Il nuovo contratto d’area Istruzione e Ricerca

di Francesco G. Nuzzaci

Disabilità. L’azienda assume, l’INAIL paga

Redattore Sociale del 16-01-2019

Disabilita’. L’azienda assume, l’INAIL paga: la novita’ nella legge di bilancio

La normativa incrementa gli incentivi alle imprese che ricollocano lavoratori con disabilità dopo un infortunio: fino al 60% della retribuzione sarà rimborsata da INAIL. Si rafforza così il sostegno dell’istituto all’inserimento e reinserimento lavorativo. 

ROMA. INAIL sostiene e favorisce il reinserimento dei lavoratori che, a seguito di un infortunio, hanno riportato una disabilità: una “mission” non nuova per l’istituto, che già ora destina fino a 150 mila euro di contributi alle aziende che favoriscono, con l’abbattimento delle barriere, la formazione e l’adeguamento delle postazioni, l’inserimento di soggetti con disabilità da lavoro. Ora però, con l’ultima legge di bilancio, questo impegno cresce ancora, con l’obiettivo di favorire sempre di più il ricollocamento di questi lavoratori: fino al 60% dello stipendio sarà infatti rimborsato alle aziende proprio da INAIL. 
Requisiti indispensabili perché il rimorso sia erogato sono: primo, che il lavoratore abbia una disabilità da lavoro; secondo, che sia destinatario di un progetto di reinserimento mirato alla conservazione del posto di lavoro e che, alla cessazione dello stato di inabilità temporanea assoluta, non possa tornare al lavoro senza la realizzazione degli interventi individuati nell’ambito dello stesso progetto. Tale progetto – chiarisce la legge – può essere proposto dal datore di lavoro e deve essere approvato dall’INAIL. 
Sempre per quanto riguarda il tema del ricollocamento di persone con disabilità, a partire dal 2019 anche INAIL potrà accedere al finanziamento del relativo assegno (decreto legislativo 150/2015), rilasciato alle persone con disabilità da lavoro in cerca di occupazione, secondo le modalità che saranno indicate in un decreto del ministero del Lavoro, che dovrebbe essere emanato entro un paio di mesi.

Antiche leggende Celtiche, a cura di M. Gardini

Dio e l’uomo nella leggenda

di Antonio Stanca

Ad aprile dell’anno scorso presso le Edizioni del Balbo, Verona, è comparso il volume intitolato Antiche leggende Celtiche e curato da Mario Gardini. Le illustrazioni sono di Francesca Mazzini.
Il Gardini è nato a Milano nel 1961 e a Milano vive. E’ copywriter pubblicitario, insegnante e scrittore. Disegna fumetti e dal 2003 scrive anche canzoni per lo “Zecchino d’oro”. Nella sua scrittura mostra di risentire di elementi, aspetti che provengono dalla mitologia. Suoi interessi specifici sono, infatti, le leggende del Nord Europa, quelle legate alla mitologia celtica e alle tradizioni popolari irlandesi. L’Irlanda, appunto, la sua preistoria, le sue leggende sono l’argomento di questo libro. E come nelle leggende i personaggi, gli ambienti, gli avvenimenti stanno tra l’umano e il divino, tra la terra e il cielo, le finalità perseguite sono quelle del bene, del bello, del giusto ai quali si tende a costo di grandi sacrifici, di gravi sofferenze. Presente è, inoltre, in ogni leggenda quello scontro tra bene e male che finisce sempre con la vittoria del bene.

Re potentissimi, cavalieri invincibili, dame bellissime, palazzi sontuosi, boschi verdissimi, acque limpidissime, divinità propizie, eventi clamorosi, amori senza fine, meraviglie, incantesimi, magie popolano le leggende irlandesi soprattutto quelle più antiche quando appena si distingueva tra l’uomo e Dio poiché entrambi rientravano nella dimensione eroica che era della vita di allora. Col tempo succederà che l’armonia derivata sulla terra irlandese da quell’unione subisca dei danni, si riduca: l’uomo si allontanerà da Dio a causa di quanto di materiale, di venale i tempi inseriranno tra loro.

Ma prima di arrivare a questi tempi dovranno passare secoli, millenni durante i quali nella vita, nel mondo a superare il male, a sconfiggerlo sempre e ovunque sarà il bene, a valere sarà la comunicazione, lo scambio, il patto che l’uomo ha fatto con Dio, con le forme che questi assume per farsi vedere da lui, per parlare con lui, per mettersi alla sua portata, per stare con lui. Anche nel periodo buono c’erano stati gli spiriti del male, gli uomini cattivi, gli animali mostruosi, gli dei contrari ma erano stati superati dalla forza, dalla sicurezza del bene, del bello, del giusto sempre combinate con il sostegno, la partecipazione del sacro, del santo, del divino.

Da qui il valore morale di queste leggende, la loro funzione esemplare. Come quelle di Biancaneve, Pinocchio, Cenerentola, mostrano la via del bene, insegnano come trovarla, come perseguirla. E come quelle non valgono solo per i più giovani ma anche per gli adulti dal momento che tutti sono esposti agli assalti, ai pericoli del male.

Tutte le aree della terra, tutti i popoli del mondo hanno avuto le loro leggende e in tutte queste, a qualunque terra o popolo siano appartenute, si è ripetuto il motivo della lotta tra bene e male e della vittoria del bene. Erano le prime cose che l’uomo aveva cominciato a sentire, a sapere, delle quali aveva cominciato a parlare, non le aveva viste, gli erano giunte da lontano, lontanissimo passando attraverso generazioni e generazioni. Erano diventate leggende.

Non si è sicuri come abbiano avuto origine, sembrano un prodotto del Tempo, sembrano essersi formate da sole. Ogni luogo ha avuto le sue perché ovunque l’uomo è vissuto a lungo con Dio, insieme a lui, ovunque ha avuto bisogno di bene, d’imparare il bene, di fare il bene. Poi ha parlato di questo, poi ne ha scritto perché importante gli è sembrato che non andasse perduto, che valesse anche per gli altri.

E’ assurdo, conclude Gardini, ma il messaggio d’amore che da quelle leggende proviene può rappresentare un modo per salvare il mondo d’oggi devastato da ogni male.


Dal Miur tutte le istruzioni per compilare l’Anagrafe nazionale degli alunni diversamente abili

da Il Sole 24 Ore

di Laura Virli

Il Miur ha trasmesso a fine dicembre una nota con le procedure che le segreterie devono seguire per l’inserimento dei dati relativi agli studenti con disabilità all’interno dell’Anagrafe nazionale degli studenti. Questo perché il Dm 162/2016 ha previsto nella piattaforma Sidi uno spazio dedicato alla gestione dei dati relativi ai disabili frequentanti le scuole statali.

Tramite le nuove funzioni devono essere inserite tutte le informazioni indispensabili per la definizione delle procedure necessarie all’inclusione scolastica. L’insieme dei dati immessi costituirà un apposito fascicolo che segue l’alunno lungo tutto il suo percorso scolastico; quindi è necessario inserire dati relativi alle certificazioni di disabilità, alle diagnosi funzionali, al profilo dinamico funzionale e al piano educativo individualizzato.

Tutte queste informazioni saranno necessarie per mettere a sistema e accelerare la definizione degli organici di sostegno da parte degli uffici competenti passo fondamentale nel processo di semplificazione amministrativa.

Le segreterie avranno la facoltà di decidere se inserire solo i dati o caricare anche le copie scansionate delle certificazioni, comunque, prive degli elementi identificativi degli alunni con disabilità. Gli Uffici scolastici regionali potranno, però, richiedere il caricamento di tale documentazione per effettuare gli opportuni controlli.

Le scuole avranno tempo per l’inserimento dei dati entro la data di apertura delle funzioni di organico, al fine di consentire le conseguenti procedure da parte degli uffici periferici.
Il Miur rassicura le segreterie: non ci saranno problemi di contenziosi con le famiglie poiché la procedura risponde pienamente alle disposizioni in materia di privacy nel trattamento dei dati (Gdpr).

Interrail gratis per i 18enni europei, ad aprile partiranno altri 14.500 giovani

da Il Sole 24 Ore

di Alessia Tripodi

Sono oltre 14.500 i diciottenni europei che potranno viaggiare gratuitamente alla scoperta dell’Europa per un massimo di 30 giorni tra tra il 15 aprile e 31 ottobre prossimi. Si tratta dei vincitori della seconda edizione di DiscoverEu, l’iniziativa della Commissione Ue che in questa tornata ha raccolto le candidature di oltre 80mila giovani provenienti da tutti i paesi dell’Unione. Sulla base dei criteri di selezione e della quota fissata per ogni stato membro ne sono stati selezionati 14. 536, che potranno partire alla scoperta del vecchio continente, da soli o in piccoli gruppi, spostandosi in treno, in bus o – in casi eccezionali – anche in aereo.

Condivisione e nuove amicizie
«DiscoverEU permette ai ragazzi di pianificare l’itinerario, condividere le loro storie sui social media e fare nuove amicizie» ha commentato il commissario Ue per l’Istruzione, Tibor Navracsics, spiegando che «grazie a questa iniziativa abbiamo dato finora a circa 30mila giovani la possibilità di esplorare le culture e le tradizioni dell’Europa e di entrare in contatto con altri viaggiatori e con le comunità visitate».

Orientamento prima della partenza
I vincitori della seconda edizione del progetto, spiega Bruxelles in una nota, saranno contattati al più presto in modo da poter prenotare il viaggio. Oltre al biglietto, prima della partenza ai giovani verrà offerto un corso di orientamento e la possibilità di contattare gli altri partecipanti sui social media, per viaggiare eventualmente in gruppo (massimo 5 persone). I ragazzi avranno poi tutte le informazioni su sconti per l’ingresso ai musei e ai siti culturali e sulla partecipazione ad attività di apprendimento o di benvenuto organizzate dai residenti delle città da loro visitate.

Il budget
Lanciata per la prima volta nel luglio 2018 con un budget di 12 milioni di euro, con la sua prima edizione DiscoverEu ha fatto viaggiare circa 15mila giovani. Nel maggio 2018 la Commissione ha proposto di stanziare 700 milioni di euro a favore dell’iniziativa come parte del futuro programma Erasmus+ nell’ambito del bilancio europeo per il periodo 2021-2027. Se il Parlamento e il Consiglio approveranno tale proposta, dice Bruxelles, altri 1,5 milioni di diciottenni potranno viaggiare nel corso di questi 7 anni. Intanto, per l’edizione 2019 del programma Strasburgo ha approvato una spesa di 16 milioni di euro. Le candidature per la nuova tornata di partenze si apriranno in estate.

Classi pollaio, mancano i fondi

da Italiaoggi

Emanuela Micucci

Non ci sono i soldi. Lapidario il Dossier dei tecnici della Camera quando scrive che la proposta di legge per la riduzione del numero massimo di alunni per classe nelle scuole di ogni ordine e grado, presentata da M5S a Palazzo Chigi (n. 877 del 5 luglio 2018), manca dei finanziamenti previsti per attuarla non essendoci soldi sufficienti a causa degli accantonamenti stabiliti per i prossimi anni dalla legge di Bilancio del governo Conte appena entrata in vigore. Si infiamma, così, proprio sulle risorse economiche l’avvio dell’esame in Commissione Cultura.

La proposta di legge, prima firmataria la deputata pentastellata Lucia Azzolina, prevede la graduale diminuzione di un punto del rapporto alunni/docenti a partire dal prossimo anno scolastico 2019/20 ed entro il 2022/23, tornando così alla situazione in vigore prima del decreto legge 112 del 2008 dell’allora governo Berlusconi, che per ragioni finanziarie aveva disposto il ridimensionamento delle dotazioni organiche degli insegnati attraverso l’incremento graduale, fino a un punto, di quel rapporto per accostarlo agli standard europei. «Confermiamo quanto già prevede un decreto del presidente della repubblica del 2009: tutte le prime classi delle scuole di ogni ordine e grado non potranno avere più di 20 iscritti se presenti studenti con disabilità», spiega Azzolina, «negli altri casi, invece, il tetto massimo è di 22».

La proposta di legge stabilisce, inoltre, che entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, si modifichi il dpr 81/2009 per definire nuovi criteri per la formazione delle classi, fornendo su questi alcune indicazioni generali. Tuttavia, il provvedimento sarebbe improponibile per la mancanza di soldi.

La pdl, infatti, quantifica i costi della riduzione degli alunni per classe in 338.500.000 euro per il 2019, 1.180.000.000 per il 2020, 1.715.100.000 per il 2012 e 2.130.000.000 dal 2022. Oneri a cui si provvede dal 2021 attraverso la corrispondente riduzione delle proiezioni per gli stessi anni dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente, iscritto per il bilancio triennale 2018/20 nel programma Fondo di riserva e speciali della missione Fondo da ripartire dello stato di previsione del Mef per il 2018, utilizzando parzialmente l’accantonamento dello stesso ministero. E, dal 2022, attraverso la corrispondente riduzione del Fondi per il finanziamento di esigenze indifferenti.

Ma, osservano i tecnici della Camera, in base alla tabella A della legge di Bilancio 2019 (L. 145/2018), «l’accantonamento relativo al Mef è pari a euro 58.819.000 per il 2019, 76.526.000 euro per il 2020 e 76.792.000 euro per il 2021». «Prima di entrare nel merito è del tutto pregiudiziale fare chiarezza col governo in merito alla possibilità di rinvenire fondi per una misura come quella in esame», sottolinea Valentina Aprea (Fi), chiedendo che «ministro dell’istruzione, o quantomeno il sottosegretario, intervengano ai lavori per fornire alla Commissione chiarimenti» sulla effettiva copertura delle spese.

A darle manforte Anna Ascani (Pd): «Sarebbe più utile se la Commissione impiegasse uno strumento diverso, ad esempio una risoluzione per impegnare il governo a trovare rimedio al problema delle classi sovraffollate: e preferibilmente dopo aver effettuato uno studio di fattibilità preventivo che verifichi l’attuabilità, in termini di risorse non solo finanziarie ma anche umane e strumentali».

E Paola Frassinti (Fd’I) ritiene che «non ci siano i presupposti perché il provvedimento possa mai diventare legge». Ferma nella difesa del provvedimento Azzolina, «altrimenti, tanto varrà chiudere la scuola pubblica, perché così non serve a nessuno».

Quota 100, è cessato allarme

da Italiaoggi

Nicola Mondelli

Mentre ritarda l’approvazione da parte del consiglio dei ministri del decreto legge concernente le disposizioni relative a interventi in materia pensionistica (attesa per giovedì), cresce, soprattutto tra il personale docente e Ata del comparto scuola, l’interesse per l’introduzione nel sistema previdenziale pubblico della pensione anticipata con quota 100.

Se le anticipazioni sui requisiti anagrafici e contributivi per accedere anticipatamente al trattamento pensionistico, in deroga ai requisiti richiesti dalla normativa vigente (riforma Fornero), dovessero essere confermate nel decreto legge che dovrebbe essere approvato entro la prossima settimana, sarebbero, secondo una stima di ItaliaOggi in base ai dati disponibili sull’età anagrafica del personale, 52.000 i docenti e 22.000 gli Ata in servizio nel corrente anno scolastico con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali di ogni ordine e grado che, alla data del 31 dicembre 2019, potrebbero fare valere i requisiti richiesti per accedere alla «pensione quota 100» (62 anni di età e 38 di contribuzione).

Dei 74.000 solo un 10 per cento potrebbe fare valere i requisiti minimi (62 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva). Il restante 90 per cento risulterebbe avere una età anagrafica tra i 63 e i 66 anni ed una anzianità contributiva compresa tra i 38 e i 40/41 anni.

Ad entrambe le categorie di personale l’accesso alla pensione anticipata, previa apposita domanda, avrebbe decorrenza, contrariamente alle due finestre previste per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni, esclusivamente dal 1° settembre 2019 atteso che, nei confronti del personale della scuola, continueranno ad essere applicate le disposizioni di cui all’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n.449.

Tale comma dispone infatti che per il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico successivo, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno.

Stando alle bazze finora circolate, l’accesso alla pensione anticipata con «quota 100» comporterebbe in particolare due penalizzazioni: il trattamento pensionistico non sarebbe cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza dello stesso e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale nel limite di complessivi 5 mila euro lordi annui; l’indennità di fine servizio (buonuscita per il personale della scuola) verrebbe corrisposta a decorrere dal momento in cui il soggetto avrebbe maturato il diritto alla corresponsione della stessa, per vecchiaia o per dimissioni, secondo le disposizioni attualmente in vigore (dopo un anno dalla pensione di vecchiaia o dopo due anni da quella di anzianità, entrambe comunque a rate annuali il cui numero è legato all’ammontare della buonuscita). Una ipotesi di liquidazione anticipata mediante un prestito bancario è, allo stato, solo teorica.

Una terza penalizzazione, peraltro già in vigore per le pensioni a qualunque titolo anticipate, riguarderebbe l’ammontare del trattamento pensionistico mensile rispetto all’ultima retribuzione spettante al momento della cessazione dal servizio.

Rispetto all’ultima retribuzione la rata di pensione mensile risulterà inferiori da un minimo del 5 per cento a più del 20 per cento a seconda che il dipendente possa fare valere rispettivamente una età anagrafica superiore a 62 anni e a 38 anni di contribuzione a pieno regime ovvero esclusivamente l’età e i contributi minimi richiesti da «quota 100».

Sulla sola base delle anticipazioni che circolano in questi giorni, in precedenza sintetizzate sinteticamente, dei 74.000 docenti e personale Ata che avrebbero titolo ad accedere alla pensione anticipata con decorrenza 1° settembre 2019 potrebbero essere non più di diecimila quelli che, presumibilmente, sarebbero interessati a presentare la domanda di cessazione dal servizio nei termini che comunque dovranno essere stabiliti dal ministero dell’istruzione dopo l’entrata in vigore del decreto legge. Si tratterebbe soprattutto di personale Ata e di docenti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria che oltre all’età anagrafica minima possono fare valere una anzianità contributiva superiore a 38 anni.

Altrettanti potrebbero chiedere, per sopraggiunte esigenze personali o familiari o per motivi di salute, di andare in pensione anticipatamente utilizzando a tal fine «quota 100». Sommando le domande di cessazione dal servizio presentate entro il 12 dicembre 2018 da 15.190 docenti e 4.500 Ata (dati definitivi elaborati dal ministero dell’istruzione) a quelle che potrebbero essere presentare dopo l’entrata in vigore del decreto legge, il prossimo 1° settembre il numero complessivo dei docenti e del personale Ata che lascerebbe il servizio dovrebbe aggirarsi tra le 30.000 e le 35.000 unità. Un esodo che equipara il flusso dello scorso anno. Certamente non quanto ipotizzato da più parti ivi compreso dal presidente dell’Inps, Tito Boeri.

Impronte digitali e telecamere agli ingressi per controllare i dirigenti scolastici. Per docenti e Ata un decreto ad hoc

da Italiaoggi

Franco Bastianini

Uno dei disegni di legge collegati alla legge n. 145 del 30 dicembre 2018 (di bilancio 2019), quello contenente interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo, approvato dal Senato il 6 dicembre 2018, ha iniziato la settimana scorsa in sede referente il suo iter nelle Commissioni I (Affari costituzionali) e XI (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati.

L’articolo 2 del provvedimento voluto dal ministro della pa, Giulia Bongiorno, definisce le misure per il contrasto all’assenteismo. Il comma 1 dispone in particolare che ai fini delle verifica dell’osservanza dell’orario di lavoro le amministrazioni dello Stato devono introdurre – seppure nel rispetto dei principi di proporzionalità, non eccedenza e gradualità sanciti dall’articolo 5, paragrafo 1, lett. c) del regolamento Ue 2016/679 – sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza degli accessi, in sostituzione dei diversi sistemi di rilevazione automatica, attualmente in uso.

Successivamente all’approvazione della legge sarà un decreto del presidente del consiglio dei ministri che dovrà individuare le modalità attuative per l’ introduzione dei nuovi sistemi di verifica.

I nuovi sistemi di verifica biometrica dell’identità e di sorveglianza si applicheranno, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con l’utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, anche agli istituti e scuole di ogni ordine e grado e alle istituzioni educative tenendo conto delle loro specificità organizzative e funzionali e nel rispetto dell’autonomia organizzativa e didattica, di ricerca e di sviluppo ad essi riconosciuta dalle vigenti disposizioni.

Per i dirigenti scolastici il comma 2 dell’articolo 2 dispone tra l’altro che dovranno adeguare la propria prestazione lavorativa nella sede di lavoro alle esigenze dell’organizzazione e dell’incarico dirigenziale svolto, nonché a quelle connesse con la corretta gestione delle risorse umane. Per tali finalità anche ai dirigenti sembra si dovrebbero applicare i sistemi di verifica biometrica e di video sorveglianza. Una disposizione questa che se letteralmente confermata non potrà non troverà una decisa opposizione da parte dei dirigenti.

In considerazione della peculiarità della disciplina giuridica applicabile al personale docente ed educativo, le modalità di applicazione dei sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza degli accessi dovranno essere stabilite, dispone il comma 4 dell’articolo 2, da uno specifico provvedimento attuativo adottato dal ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il ministro della pubblica amministrazione e, comunque, previo parere del garante per la protezione dei dati personali e nel rispetto del regolamento UE 2016/679.

L’introduzione di sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza della presenza nel posto di lavoro del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario restano di competenza del dirigente scolastico e degli organi di gestione della scuola.

Sostegno in mano ai generalisti

da Italiaoggi

La specializzazione manca al 36% dei circa 156 mila insegnati di sostegno. La continuità didattica non è garantita al 41% alunni disabili che ogni anno si vede cambiare il docente di sostegno. Al palo l’uso della tecnologia per l’inclusione scolastica, nonostante la scuola digitale. Impietoso il quadro dipinto dall’Istat nel report sull’inclusione scolastica nell’anno scolastico 2017/18, pubblicato la scorsa settimana (www.istat.it).

Circa 56.160 docenti di sostegno, il 36% del totale, vengono selezionati dalle liste curricolari, poiché la graduatoria degli insegnati specializzati per il sostegno non è sufficiente a soddisfare la domanda. Un fenomeno più frequente nelle regioni del Nord, dove la quota sale al 49%. Mentre si riduce considerevolmente nel Mezzogiorno scendendo al 21%.

Il numero di ore settimanali di sostegno assegnate in media a ciascun alunno dei 272.167 con disabilità (il 3,1% del totale degli iscritti) ammonta complessivamente a 13,7. Dotazione maggiore nella primaria:15 ore, contro le 11,9 alle medie. Più ore nelle scuole del Mezzogiorno, mediamente 3 ore settimanali in più rispetto a quelle rilevate al Nord. Tuttavia, negli ultimi cinque anni le ore di sostegno settimanali hanno subito un incremento del 14%: 1,7 ore in più a settimana per entrambi gli ordini scolastici. Un incremento su tutto il territorio, ma più alto nelle regioni del Centro, dove supera il 18% (2,2 ore in più a settimana), e minimo nel Mezzogiorno (10%, 1,3 ore in più), che però registrava in partenza valori medi settimanali più elevati. «Nel complesso», osserva l’Istat, «malgrado l’aumento nella dotazione di ore a supporto della didattica, i bisogni degli alunni non sembrano ancora pienamente soddisfatti».

Dall’indagine, infatti, emerge che il 5% delle famiglie degli alunni con sostegno ha presentato ricorso al Tribunale civile o al Tar, ritenendo l’assegnazione delle ore non idonea a soddisfare il bisogno dell’alunno. Non è solo una questione di ore. La continuità del rapporto tra docente per il sostegno e alunno, infatti, non risulta ancora garantita: il 41% degli alunni ha cambiato insegnante rispetto all’anno precedente e il 12% nel corso dell’anno scolastico.

Per migliorare la qualità dell’apprendimento, poi, è importante che l’insegnante per il sostegno sia in grado di utilizzare la strumentazione adeguata. Fondamentale, allora, la formazione in tecnologie educative. Altro buco nero. Per l’anno scolastico 2017/2018 nel 13% delle scuole italiane nessun insegnante per il sostegno ha frequentato un corso specifico. Nel 61% soltanto alcuni, mentre nei restanti casi (26%) tutti i docenti hanno seguito almeno un corso. «In linea con il livello di formazione riscontrato si osserva uno scarso utilizzo della tecnologia da parte degli insegnanti per il sostegno», aggiunge l’Istat. In piena scuola digitale solo nella metà delle scuole italiane tutti gli insegnanti sono in grado di utilizzare la tecnologia a supporto della didattica inclusiva. Non solo.

Una scuola su quattro risulta carente di postazioni informatiche adattate alle esigenze degli alunni con sostegno. E, contrariamente a quanto previsto per un percorso didattico inclusivo, la collocazione delle postazioni informatiche in classe risulta poco frequente, solo nel 43% delle scuole. «La qualità dell’azione formativa», osserva l’Istat, «può migliorare se all’insegnante per il sostegno vengono affiancate altre figure professionali specifiche, finanziate dagli enti locali». Ma questi assistenti sono circa 48mila, con un rapporto per alunno di 5,1.

L’abbandono scolastico riprende a crescere anche al Nord Un giovane su 4 tra i 15 e 29 anni non studia e non lavora

da ItaliaOggi

Lo rileva l’ultimo rapporto sul benessere equo e sostenibile dell’istat

Angela Iuliano

Si interrompe la riduzione dell’abbandono scolastico. Anche al Nord. Nel 2017, infatti, i giovani di 18-24 anni che non sono inclusi nel sistema di istruzione e formazione e possiedono al più la licenza media sono aumentati, arrivando in un anno all’11,3% contro il 10,6% del 2016. A certificarlo è l’ultimo Rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes), recentemente dall’Istat, che nel 2017 segna una flessione dell’indice per il dominio Istruzione e formazione, interrompendo un trend positivo che aveva caratterizzato gli anni precedenti (www.istat.it).

L’indice, infatti, assume il valore di 106,6 punti contro i 197,8 del 2016. Tra gli indicatori che pesano rispetto all’anno precedente c’è proprio l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, unico che peggiora insieme alla partecipazione alla formazione continua e alla quella culturale. Mentre nel confronto con cinque anni prima, il 2010, a peggiorare è la partecipazione alla scuola dell’infanzia, la quota di giovani Neet che né studia né lavora, oltre alla partecipazione culturale. Il peggioramento nella riduzione dell’abbandono scolastico, spiega l’Istat, «a livello generale è attribuibile alla componente maschile»: il 16,6%, rispetto al 16,1% del 2016. Mentre l’uscita dal sistema di istruzione è più elevata nelle isole.

I giovani di 18-24 anni con la sola licenza media e non inseriti in un percorso di istruzione o formazione, infatti, sono il 21,2% in Sardegna e il 20,9% in Sicilia. In altre regioni, invece, la percentuale di giovani che abbandona è inferiore al valore medio europeo: in Abruzzo (7,4%), provincia di Trento (7,8%), Umbria (9,3%), Emilia-Romagna (9,9%), Marche (10,1%), Friuli-Venezia Giulia (10,3%) e Veneto (10,5%). In leggera diminuzione anche la partecipazione alla scuola dell’infanzia, sebbene nell’anno scolastico 2016/2017 si mantiene su livelli molto elevati con il 91,1% dei bambini di 4-5 anni che ha frequentato la materna. Tuttavia, si inserisce nel contesto di una tendenza negativa avviatasi nell’anno scolastico 2012/2013.

Nel 2017, poi, le uscite precoci dal sistema formativo risultavano in leggero aumento: i giovani di 18-24 anni con la licenza media che non sono inseriti in un percorso di istruzione o formazione sono il 14%. Erano il 13,8% nel 2016. Eppure, commenta l’Istat, «l’accesso per tutti ad un sistema di istruzione di qualità e la permanenza nel sistema almeno fino al completamento del diritto-dovere all’istruzione sono fondamentali prerequisiti per il miglioramento del capitale sociale di un Paese».

La quota dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano, i Neet, rimane molto elevata, mostrando valori simili a quelli dell’anno precedente: il 24,1%. La quota di persone di 25-64 anni che hanno partecipato ad attività di istruzione e formazione nelle ultime 4 settimane è del 7,9%, con un lieve arretramento rispetto all’anno precedente. Tuttavia, migliora il livello di istruzione della popolazione italiana.

Nel 2017 aumentano le persone di 25-64 anni con almeno il diploma superiore rispetto all’anno precedente, rispettivamente 60,9% e 60,1%. Mentre le persone che hanno conseguito almeno il diploma superiore sono il 74,8% tra i giovani di 25-34 anni e il 47% tra le persone di 60-64 anni. Con riferimento all’anno accademico 2017/2018 nel ciclo di studi terziario, poi, si conferma stabile al 50,5% il tasso di passaggio dalla scuola all’università dei giovani diplomati. Infine, aumenta al 26,9% la quota di persone di 30-34 anni che conseguono una laurea o altro titolo di studio di livello terziario. Era 26,2% nel 2016.

Educazione alla salute potrebbe diventare nuova materia trasversale, i dettagli

da Orizzontescuola

di redazione

Il Ministero della Salute e il Miur hanno messo a punto un documento su “Indirizzi di ‘policy’ integrate per la Scuola che Promuove Salute” all’esame della Stato-Regioni del 17 gennaio.

Il documento mira a promuovere salute e benessere nella scuola ed è basato su un’allenza tra Scuola e sistema Sanitario, “tenendo conto degli obiettivi, dei soggetti, delle risorse, dei saperi umanistici e scientifici, e delle relazioni che li legano, direzionando gli sforzi verso la co-progettazione e la co-costruzione di ambienti educativi sfidanti, accoglienti e innovativi”.

Per giungere a tali obiettivi, il documento riporta, come scrive quotidianosanità.it:

– strutturare tra “Scuola” e “Salute” un percorso congiunto e continuativo di medio e lungo termine

– includere formalmente la promozione della salute, il benessere e la cultura della sicurezza e della legalità all’interno del sistema educativo di istruzione e formazione

– sostenere la diffusione dell”‘Approccio scolastico globale”

– inserire i temi della salute nei curricula scolastici

– promuovere la diffusione di programmi dì intervento

– sviluppare, razionalizzare e diffondere modelli educativi

– attivare una azione di governance integrata intersistemica, a livello nazionale e regionale, degli interventi in tema di salute proposti alle Scuole

– condividere strumenti di raccolta documentale di azioni realizzate dalle Scuole

Fonte

Digitalizzazione scuola, Giuliano: risorse per formazione e infrastrutture

da Orizzontescuola

di redazione

Paolo Ferri,docente di teoria e tecnica dei nuovi media all’università Bicocca di Milano, ha lanciato l’allarme sul fatto che la digitalizzazione della nostra scuola si sia fermata con il Governo Lega-M5S.

Digitalizzazione scuola: risorse stanziate

Ferri, come leggiamo sul Corriere.it, parte dagli scarsi investimenti fatti sino ad ora, ossia 35 milioni sui 500 messi a disposizione dalla legge 107/15 per il biennio 2018/2020:

  • 22 milioni per gli ambienti didattici innovativi;
  • 7,5 milioni per il potenziamento della formazione di docenti e studenti;
  • 1,7 milioni per la promozione dell’innovazione didattica e digitale sul territorio;
  • 1,5 milioni per il Premio nazionale scuola digitale.

Secondo Ferri, leggiamo ancora sul Corriere, lo stanziamento di soli 35 milioni a fronte dei 500 disponibili per il succitato biennio è significativo del fatto che si è vicini alla paralisi

Digitalizzazione scuola: risorse da stanziare

Il Sottosegretario Giuliano, al contrario del professor Ferri, sostiene che “Le risorse sono nel bilancio del Miur e verranno spese innanzitutto per formazione e infrastrutture. Ed entro fine gennaio sarà al lavoro la commissione per il monitoraggio del Piano che dovrà formulare i pareri sulle azioni a cui dare priorità”

Alle risorse già disponibili si aggiungeranno, prosegue il Sottosegretario, quelle derivanti dai PON. “Se la commissione darà indicazioni in questo senso, poi, potrebbero anche esserci finanziamenti aggiuntivi”, conclude Giuliano.

Pensioni quota 100, si attendono solo 10mila adesioni fra docenti e Ata

da Orizzontescuola

di redazione

Potrebbero essere fra i 30 mila e i 35 mila i lavoratori del settore scuola che al primo settembre prossimo potrebbero andare in pensione.

A fare un po’ di calcoli è stato il quotidiano Italia Oggi che è partito dagli effetti che potrebbero essere prodotti nel personale scolastico dalla controriforma della legge Fornero, la cosiddetta quota 100.

La nuova formula dovrebbe riguardare in teoria un numero molto più alto di lavoratori della scuola, cioè 52 mila docenti e 22 mila Ata.

Le stime si riferiscono al personale scolastico in servizio nel corrente anno con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali di ogni ordine e grado. I requisiti richiesti, tuttavia, si possono far valere a partire dal 31 dicembre 2019. 

Il ragionamento fatto dal quotidiano è che, sulla base delle anticipazioni circolate, nel settore scuola solo 10 mila lavoratori potrebbero essere interessati a ritirarsi dal lavoro con le nuove regole.

Ma perché dei potenziali 74 mila circa la cifra effettiva si abbassa così tanto? Come già ampiamente scritto anche da Orizzonte Scuola, per il personale scolastico non è possibile applicare le finestre di uscita dal lavoro e la pensione può decorrere solo dal 1° settembre per non danneggiare la continuità didattica.

Il testo del decreto su pensioni quota 100 non è ancora ufficiale e lo diventerà con l’approvazione in Consiglio dei ministri di giovedì prossimo (salvo ulteriori rinvii). Tuttavia non dovrebbero esserci cambiamenti alle disposizioni di cui all’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n.449.

Proprio quest’ultima condizione fa attestare a circa diecimila i lavoratori che potrebbero presumibilmente andare in pensione nei termini stabiliti dal ministero dell’Istruzione dopo l’entrata in vigore del decreto legge. “Sommando le domande di cessazione dal servizio – spiega Nicola Mondelli nel suo articolo – presentate entro il 12 dicembre 2018 da 15.190 docenti e 4.500 Ata (dati definitivi elaborati dal ministero dell’istruzione) a quelle che potrebbero essere presentare dopo l’entrata in vigore del decreto legge, il prossimo 1° settembre il numero complessivo dei docenti e del personale Ata che lascerebbe il servizio dovrebbe aggirarsi tra le 30.000 e le 35.000 unità“.

Si tratterebbe, sempre secondo Italia Oggi, soprattutto di personale Ata e di docenti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria che oltre all’età anagrafica minima possono fare valere una anzianità contributiva superiore a 38 anni, cioè la famosa quota 100.

Credito scolastico: conversione terzo e quarto anno con le nuove tabelle

da Orizzontescuola

di Giulia Boffa

L’USR Lombardia ha pubblicato una circolare in cui ricorda un adempimento importante in vista dei nuovi esami di Stato.

Riportando la Nota ministeriale 3050 del 4 ottobre 2018 avente per oggetto “Esame di stato istruzione secondaria di secondo grado a.s. 2018/2019 – prime indicazioni operative” l’USR ricorda: “Al fine di mettere gli studenti del quinto anno in condizione di avere contezza della propria situazione, i consigli di classe provvederanno ad effettuare tempestivamente e, comunque, non più tardi dello scrutinio di valutazione intermedia, la conversione del credito scolastico conseguito complessivamente nel terzo e nel quarto anno di corso da ciascuno studente, verbalizzandone l’esito.
Inoltre, le scuole avranno cura di comunicare agli studenti e alle famiglie il credito complessivo del terzo e del quarto anno, come risultante dalla suddetta operazione di conversione, mediante i consueti canali di comunicazione scuola- famiglia.”

Circolare

tabelle di conversione

Docenti, i più controllati e meno assenteisti. Però il Governo vuole lettori d’impronte e dell’iride pure a scuola

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Per combattere dei numeri irrisori sull’assenteismo, il Governo vuole far rilevare la presenza dei docenti a scuola attraverso i dati biometrici: lo prevede il decreto legge Concretezza, in questi giorni alla Camera, dopo il via libera del Senato.

Tutto riscontrabile

Eppure, è difficile pensare che un insegnante possa abbandonare il posto di lavoro senza che nessuno se accorga. Diciamola tutta: è impossibile.

Una volta un insegnante di diritto, dalla battuta pronta, mi disse: “siamo la categoria più controllata al mondo, pur non dovendo timbrare il cartellino”. Come dargli torto? Un ritardo, un’uscita anticipata, un’assenza, anche di pochi minuti, è riscontrabile in tempo reale. Con una classe intera pronta a denunciare o testimoniare l’accaduto.

Per non parlare del collaboratore scolastico addetto al piano o di eventuali altri potenziali “testimoni” presenti a scuola, come i genitori, i colleghi, il personale Ata e via dicendo. Senza dimenticare l’attestazione di presenza sul registro elettronico.

Un caso ogni 15 mila

Stando così le cose, quale motivo può avere portato il ministro della Funzione Pubblica e i suoi consulenti a dire che anche nella scuola si adotterà, previo apposito decreto emesso dal Miur, un sistema di “verifica biometrica” e di video-sorveglianza per contrastare eventuali fenomeni di “assenteismo”?

Forse per non essere da meno rispetto ai lavoratori degli altri comparti, si è deciso di introdurre dei lettori di impronte e dell’iride? Forse.

Ma c’è dell’altro, perché oltre ad essere i più controllati, i lavoratori della scuola figurano anche tra i meno assenteisti: la percentuale media di casi di procedimento disciplinare si colloca tra i 60 e gli 80 casi l’anno. A fronte, è bene ricordarlo, di quasi un milione di docenti e Ata. Quindi, stiamo parlando di un caso ogni 10 mila – 15 mila lavoratori onesti.

E forse non è un caso che anche le assenze per malattia degli insegnanti risultino dimezzate rispetto a quelle fatte registrare dagli altri dipendenti pubblici.

Vale la pena?

Quindi, per stanare lo 0,001%, di “furbetti” assenteisti vale la pena spendere svariati milioni di euro (della collettività) per acquistare ed installare dei congegni sofisticati che serviranno a rilevare le impronte digitali, oltre che l’installazione di eventuali sistemi di video-sorveglianza?

Vale la pena formare e sottrarre dal lavoro ordinario almeno 8 mila assistenti amministrativi, diciamo uno per ogni scuola autonoma, che dovranno seguire corsi e spendere non poche energie e diverso tempo per andare a verificare i risultati derivanti delle registrazioni su centinaia di dipendenti che ogni giorni giungono a scuola?

Per i dirigenti è ancora più incomprensibile

Ma il paradosso più grande riguarda i dirigenti scolastici: per il ruolo che rivestono, infatti, il loro rapporto con il datore di lavoro, lo Stato, è di tipo fiduciario. Tanto è vero che, avvalendosi della pian autonomia organizzativa, non sono soggetti ad orari di servizio prefissati.

Fatto sta che anche per i capi d’istituto il decreto Concretezza prevede l’adozione di sistemi di “verifica biometrica” e di video-sorveglianza.

Non a caso, la stessa Anp, il primo sindacato dei presidi, ha già fatto sentire la sua voce in merito.