Diritti umani, diritti quotidiani

Diritti umani, diritti quotidiani

di Margherita Marzario

Abstract: Trasmettere ai ragazzi la cultura dei diritti umani non come qualcosa di astratto ma come una realtà a portata di mano se ci si dà una mano!

 

L’articolo 30, che è l’ultimo, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, recita: “Nessuna disposizione della presente Dichiarazione può essere interpretata nel senso di implicare che uno Stato, un gruppo o una persona abbiano il diritto di esercitare un’attività o compiere degli atti miranti alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati”. È interessante mettere in relazione alcune enunciazioni della Dichiarazione con qualcuna delle problematiche più vive del XXI secolo.

Art. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. “Non ci sono i cattivi inguaribili, dentro l’uomo corazzato dalla sicurezza batte un cuore fanciullo che va svegliato, dentro l’uomo che è sicuro della sua cultura c’è l’analfabeta che può salvarlo” (dal pensiero dell’“educatore delle coscienze”, padre Ernesto Balducci, espresso anche nel suo scritto “Gli ultimi tempi”). Per questo si è tutti bisognosi e responsabili di coeducazione e di rieducazione. Aiutarsi a crescere, correggersi a vicenda, sostenersi è essere profondamente uomini, rivelare la vera natura umana: “Esistono persone, ed è un dato antropologico nuovo, che entrano in una fase d’indecisione attorno ai vent’anni e non ne escono per molto tempo. Essendo fallita la fase d’identificazione della propria direzione, si può arrivare ai quarant’anni senza aver fatto alcuna scelta definitiva. È un’area di parcheggio di cui molti non trovano l’uscita e le persone in questo stallo non riescono, per esempio, a sposarsi o ad identificarsi, ossia a prendere una via univoca. Spesso sono condizionati da una cultura circostante di fatto largamente ambigua” (don Fabio Rosini).

Art. 3 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. Il bioeticista Paolo Marino Cattorini spiega: “La vita fisica non deve essere prolungata a ogni costo, ma va vissuta lungo il percorso biografico più carico di senso umano”. Pensiero affine a quello della psicologa e psicoterapeuta Paola Versari: “L’essere umano contemporaneo sta attraversando una crisi spirituale che, prima ancora che economica, sociale o politica, è crisi spirituale, umana e antropologica. Egli, sedotto dal falso ideale della «bella vita», che serve solo a nascondere il vuoto interiore, ha perso di vista la possibilità, insita in ciascuno, di realizzarsi attraverso una «vita bella», una vita cioè che abbia uno scopo, una direzione; una vita libera, perché priva di risposte prestabilite; una vita pienamente vissuta e non «reagita»”[1]. Da individuo a persona, da essere vivente ad essere umano, da solo a solidale: da “bella vita” a “vita bella”.

Art. 16 par. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento”. La disposizione dell’art. 3, “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”, deve essere rispettata anche nella vita matrimoniale, per cui anche il divorzio (o la fine di una convivenza more uxorio) dovrebbe portare il miglioramento delle condizioni di vita di entrambi, come è stato all’inizio della vita in coppia, e non accanimento contro una parte, che troppo spesso è l’uomo, come sottolinea lo scrittore lucano Gaetano Cappelli in un suo romanzo: “Se infatti una moglie decide di lasciare il marito, non necessariamente per colpa del coniuge ma per un qualsiasi motivo, diciamo che si è innamorata di un altro o più semplicemente è stanca di trovarselo tra i piedi, nonostante sia lei, in termini legali, la responsabile della rottura di un contratto – cos’altro è un matrimonio? – sarà comunque l’incolpevole marito a essere penalizzato dovendole lasciare casa, figli e una parte sostanziosa dello stipendio di cui magari usufruirà il nuovo compagno della ex, per tornarsene dai genitori, ammesso che vogliano o possano ospitarlo, altrimenti riducendosi in miseria. Più di qualcuno degli homeless che girovagano per le strade delle nostre grandi città è un disgraziato che non ha retto economicamente la situazione”.

Art. 16 par. 2 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi”. Convincere e convincersi (dal latino “cum” e “vincere”): letteralmente “superare, legare a sé con, per mezzo, insieme”: è anche questo il significato del consenso necessario per il matrimonio. Sposarsi solo perché si è raggiunta una certa età o mettendo in conto già un’eventuale separazione o altre riserve mentali e congetture esclude “il libero e pieno consenso”, significa minare anticipatamente le basi del matrimonio. Anche perché sono cambiate consuetudini e convenzioni, come scrive la giornalista Luisa Santinello: “Pensare che solo settant’anni fa bastavano un baule pieno di lenzuola ricamate e un servizio di piatti buono per realizzare un matrimonio e mettere su famiglia… anche all’epoca la situazione economica non era fiorente, ma si era convinti che, dinanzi alle difficoltà, l’unione facesse la forza”.

Anche se non è previsto né dal diritto civile né dal diritto canonico, è fondamentale la reciprocità dell’amore per “il libero e pieno consenso”, quell’adesione all’altrui volontà, all’altrui sentimento, necessaria per giungere al matrimonio e per superare ogni quotidiana difficoltà, anche per l’eventuale “mutuo dissenso” in caso di separazione e divorzio: “Un amore a senso unico non ha senso. Il segreto per un matrimonio felice? Sposa qualcuno che condivida questo unico motivo di sposarsi: morire al tuo fianco, non dopo cinquant’anni, ma ogni giorno, smantellando il suo muro di ego e il tuo” (il salesiano Bruno Ferrero).

Il teologo Bert Daelemans dettaglia: “«Non è il vostro amore a sostenere il matrimonio, ma d’ora innanzi è il matrimonio che sostiene il vostro amore». Queste parole semplici del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer […] comprende ciò che Bonhoeffer chiama, con sincero realismo, «il trionfo umano», che, a sua volta, implica lotta, processo, pazienza, mediocrità e disillusione. […] Se la vita matrimoniale trascura questo principio, cresce il pericolo che il progetto comune vada in pezzi alla prima difficoltà. Se il progetto comune ha solo l’amore come base, non è difficile immaginare che cosa facciano gli sposi «quando non c’è più l’amore». […] Ogni nascita è più di un avvenimento puntuale: è un processo graduale. Darsi e riceversi vicendevolmente non è un avvenimento che si verifica una volta sola: è un cammino. […] In questo senso si pongono le preziose riflessioni del teologo spagnolo Dionisio Borobio: «L’amore matrimoniale è un amore sacrificato, un amore che può sussistere soltanto se è disposto alla rinuncia, all’offerta di se stesso, al mutuo perdono»”. “Consenso”, dal latino “cum”, con, e “sentire”, sentire, pensare, ritenere”: presuppone, pertanto, anche la consapevolezza di quello che si intende e si sente come amore. “Libero e pieno” significa anche privo di condizioni e condizionamenti. Per stare insieme ci vuole fede nell’altro, fiducia dell’altro, fedeltà verso l’altro.

Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti e formatori, affermano: “[…] l’amore ha bisogno di parole. Anzi, di dichiarazioni. È così che il gesto diventa inequivocabile. […] Dare parola all’amore anche nei gesti più ordinari è una riserva che nutre la coppia. Non c’è nessun amore che permanga «spontaneamente», come spontaneamente è nato, come pensano certi ingenui innamorati che fanno dello spontaneismo il loro criterio di verità. L’amore si nutre di parole buone che accompagnano i gesti, proprio quelli ordinari (oltre che quelli dell’intimità, s’intende!). Insomma: «Le dichiarazioni d’amore non finiscono mai»”. Il “libero e pieno consenso” è basato anche sulla consapevolezza (“sapere insieme”), non quella consapevolezza che l’amore finisce o che in caso di difficoltà vi è la possibilità di separazione/divorzio, perché in tal caso il consenso è già falsato o minato. Il consenso libero e pieno, invece, è fondato sulla consapevolezza che l’amore si forma e trasforma in continuazione e che bisogna uniformarsi in tal senso: comunione e comunicazione, che nella quotidianità devono avere consolidamento e non appiattimento. Altrimenti ci si allontana e si prendono strade diverse, proprio come nel significato etimologico di “divorzio”, “volto in diversa parte”.

La consapevolezza della dialettica dell’amore è e deve essere alla base del libero e pieno consenso dei futuri coniugi e successivamente della famiglia, come argomenta il filosofo Vittorio Possenti: “La dialettica dell’amore è aperta, libera, e pertanto il futuro non è prefissato, qualcosa di altamente diverso dalla ripetizione dell’identico. L’amore fonda la novità e apre possibilità nuove non incluse nel già dato e nel già noto; dunque sveglia l’essere umano, mentre il determinismo tende ad addormentarlo”[2].

“Coppia” significa etimologicamente “legame, congiunzione”, pertanto comporta accettazione, accoglienza, abbraccio dell’altro sul presupposto della “conoscenza” e della “consapevolezza”, anche e soprattutto delle differenze, da quelle di origine a quelle caratteriali. Molti matrimoni non si dovrebbero contrarre perché basati su un’apparente conoscenza, una superficiale consapevolezza e un consenso condizionato e parziale. “Cosa è mio marito per me? È la mia parte maschile! Cosa sono io moglie per lui? La sua parte femminile. È il dono che mi è stato consegnato con tutta la sua storia: se non amo la sua storia e non ci entro con tutta me stessa non potrò mai decidere di AMARE. Se non generiamo il Noi della coppia non saremo generatori di figli nel vero senso della parola” (da “Elogio della differenza” di Cristina Righi).

Sposarsi per compiacere le aspettative altrui, per non infrangere i sogni della cerimonia nuziale e del ricevimento, perché si porta avanti da tempo una relazione sentimentale, per il timore di esprimere quello che si prova veramente o gli eventuali dubbi è una delle peggiori premesse perché vengono a mancare il consenso libero e incondizionato e la consapevolezza di quello cui si va incontro. Un matrimonio fallimentare o fallito non è solo un fatto personale, in quanto comporta elevati costi relazionali, sociali ed economici. Il matrimonio è un “dramma” (etimologicamente “azione, lavoro”), perché esige sentimento, coinvolgimento, impegno. Un matrimonio va in crisi se viene a mancare qualcuno di questi elementi o perché non c’è mai stato qualcuno di questi elementi. In molti matrimoni viene a mancare la libera scelta nel momento della celebrazione, perché uno dei due o nessuno dei due sa o vuole veramente quello che sta facendo.

Lo psicoterapeuta Edoardo Vian sostiene: “Il punto focale è la gratificazione. Se qualcuno pensa che la vita di coppia sia una gratificazione preventiva e costante si sbaglia. E se convolo a nozze con questa aspettativa per poi scoprire che non è così, è facile si insinui il dubbio della fregatura, di aver mancato il partner giusto: avrei sbagliato campanello, la mia “anima gemella” stava al numero successivo…”. Sposarsi ed essere sposati non è aspettarsi qualcosa dall’altro, ma aspettarsi l’un l’altro; il consenso va rinnovato e trovato di volta in volta. Il consenso deve essere scevro da compromessi, convincimenti o convenienze e deve (o dovrebbe) rimanere e permanere in tal modo.

Art. 16 par. 3 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato”. Esplicative le parole del sociologo Francesco Belletti: “La natura e il significato della famiglia vanno dunque oltre la dimensione privatistica per rivestire il compito di soggetto sociale, in quanto i suoi scopi e le sue funzioni, a partire dalla funzione generativa, educativa e di cura, sono essenzialmente al servizio del bene comune. Si tratta di una vera e propria “eccedenza generativa”, vale a dire di una capacità della famiglia di far nascere non solo legami e capacità solidaristiche interne, ma di produrre anche orientamento pro-sociale, solidarietà verso gli altri, una crescita del “capitale sociale” da cui trae beneficio l’intera collettività. Si può parlare anche, a ragione, di un deciso “valore aggiunto” della famiglia per la società tutta”.

Si legge ancora: “[…] avviare una sperimentazione operativa di interventi “family-centered”, caratterizzati da:

  • empowerment e promozione delle famiglie,

  • processi partecipativi,

  • costruzione di reti integrate (pubblico privato, formale informale, fornitori di servizi – utenti-destinatari),

  • una sperimentazione che sia, se ritenuta valida a seguito di adeguato monitoraggio e valutazione partecipata, stabilizzata e messa a sistema.

Una qualità diventa fondamentale, per politiche familiari realmente sussidiarie; occorre un approccio promozionale nei confronti della famiglia, proposto come criterio essenziale per la progettazione e la realizzazione di politiche sociali innovative e non assistenziali, capaci cioè di generare cittadinanza attiva (o responsabilità sociale) nelle persone e nelle famiglie. Secondo tale prospettiva, in effetti, le risposte che il sistema politico e sociale deve attivare di fronte ai bisogni delle famiglie non devono porsi nell’ottica primaria o peggio esclusiva di “risolvere i problemi”, ma devono in primo luogo cercare di “rimettere in moto” il sistema famiglia, considerandolo non come destinatario passivo di prestazioni, ma come partner attivo di un percorso di aiuto in cui sia il portatore di bisogno (la famiglia, da sola o meglio associata) sia il prestatore di aiuto (servizi, enti locali, governo centrale, ecc.) progettano e realizzano insieme percorsi di uscita dalle condizioni di mancanza e di bisogno”[3]. In tal modo la famiglia è e torna ad essere quello che è.

Art. 19 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, compreso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee, attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Se in passato le lotte per i diritti umani vertevano innanzitutto sulla vita e sulla sopravvivenza, ora si discute pure su altro come la questione di genere, teoria di genere, studi di genere. Purché non si faccia il gioco di lobby e non si trascenda in estremismi che hanno e sanno poco di diritti umani.  La filosofa e teologa Lucia Vantini dichiara: “In estrema analisi, e senza negare la complessità del tema, il compito specifico assunto dalle teorie di genere possiamo dire sia quello di sollevare alcune domande coraggiose che raggiungono le profondità più intime di ogni esistenza”[4]. “Ognuno ha il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai benefici che ne derivano” (art. 27 par. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani). L’autrice Vantini aggiunge: “Ciò che la categoria di genere fa emergere va ascoltato, ma occorre discernere, fare delle distinzioni, recuperare il contesto, assumere un atteggiamento disponibile alla formazione e al confronto aperto. Il tutto senza mai perdere di vista che mentre si spendono tante energie e ci si accanisce nella definizione della cosiddetta «natura umana», si finisce per sorvolare su ciò che, davvero, ci disumanizza”. Non bisogna dimenticare che: “Ognuno ha doveri nei confronti della comunità, solo nella quale è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità” (art. 29 par. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).

Art. 26 par. 2 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “L’istruzione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”. Ciò che dovrebbe costituire e contraddistinguere gli esseri umani è l’istruzione, quel binomio di insegnamento e educazione – di cui si parla nell’ultimo capoverso del Preambolo -, fondamento della civiltà umana e dell’unica famiglia umana. “La scuola di don Lorenzo indicava ai ragazzi sempre obiettivi nobili e alti per cui studiare. Non si lasciava mai nessuno indietro. Se un ragazzo si fermava veniva preso per mano e portato al livello degli altri per riprendere il cammino insieme. Purtroppo la scuola di Stato indica obiettivi molto più individualistici. I ragazzi hanno dentro corde straordinarie: se riusciamo a far vibrare quelle giuste si impegnano straordinariamente, se invece si toccano quelle sbagliate mandano tutto al diavolo e si perdono. Tocca in primo luogo alla scuola e alla famiglia far vibrare le corde giuste, oggi poi che sono moltiplicati i cattivi maestri: droga, violenza e, se mal usati, Internet e telefonini. E lo Stato anziché aiutare i bravi maestri, e ce ne sono tanti, ha spesso prodotto riforme lontane dalla lezione di Lettera a una Professoressa mentre, con qualche ipocrisia, emana francobolli per ricordare Barbiana. Purtroppo la scuola è ancora selettiva e la dispersione altissima. Continua a colpire le nuove e tante Barbiana del mondo che hanno solo cambiato luogo e colore della pelle” (Michele Gesualdi, ex-allievo di don Lorenzo Milani). Si ricordi che l’istruzione ha nobili intenti e nobilita le menti.


[1] P. Versari in “Dalla «bella vita» a una vita bella. Colmare i vuoti di senso alla scuola di Viktor E. Frankl”, Edizioni Ares, 2015

[2] V. Possenti in “I volti dell’amore”, Marietti Editore, 2015, p. 11

[3] Da una relazione a cura di Francesco Belletti, direttore Cisf – Centro Internazionale Studi Famiglia – Milano, 21 giugno 2017

[4] L. Vantini in “Genere”, EMP, 2015

Studenti con DSA, detrazione del 19% per strumenti compensativi e sussidi tecnico/informatici

da La Tecnica della Scuola

Studenti con DSA, detrazione del 19% per strumenti compensativi e sussidi tecnico/informatici
Di Lara La Gatta

Godono della detrazione IRPEF le spese sostenute, a partire dal 1° gennaio 2018, dai soggetti sia minori che maggiorenni, con diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) fino al completamento della scuola secondaria di secondo grado, per l’acquisto di strumenti compensativi e di sussidi tecnici e informatici, nonché per l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento delle lingue straniere.

Si tratta di una misura introdotta dalla Legge di Bilancio 2018 che ha introdotto la lettera e-ter) all’articolo 15, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi.

Documentazione necessaria

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con provvedimento del 6 aprile scorso, per fruire della detrazione, il beneficiario deve essere in possesso di un certificato rilasciato dal Servizio sanitario nazionale, da specialisti o strutture accreditate, che attesti per sé ovvero per il proprio familiare, nel caso in cui la spesa è sostenuta nell’interesse di un familiare a carico, la diagnosi di DSA.

La detrazione spetta a condizione che il collegamento funzionale tra i sussidi e gli strumenti compensativi e il tipo di disturbo dell’apprendimento diagnosticato risulti dalla suddetta certificazione ovvero dalla prescrizione autorizzativa rilasciata da un medico.

Ai fini della detrazione, le spese sostenute devono essere documentate da fattura o scontrino fiscale, nel quale indicare il codice fiscale del soggetto affetto da DSA e la natura del prodotto acquistato o utilizzato.

Quali acquisti si possono detrarre?

Si considerano strumenti compensativi, gli strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. Tra gli strumenti compensativi essenziali sono ricompresi, in via esemplificativa:

  • la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;
  • il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della lezione;
  • i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale correzione degli errori;
  • la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;
  • altri strumenti tecnologicamente meno evoluti quali tabelle, formulari, mappe concettuali, etc.

Si considerano sussidi tecnici ed informatici le apparecchiature e i dispositivi basati su tecnologie meccaniche, elettroniche o informatiche, quali, ad esempio, i computer necessari per i programmi di video scrittura, appositamente fabbricati o di comune reperibilità, preposti a facilitare la comunicazione interpersonale, l’elaborazione scritta o grafica, l’accesso alla informazione e alla cultura.

Studenti in piazza in tutta Italia contro tagli del governo

da La Tecnica della Scuola

Studenti in piazza in tutta Italia contro tagli del governo
Di Redazione

Gli studenti scendono in piazza oggi in oltre 30 città al grido di “Chi ha paura di cambiare? Noi no”.

La rete degli studenti critica il “governo del cambiamento”, accusandolo di “propaganda” e “strumentalità”, per avere definito “risparmi” i “100 milioni di tagli sulla scuola”.

Aderiscono all’iniziativa anche gli universitari e la Flc Cgil rivendicando l’urgente messa in sicurezza degli edifici scolastici, un ripensamento dell’alternanza scuola-lavoro e investimenti per il diritto allo studio.

Concorso DS: il TAR Lazio respinge il ricorso per l’ammissione allo scritto

da Tuttoscuola

Concorso DS: il TAR Lazio respinge il ricorso per l’ammissione allo scritto

È di questi ultimi minuti la notizia, peraltro ancora ufficiosa, che il Tar Lazio ha respinto il mega-ricorso di candidati che chiedevano l’ammissione alla prova scritta del concorso per dirigenti scolastici, pur non avendo ottenuto nella prova preselettiva il punteggio utile per entrare negli 8.700 ammessi allo scritto come previsto dal bando.

Si attende ora l’ufficialità della notizia riferita dagli studi legali che, a vario titolo, avevano patrocinato il ricorso.

La previsione della bocciatura si era intuita dal testo di tre ordinanze del Tar che oggi aveva accolto il ricorso di altrettanti candidati che chiedevano di ripetere la prova preselettiva a causa dell’interruzione del collegamento informatico.

Nell’ordinanza di accoglimento dei ricorsi di quei tre candidati il Tar precisa che l’eventuale superamento della nuova preselezione potrà valere per l’ammissione allo scritto a condizione che il nuovo punteggio conseguito sia almeno di 71,70 punti (cioè il punteggio conseguito dall’ultimo degli ammessi nella preselezione del 23 luglio).

In quel modo il TAR aveva anticipato di fatto il respingimento di chi richiedeva l’ammissione per avere conseguito un punteggio sufficiente di almeno sei decimi, cioè almeno 60/100.

Il TAR, come aveva auspicato la segretaria della Cisl Scuola, questa volta non è stato troppo creativo.

La ricerca del paradiso

INAUGURAZIONE IL 13 OTTOBRE DALLE 17.30

IN ESPOSIZIONE FINO AL 21 OTTOBRE 2018

A MILANO PRESSO LA CASA DI VETRO

L’ARTE COME FORMA DI ESPRESSIONE DI CHI È DISABILE NE “LA RICERCA DEL PARADISO”, LA NUOVA MOSTRA DEL FOTOGRAFO ROBERTO SALVATORE SIRCHIA

“ASCOLTA CON GLI OCCHI, PARLA CON LE MANI”

 

In anteprima nazionale, presso La Casa di Vetro di Milano, inaugura il 13 ottobre alle 17.30 “Roberto Salvatore Sirchia. La ricerca del Paradiso”, la nuova mostra del fotografo milanese dedicata al mondo della disabilità. L’autore espone una selezione di immagini tratte dal suo reportage realizzato tra il marzo e il maggio scorso nelle aule della scuola della Fondazione Giovanni e Irene Cova, dove ha seguito il percorso formativo di Kristian, un ragazzo sordo e con ritardo mentale. Realizzata in collaborazione con Fondazione Giovanni e Irene Cova, Scuola Cova e Fraternità e Amicizia – Cooperativa Sociale Onlus, l’esposizione è in programma fino al 21 ottobre 2018.

 

 

Per me, la vita è il dono che Dio vi ha fatto.

Il modo in cui vivete la vostra vita è il dono che voi fate a Dio.

Fate in modo che sia un dono fantastico.

 

Leo Buscaglia (dal libro, di cui è autore, “Vivere, Amare, Capirsi”, edizioni Mondadori)

 

Avete il pennello, avete i colori, dipingete il Paradiso e poi entrateci.

 

Nikos Kazantzakis (dal libro di Leo Buscaglia “Vivere, Amare, Capirsi”, edizioni Mondadori)

 

La disabilità non è una coraggiosa lotta o il coraggio di affrontare le avversità. La disabilità è un’arte. Un modo ingegnoso di vivere.

 

Neil Marcus

 

“ROBERTO SALVATORE SIRCHIA. LA RICERCA DEL PARADISO”

 

Inaugura a Milano in anteprima nazionale il 13 ottobre alle 17.30 “Roberto Salvatore Sirchia. La ricerca del Paradiso”, la nuova mostra del fotografo milanese dedicata alle persone colpite da disabilità e a chi cerca di supportarle e formarle per farle uscire dal loro isolamento fisico e mentale. In programma fino al 21 ottobre 2018 presso La Casa di Vetro, l’esposizione si compone di 38 immagini stampate in analogico (quasi tutte in formato 30×40) tratte dal fotoreportage che l’autore milanese ha realizzato tra il marzo e il maggio scorsi presso la scuola della Fondazione Giovanni e Irene Cova di Milano, dove ha seguito le speciali lezioni di Kristian, un adolescente che fin dalla nascita ha dovuto affrontare le difficoltà di chi nasce sordo e con un ritardo mentale.

 

A seguire il ragazzo di 18 anni, che “ascolta con gli occhi e parla con le mani”, è Erminia Sciacca, la sua assistente all’autonomia e alla comunicazione. Ed è proprio lei ad aver proposto alla direzione della scuola Cova un percorso educativo-didattico individualizzato e personalizzato dal titolo “Le mie mani parlano…”. Un progetto formativo che ha come fine quello di immergere Kristian nel mondo dell’arte facendo così emergere tutta la sua creatività. La proposta è stata approvata dalla Fondazione, in quanto in linea con la storia dell’istituto che nel corso del tempo ha visto alternarsi nelle sue aule illustri esponenti dell’arte come Bruno Munari, Giò Ponti, Nanni Valentini, Carlo Zauli, Nino Caruso e Libero Vitali.

 

“Fonte di ispirazione del progetto – spiega Erminia Sciacca – proprio l’artista, designer e scrittore Bruno Munari che nei suoi scritti non solo ha sottolineato l’importanza del senso del tatto per conoscere la realtà ma ha anche rimarcato come l’arte visiva non vada solo raccontata ma anche sperimentata”. Sono state perciò mostrate a Kristian le opere di alcuni artisti sordi facenti parte del movimento artistico “De’ VIA” (movimento artistico nato nel 2010 con l’intento di far conoscere la cultura sorda nel mondo) e in particolare quelle dell’artista Nancy Rourke, che usa solo i colori primari, il bianco e il nero, per realizzare dipinti con cui racconta storie ed esprime le sue opinioni in una lingua che non sia solo quella dei segni. “Quindi – sottolinea Erminia Sciacca – è stato proposto a Kristian di sperimentare in prima persona l’arte attraverso l’uso delle mani, confrontandosi con i diversi materiali. Un’attività che ha permesso al ragazzo di sviluppare delle capacità di codificazione e rielaborazione che lo hanno trasformato in un vero e proprio artista, cioè in qualcuno che usa l’arte per esprimersi”.

 

Uno degli obiettivi del progetto sin dall’inizio è stato quello di far emergere la disabilità non come deficit ma come una risorsa. E perché questo avvenisse e fosse mostrato al mondo la scuola ha deciso di contattare Roberto Salvatore Sirchia, fotografo specializzato in street photography particolarmente bravo a cogliere la personalità emotiva dei suoi soggetti. E Roberto Salvatore Sirchia ha subito risposto all’appello. “Rendendomi però conto – sottolinea il fotografo – nel giro di breve tempo del fatto che i reportage sarebbero stati non uno ma due: il primo dedicato allo studente e l’altro alla stessa Erminia e al prof. Giacomo Viva, l’insegnante di Kristian che gli ha impartito le lezioni di ceramica. Cioè coloro che cercano di costruire, giorno dopo giorno, l’avvenire del ragazzo con fatica, passione, impegno, dedizione, conoscenza e soprattutto amore”.

 

Parlare a lungo con loro e in particolare con Erminia ha fatto capire a Roberto Salvatore Sirchia, che con la disabilità fino a quel momento non si era mai confrontato, in che direzione dovesse guardare: quella della speranza. E prendendo spunto dalla capacità di relazionarsi che hanno avuto gli insegnanti con il loro allievo ha impostato il suo reportage non come semplice foto-storia di come gli educatori di Kristian cercano di formarlo e supportarlo ma come testimonianza visiva di un continuo scambio di vedute, di dialoghi tra persone, indipendentemente dal loro ruolo formale. Un’idea che ha cercato in tutti i modi di trasmettere con le sue immagini.

 

“I fotografi che fanno reportage – spiega Roberto Salvatore Sirchia – hanno due opzioni sulle quali poter lavorare quando trattano di questi argomenti: esasperare le condizioni della disabilità, mettere in risalto le difficoltà e le differenze oggettive, drammatizzando i fatti anche attraverso le stesse modalità di stampa – per esempio utilizzando deliranti contrasti – oppure restituire a questi uomini la dignità di essere persone, sottolineando quanta speranza c’è in un abbraccio, in un gesto, in un sorriso. Ho scelto quest’ultima opzione consapevole che questo era ciò che anche Erminia avrebbe sperato alla fine di questo percorso”.

 

La mostra è stata realizzata in collaborazione con la Fondazione Giovanni e Irene Cova, Scuola Cova e Fraternità e Amicizia – Cooperativa Sociale Onlus.

 

 

LA PULCE, IL RAGAZZO E IL GIGANTE

 

La telefonata, che arrivò qualche mese fa, la ricordo bene.

Mi veniva chiesto se fossi disponibile a fotografare un ragazzo con disabilità, nel suo percorso formativo presso la Scuola Cova di Milano.

Più che altro ricordo l’impatto che ebbe su di me.

Una leggera scossa, in quanto totalmente inaspettata, e la domanda che balenò istintivamente nella mia testa fu: “Cosa so io della disabilità?”.

E la risposta arrivò subito: “Nulla!”.

Sono un “fotografo di strada” e l’unico reportage che ho fatto in passato risale al periodo della “Civica Scuola di Fotografia” di Milano. Più di vent’anni fa.

Una sfida per niente facile. Ma dissi di sì. Mi piacciono le sfide.

Ma come affrontare un lavoro su di un ragazzo sordo?

Passai la serata a pensare al progetto e a come realizzarlo.

Questo durò anche nei giorni successivi, fino al primo giorno delle riprese, quando scoprii un mondo sconosciuto del quale avevo qualche volta sentito parlare, attraverso la televisione o i giornali.

Scoprii un universo fatto di lunghi silenzi, di sguardi, di espressioni e di gesti.

Per me, che ho facoltà di parlare e udire, non erano all’apparenza nient’altro che quello che vedevo.

Per questo ragazzo – Kristian – era la sua lingua ufficiale. “Quella dei segni”.

Ma un’altra realtà si presentava davanti ai miei occhi.

Il lavoro di chi cerca di costruire, giorno dopo giorno, l’avvenire di queste persone.

Con fatica, passione, impegno, dedizione, conoscenza e soprattutto amore.

Era come se stessi facendo due reportage, non uno. O se preferite, uno nell’altro.

Entrato in questo vortice di dedizione e passione, lavorando con calma e soprattutto con la consapevolezza che senza “il tempo” non si combina nulla di buono, ho cominciato ad accumulare scatti fotografici, ritagli di vita, e ciò che vedevo mi lasciava basito e mi stupiva sempre di più.

Mi sono sentito come una pulce davanti alla sua assistente all’autonomia e alla comunicazione, Erminia, la quale al mio fianco mi facilitava il compito, il lavoro.

Era come se le movenze, i gesti, le espressioni intrappolate dentro a un corpo che aveva difficoltà ad esprimersi, improvvisamente prendessero forma, finalmente si manifestassero, in tutta la loro armonia e bellezza!

Di questo si deve ringraziare Erminia, l’assistente alla comunicazione di Kristian.

E’ lei “il gigante” di questo racconto.

Perché questa è anche la sua storia. Sua l’idea di fotografare questo percorso.

Parlare a lungo con Erminia mi ha fatto capire in che direzione dovessi andare.

Meglio in che direzione dovessi “guardare”. Quella della speranza.

Così ho scoperto poco alla volta che il reportage non è fatto solo di fotografie, ma soprattutto di scambi di vedute, di dialoghi continui.

 

I fotografi che fanno reportage hanno due opzioni sulle quali poter lavorare:

“Esasperare le condizioni della disabilità, mettere in risalto le difficoltà e le differenze, oggettive, drammatizzare l’evento attraverso la stampa stessa. Magari utilizzando deliranti contrasti.

Oppure, restituire a questi uomini la dignità di essere “persone”, e la speranza in un abbraccio, in un gesto, in un sorriso.

Ho scelto quest’ultima opzione, consapevole che questo era ciò che anche Erminia avrebbe sperato alla fine di questo percorso.

 

Tutti i miei lavori cominciano sempre con “la luce”.

È un “marchio di fabbrica, una firma” .

Un modo, il mio, di “essere fotografo”.

Diretta, forte come una lama che illumina, o soffusa, ma sempre presente all’inizio di ogni progetto.

Stavolta ho deciso di cominciare con una scatola di matite colorate, un album da disegno e delle mani. Quelle di Kristian.

Non perché abbia cambiato idea.

Ma perché la “luce” è dentro ogni foto, in ogni istante, in ogni momento ripreso.

Non arriva dalle finestre, ma dalle “persone”.

Ma soprattutto perché è rimasta dentro di me, giorno dopo giorno, con questo lavoro.

 

In fondo anche le pulci hanno bisogno della “luce per vivere”.

 

Roberto Salvatore Sirchia

 

 

FONDAZIONE GIOVANNI E IRENE COVA

 

Scuola Cova (www.scuolacova.it) nasce nel 1931 per volontà della sua fondatrice Irene Cova. Nel 1972 si convenziona con Regione Lombardia e diviene Centro di Formazione Professionale, consolidando il suo ruolo di istituto d’arte grazie all’apporto di illustri esponenti come Bruno Munari, Giò Ponti, Nanni Valentini, Carlo Zauli, Nino Caruso e Libero Vitali. Nel 1990 la Scuola trasforma definitivamente la propria personalità giuridica in Fondazione e si iscrive all’Albo Regionale degli Operatori Accreditati per i Servizi di Istruzione e Formazione della Regione Lombardia. Attraverso il Centro di Formazione Professionale vengono erogati percorsi di istruzione dopo la terza media, riconosciuti dal Ministero della Pubblica Istruzione, dal Ministero del Lavoro e da tutti gli organi aventi la facoltà di istituirli per legge. La tradizione formativa della Scuola viene mantenuta nell’ambito dell’artigianato artistico e delle arti applicate, con uno sguardo alle nuove tecnologie ed ai continui cambiamenti del mercato del lavoro. In tali settori si sviluppano corsi di specializzazione, di formazione continua e permanente per la qualificazione ed il perfezionamento delle professioni, oltre ad attività divulgative della cultura artistica ceramica, del disegno artistico, della serigrafia, del restauro, della decorazione degli oggetti, del design e della progettazione di complementi d’arredo. L’offerta formativa della Scuola Cova è rivolta ai giovani che desiderano acquisire competenze professionali e si configura come un’opportunità per sviluppare talenti, attitudini e quelle potenzialità necessarie per un inserimento proficuo nel mercato del lavoro.

 

 

BIOGRAFIA DELL’AUTORE

 

Roberto Salvatore Sirchia nasce a Milano l’11 marzo 1958. Scopre tardi la passione per la fotografia: se ne innamora a 28 anni durante una vacanza in Umbria. Allievo del fotografo Giovanni Chiaramonte, nella prima metà degli anni novanta si diploma presso la “Civica Scuola di Fotografia” di Milano, con un esame finale sul fotografo francese Henri Cartier Bresson. Nel 1994 scatta a Milano quella che considera la sua fotografia più importante e la intitola “Blow-Up” come la celebre pellicola di Michelangelo Antonioni. Quella foto è l’inizio del progetto “Via Mondo” , il lavoro più vicino al suo modo di intendere la fotografia. Tra il 1995 e il 1996 produce un reportage – per conto della Scuola di Fotografia – negli studi dei maggiori fotografi milanesi, appartenenti all’AFIP – Associazione Fotografi Italiani Professionisti. Nel 1998 il critico e gallerista Lanfranco Colombo vede le sue foto e lo fa esporre con una personale nello spazio “Images on the road by Giovenzana” nel centro di Milano. Nel 2009 conosce la poetessa tarantina Maria Letizia Gangemi. Nasce un sodalizio artistico culturale, dove la parola incontra la fotografia, dando vita a due mostre, a Taranto nel 2009 e a Firenze nel 2010. A fianco dell’attività di fotografo, svolge da qualche anno anche quella di collezionista di fotografie antiche. Possiede un “corpus” di alcune centinaia d’immagini che vanno dalla metà dell’800 fino agli anni ’60 del secolo scorso, per lo più di autori ignoti. Vive tra Milano e la provincia di Piacenza.

 

“Argento nero” è il sito del fotografo: https://argentonero.jimdo.com

 

Esposizioni precedenti:

 

  • Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi – Milano, febbraio 1995 (coll.)
  • Images on the road by Giovenzana – Milano, gennaio 1998
  • Studio Fotografico ” Aria di foto ” – Milano, aprile – maggio 1999
  • Spazio Arte S-NE’ CANDEBU’ – Torino, maggio – giugno 1999
  • Circolo Culturale “Bertolt Brecht” – Milano, maggio – giugno 1999 (coll.)
  • Circolo Fotografico Milanese – Milano, febbraio 2003
  • Novegro Photo Cine – Circolo Fotografico Milanese – Novegro, ottobre 2003 (coll.)
  • Images on the road by Giovenzana – Milano, agosto – settembre 2004
  • Lo studio d’arte “Ai Quattro Venti” – Taranto, ottobre 2009
  • Il centro culturale “Il Fuligno” – Firenze, maggio 2010
  • Images on the road by Giovenzana – Milano, giugno – luglio 2013
  • Foto Ottica Giovenzana – Milano, maggio – ottobre 2017
  • Photofestival – Omaggio a Peppino Giovenzana: “Images on the road” ( coll.) – Palazzo Giureconsulti, Milano, maggio – giugno 2018

 

 

CREDITI

 

Titolo:

“Roberto Salvatore Sirchia. La ricerca del Paradiso”

 

Organizzazione e grafica:

Eff&Ci – Facciamo Cose

 

Ufficio Stampa e Comunicazione:

Alessandro Luigi Perna

 

Foto di:

Roberto Salvatore Sirchia

 

La mostra è stata realizzata in collaborazione con:

Fondazione Giovanni e Irene Cova

Scuola Cova

Fraternità e Amicizia – Cooperativa Sociale Onlus

 

 

INFORMAZIONI

 

Inaugurazione aperta al pubblico:

13 ottobre 2018 – ore 17:30 / 19:30

 

Periodo di esposizione:

14 – 21 ottobre 2018

 

Giorni e orari:

Da lunedì a domenica dalle 15:30 alle 19:30 (ultimo ingresso alle 19:00)

 

Ingresso:

Libero

 

Come arrivare

  • MM3 – fermata piazzale Lodi + filobus 91,92
  • Passante ferroviario – fermata Porta Vittoria
  • Filobus 90/91, 93 – fermata viale Molise
  • Filobus 92 – fermata via Costanza Arconati
  • Tram 12 – fermata viale Molise
  • Autobus 66 – fermata piazzale Martini
  • Autobus 84 – fermata via Maestri Campionesi

 

Sede dell’esposizione:

la Casa di Vetro

via Luisa Sanfelice, 3

20137 Milano

 

Info per il pubblico:

Tel. 02.55019565

federica.candela@effeci-facciamocose.com

www.effeci-facciamocose.com