompenso acuto e/o in tso;
  • neoplasie maligne, in trattamento chirurgico e neoadiuvante chemioterapico antiblastico e/o sue complicanze;
  • trattamento radioterapico;
  • sindrome maligna da neurolettici;
  • trapianti di organi vitali;
  • altre malattie acute con compromissione sistemica (a tipo pancreatite, mediastinite, encefalite, meningite, ect…) per il solo periodo convalescenziale;
  • quadri sindromici a compromissione severa sistemica secondari a terapie o trattamenti diversi (a tipo trattamento interferonico, trasfusionale).

Maestenia: tra le malattie rare

Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017 “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del D. L. 30.12.1992, n. 502” – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017 ed entrato in vigore il 19 marzo 2017 – sono stati approvati i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (L.E.A.), cioè il complesso delle prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale assicura attraverso le risorse finanziarie pubbliche.

Con i nuovi LEA, le malattie, già croniche esenti, sono state spostate nell’elenco aggiornato delle Malattie Rare esenti (allegato 7 al DPCM 12.01.2017):

RFG101 –  Miastenia Gravs
RM0120  – Sclerosi Sistemica Progressiva

Conclusione

La Miastenia Gravis, anche se è stata riconosciuta una malattia rara, non è riportata nell’elenco delle patologie esenti per l’esonero della visita fiscale e delle fasce di reperibilità.

Didattica innovativa e STEM, il piano di formazione non basta: la ricerca si deve applicare in classe

da La Tecnica della Scuola

Didattica innovativa e STEM, il piano di formazione non basta: la ricerca si deve applicare in classe

Il tema della didattica innovativa e STEM sta a cuore al Ministro Bussetti, che è convinto di “cambiare impostazione della didattica, usare le nuove tecnologie, insegnare a relazionarsi con i social media, valorizzare il public speaking e il debate, puntare sulle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica)”.
A tal proposito, il Piano di ricerca e formazione, previsto dal DM 851/2017, coinvolge più di 800 docenti di tutte le regioni del territorio italiano.
Gli Uffici Scolastici regionali hanno selezionato insegnanti di scuola secondaria di primo grado (classi di concorso A28 e A60) affinchè potessero partecipare a questo progetto.

Il sistema di candidature e selezioni ha garantito la partecipazione di docenti motivati, molti dei quali con esperienze pregresse in altri piani di ricerca e formazione a livello regionale e nazionale.
Il progetto dell’anno scorso ha visto però non poche perplessità da parte dei partecipanti, che pur riconoscendo l’importanza e la bontà dell’iniziativa, hanno potuto constatare diversi punti critici, soprattutto dal punto di visto organizzativo e metodologico dei corsi.
A La Tecnica della Scuola uno dei corsisti, Andrea Maffia dell’I.C. 15 di Bologna, ci ha raccontato l’esperienza, evidenziando gli aspetti negativi della questione a nome di tutti gli altri colleghi.
Può spiegarci l’importanza di puntare sulle materie STEM per una didattica innovativa?
Ci troviamo in un momento storico in cui molte autorevoli voci sostengono l’importanza di aiutare i nostri studenti nello sviluppare competenze trasversali e flessibilità di pensiero. L’approccio STEM è un approccio integrato alle discipline tecnico-scientifiche che richiede di mettere in relazione il sapere e il saper fare, il progettare e il realizzare, i problemi teorici e pratici. Oggi stiamo formando futuri cittadini che svolgeranno professioni che forse ancora neanche esistono: appare fondamentale costruire in modo solido certe competenze e la didattica tradizionale non sempre risponde a questo tipo di esigenza.
Per questo è necessario portare avanti il processo di innovazione didattica che in Italia è stato sicuramente avviato dalle nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, ma che ancora richiede un lavoro dal punto di vista delle metodologie e degli ambienti didattici. Noi insegnanti siamo pronti a sperimentare e abbiamo voglia di essere opportunamente formati e seguiti nella ricerca-azione che quotidianamente svolgiamo in classe. Per questo abbiamo deciso di partecipare al “Piano di ricerca e formazione per una didattica innovativa in ambito scientifico-tecnologico nella scuola secondaria di primo grado”; purtroppo questo percorso ha destato in noi non poche perplessità.
Cos’è che vi ha lasciato perplessi del piano di ricerca e formazione?
Il primo dubbio riguarda l’organizzazione della formazione stessa, nelle sue modalità e tempistiche. I medesimi formatori hanno girato tutte le regioni italiane, cosicché alcune regioni hanno avuto gli incontri in presenza all’inizio dell’anno scolastico, altre regioni hanno invece avuto la formazione in presenza alla fine dell’anno. Non era possibile svolgere le formazioni nelle diverse regioni in contemporanea, avvalendosi di più formatori? Una risposta a questa domanda è stata parzialmente fornita: di fatto il dott. Allega, formatore in ogni regione, sembra essere uno dei primi autori del modello “Shell” e della “tavola sinottica” (strumenti intorno a cui ha ruotato tutta la formazione). Non sembrano essere presenti sul territorio nazionale altri esperti su tali modelli, né ricercatori che abbiano elaborato ulteriormente tale modello. Di fatto una delle particolarità di questo piano di ricerca e formazione è l’assenza di esperti nel settore della ricerca e la chiusura verso altre iniziative di innovazione didattica svolte in passato. Noi docenti coinvolti nel piano abbiamo seguito corsi universitari di “Didattica sperimentale” durante i TFA e le SSIS, alcuni di noi hanno dottorati di ricerca in Pedagogia e Didattica. Abbiamo tutti potuto notare come il metodo di ricerca proposto non sia definibile scientifico: non è stato possibile avere nessun tipo di riferimento bibliografico sui modelli teorici e sugli strumenti proposti durante il corso; le attività di gruppo online sono rimaste sempre chiuse. Ogni corsista era infatti in grado di vedere i propri lavori e quelli del proprio gruppo, non è stato invece possibile avere il tipico confronto tra i vari gruppi che una ricerca scientifica richiederebbe.

E’ stato testato in classe quanto avete appreso durante quest’anno di formazione?
Gli stessi formatori hanno girato tutte le regioni italiane, cosicché quelle regioni che hanno avuto gli incontri in presenza all’inizio dell’anno scolastico, hanno avuto il tempo di svolgere le successive attività durante l’anno scolastico; altre regioni hanno invece avuto la formazione in presenza alla fine dell’anno, ritrovandosi a svolgere l’attività online in periodo estivo, durante gli esami. I percorsi sono stati progettati usando gli strumenti proposti, ma visti i tempi forniti per la loro elaborazione, non sono stati testati in classe in moltissimi casi. Sicuramente gli insegnanti che li hanno progettati hanno tenuto conto di tutta la propria esperienza, ma come si fa a valutare la bontà di un percorso didattico senza conoscerne gli effetti in classe? Non dovrebbe essere proprio questo l’oggetto della ricerca? Ci si chiede come si possa, durante questo nuovo anno scolastico, pubblicare e sponsorizzare dei percorsi didattici la cui bontà dovrebbe essere garantita solo dallo strumento con cui sono stati progettati.

Cosa chiedete al Ministro affinché il piano di ricerca e formazione possa diventare utile e soprattutto produttivo dal punto di vista della didattica innovativa?
Noi docenti coinvolti chiediamo al Ministro Bussetti e a coloro che si occupano di questo piano di ricerca e formazione di rivederne le modalità. In particolare auspichiamo una maggiore attenzione ai metodi di ricerca (e quindi sulla conseguente formazione) e al modo in cui vengono comunicati ai docenti corsisti. Appare auspicabile un coinvolgimento dei tanti ricercatori in Didattica delle Scienze che operano nelle nostre Università in modo che il lavoro possa acquisire il rigore necessario a un progetto di portata nazionale. Allora, saremo ben felici di continuare a lavorare investendo le nostre energie fisiche e intellettuali per realizzare quell’innovazione didattica che tanto auspichiamo per le nostre discipline e nel grado scolastico in cui operiamo.

Anche Mattarella punta il dito sulla dispersione scolastica

da Tuttoscuola

Anche Mattarella punta il dito sulla dispersione scolastica 

“Guardando alla scuola dobbiamo essere consapevoli di limiti e lacune che siamo chiamati a colmare. Nonostante i risultati raggiunti in termini di scolarizzazione, a cominciare dall’accresciuta frequenza alla scuola d’infanzia, abbiamo un numero ancora troppo elevato di ragazzi che desistono dagli studi prima di completare il ciclo delle superiori o addirittura prima di completare quello dell’obbligo”. Queste le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione di “Tutti a scuola”, la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico che si sta svolgendo sull’Isola d’Elba.

Dopo la pubblicazione del dossier di Tuttoscuola, “La scuola colabrodo”, la dispersione scolastica sembra tornare a essere uno dei temi sui quali incentrare il dibattito politico del Paese.

“Dobbiamo ridurre il più possibile questa emorragia – continua Mattarella -. La dispersione scolastica è un’amputazione civile; e anche una perdita economica per il Paese”.

Come denunciato dal dossier di Tuttoscuola, con numeri inequivocabili, negli ultimi 10 anni 1,8 milioni di studenti hanno abbandonato la scuola prima di sostenere l’esame di maturità (e negli ultimi 20 anni addirittura 3,5 milioni). Tutto questo con un costo enorme: in media 2,7 miliardi di euro l’anno. E l’emorragia continua: se non interveniamo subito, oltre 100mila studenti appena iscritti alle superiori potrebbero non arrivare al diploma. Irrobustiranno la statistica dei 2 italiani su 5 che non hanno un titolo di studio superiore alla licenza media e di un giovane su 4 che non studia e non lavora.