Il regionalismo un fenomeno carsico

Il regionalismo un fenomeno carsico

di Gian Carlo Sacchi

E‘ come un fenomeno carsico, si protrae tra alti e bassi da quasi un ventennio: ora sembra aver subito un’improvvisa accelerazione. Si tratta di un dibattito che ha accompagnato la storia della nostra Costituzione ed in particolare la nascita delle regioni a statuto ordinario. Un rapporto, quello tra governo nazionale e regionale da sempre conflittuale che non ha avuto pace nemmeno con la riforma del titolo quinto della nostra carta fondamentale. I testi sono noti, ma per capire meglio l’evoluzione e ciò di cui ancora oggi stiamo discutendo è importante cogliere il clima politico e amministrativo che ha caratterizzato la fine del secolo scorso, culminata con la predetta revisione costituzionale. Era stata delineata da una maggioranza di centro sinistra e suffragata da un referendum popolare, ma la pressione di una destra che oscillava tra la secessione della padania e la privatizzazione dello stato da trasformare in azienda, avevano impensierito la politica e preoccupato la burocrazia ministeriale e i sindacati.
Tra le materie soggette a rivisitazione nelle attribuzioni istituzionali c’era l’istruzione, che conservava allo stato le norme generali ed i livelli essenziali delle prestazioni , devolveva a competenze concorrenti con le regioni tutto quanto riguardava la governance del sistema scolastico e la formazione professionale che, come in passato, rimaneva a queste ultime. Un cambiamento piuttosto significativo nell’intento di riorganizzare i poteri legislativi e gestionali, ma che rimase pressochè lettera morta, per evitare le suaccennate degenerazioni, facendo rinunciare allo stesso centrosinistra gran parte della sua cultura politica centrata sui governi locali, dimostrata attraverso numerosi provvedimenti sulla revisione degli enti territoriali ed il decentramento statale.
Una riforma appena abbozzata fu origine di un enorme contenzioso davanti alla Corte Costituzionale, ma il centralismo ebbe ancora la meglio e le regioni non insistettero più di tanto per paura che ad un eventuale passaggio di consegne comportasse un aggravio di costi a fronte di diminuzione di risorse dal parte dello stato stesso, anche se una proposta da parte di queste ultime ci fu (2008), purtroppo senza seguito da parte ministeriale. Di quel provvedimento viene però ripreso l’art. 116 che prevede la possibilità di attribuire alle regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, su iniziativa della regione interessata, nel rispetto dei principi di buona amministrazione, cioè con i conti in ordine, mediante una legge approvata dal Parlamento a maggioranza assoluta, previa un’intesa con lo stato centrale. Detta ulteriore autonomia potrà riguardare sia le materie concorrenti, e quindi anche l’istruzione, fatta salva quella delle istituzioni scolastiche, nel frattempo elevata a dignità costituzionale, nonché alcune di esclusiva competenza statale, come le norme generali sull’istruzione stessa, che si avvicinava alle regioni a statuto speciale.
In quest’ottica si tratterà di valorizzare il ruolo degli enti locali nella titolarità dell’esercizio delle funzioni amministrative a livello territoriale e di superare il finanziamento statale storico per arrivare alla definizione dei fabbisogni standard, da determinare con riferimento alla popolazione residente in quella regione, alle caratteristiche del territorio ed alla propria capacità fiscale. Senza un ulteriore aggravio della spesa pubblica, ma anzi con un fondo di solidarietà per quelle più in difficoltà (art. 119 della Costituzione), le regioni comparteciperanno alla gestione del gettito fiscale dello stato riutilizzando eventuali risparmi per il miglioramento dei servizi ed il soddisfacimento dei bisogni specifici. Un esempio è proposto dalla Lombardia dove la quota capitaria per ogni studente della formazione professionale regionale ammonta a 4.500 euro contro i 7.500 della scuola statale. Con il costo standard si potrà altresì discutere sul finanziamento pubblico alle scuole paritarie.
Dopo il fallimento del referendum del 2016, nel quale le regioni venivano ridotte a puro organismo amministrativo decentrato, come strumenti di programmazione di “area vasta” al posto delle sopprimende province, tre di loro chiedevano al governo nazionale l’applicazione del predetto art. 116: due , Veneto e Lombardia, mediante referendum popolare, che si espresse positivamente e l’altra, l’Emilia Romagna, con un coinvolgimento territoriale unanime di soggetti pubblici, privati e associativi. Tutte e tre ottennero dal precedente esecutivo Gentiloni la firma di una preintesa che il gabinetto giallo-verde si è impegnato a trasformare in tante leggi. Nel frattempo con votazioni unanimi le assemblee legislative di Toscana, Marche e Umbria, Liguria, Piemonte, Lazio, hanno avanzato altrettante richieste.
Come si vede il clima sembra cambiato, da destra e da sinistra si converge sul regionalismo differenziato e in tutti c’è la consapevolezza che il Paese debba rimanere unito, entro i principi di sussidiarietà, leale collaborazione e solidarietà.
Se anche Sicilia e Sardegna pongono il problema dell’insularità, Campania, Basilicata e Puglia, hanno scritto lettere di intenti; forse si potrebbe pensare, anche se lo sforzo parlamentare si presenta arduo, che sia l’occasione per rivedere ab imis fundamentis il sistema di governo del Paese, attraverso un regionalismo differenziato di tutte le regioni, con il nostro Bundesrat.
L’autonomia è un percorso partito dalla gente, dice il ministro Stefani; Matteo Salvini è intenzionato ad inserire velocemente tali provvedimenti nell’agenda del Consiglio dei Ministri e Luigi Di Maio si pronuncia a favore di richieste provenienti da referendum popolari, così come pensa di appoggiarsi alle regioni anche per quanto riguarda il rilancio dei centri per l’impiego. Dall’altra parte, in modo più convinto che in passato la presidente dell’Umbria stimola il governo a credere pienamente nella capacità dei territori di pensare il proprio sviluppo e chiede una legislazione che esalti l’autonomia delle regioni.
Riorganizzare il sistema nazionale dal basso servirà a responsabilizzare maggiormente i cittadini e superare la disaffezione per la politica ?
LA SCUOLA REGIONALE ?
Ognuna delle regioni che ha elaborato una proposta avanzata di regionalismo differenziato ha inserito l’istruzione tra le materie di cui intenderebbe occuparsi. Un quadro piuttosto ampio: dalle norme generali al governo del personale, dagli istituti tecnici in collegamento con l’istruzione e formazione professionale, dalla programmazione della rete scolastica ai rapporti con l’università e il mondo del lavoro, dall’educazione degli adulti all’edilizia scolastica. Regioni che oggi lamentano il ritardo dello stato negli aspetti organizzativi garantiscono maggiore efficienza nelle nomine di dirigenti, docenti e altro personale. Perfino il ministro Bussetti non sarebbe contrario ad una scuola regionale, come nel Trentino- Alto Adige, compreso il passaggio degli operatori.
A questo punto come era logico aspettarsi centralismo e regionalismo tornano a combattersi all’insegna del miglioramento della qualità e garanzia dell’equità del sistema. Le forze politiche al governo appoggiano l’autonomia delle scuole e dei territori, mentre il PD che è sempre stato a favore delle autonomie locali si schiera dalla parte del sistema nazionale, insieme a parte del M5S. La Lega pensa a concorsi per docenti sulla base di fabbisogni regionali e ci sono regioni governate dal dentro-sinistra che hanno già avviato una procedura autonomista, che potrebbe guardare fino alla revisione degli attuali confini amministrativi.
Tutte quelle regioni che oggi rivendicano maggiore spazio istituzionale si schierano comunque a favore della difesa dell’unità nazionale del sistema e della coesione sociale; la secessione è dunque tramontata, sono rimasti i sindacati a difendere la contrattazione con il vertice ministeriale, forse perché è più gravoso sostenerne una per ogni regione, come peraltro l’esperienza trentina ci dimostra. Sarebbe bene invece avere uno spazio contrattuale integrato con la formazione professionale regionale, perchè le attuali differenze impediscono di dare stabilità e organicità all’intero comparto, che acquista un’importanza sempre maggiore sul piano dei rapporti con il mercato del lavoro.
Si può ancora discutere di uno stato giuridico statale del personale soprattutto direttivo e docente, ma non vi è dubbio che sia necessario passare ad una “dipendenza funzionale” dalle regioni, le quali potranno gestire gli organici con maggiore coerenza rispetto alla programmazione territoriale, fatti salvi i contratti collettivi e valorizzando maggiormente il ruolo degli enti locali e delle autonomie scolastiche.
Le preoccupazioni circa l’equità non sono state soddisfatte dal centralismo, se guardiamo agli scompensi sociali tra i diversi territori che hanno portato alla dispersione ed alle differenze negli apprendimenti, forse lo stato dei livelli essenziali delle prestazioni ed una maggiore autonomia regionale e locale potrà generare, anche in base ai costi standard (come avviene nella sanità), una sana competizione finalizzata al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia del sistema stesso. Una ricerca del CENSIS (2018) evidenzia un regionalismo differenziato di fatto, ma un forte bisogno di rappresentanza dei territori e la necessità di una ridefinizione dei rapporti tra le regioni e lo stato centrale, per arrivare fino alla programmazione europea. Il riaccentramento istituzionale degli ultimi anni ha comportato una riduzione della partecipazione nel voto locale e la perdita di fiducia negli enti periferici. Le specificità dei territori italiani rimangono elevate e la disintermediazione non può funzionare per governare lo sviluppo.
Il decentramento politico dunque riflette valori e scelte di fondo che realizzano il principio democratico e che si possono già vedere in precedenti pronunciamenti di quelle regioni che sono più avanti nel nuovo processo legislativo. La tendenza del Veneto è quella di affermare i contenuti identitari come si evince dal protocollo d’intesa firmato recentemente con il MIUR “per lo sviluppo di competenze degli alunni in materia di storia e cultura del Veneto” (2018), che è possibile inserire nel curricolo scolastico utilizzando l’art. 8 del DPR 275/1999, quella più pragmatica della Lombardia che ai sensi della legge 53/2003 ha definito la quota regionale dei piani di studio mirata a sostenere le così dette competenze trasversali e di cittadinanza: elaborare un progetto di vita, agire comportamenti responsabili, interagire con più soggetti nell’ambito delle relazioni di vita, anche in lingue diverse, ecc., in aree tematiche che guardano allo sviluppo del pensiero critico, all’ambiente e sostenibilità, sicurezza, salute, ecc., in stretto raccordo con il tessuto sociale, culturale e produttivo. Tutto questo cercando di intervenire sugli standard nazionali dei percorsi formativi, senza aggiungere ulteriori contenuti (2009). L’Emilia Romagna con la sua legge 12/2003 “valorizza l’autonomia delle istituzioni scolastiche, quale garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e trasferisce alle stesse ogni competenze propria in materia di curricoli didattici”.

Erasmus e disabilità

Redattore Sociale del 04-01-2019

Erasmus e disabilita’, “cosi’ aiutiamo i genitori ad affrontare paure e ansie”

Da 10 anni in Emilia Romagna i Centri di servizio per il volontariato, con capofila quello di Rimini, organizzano programmi di mobilità europea per ragazzi delle scuole professionali con disabilità cognitive o a rischio di emarginazione.

BOLOGNA. Matteo, 18 anni e la sindrome di Down, è partito per la Spagna. Ci è rimasto tre settimane e ha svolto un tirocinio in un negozio di Granada. Frequenta l’Istituto professionale per i servizi commerciali “Luigi Einaudi” di Viserba (Rimini) ed è al suo primo Erasmus. Giada e Morena, invece, anche loro diciottenni e con un lieve ritardo cognitivo, sono rientrate da pochi mesi: la prima, che frequenta l’Istituto professionale “Ruffilli” di Forlì, è andata a Creta (in Grecia), a dare una mano in un centro diurno per anziani; la seconda, studentessa del Liceo delle scienze umane “Valgimigli” di Rimini, è stata in Lituania, esattamente a Panevezys, in un centro per persone con disabilità. “L’esperienza è andata bene e la rifarei senz’altro – racconta Giada –: la mattina aiutavo con i laboratori e in cucina, mentre il pomeriggio c’erano altre attività, per esempio qualche lezione di greco, una lingua difficilissima. Ma ho imparato a vivere da sola e a lavorare all’estero”, precisa. Anche Morena si dice soddisfatta: “Ho avuto la possibilità di vedere un altro Paese e di capire come lì viene percepita la disabilità. Era la prima volta che stavo fuori casa per tre settimane: ero carica ma anche un po’ preoccupata. Fortunatamente è stata una bella esperienza”. Entrambe, poi, hanno migliorato il loro livello di inglese. 

Matteo, Giada e Morena sono tra gli 80 studenti con bisogni speciali beneficiari del progetto biennale “Tnt 2020”, promosso dal Centro di servizio per il volontariato di Rimini allo scopo di favorire la mobilità europea dei giovani in materia di istruzione e formazione professionale (conosciuto anche come Erasmus Vet, Vocational education and training), di cui parla l’inchiesta di Michela Trigari pubblicata sul numero di ottobre di SuperAbile Inail, il magazine per la disabilità dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro curato dall’agenzia di stampa Redattore Sociale. “È da dieci anni che Volontarimini offre questa opportunità a ragazzi che altrimenti non avrebbero la possibilità di sfruttarla: non solo studenti disabili o con disturbi specifici dell’apprendimento, ma anche a rischio di emarginazione sociale. Era un gap che andava colmato”, spiega il direttore del Csv riminese, Maurizio Maggioni. 

In questi anni sono partiti per l’Erasmus, alla volta di mete che vanno dal Regno Unito alla Polonia, passando anche per Malta, la Svezia e la Turchia, circa 300 giovani con disabilità (quasi la metà di tutti quelli coinvolti): all’inizio in partnership con altri Centri di servizio per il volontariato di Emilia Romagna, Marche e Calabria, ora soprattutto in collaborazione con istituti professionali romagnoli e associazioni del territorio. “I progetti, sei finora, sono personalizzati. I ragazzi partono in gruppetti di cinque-otto persone con due o tre accompagnatori: insegnanti, non necessariamente di sostegno, educatori o volontari. I partner stranieri che accoglieranno i giovani sono conosciuti: enti di formazione professionale, del Terzo settore o centri occupazionali per disabili; la soluzione abitativa va dalla famiglia all’appartamento fino all’hotel; le attività di tirocinio si svolgono soprattutto nei settori alberghiero, artigianale, commerciale e socioassistenziale. Un tutor del Paese ospitante che sa l’italiano li segue sul posto e vengono proposte una serie di attività collaterali culturali e socializzanti, compreso un corso di lingua. Incontri preliminari con i ragazzi e le loro famiglie e una grande attenzione a chi ha problemi di alimentazione o di salute completano il quadro. Insomma, nessuno parte allo sbaraglio”, sottolinea Maggioni. 

“Una delle difficoltà che si incontrano in progetti come questi è tranquillizzare i genitori dei ragazzi, affrontare insieme le loro paure, le loro ansie, tutte le perplessità iniziali”, interviene Sabrina Marchetti, presidente dell’associazione Crescere insieme di Rimini, che in questi anni ha visto partire per Polonia, Inghilterra e Spagna una decina dei giovani con sindrome di Down o disabilità intellettiva che ruotano intorno all’organizzazione di volontariato. “Già il taglio del cordone ombelicale è difficile di per sé, figuriamoci lasciare andare in un Paese straniero il proprio figlio: “Come farà con la lingua?”, “E se si troverà male?”. 

Ma l’Erasmus è un’opportunità di crescita unica e i ragazzi tornano con un bagaglio di autodeterminazione grande e saldo. Le famiglie italiane sono ancora molto lontane dall’idea che i giovani con disabilità possano essere in grado di affrontare esperienze all’estero. Molti genitori non li lasciano nemmeno prendere l’autobus da soli in città; ma se fanno così, come possono sperare in una vita indipendente per i loro figli e in un “dopo di noi” sereno, quando diventeranno adulti e mamma e papà non ci saranno più?”, si chiede Marchetti. Questi progetti, infatti, non solo hanno ricadute formative e valgono pure per l’alternanza scuola-lavoro, ma incidono anche in modo significativo sull’autonomia, l’autostima, i ricordi. “Inoltre fanno curriculum e sono un Erasmus a tutti gli effetti, semplicemente adattato alle esigenze di ragazzi con sindrome di Down, autismo o altre disabilità di tipo intellettivo, cognitivo e relazionale”, conclude il direttore di Volontarimini. (Michela Trigari)

L’era della digitalizzazione e la formazione che serve

da  Corriere della sera

La grande assente nella legge finanziaria del governo del cambiamento è l’attenzione per il tema della formazione, della scuola, della ricerca

 Mauro Magatti

La grande assente nella legge finanziaria del governo del cambiamento è l’attenzione per il tema della formazione, della scuola, della ricerca: nel testo finale si trovano solo piccoli aggiustamenti per mantenere la pace sindacale e qualche intervento isolato più o meno condivisibile. Ma nessuna azione strategica di rilancio.

Eppure, l’avanzata della digitalizzazione renderebbe urgente una scelta di campo ben precisa: scommettere sulla qualità umana delle persone come condizione per potere entrare nel futuro.

Per capire la posta in gioco è utile fare un passo indietro.

Risale a un secolo fa, esattamente al 1911, la prima pubblicazione del celebre libro di F. Taylor L’organizzazione scientifica del lavoro: un testo che rivoluzionò l’idea stessa di produzione industriale. Taylor proponeva infatti una idea completamente nuova del lavoro in fabbrica. Concependo l’intera catena produttiva come un sistema integrato — nel quale il «nemico» da combattere era l’esecuzione sbagliata di operazioni da parte dei singoli operai — Taylor intuì i vantaggi in termini di efficienza di una progettazione centralizzata della produzione. L’idea di Taylor — che pure provocò molte resistenze in quanto obbligava a eseguire procedure standardizzate, parcellizzate e ripetitive — riuscì ad affermarsi perché procurava vantaggi tanto agli imprenditori quanto agli operai: ai primi aumentando i profitti, ai secondi riducendo lo sforzo e alla fine determinando aumenti salariali. Tuttavia, le implicazioni superarono di gran lunga i cancelli delle fabbriche: sui principi di Taylor venne poi concepita la catena di montaggio — immortalata da C. Chaplin in «Tempi Moderni» — che tendeva a creare un nuovo tipo d’uomo a cui si chiedeva di rinunciare alla propria autonomia e capacità di giudizio. Secondo molti autori, tra cui Zygmunt Bauman, precondizione per l’avvento dei totalitarismi degli anni 30.

Ci vollero vent’anni per arrivare, nel 1933, alla pubblicazione del libro di Elton Mayo, I problemi umani della civiltà industriale, fondatore della «scuola delle risorse umane» che ribaltava la concezione di Taylor. Le tesi di Mayo si basavano su studi che mostravano che la partecipazione attiva, aumentando la soddisfazione del lavoratore, migliorava la produttività. La ragione doveva essere cercata, secondo Mayo, nel fatto che la prestazione lavorativa è connessa al benessere psicologico dell’individuo, alle dinamiche di riconoscimento sociale e al senso di appartenenza a una comunità di lavoro. Sono le persone il vero «capitale» dell’impresa e per questo, anche in una prospettiva di tipo economico, è un errore sacrificare l’intelligenza dei lavoratori.

Un secolo dopo, il processo di digitalizzazione, riporta alla ribalta quella discussione. Mentre, però, Taylor e Mayo ragionavano di singola impresa, oggi lo stesso tema si applica a livello di intere società: da un lato, c’è una visione neo-taylorista che si limita a esaltare la potenza di efficientamento delle nuove tecnologie nei diversi ambiti della nostra vita sociale: non solo nella produzione di beni ma anche nella mobilità, nella sanità, nella scuola, nella ricerca, nella amministrazione. In tale prospettiva, il miglioramento dei risultati si ottiene attraverso la diffusione di protocolli semplificati e addestrando gli operatori/utenti a eseguire senza pensare, in modo da rendere l’intero processo più fluido. Quante volte, già oggi, siamo caldamente invitati — come lavoratori o consumatori — a «seguire la procedura»?

Per questa strada, però, si finisce per impoverire la società, concentrare il potere, indebolire la democrazia. Creando cittadini-produttori sempre più soli e isolati, incapaci di capire (e quindi criticare) quello che accade attorno.

La via alternativa è quella che prevede di investire massicciamente e in maniera nuova sull’educazione e la formazione — continua e integrale — dei cittadini. Con l’obiettivo di sviluppare una intelligenza collettiva che, all’epoca digitale, oltre a permettere di contrastare le potenti tendenze verso forme concentrate e magari anche autoritarie di potere (magari con qualche capacità critica in più nei confronti delle fake news), sostenga e diffonda competenze, capacità, responsabilità autonome. Non si tratta di fare qualche piccolo aggiustamento: si tratta di lanciare un grande programma nazionale di riqualificazione di portata simile a quello che i nostri padri introdussero con la scuola dell’obbligo. L’alternativa è secca: o si investe per far crescere le persone — e con loro la comunità — o si finisce per ritrovarsi imprigionati in una spirale economicamente e politicamente regressiva. E questa scelta va fatta adesso, perché tra 5 o 10 anni sarà tardi.

Ora, se guardiamo l’Italia le cose non vanno per nulla bene. Pochi laureati, un esercito di drop out e neet (giovani che non studiano e non lavorano), scarsa integrazione scuola-impresa, investimenti inadeguati in ricerca e formazione continua.

Mettere davvero la formazione al centro di ogni azione di governo sarebbe stato un segnale forte della volontà di un cambiamento vero. Chi non lo fa, dice già dove — dolosamente o colposamente — ci sta portando: verso un mondo impoverito, sottomesso e disuguale


Corso sostegno, laurea + 24 CFU o 36 mesi servizio requisito di accesso

da Orizzontescuola

di redazione

Dopo l’approvazione della Legge di Bilancio 2019, tornano nuovamente in discussione i requisiti di accesso all’imminente corso di specializzazione per il sostegno per l’a.a. 2018/19. 

Scuola di infanzia e primaria

Per la scuola di infanzia e primaria i requisiti di accesso sono invariati

  • Laurea in Scienze della formazione primaria o
  • diploma magistrale e diploma sperimentale ad indirizzo linguistico conseguiti presso gli istituti magistrale entro l’a.s. 2001/02.
  • analogo titolo conseguito all’estero  e riconosciuto in Italia come equipollente

Scuola secondaria di I e II grado

Alla luce delle osservazioni del CSPI sulla bozza di decreto e della recente approvazione della Legge di Bilancio 2019, i requisiti di accesso potranno diventare

  • abilitazione all’insegnamento in una delle classi di concorso del grado che si richiede
  • laurea (titolo idoneo per una delle classi di concorso del grado per cui si partecipa)+ 24  CFU nelle discipline antropo – psico – pedagogiche ed in metodologie e tecnologie didattiche
  • laurea (titolo idoneo per una delle classi per il grado richiesto) e 36 mesi di servizio, intese come 3 annualità (indifferentemente posto comune o sostegno).  Il possesso del requisito di servizio potrebbe dunque permettere dunque, per il primo corso, di essere esonerati dai 24 CFU [in analogia a quanto stabilito, con le nuove regole, per il concorso ordinario].

N.B. Quest’ultimo requisito non è espressamente previsto dalla Legge di Bilancio ma, come indicato, potrebbe essere inserito per analogia al concorso ordinario. Sarà il decreto definitivo a chiarire la questione.

Requisiti di accesso ITP

 

Per gli ITP c’è ancora qualche criticità da superare. E’ probabile che il requisito di accesso rimanga il diploma.

Necessità di adeguare requisiti

Della necessità di adeguare i requisiti di accesso al corso di sostegno parla Max Bruschi, consulente esperto della segreteria del Miur. Il video

La pubblicazione del decreto è attesa nelle prossime settimane. Il MEF è stato chiamato ad autorizzare i corsi per i prossimi anni accademici. Si tratta di circa 40mila posti in tre anni. 

Specializzazione requisito per il concorso

Il conseguimento della specializzazione è necessario per accedere al relativo concorso.

ATA ex CO.CO.CO., contratto a tempo pieno per 226 unità. Criteri individuazione

da Orizzontescuola

di redazione

La legge di bilancio, come già riferito, prevede una specifica misura per gli ATA ex CO.CO.CO., assunti nel corrente anno scolastico in part-time, secondo quanto previsto dalla legge n. 205/2017.

ATA ex CO.CO.CO.: trasformazione contratti

La legge di bilancio dispone che per il summenzionato personale vi sia la trasformazione del contratto da tempo parziale a tempo pieno.

La trasformazione, leggiamo nel testo di legge, deve avvenire nel limite di una spesa di personale complessiva, tenuto  conto anche degli stipendi già in godimento, non superiore a quella autorizzata ai sensi dell’articolo 1, comma 619, della legge 205/2017, a tal scopo avvalendosi della quota non utilizzata per i fini ivi previsti. 

Le risorse disponibili, dunque, sono quelle non utilizzate per le assunzioni effettuate nel corrente anno scolastico.

Quanto ai numeri, li aveva già forniti il Ministro Bussetti, nel corso dell’audizione alla Camera: in prima battuta saranno trasformati 226 contratti.

ATA ex CO.CO.CO.: modalità trasformazione contratti

Quanto all’individuazione del personale cui trasformare i contratti, avverrà scorrendo la graduatoria di merito, formatasi in seguito alla procedura concorsuale che ha determinato l’assunzione.

La predetta graduatoria di merito rimarrà vigente sino al complemento scorrimento.

Pensioni quota 100, prima finestra di uscita per gli statali a luglio 2019

da Orizzontescuola

di redazione

A parlare è il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, le cui parole vengono riprese dalle agenzie di stampa. 

Durigon ha assicurato all’Agi , riporta Repubblica, che il decreto legge che conterrà “quota 100, pensioni di cittadinanza e reddito di cittadinanza” sarà approvato “la prossima settimana” e prevederà l’entrata in vigore “con data retroattiva dal primo gennaio dell’Ape social e di opzione donna”.

Ha aggiunto che verrà anche “tolto l’adeguamento dell’età all’aspettativa di vita: blocchiamo l’aspettativa di vita a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne”.

Pensioni quota 100 per dipendenti statali

 

Per il pubblico impiego – ha specificato Durigon – il decreto stabilirà che la prima decorrenza per usufruire di quota 100 sarà il mese di luglio 2019.

Una data che riaccende le speranze dei numerosi lavoratori della scuola che sperano in una deroga all’unica finestra di pensionamento prevista, quella del 1° settembre.

Intanto bisogna attendere i decreti ufficiali previsti per la prossima settimana e poi le eventuali riflessioni che sarà possibile mettere in campo per la scuola.

Pensioni: quante le domande presentate entro il 12 dicembre

Al momento sappiamo che per il comparto scuola sono state presentate  circa 20.000 domande. Nello specifico

Docenti: 15.190

Ata: 4.448

Personale educativo 34

IRC 131

A questi numeri andranno aggiunti quelli derivanti delle pensioni attribuite d’ufficio.

Si tratta di numeri ancora generali. Saranno adesso gli Uffici Scolastici, esaminate le domande,  a pubblicare il dettaglio delle pensioni per ordine di scuola e classe di concorso.

Stipendio gennaio insegnanti e ATA, importo più alto. Ecco perché

da Orizzontescuola

di redazione

Alcuni docenti ci hanno chiesto il motivo per cui l’importo dello stipendio di gennaio, già visibile su NoiPA, sia leggermente più alto rispetto a quello dei mesi scorsi.

Importo già visibile su NoIPA

L’importo della stipendio rata di gennaio per insegnanti e ATA è visibile già da qualche giorno su NoiPA. E’ necessario effettuare l’accesso alla pagina personale e cliccare su Consultazione pagamenti.

Aumenti in busta paga?

In numerosi casi insegnanti e ATA ci hanno segnalato un importo più alto rispetto a quello percepito negli ultimi mesi.

Innanzitutto va detto che a gennaio non ci sono più le detrazioni comunali e regionali (a dicembre la differenza è stata camuffata dalla tredicesima) che riprenderanno ad essere inserite a partire da marzo 2019.

Inoltre l’importo è da considerare alla luce degli aumenti che – tolte le detrazioni – sono già in godimento a partire dal mese di giugno. Gli aumenti quindi vanno riferiti al Contratto del 2016/18.

E’ presente inoltre l’elemento perequativo, rifinanziato in Legge di Stabilità 2019. Aumento stipendio insegnanti, Bussetti “non mi fate parlare…”

La cifra di cui parliamo è variabile, dipende dalla situazione di ciascuno, e dalla fascia stipendiale alla quale si appartiene.

Non si tratta invece di nuovi aumenti contrattuali. Il Contratto è scaduto il 31 dicembre 2018 e la trattativa per il rinnovo non è stata ancora avviata.

Una trattativa che si annuncia difficile, dato che punto di partenza sono 40 euro lordi. Nel complesso, infatti, nella legge di bilancio sono stati stanziati 1,7 miliardi di euro per il rinnovo dei contratti di tutti gli impiegati pubblici, inclusi gli 850mila dipendenti della scuola.

Indennità di vacanza contrattuale

In attesa del rinnovo del contratto per l’aumento di stipendio a insegnanti e ATA, solo a partire da aprile 2019 si avrà  un anticipo dei benefici che saranno ottenuti con la stipula del Contratto medesimo (ai sensi dell’articolo 47-bis del D.lgs. 165/01).

Si tratta della cosiddetta indennità di vacanza contrattuale (IVC) pari a:

  • 0,42 per cento dal 1° aprile 2019 al 30 giugno 2019;
  • 0,7 per cento a decorrere dal 1° luglio 2019.

L’indennità di vacanza contrattuale è calcolata non sull’intera retribuzione ma sulle sole voci stipendiali, quantificate in media per il settore statale in 25.184 euro l’anno: applicando tali percentuali a questa somma si arriva ad un aumento di 8 euro a partire dal 1° aprile 2019, che può arrivare a 13 – 14 da luglio 2019 (sempre che nel frattempo non si giunga alla firma di un nuovo contratto).

Il cedolino

Il relativo cedolino della rata stipendio di gennaio sarà consultabile, sempre nell’area personale di NoiPA, a ridosso del pagamento che questo mese verrà effettuato regolarmente giorno 23 per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato o supplenza al 31 agosto o 30 giugno.

Concorso docenti secondaria 2019, si può partecipare a quattro procedure

da Orizzontescuola

di redazione

Il nuovo sistema di accesso ai ruoli della scuola secondaria di primo e secondo grado prevede le seguenti fasi: concorso; assunzione; percorso annuale di formazione e prova; conferma in ruolo, previo superamento del predetto percorso.

Concorso, immissione in ruolo e formazione: scheda di sintesi sul nuovo reclutamento

Concorso docenti secondaria: novità numero procedure partecipazione

Tra le novità introdotte dalla legge di bilancio, che ha modificato il D.lgs. 59/2017, ricordiamo quella relativa al numero di procedure per la quali si può partecipare che, rispetto al passato, viene limitato.

Concorso docenti secondaria: CdC di partcipazione

Così leggiamo nell’articolo 3, comma 5, del novellato D.lgs. 59/2017:

I candidati indicano nella domanda di partecipazione per quali contingenti
di posti intendono concorrere. Ciascun candidato può concorrere in una sola
regione, per una sola classe di concorso, distintamente per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, nonché per il sostegno, qualora in
possesso dei requisiti di accesso di cui all’articolo 5.

 

Ciascun candidato, dunque, può partecipare al concorso, in una sola regione per: una sola classe di concorso della scuola secondaria di primo grado; una sola classe di concorso della scuola secondaria di secondo grado; i posti di sostegno.

Concorso docenti: max procedure partecipazione

Ciascun candidato, alla luce di quanto detto sopra e fermo restando il possesso dei requisiti richiesti, può partecipare al massimo a quattro procedure:

  1. per la scuola secondaria di primo grado (per una sola CdC);
  2. per la scuola secondaria di secondo grado (per una sola CdC);
  3. per i posti di sostegno della scuola secondaria di primo grado;
  4. per i posti di sostegno della scuola secondaria di secondo grado.

I requisiti di ammissione al concorso scuola secondaria 2019 per posti comuni, ITP, sostegno.

Trasferimenti, quando presentare domanda. Ci sarà ordinanza Miur

da Orizzontescuola

di redazione

Firmato il contratto sulla mobilità del personale docente, ATA ed educativo per il triennio 2019/22, nelle prossime settimane il Miur pubblicherà l’ordinanza che fisserà le date di presentazione della domanda e la data di pubblicazione dei movimenti. 

Date presentazione domande

Lo scorso anno le domande furono presentate con una tempistica differente per il personale docente, ATA ed educativo nel periodo aprile – maggio.

Quest’anno con tutta probabilità si anticipa, sia perché il Contratto è stato firmato in tempi più anticipati, sia perché obiettivo del Ministero è quello di concludere tutte le operazioni del personale, immissioni in ruolo comprese, entro luglio 2019.

Le domande di trasferimento si presenteranno con modalità telematica, su Istanze online per il personale docente, ATA ed educativo. Guida iscrizione a Istanze online

Continueranno a presentare domanda cartacea il personale IRC e il personale docente che chiede mobilità professionale verso i licei musicali

Data unica trasferimenti

E’ una delle novità di quest’anno.

I trasferimenti saranno resi noti in un’unica data, in modo da recuperare eventuali posti disponibili a seguito dei passaggi di ruolo.

Probabilmente la data sarà verso metà giugno.

Sostegno disabili, il 36% dei docenti non è specializzato, poca continuità e niente gite: i numeri Istat

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

In Italia, i docenti di sostegno assegnati agli alunni disabili sono nel 36 per cento dei casi insegnanti curricolari precari e non specializzati, per molti lo svolgimento delle ore settimanali è inferiore a quello stabilito e il 5% delle famiglie ricorre in tribunale.

A sostenerlo è l’Istat, attraverso il report nazionale, relativo alla scuola primaria e secondaria di primo grado, dal titolo “L’inclusione scolastica: accessibilità, qualità dell’offerta e caratteristiche degli alunni con sostegno”.

Lo scorso anno il 41% degli alunni ha cambiato docente

Dal rapporto annuale risulta che “il 36% degli insegnanti per il sostegno viene selezionato dalle liste curricolari poiché la graduatoria degli insegnanti specializzati per il sostegno non è sufficiente a soddisfare la domanda”.

E questo stato di cose è alla base della mancata continuità del rapporto tra docente per il sostegno e alunno, che infatti non risulta ancora garantita: nel 2017/18, il 41% degli alunni disabili ha infatti cambiato insegnante rispetto all’anno precedente, mentre il 12% lo ha cambiato nel corso dell’anno scolastico.

A questo proposito, il Miur ha programmato per i prossimi tre anni la specializzazione di 40 mila insegnanti di sostegno già abilitati.

Restano in lista di attesa, tuttavia, diverse migliaia di docenti già specializzati ma senza possibilità di essere assunti in ruolo (per l’Anief sarebbero addirittura 30 mila), perché “fermi” nella seconda fascia delle graduatorie d’istituto: dovranno attendere gli esiti del Tif, cui hanno partecipato negli ultimi mesi, e sperare di essere convocati in occasione delle prossime assunzioni a tempo indeterminato.

Meno ore del previsto

Il problema è che non mancano solo docenti specializzati, ma è anche la quantità di sostegno a non essere sufficiente. “Gli alunni osservati fruiscono in media di 14 ore settimanali di sostegno. A livello territoriale il numero di ore è maggiore nelle scuole del Mezzogiorno – mediamente 3 ore in più – rispetto a quelle rilevate nelle scuole del Nord”.

Il dato è indicativo, perché, ricordiamo, a seconda del livello scolastico, le ore di sostegno settimanale variano da 18 a 22.

Ora, certamente vi sono nel computo anche gli alunni che necessitano di un numero di ore settimanali minori, ma la media, non altissima, conferma che non sempre gli alunni fruiscono dell’orario previsto in sede di programmazione.

Così, “circa il 5% delle famiglie di alunni con sostegno – dice sempre l’Istat – ha presentato negli anni un ricorso al Tar per ottenere l’aumento delle ore. Nel Mezzogiorno la percentuale di ricorsi è doppia rispetto a quella del Nord (rispettivamente 6% e 3%)”.

Mancano anche gli assistenti

A “coprire” le ore mancanti potrebbero essere, allora, gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione. Ma la loro presenza a scuola, legata in primis a fondi degli enti locali, non è sempre garantita. E quando lo è, spesso è limitata.

Questo comporta che “gli alunni con gravi problemi di autonomia dispongono mediamente di 12,9 ore settimanali di assistenza all’autonomia e alla comunicazione. Nelle scuole del Nord ricevono mediamente 3 ore di supporto in più rispetto al Mezzogiorno”. I

noltre, “gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione sono circa 48mila. A livello nazionale il rapporto alunno/assistente è pari a 5,1, ma nel Mezzogiorno l’offerta è decisamente inferiore (6,5 alunni ogni assistente)”.

Le gite mancate

Infine, sempre l’istituto di statistica nazionale ha fatto sapere che “gli alunni con sostegno partecipano raramente alle gite d’istruzione con pernottamento (24% nella scuola primaria e 40% nella scuola secondaria di primo grado) prevalentemente a causa della presenza della disabilità (22% nella scuola primaria e 35% nella scuola secondaria di primo grado)”.

Su questo fronte, i motivi che portano a non far partecipare gli alunni alle visite esterne alle scuole sono diversi: non per ultimo, crediamo, vi sia quello dell’impegno probante che l’alunno comporta nell’essere seguito (da docente incaricato) 24 ore su 24 per due o più giorni.

NASpI, come consultare lo stato di avanzamento delle domande da dispositivi mobili

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Le informazioni sullo stato della domanda di disoccupazione NASpI sono disponibili, sia per i cittadini che per i patronati, accedendo al sito www.inps.it alla voce “Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) – Consultazione domande”.

Per consentire ai cittadini una migliore accessibilità alle informazioni, l’INPS ha rilasciato una nuova funzionalità dell’app INPS Mobile denominata “Esiti Domande NASpI” che consente all’utente, munito di SPID o PIN, di avere informazioni sullo stato della propria domanda tramite dispositivi smartphone o tablet.

Accedendo alla nuova funzionalità viene inizialmente proposto l’elenco delle domande NASpI presentate. Una volta selezionata la domanda di interesse è possibile avere accesso alle seguenti informazioni:

  1. in caso di accoglimento della domanda, l’utente potrà consultare il prospetto di calcolo della prestazione NASpI e, quindi, i dati relativi ai pagamenti della prestazione disposti in suo favore;
  2. in caso di richieste istruttorie, l’utente potrà consultare la lista dei documenti richiesti;
  3. in caso di reiezione della domanda, l’utente potrà consultare i motivi che hanno determinato il mancato accoglimento.

Il prospetto di calcolo di una domanda NASpI, consultabile a conclusione dell’istruttoria della domanda, evidenzia le seguenti informazioni:

  • la data di decorrenza e la durata della prestazione spettante;
  • gli importi mensili della indennità spettante;
  • i dati retributivi e contributivi che hanno determinato la durata e la misura della prestazione;
  • l’elenco delle prestazioni di disoccupazione già fruite nel quadriennio precedente la data cessazione dell’attività lavorativa;
  • i periodi contributivi già utilizzati per le prestazioni già fruite scomputati nel calcolo della durata della nuova domanda.

VAI ALLA GUIDA ILLUSTRATA INPS

Detrazioni familiari a carico, nuova funzionalità su NoiPA

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Il self service NoiPA “Detrazioni familiari a carico” permette all’amministrato di richiedere le detrazioni per i familiari a carico e usufruire dei benefici fiscali previsti dalla normativa.

Per consentire all’Agenzia delle Entrate di predisporre la dichiarazione Mod. 730 precompilato in modo più accurato, il self service “Detrazioni familiari a carico” sul portale NoiPA è stato arricchito con una nuova funzionalità che consente l’inserimento dei dati del coniuge fiscalmente non a carico.

Quindi, nella pagina di inserimento dei dati anagrafici del coniuge, sarà sufficiente inserire il codice fiscale, senza selezionare la voce “A Carico”.

Ricordiamo che attraverso il self service, è possibile:
  • visualizzare l’elenco delle detrazioni presentate esclusivamente tramite self-service, ricercate per anno di interesse;
  • inviare una nuova richiesta di detrazione, inserendo il numero e i dati anagrafici dei familiari a carico;
  • verificare in ogni momento lo stato della richiesta con il relativo dettaglio.
Ai fini della presentazione della richiesta, la normativa stabilisce che le detrazioni per i familiari a carico si applicano a tutti i componenti del nucleo familiare che non dispongono di un reddito lordo annuo superiore a 2.840,51 euro (dal 1° gennaio 2019 i genitori possono godere della detrazione fiscale per il figlio di età inferiore a 24 anni che non percepisca un reddito complessivo annuo lordo superiore a € 4.000).
Dal punto di vista fiscale sono considerati familiari a carico:
– il coniuge (non separato legalmente o di fatto);
– i figli (anche adottivi o affidati);
– gli altri familiari conviventi (genitori, generi e nuore, suoceri, fratelli e sorelle).

Mobilità scuola 2019, per chi scatta il vincolo triennale?

da La Tecnica della Scuola

Di Fabrizio De Angelis

E’ stato pubblicato il 31 dicembre 2018 il contratto collettivo nazionale integrativo della mobilità valevole per il triennio 2019/2020, 2020/2021 e 2021 2022.

Sono diverse le novità in programma, alcune dei quali legate a doppio filo alla legge di bilancio 2019. Infatti, con l’ultima manovra, gli ambiti territoriali e la chiamata diretta vengono definitivamente aboliti per legge. Pertanto, il CCNI di mobilità triennale 2019-2022 abolisce i codici sintetici degli ambiti territoriali e reintroduce i codici sintetici dei comuni e dei distretti scolastici, oltre a confermare i codici sintetici delle province.

Vincolo triennale

Fra i punti importanti dell’ipotesi di contratto di mobilità 2019-2022, c’è quello relativo alla disposizione prevista nell’art.22, comma 4, lettera a1), del CCNL scuola 2016-2018, in cui viene specificato che le procedure e i criteri generali per la mobilità professionale e territoriale fatte salve le disposizioni di legge, al fine di perseguire il principio della continuità didattica, i docenti possono presentare istanza volontaria non prima di tre anni dalla precedente, qualora abbiano ottenuto l’istituzione scolastica richiesta volontariamente. Stiamo parlando quindi del vincolo triennale. Tuttavia, questo, non vale per tutti i docenti.

Ecco i casi in cui scatta il vincolo triennale

In base a testo del CCNI mobilità, sono essenzialmente due i casi in cui scatta il vincolo triennale:

1) Se il docente ottiene a domanda volontaria, e senza fruire di alcuna precedenza, una scuola indicata con preferenza puntuale nel modulo di domanda;

2) Se il docente ottiene il trasferimento, all’interno del proprio comune di titolarità, in una scuola o espressa puntualmente come nel caso 1) o una scuola del distretto sub-comunale del comune di titolarità espresso come codice sintetico.

Quando non scatta il blocco triennale

Invece, il blocco di tre anni non scatta per gli insegnanti che richiedono soltanto codici sintetici, come quelli dei comuni e distretti (ovviamente diversi da quelli di titolarità), oppure codici sintetici delle province nel caso di mobilità interprovinciale.

Questi, potranno quindi richiedere domanda volontaria di trasferimento già per l’anno scolastico 2020/2021.

Inoltre, è bene anche chiarire che i beneficiari della precedenza di cui all’art.13 del CCNI mobilità (quello che regola il sistema delle precedenze e dell’esclusione dalle graduatorie interne di istituto), se non soddisfatti in scuola del comune di residenza propria o di residenza del familiare da assistere, ma soddisfatti in scuola di altro comune, non subiranno nessun vincolo triennale.

Lezioni private: cosa cambia per i docenti con la Legge di Bilancio 2019

da Tuttoscuola

Flat tax al 15% per le lezioni private tenute dai prof, lo stabilisce la Legge di Bilancio 2019. Per i docenti che svolgono “attività di insegnamento a titolo privato” ci sarà un’imposta sostitutiva di Irpef e addizionali regionali e comunali, e dovranno comunicare la propria attività al dirigente scolastico.

Fino a questo momento l’attività svolta dagli insegnanti è stata soggetta ad una tassazione pari a quella gravante sullo stipendio e variabile a seconda del reddito (27% per gli stipendi fino a 28mila euro lordi e 38% per i redditi maggiori). Ora, con la Legge di Bilancio 2019, i compensi per percepiti con le attività di ripetizione non si cumulano con gli con altri redditi percepiti, quindi con la retribuzione da lavoro dipendente.
La norma prevede anche che sia possibile impartire lezioni private agli alunni della propria scuola.

“Con l’introduzione di questo sistema di tassazione agevolata – commenta la Flc-Cgil –  si punta evidentemente a far emergere un reddito che si presume consistente al fine di incrementare il gettito fiscale. Si tratta di una misura di dubbia efficacia dal punto di vista fiscale anche rispetto alle successive misure che dovranno completarla. Dal punto di vista mediatico – conclude la Flc Cgil – produce invece subito l’effetto di generalizzare e associare alla figura degli insegnanti della scuola quella dei produttori di reddito in ‘nero’ con l’aggravante di possibili responsabilità anche disciplinari”.