Sul rinnovo del contratto di lavoro attendiamo risposte concrete

Sul rinnovo del contratto di lavoro attendiamo risposte concrete

È positivo che dal vice presidente del Consiglio siano giunte rassicurazioni circa la presenza, in legge di bilancio, della copertura necessaria per consolidare l’elemento perequativo previsto nei contratti pubblici rinnovati lo scorso aprile”. Ad affermarlo sono i segretari generali di FLC CGIL, CISL FSUR e UIL Scuola RUA, riuniti per definire le linee di orientamento per il dibattito in categoria sulla piattaforma del prossimo contratto per il comparto Istruzione e Ricerca.

Ora però ci attendiamo un’analoga rassicurazione – aggiungono Francesco Sinopoli, Maddalena Gissi e Giuseppe Turi – per quanto riguarda il rinnovo del CCNL che, come il Governo sa, scade il prossimo 31 dicembre. Per noi questo vuol dire che il negoziato si deve aprire a gennaio. Un negoziato che riguarderà il triennio 2019, 2020 e 2021, l’arco di tempo cui fa peraltro riferimento il DEF: è pertanto fondamentale conoscere l’entità delle risorse messe a disposizione. Solo così capiremo se si intende passare concretamente dalle parole ai fatti”.

Rinnovare i contratti è un diritto dei lavoratori – concludono i tre segretari – come tale riconosciuto espressamente anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza 178/2015. Per questo, dopo aver compiuto pochi mesi fa una scelta giusta e opportuna con la firma del nuovo CCNL, ora ci apprestiamo ad aprire un’altra stagione di negoziato per proseguire il percorso di valorizzazione del lavoro nell’istruzione, nell’università e AFAM e nella ricerca”.

In corso di registrazione il decreto di costituzione dell’Organismo indipendente di valutazione della performance

È in corso di registrazione presso gli organi di controllo il decreto di costituzione del nuovo Organismo indipendente di valutazione della performance presso il MIUR, in composizione collegiale.

Il decreto è stato firmato il 28 settembre scorso dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti.

Si tratta di un provvedimento atteso: l’Organismo è scaduto a dicembre del 2016 e non è più stato ricostituito.

Il decreto recepisce le norme più recenti in materia di anticorruzione e di riforma della pubblica amministrazione.

Il decreto sarà efficace subito dopo la sua registrazione e sarà contestualmente reso disponibile sul sito del MIUR.

Il Vice Ministro incontra il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari

Risposte immediate e concrete sui temi dell’università e della formazione successiva alla laurea e l’avvio di un nuovo rapporto tra MIUR e rappresentanza studentesca. Questi i punti chiave dell’incontro che si è svolto oggi fra i vertici del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, il CNSU, organo consultivo del MIUR.

I rappresentanti degli studenti si sono confrontati prima con il nuovo Capo Dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca Giuseppe Valditara e hanno poi concluso i lavori incontrando, questo pomeriggio, il Vice Ministro Lorenzo Fioramonti.

Nella prima sessione di lavori, il Capo Dipartimento Valditara ha ascoltato proposte, richieste e sollecitazioni del CNSU, annunciando la volontà del Ministro Marco Bussetti, stamattina impegnato al Quirinale, di intraprendere un nuovo e più intensivo dialogo con il CNSU, basato sul confronto in itinere sugli atti del MIUR per trovare e progettare insieme soluzioni di miglioramento del sistema universitario. Gli incontri con il CNSU non saranno più un momento formale, in cui comunicare agli studenti decisioni già prese, ma passaggi ufficiali in cui sarà richiesto il punto di vista degli studenti su provvedimenti in corso di realizzazione. Dal diritto allo studio ai nuovi dottorati di ricerca, già nella mattinata di oggi Ministero e CNSU hanno avviato il dialogo su alcuni dossier che proseguirà anche con il confronto diretto con le direzioni competenti. Il Ministero ha fornito informazioni su alcuni provvedimenti in via di assunzione.

“Da parte del Governo – ha detto il Vice Ministro Lorenzo Fioramonti, incontrando gli studenti – c’è la massima volontà di porre al centro della propria azione l’Università e la Ricerca. Di non tagliare un solo euro di risorse ma di aggiungerne di ulteriori. Il dialogo con le rappresentanze studentesche è estremamente importante, perché – ha proseguito – ci consente di conoscere le criticità del sistema dal suo interno. Vi chiedo quindi – ha concluso Fioramonti, rivolgendosi ai consiglieri del CNSU – di presentarci periodicamente non solo le vostre rivendicazioni, ma anche proposte di possibili soluzioni”.

LA STORIA RESTA CENTRALE ALLA MATURITÀ

SCUOLA, M5S: LA STORIA RESTA CENTRALE ALLA MATURITÀ

Roma, 11 ottobre – “In riferimento alle proteste e alle polemiche dei giorni scorsi sulla circolare del MIUR che elimina la traccia storica tra le tipologie a scelta degli studenti per la maturità 2018/19, è importante ricordare che non scompare affatto la storia dallo scritto d’italiano.” Lo affermano i senatori M5S in VII Commissione. “La tipologia B” proseguono, “che va sviluppata sotto forma di testo argomentativo, ovvero saggio breve, prevede anche la trattazione di un argomento storico all’interno delle 7 tracce. La differenza tra un saggio breve e un tema tradizionale di tipo storico è minima ma strutturale. A vantaggio del saggio breve, rispetto al tema tradizionale, c’è infatti l’impossibilità di “copiare”, sarà più facile quindi valorizzare e premiare l’originalità, la solidità delle conoscenze, la competenza ed il rigore del ragionamento di ciascuno studente. Per finire, rispetto al tema tradizionale che si presta ad essere valutato con un ampio margine di discrezionalità, il saggio breve si presta ad una valutazione più oggettiva e rigorosa da parte della commissione. Pertanto”, concludono “la scelta del MIUR appare non solo opportuna, quanto decisamente riuscita”.

12 OTTOBRE IN PIAZZA: #CHIHAPAURA DI CAMBIARE?

RETE STUDENTI E UDU – 12 OTTOBRE IN PIAZZA: #CHIHAPAURA DI CAMBIARE?

 

Venerdì 12 ottobre, gli studenti riempiranno le piazze di tutta Italia al grido “#Chihapaura di cambiare? Noi no!”

 

Giammarco Manfreda, Coordinatore Nazionale della Rete degli Studenti Medi, dichiara: “Chi ha paura di cambiare? Ce lo chiediamo ormai da qualche mese, da quando si è insediato il cosiddetto “Governo del cambiamento”. Noi vediamo solo tanta propaganda, tanta violenza nelle parole, la strumentalità di chi chiama 100 milioni di tagli sulla scuola “risparmi” perchè non ha nessuna intenzione di investire su ciò che realmente genera cambiamento: l’istruzione. Ogni anno più di 150mila studenti lasciano le scuole, trascinati dai costi folli dell’istruzione e da una didattica che lascia indietro gli ultimi, fatta di lezioni frontali, spazi inadeguati e bocciature. Finché non invertiremo questa tendenza continueremo a scendere in piazza.”

 

“Sul fronte universitario assistiamo solo a slogan e parole vuote – spiega Enrico Gulluni, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari – ancora una volta non si prevede una netta inversione di rotta sul finanziamento del sistema universitario, dal FFO al fondo integrativo statale per le borse di studio, mentre osserviamo i diversi ministri esprimersi confusamente su una ipotetica revisione del sistema di accesso a numero chiuso e programmato all’università nel silenzio assordante del MIUR.Siamo stanchi di essere relegati ai margini di una politica che vuole parlare per noi, ma non ci ascolta e ci dimentica finite le passerelle elettorali. Siamo pronti a intraprendere un lungo percorso mobilitativo a partire dalle piazze di domani in tutto il paese.”

 

Manfreda continua: “Il Governo ha mostrato di saper parlare di giovani e studenti solo come futuri soldati o vittime inermi degli “spacciatori di morte”.  I giovani continuano ad essere i dimenticati della politica. Si vogliono finanziare le videocamere nelle scuole e i controlli antidroga a tappeto, ma non ci si interroga su come risollevare un sistema che negli ultimi dieci anni ha subito tagli per più di 8 miliardi e che non riesce più ad essere strumento di formazione e crescita delle nuove generazioni. Il governo continua ad essere sordo di fronte alle necessità su cui da tempo, le studentesse e gli studenti di questo paese, chiedono una risposta.”


Concludono Manfreda e Gulluni: “Diciamo basta a una politica che cerca il nemico tra gli ultimi, focalizzando lo scontro su chi sta alla base della piramide sociale, sfruttando disuguaglianze e ingiustizie senza avere il coraggio di risolverle. Chi ha paura di cambiare? Noi no, il Governo a quanto pare sì. ”

12 ottobre, studenti in piazza in tutta Italia

12 ottobre, studenti in piazza in tutta Italia. La FLC CGIL sostiene la mobilitazione

Il 12 ottobre gli studenti e le studentesse scenderanno in piazza in tutta Italia per rivendicare più investimenti sulla scuola e sul futuro del Paese.

Le risorse per la scuola sono ancora le grandi assenti del dibattito pubblico. La messa in sicurezza degli edifici scolastici, un ripensamento globale dell’alternanza scuola-lavoro così come pensata dalla “Buona scuola”, gli investimenti per il diritto allo studio, non sembrano essere tra le priorità del governo. Ancora una volta mancano risposte organiche alle carenze strutturali del sistema istruzione e, come denunciato dalle organizzazioni studentesche, il MIUR sceglie di non praticare il confronto con coloro che rivendicano una partecipazione democratica alle decisioni che riguardano il proprio futuro.

La FLC CGIL, che da sempre sostiene il dialogo e il confronto costruttivo, continuerà ad ascoltare le rivendicazioni degli studenti. E’ compito del dicastero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca invece, dimostrare di saper praticare i valori della comunità educante, che a partire dalle scuole dell’infanzia, rappresenta la modalità di relazione quotidiana tra i lavoratori della conoscenza e le giovani generazioni.

Unioncamere: non diminuire le ore di alternanza

da Il Sole 24 Ore

Unioncamere: non diminuire le ore di alternanza
di Cl. T.

Diminuire le ore di alternanza scuola-lavoro «secondo noi è un grande errore». Lo ha detto Leonardo Bassilichi, vicepresidente nazionale di Unioncamere e presidente della Camera di Commercio di Firenze, a margine della presentazione dei percorsi di alternanza realizzati con Gallerie degli Uffizi, Cna, Confartigianato e Ufficio scolastico regionale della Toscana.

«Noi abbiamo chiamato il ministro a Didacta – ha aggiunto, riferendosi alla fiera internazionale sul mondo della scuola che si terrà la prossima settimana a Firenze – e vorremmo che chiarisse bene cosa fare dell’alternanza. Noi dimostriamo che l’alternanza, se fatta bene, con delle idee chiare, con degli interlocutori seri e affidabili, può essere uno strumento valido».

Il progetto con Uffizi, Camera di commercio, Cna e Confartigianato
Nel dettaglio, il progetto di scuola-lavoro, presentato ieri, vede insieme le gallerie degli Uffizi e il sistema delle imprese fiorentine dell’artigianato artistico con Camera di Commercio, Cna e Confartigianato. «L’artigianato non è una forma minore di conoscenza – ha affermato il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt – e l’apprendimento delle tecniche metterà gli studenti in condizione di apprezzare e riconoscere l’arte che li circonda». Il progetto di alternanza da 140 ore parte adesso con le classi terze di sette scuole: il liceo artistico statale di Porta Romana e Sesto Fiorentino, il liceo scientifico Pontormo di Empoli, l’educandato Santissimo Annunziata, l’istituto superiore Alberti-Dante, l’Iis Peano, il liceo scientifico-linguistico Rodolico e l’istituto Morante-Ginori Conti. Gli studenti potranno visitare aziende con attività collegate a quelle dei musei visitati, e il prossimo anno saranno ospitati in alternanza in imprese dell’artigianato artistico, in modo da poter approfondire tecniche come l’intarsio e il mosaico, e conoscere meglio materiali come la ceramica, il legno, i tessili, le pietre, l’oro, la pelletteria artistica e la profumeria artigiana.

Studiare all’estero, vince la “valanga rosa”

da Il Sole 24 Ore

Studiare all’estero, vince la “valanga rosa”
di Maria Piera Ceci

Studiare all’estero? Una questione prevalentemente al femminile.
Nell’anno scolastico 2016, 7.400 adolescenti delle scuole superiori, secondo le stime di Fondazione Intercultura, hanno trascorso un periodo tra i 3 o 6 mesi o l’intero anno scolastico all’estero, con un incremento del 111 per cento dal 2009. Un interesse dunque crescente nel tempo, ma nel 62 per cento dei casi ad effettuare questa scelta sono state le studentesse, contro un 38 per cento degli studenti.
I motivi di questo squilibrio sono tanti ed emergono con chiarezza dalla ricerca 2018 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, promossa dalla Fondazione Intercultura in collaborazione con Ipsos. La ricerca ha coinvolto oltre 800 studenti delle scuole superiori e viene presentata oggi nella sede di Assolombarda.

«Ci sono delle ragioni più strutturali ed altre più legate ad aspetti culturali e motivazionali che caratterizzano maschi e femmine in maniera diversa» – spiega Carlo Buzzi, sociologo e docente presso l’università di Trento. «Quelli strutturali dipendono dal fatto che troviamo più femmine all’interno dei licei e i liceali sono gli studenti che più degli altri sono disponibili a fare un’esperienza all’estero. Le ragazze sono anche mediamente più brave a scuola e andare all’estero per un anno viene considerato un rischio che può essere affrontato. I maschi invece temono di avere delle difficoltà al ritorno. Inoltre le ragazze si dimostrano più brave nelle lingue. Questi sono gli aspetti di fondo. Ma quelli che abbiamo osservato con maggior interesse sono gli aspetti culturali e motivazionali. Abbiamo fatto una serie di domande per catturare il perché le ragazze siano più disponibili dei ragazzi ad uscire di casa e dalla loro scuola. Abbiamo chiesto agli studenti di scegliere una frase fra queste due: “Mi piace cambiare, conoscere culture molto diverse, viaggiare in posti lontani”, oppure “Mi piace sentirmi a casa”. Tra le ragazze prevale la scelta della prima frase, nei ragazzi prevale il discorso della sicurezza e dello stare a casa. E questo rovescia i termini degli stereotipi che abbiamo. Se poi chiediamo ai ragazzi di dirci quali sono gli aspetti attitudinali in cui si riconoscono, fra le ragazze risulta più facile fare scelte irreversibili. Nelle ragazze è più radicata la consapevolezza che a volte nella vita è necessario prendere delle decisioni da cui non si può tornare facilmente indietro e quando vai a studiare all’estero non puoi cambiare idea e tornare a casa un mese dopo. Nei ragazzi invece la reversibilità della scelta è vista come elemento sine qua non. Fanno più fatica a raccogliere la sfida. Tra le ragazze c’è insomma una maggiore propensione ad accettare qualche rischio, nei ragazzi il rischio viene invece vissuto come un aspetto non positivo».

Tradotto in numeri, il 53 per cento dei maschi (contro il 42 per cento delle femmine) si identifica di più con l’idea di sentirsi a proprio agio a casa propria, mentre il 47 per cento delle ragazze si sente stimolato all’idea di incontrare mondi nuovi (contro il 47 per cento dei ragazzi).

Secondo la ricerca Intercultura-Ipsos i maschi tendono ad evitare di assumersi responsabilità giudicate irreversibili. I maschi fanno più fatica ad uscire dalla loro comfort zone: il 59 per cento di loro non si identifica con la frase proposta «C’è sempre un momento nella vita per scelte decisive da cui non si può tornare indietro», percentuale che scende al 54 per cento tra le femmine.

Importante nella scelta di andare a fare un’esperienza all’estero anche il ruolo dei genitori.
La famiglia d’origine fa da sprone soprattutto nei confronti delle ragazze, perché sono considerate più mature. Il 41 per cento di loro, rispetto al 35 per cento dei coetanei maschi, dice di essere stimolata in famiglia ad essere autonoma e indipendente. Con i genitori dunque sembra instaurarsi un circolo virtuoso mentre, nel caso dei maschi, il circolo è vizioso: giudicati immaturi, la famiglia li spinge a rimanere a casa, aumentando così le loro insicurezze, se è vero che solo il 14 per cento di loro, rispetto al 19 per cento delle ragazze, afferma che mamma e papà approvano le loro scelte.

Un altro aspetto divide il mondo maschile da quello femminile, quello della visione prospettica del futuro: i maschi si vedono impegnati in lavori con un obiettivo di carriera che preveda anche di sacrificare la qualità della vita. Le ragazze sono più proiettate verso professioni legate al settore terziario e sociale e il successo, per loro, passa più attraverso la dimensione personale che quella professionale (il 39 per cento delle femmine, contro il 34 per cento dei maschi, si dice disposta a rinunciare a parte del proprio guadagno pur di avere maggiore tempo libero).

Anche fra i maschi che decidono di partire prevale l’aspetto strumentale, cioè vanno all’estero perché è utile, perché rappresenta un’esperienza da spendere all’università, nel lavoro futuro. C’è già la consapevolezza dell’utilità, molto più che nelle ragazze.
«I ragazzi tendono ad avere un orientamento molto più forte alla loro carriera e al loro futuro e perciò tendono a scegliere delle esperienze propedeutiche a quello che vogliono fare da grandi. Mentre le ragazze in questa fase di crescita sono ancora in una fase esplorativa, non hanno ancora in mente un progetto di lavoro e di vita e tendono ad esplorare le varie possibilità» – spiega il segretario generale di Fondazione Intercultura Roberto Ruffino, che mette in evidenza anche un altro aspetto. «Gli adolescenti maschi sembrano fare molto più gruppo rispetto alle coetanee e hanno quindi molta più difficoltà a staccarsi dal gruppo di amici con cui fanno sport o musica, per andare ad esporsi in un’esperienza all’estero senza i compagni. E sono più attaccati al posto dove vivono, mentre le ragazze si sentono più libere di andare all’estero e vedere altre cose, rispetto ai ragazzi che sembrano più attaccati alla loro quotidianità».

Ragazze dunque più brave a scuola, più mature, più disposte ad accettare le sfide, più curiose. Tutte caratteristiche importanti per le aziende che poi dovranno pescare in questa generazione per le assunzioni future.
«Molti stereotipi devono cadere e cadranno. Mantenersi sui vecchi stereotipi diventa pericoloso» – dice ancora Buzzi. «Le ragazze si sono dimostrate più vive, più curiose, aspetti vincenti sul piano professionale».

«Che errore abolire la Storia alla Maturità»

da Corriere della sera

«Che errore abolire la Storia alla Maturità»

L’appello degli esperti

Valentina Santarpia

La Storia fa parte del presente. E invece «la trattano come merce d’antiquariato, fuori moda, da accantonare. Ed è pericoloso». Appello degli esperti per salvare la storia «sparita» dal tema all’esame di maturità.

«La trattano come merce d’antiquariato, fuori moda, da accantonare. Ed è pericoloso: la storia fa parte del presente, e senza la consapevolezza di ciò che è accaduto non daremmo un senso alla nostra scena politica e sociale». È furioso Fulvio Cammarano, presidente della Società per lo studio della storia contemporanea, una delle associazioni di storici che hanno firmato l’appello per salvare la storia all’esame di maturità. Sembrerebbe tema di nicchia, da intellettuali da salotto: e invece il breve comunicato con cui gli studiosi chiedono che sia rivista la scelta di eliminare la traccia di storia tra quelle previste per lo scritto dell’esame di Stato, invocando un incontro col ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, è stato letto e condiviso da migliaia di persone online nel giro di due giorni.

«Un errore politico da riparare», tuonano in molti, attribuendo al governo gialloverde la responsabilità. «Non è questione di governi — precisa Cammarano — anche perché Bussetti ha avallato una decisione della commissione che si era già insediata (quando la ministra era Valeria Fedeli ndr ), e che all’interno non aveva neanche uno storico. Parliamo di una tendenza degli ultimi dieci anni, in cui la storia soffre di schizofrenia: da una parte assistiamo al successo di programmi di intrattenimento e fiction basati sulla storia, dall’altra vediamo che la storia com’era un tempo, quella che aveva peso politico, sta scomparendo». Colpa anche del disinteresse degli studenti, che negli anni hanno scelto a malavoglia e con poche eccezioni il tema di storia? «Il tema di storia era svolto dall’1% degli studenti», conferma il presidente della commissione che ha rivisto l’esame, il linguista Luca Serianni, che difende la scelta: «La storia non sparirà del tutto: sarà una delle tracce di italiano possibili e sarà presente di anno in anno nella proposta che farà il ministero. È una materia centrale per la formazione dei ragazzi — ammette — ma bisognerebbe rafforzare le competenze e provvedere prima, perché i candidati la scelgano».

Marketing della didattica? «Non stiamo parlando di fenomeni commerciali — sbotta Andrea Giardina, presidente della Giunta centrale per gli studi storici —. Non è che se il prodotto non tira, allora lo tolgo dal mercato. La risposta corretta non è eliminare il tema di storia, ma chiedersi perché viene scelto poco, aumentare il numero di ore di insegnamento, incentivare i ragazzi a studiarla. Ad esempio puntando sulla public history, la divulgazione fuori dagli ambienti accademici. Tanto più che gli spazi vuoti lasciati dalla storia sono sempre più riempiti dalle storie, false, inventate da dilettanti: fenomeno inquietante». E sostenuto dalla delegittimazione delle autorità in materia: «Spesso sono filosofi e letterati a insegnare storia — ammette Stefano Gasparri, presidente degli storici medievalisti —. Dobbiamo riportare gli storici in cattedra. In una società smemorata come la nostra, priva di ancoraggio col passato, colpire la storia mi sembra un fatto grave».

C’è l’ombra del complotto contro la storia e la consapevolezza che ne deriva? «No, non penso proprio che ci possa essere la volontà di manipolare — dice Simona Colarizi, per 40 anni docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma —, è solo una questione di ignoranza, incuria. E sembra quasi normale, purtroppo, che in un Paese che non dedica grandi risorse all’educazione si arrivi a sostenere che la storia non ha importanza». La prova di maturità, dunque, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso della protesta: «Non penso che sia un esame, tra l’altro piuttosto screditato, il momento qualificante dell’apprendimento — conferma la professoressa Chiara Frugoni, già all’università di Pisa, Parigi, Roma —. Gli studenti non sono computer, dove vedi se un programma gira bene: la storia va insegnata, bene e durante tutto l’anno, per sviluppare il senso critico».

Ma perché la storia è così importante? «Non c’è società del mondo che non abbia rapporto col passato — spiega Luigi Migliorini Mascilli, presidente della Società per lo studio della storia contemporanea — anche nelle vite singole ricapitoliamo quanto ci è accaduto perché siamo il frutto di quegli eventi. La storia è la base del diritto di cittadinanza, un cittadino capace di giudizio deve avere una conoscenza storica»

Riforma esami di Stato II grado, candidati esterni: requisiti di ammissione e prove preliminari

da Orizzontescuola

Riforma esami di Stato II grado, candidati esterni: requisiti di ammissione e prove preliminari
di Nino Sabella

Quali requisiti devono possedere i candidati privatisti per l’ammissione al nuovo esame di Stato? Devono sostenere un esame preliminare? A chi devono presentare la domanda di partecipazione?

Rispondiamo ai succitati quesiti riferendo quanto previsto in merito dal decreto legislativo n. 62/2017, come modificato dalla legge n. 108/2018.

Requisiti

Sono ammessi, in qualità di candidati esterni, coloro i quali sono in possesso di uno dei seguenti requisiti:

  • compiano il diciannovesimo anno di età entro l’anno solare in cui si svolge l’esame e dimostrino di aver adempiuto all’obbligo di istruzione;
  • siano in possesso del diploma di scuola secondaria di primo grado da un numero di anni almeno pari a quello della durata del corso prescelto, indipendentemente dall’età;
  • siano in possesso di titolo conseguito al termine di un corso di studio di istruzione secondaria di secondo grado di durata almeno quadriennale del previgente ordinamento o siano in possesso di diploma professionale di tecnico (conseguito al termine dei corsi di istruzione e formazione professionale, ai sensi dell’art. 15 del decreto legislativo n. 226/05);
  • abbiano cessato la frequenza dell’ultimo anno di corso prima del 15 marzo.

Ricordiamo che tra i requisiti di ammissione per i candidati esterni, previsti dal D.lgs. 62/2017, vi sono anche la partecipazione alle prove Invalsi e lo svolgimento di attività assimilabili all’alternanza scuola-lavoro. Tali requisiti sono stati prorogati al 2019/2020 dalla legge  n. 108/2018, come indicato anche nella circolare Miur n. 3050 del 4 ottobre 2018

Esame preliminare

Fermo restando il possesso dei sopra riportati requisiti, ai fini dell’ammissione all’esame di Stato, i candidati esterni non in possesso della promozione all’ultima classe sostengono un esame preliminare.

L’esame è volto ad accertare la preparazione dei candidati sulle materie dell’anno o degli anni per i quali non siano in possesso della promozione o dell’idoneità alla classe successiva, comprese le discipline dell’ultimo anno di corso.

L’esame preliminare è sostenuto anche dai candidati che, pur essendo in possesso di idoneità o promozione all’ultimo anno, non hanno frequentato tale anno.

L’esame è sostenuto innanzi al consiglio della classe dell’istituto, statale o paritario, cui il candidato è assegnato.

Per superare l’esame è necessario conseguire una votazione non inferiore a sei decimi in tutte le prove sostenute.

Presentazione domande

I candidati esterni debbono presentare domanda di ammissione agli esami di Stato all’USR territorialmente competente.

L’USR, una volta ricevute le istanze, assegna i candidati agli istituti scolastici statali o paritari che abbiano sede (in ordine di priorità):

  1. nel comune di residenza del candidato;
  2. nella provincia di residenza, in caso l’indirizzo di studio indicato nella domanda non sia presente nel comune di residenza;
  3. nella regione di residenza, in caso l’indirizzo di studio indicato nella domanda non sia presente nemmeno nella provincia di residenza.

E’ possibile, inoltre, essere assegnati a istituti ubicati al di fuori della regione di residenza, previa richiesta e autorizzazione dell’USR di provenienza. L’USR autorizza o meno in base ai motivi addotti dal candidato.

Ripartizione candidati

I candidati esterni sono ripartiti tra le diverse commissioni delle scuole statali e paritarie. Il loro numero non può superare il cinquanta per cento dei candidati interni, fermo restando il limite di trentacinque candidati per classe.

Candidati extracomunitari

I candidati non appartenenti a Paesi dell’UE, che non abbiano frequentato l’ultimo anno di corso di istruzione secondaria superiore in Italia o presso istituzioni scolastiche italiane all’estero, possono sostenere l’esame di Stato in qualità di candidati esterni,secondo le medesime modalità sopra riferite.

Stipendio: importo visibile su NoiPa prima del cedolino, il percorso

da Orizzontescuola

Stipendio: importo visibile su NoiPa prima del cedolino, il percorso
di redazione

Nei giorni scorsi, abbiamo riferito sulla messa a punto della funzione NoiPA “Consultazione pagamenti”, che consente di verificare l’ammontare netto dello stipendio (o meglio dell’ultima rata spettante) prima della pubblicazione del cedolino.

Stipendio, “consultazione pagamenti”. News NoiPA

Servizio disponibile

NoiPA, sul proprio sito, comunica che il nuovo servizio “Consultazione pagamenti” è online.

Come raggiungerlo

Effettuato l’accesso all’area riservata, il nuovo servizio è nella sezione “Self service”:

Una volta cliccato su “Consultazione pagamenti”, si aprirà la seguente schermata:

Inserendo il mese di riferimento sarà possibile visualizzare l’importo netto dello stipendio.

Supplenti e IRC

Per la verifica dello stato dei contratti relativi a supplenze brevi, indennità di maternità su supplenze, incaricati di religione cattolica e indennità di maternità conseguenti a incarichi di religione, continua a essere disponibile il self service “Contratti scuola a tempo determinato”.

Pensioni, prescrizione contributi: i chiarimenti dell’Inps

da La Tecnica della Scuola

Pensioni, prescrizione contributi: i chiarimenti dell’Inps
Di Andrea Carlino

L’Inps, con la circolare 15 novembre 2017, n.169,  ha fornito informazioni in merito alla corretta regolamentazione da applicare in materia di prescrizione dei contributi pensionistici dovuti alle casse della Gestione Dipendenti Pubblici.

Ricordiamo che le contribuzioni cadono in prescrizione a partire dal quinto anno successivo alla data in cui l’obbligazione deve essere attuata.

Il termine, spiega l’Inps, decorre dalla data in cui il diritto può essere fatto valere (così come stabilito art. 2935 codice civile), che per la contribuzione coincide con il giorno in cui l’istituto può esigerla.

Si tratta della data di scadenza del termine per fare il versamento (giorno 16 del mese successivo a quello a cui la contribuzione si riferisce).

Se, ad esempio, i contributi relativi al mese di luglio 2017 debbono essere versati entro il 16 agosto 2017, a partire dal 16 agosto 2022 il mese di luglio 2017 è definitivamente prescritto, sempre se non intervengano nel frattempo interruzioni a partire dalle quali iniziano a decorrere ulteriori 5 anni.

Dopo il 16 agosto 2022 nessuna operazione potrà consentire di versare i contributi relativi al mese di luglio 2017.

La circolare dell’INPS sulla prescrizione dei contributi

L’Inps, con una nota del 13 agosto, è intervenuto sull’argomento e fa luce su alcuni aspetti poco chiari.

La precisazione dell’Inps rassicura dalla prescrizione gli assegni previdenziali, che saranno comunque calcolati tenendo in considerazione anche gli eventuali contributi mancanti e addebita i relativi oneri alle amministrazioni e non più all’Inps.

Infatti, in merito alla prescrizione dei contributi dei dipendenti iscritti alle gestioni pubbliche, l’Ente chiarisce che la posizione assicurativa potrà essere sistemata anche dopo il 1° gennaio 2019.  Questa data ha rilievo per i rapporti fra INPS e datori di lavoro pubblici, perché mutano le conseguenze del mancato pagamento contributivo accertato dall’Istituto.

Il 31 dicembre 2018 non deve essere considerato come la data ultima entro cui l’iscritto/dipendente pubblico può chiedere la variazione della propria posizione assicurativa, ma come il termine che consente al datore di lavoro pubblico di continuare ad applicare la precedente prassi consolidata nella Gestione dell’ex INPDAP che individuava la data di accertamento del diritto alla contribuzione di previdenza e assistenza come giorno dal quale inizia a decorrere il termine di prescrizione.

Sotto questo aspetto, la circolare INPS 15 novembre 2017, n. 169 non ha fatto altro che dettare disposizioni di armonizzazione in materia di prescrizione fra tutte le gestioni dell’Istituto, facendo decorrere la prescrizione contributiva dalla data di scadenza del termine per effettuare il versamento; al tempo stesso, è previsto un periodo transitorio, fino al 31 dicembre 2018, durante il quale i datori di lavoro possono continuare ad avvalersi delle modalità in uso nell’INPDAP per la regolarizzazione contributiva.

A maggior chiarimento, va evidenziato che i flussi di denuncia che perverranno all’INPS dal 1° gennaio 2019 saranno gestiti secondo le nuove indicazioni; i datori di lavoro pubblici potranno quindi continuare ad aggiornare le posizioni assicurative dei dipendenti, ma per i flussi trasmessi dal 1° gennaio 2019 dovranno sostenere un onere calcolato secondo le indicazioni della circolare INPS 169/2017.

Pertanto, il termine del 31 dicembre 2018 non è un termine decadenziale per i lavoratori. I lavoratori pubblici possono, anche successivamente al 31 dicembre 2018, presentare richiesta di variazione della posizione assicurativa. Ciò che cambia sono gli effetti che scaturiscono a carico dei datori di lavoro pubblici, mentre il periodo di lavoro alimenta il conto assicurativo e viene reso disponibile alle prestazioni.

I dipendenti che vogliano verificare la propria posizione assicurativa possono accedere, tramite PIN, all’estratto conto e verificarne la correttezza. In caso riscontrassero lacune o incongruenze, possono chiedere la variazione RVPA, istanza per la quale non è previsto alcun termine perentorio.

L’unica eccezione è costituita dagli iscritti alla Cassa Pensioni Insegnanti (CPI), ossia gli insegnanti delle scuole primarie paritarie (pubbliche e private), gli insegnanti degli asili eretti in enti morali e delle scuole dell’infanzia comunali (non rientrano in questa categoria, invece, i docenti MIUR).

Per questi lavoratori, nell’ipotesi di prescrizione dei contributi, il datore di lavoro può sostenere l’onere della rendita vitalizia; nel caso in cui non vi provveda, il lavoratore dovrà pagare tale onere per vedersi valorizzato il periodo sulla posizione assicurativa.

Bene, dunque, ricordare per evitare ALLARMISMO, che la prescrizione dei contributi non mette a rischio la pensione per i lavoratori del settore pubblico.

Anche in assenza di recupero della contribuzione dovuta per avvenuto decorso del termine di prescrizione quinquennale, l’attività lavorativa svolta sarà considerata utile ai fini della pensione.

Per quanto riguarda il personale della scuola statale, si dovrà far attenzione invece a distinguere i periodi di pre-ruolo da quelli di ruolo poiché i due periodi hanno trattamenti di Cassa diversificata. 

Per il pre ruolo, riporta la Flc Cgil, la condizione prevista dalla Circolare Inps n.169/2017, sarà applicata solo per i periodi svolti dopo il 1988 (per i periodi di supplenza svolti prima del 1988 il versamento è stato effettuato a carico di altra cassa previdenziale, la verifica di questi contributi va trattata diversamente ed è quella su cui permangono invece altre difficoltà che abbiamo denunciato e seguiamo già da un po’ di anni).

Attenzione, per gli insegnanti di asilo e scuole elementari parificate resta valido il regime previsto per i lavoratori dipendenti del settore privato: i contributi prescritti non sono validi ai fini della pensione.

Somme aggiuntive o tardivo pagamento

In caso di somme aggiuntive dovute nelle situazioni di versamento omesso, ritardato oppure non sufficiente, per il datore di lavoro, la situazione è differente, in quanto il periodo di prescrizione è decennale, così come stabilito da una sentenza della Corte di Cassazione, n. 18148 del 2006.

I giudici hanno sancito che le somme aggiuntive sono identificabili come sanzione. Nel caso, dunque, si riceva una cartella esattoriale che intima il pagamento dei contributi non versati e delle somme aggiuntive per il mancato versamento, è necessario ricordarsi che i primi si prescrivono in cinque anni mentre le seconde in dieci anni.

Nel caso in cui siano caduti in prescrizione soltanto i contributi, allora è possibile chiedere ad Equitalia, l’annullamento parziale della cartella esattoriale.

Pensioni docenti, molti i beffati con quota 62+38, per loro un’altra iniquità

da La Tecnica della Scuola

Pensioni docenti, molti i beffati con quota 62+38, per loro un’altra iniquità
Di Anna Maria Bellesia

Se ne stanno rendendo conto in molti. La quota 62 anni di età + 38 anni di contribuzione sembra pensata per restringere la platea dei beneficiari della pensione, piuttosto che per anticiparla ai lavoratori più anziani, trattenuti coattamente dalla Fornero. La riforma, in cui tanti speravano, creerà nuove iniquità invece di rimediare a quelle esistenti.

All’inizio, pareva che l’asticella fosse fissata a quota 64+36, e avrebbero potuto beneficiarne 450mila lavoratori, fra cui moltissimi docenti, la categoria che ha il maggior numero di ultra sessantenni. Poi l’asticella è stata alzata a 37 anni, e i beneficiari sono scesi a 410mila (più favorito il settore privato, dove si vuole lasciare spazio ai giovani e dare impulso all’economia, più contenuta la percentuale nel settore pubblico, che evidentemente non sta più a cuore a nessun governo). Da ultimo, con il limite di 38 anni, la platea si è ulteriormente ristretta, si stima fra i 350 e i 400mila richiedenti. Le altre combinazioni possibili sono state scartate per i costi troppo alti.

Saranno dunque penalizzati i lavori più anziani che hanno meno di 38 anni di contributi, e che saranno trattenuti al lavoro fino a quota 101,102,103,104. Fino ai fatidici 67 anni, senza sconti.

Fra questi, molti docenti. Nella scuola, anzi, ci sarà il maggior numero di beffati, perché ogni “carriera” di insegnante comincia con le supplenze brevi e saltuarie, e non si maturano gli anni di contribuzione necessari.

La manovra annunciata va dunque incontro certamente alle esigenze di vita di una considerevole platea di beneficiari, ma non risponde al criterio di equità, perché si tengono comunque al lavoro i più anziani, invece di mandarli in pensione con qualche anticipo, come sarebbe logico e giusto aspettarsi.

Si tratta dei lavoratori nati negli anni Cinquanta, che oggi hanno più di 60 anni, e sono stati i più mazziati di tutti: pagano la pensione ai baby pensionati che hanno lavorato 15-20 anni e sono in pensione da una vita, mentre loro si sono visti allungare la vita lavorativa di molti anni dalla Fornero, tutti dopo i 60, senza alcuna gradualità, senza alcuna equità, solo per “salvare” i conti pubblici nel modo più facile e sbrigativo.

Contro la legge Fornero, Lega e M5S hanno fatto anni di battaglie. Salvini, soprattutto, continua a ripetere che la legge Fornero è “ingiusta” e “vigliacca”, che ha causato “ingiustizie e sofferenze”, che bisogna smontarla per mandare in pensione gli anziani a fare i nonni e lasciar spazio sul lavoro ai giovani, che bisogna restituire agli italiani il “diritto alla pensione” ad un’età non troppo avanzata, e addirittura il “diritto alla felicità” (non ne sentivamo parlare dall’epoca dell’illuminista Jefferson).

Sta di fatto che gli ultra sessantenni, che non raggiungono il paletto fissato a 38 anni di contribuzione, non avranno riconosciuto nessun diritto di uscire un poco prima dal lavoro, e non avranno altra chance, se proprio non ce la fanno più, di chiedere il mutuo alla banca, previsto da Renzi, e chiamato Ape volontaria. Cioè di pagarsi di tasca propria l’anticipo pensionistico, con gli interessi per banche e assicurazioni.

Come si fa a mandare in pensione lavoratori di 62 anni e tenere anziani di 65 e oltre? Chi comincia a capire, comincia pure ad arrabbiarsi, e a parlare di tradimento delle promesse elettorali, come leggiamo in rete. Certamente quella dei 62+ 38 non è la riforma equa tanto attesa.

Primaria, in arrivo maestri di musica, inglese e motoria con specifica classe di concorso: lo prevede il Def

da La Tecnica della Scuola

Primaria, in arrivo maestri di musica, inglese e motoria con specifica classe di concorso: lo prevede il Def
Di Alessandro Giuliani

Introdurre anche nella scuola primaria dei docenti specializzati in musica, inglese e educazione fisica , con tanto di classi di concorso: la novità, che per il settore scolastico sarebbe rilevante, è una conseguenza delle novità indirizzate alla scuola previste dal Documento di economia e finanza presentato in questi giorni dal governo al Parlamento.

Gissi (Cisl): vogliono fare classi di concorso ad hoc

A soffermarsi sullo specialista in motoria, inglese e musica, è stata Maddalena Gissi, segretario generale della Cisl Scuola, nel corso di una disamina del Def, relativo alla scuola, definito “un lungo elenco, con luci e ombre, e il rischio che rimanga una scatola vuota”: la sindacalista confederale, si sofferma, in particolare, sul fatto che “la previsione di impiegare sulla primaria insegnanti di musica, inglese e educazione fisica, già contenuta nella legge 107, verrebbe ora rafforzata con l’ipotesi di creare addirittura nuove classi di concorso destinate a tale scopo”.

Quindi, per accedere alle cattedre di motoria, inglese e musica, insegnando ai bambini tra i sei e dieci anni, l’intenzione sarebbe di istituire delle classi di concorso ad hoc.

Così si “secondarizza” la primaria

Una possibilità che il sindacato non sembra gradire, visto che la Gissi parla di provvedimento che condurrebbe verso “una deriva pericolosa, con discutibili effetti di secondarizzazione già in altre occasioni evidenziati nel dibattito sull’identità della scuola primaria e del profilo professionale di chi vi insegna”.

La leader della Cisl Scuola ha da ridire anche “sull’estensione del tempo pieno e del tempo prolungato: il richiamo all’effettiva esistenza delle condizioni è talmente pleonastico da assomigliare in realtà a una cautela preventiva contro facili ottimismi£.

Perplessità anche sull’autonomia differenziata

Una “stoccata” viene quindi data al tentativo di regionalizzare il sistema formativo scolastico italiano, con alcune regioni del Nord, in testa il Veneto, a fare da apripista: “qualche preoccupazione – dice ancora la Gissi – ci deriva anche da quanto sta scritto in altra parte della nota di aggiornamento, riguardo all’attuazione della cosiddetta ‘autonomia differenziata’. La scuola entrerà in quella partita? E con quali prospettive? Noi restiamo affezionati a un sistema unitario e nazionale, che dia a tutti pari opportunità e garanzie”.

Attendiamo – conclude la Gissi – qualche elemento in più di conoscenza, meglio ancora se questo avverrà in formali occasioni di confronto con le parti sociali. Già tante volte si è visto quanti danni possa fare la pretesa della politica di legiferare in modo autoreferenziale”.

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