Scuola, l’idea del Gruppo di Firenze: abolire le classi alle superiori

da la Repubblica

Salvo Intravaia

Abbandonare l’idea di classe conosciuta finora e rivoluzionare il concetto di promozione. Secondo il Gruppo di Firenze, che da quasi 15 anni si occupa di questioni scolastiche, è possibile. Anzi, è auspicabile nella scuola superiore nostrana. Perché “attualmente, la scuola italiana, come nella maggioranza dei Paesi europei, è interamente basata – spiegano nella loro proposta di riforma della scuola di secondo grado – sul succedersi delle classi, a cui si viene ammessi avendo almeno la sufficienza in tutte le materie”. Ma questa, a parere degli insegnanti che vorrebbero trasformare la loro esperienza nelle classi in qualcosa di più, “è un’organizzazione nel complesso adeguata per il primo ciclo. Nelle superiori, però, la ripetenza viene sempre più sentita come un sistema che non garantisce la serietà degli studi e di conseguenza una buona preparazione degli studenti”.

L’Italia è, in effetti, uno dei Paesi europei col maggior numero di alunni che abbandonano precocemente gli studi senza arrivare al diploma: il 14% dei giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni, nel 2017. Addirittura in leggero aumento rispetto al 2016. Abbandoni che vengono sovente preannunciati da una o più bocciature. Fanno peggio di noi soltanto Romania, Turchia, Islanda, Spagna e Malta. I prof del Gruppo di Firenze spiegano che “a fine anno, per evitare la bocciatura, percepita da molti docenti come un provvedimento draconiano, vengono ‘abbonate’ una o più materie. Ma lo studente si porta dietro lacune non colmate”. Se invece lo studente viene bocciato avrà la possibilità di colmare quelle lacune, ma dovrà anche ripetere le materie in cui aveva avuto risultati positivi, “con il concreto rischio che prevalgano sfiducia e demotivazione”.

Non sarebbe quindi meglio adottare il sistema che vige in Finlandia, si chiedono gli autori della proposta, più vicina all’organizzazione in atto all’università? L’istruzione secondaria auspicata dal Gruppo che lavora per una “scuola del merito e della responsabilità” abbandona il concetto di classe per abbracciare quello dei corsi disciplinari. Come accade nel paese scandinavo, che figura ormai stabilmente tra i primi al mondo per competenze di base(Lettura, Matematica e Scienze) dei propri quindicenni, “non si passerebbe più dalla prima classe alla seconda e così via, ma dal primo al secondo corso di italiano, dal primo al secondo di matematica e via dicendo”. La novità consisterebbe nel fatto che la bocciatura può scattare “solo nelle materie insufficienti e ripetere soltanto quelle, continuando però a frequentare gli altri corsi con lo stesso gruppo classe, che rimane un riferimento importante per gli adolescenti”. E al termine di ogni corso, un esame accerta la preparazione dello studente. In questo modo, le bocciature e gli abbandoni precoci potrebbero essere limitati al massimo, con un risparmio anche in termini economici.

Docente nel terzo anno FIT: non potrà partecipare alla mobilità 2019/20

da Orizzontescuola

di Giovanna Onnis

Il docente nel terzo anno FIT non potrà partecipare alla mobilità per il prossimo anno scolastico. Non è ancora in ruolo , ma risulta in servizio come supplente annuale

Una lettrice ci scrive:

“Vorrei sapere se un docente del terzo  anno FIT, che avrà esito del superamento dell’anno di prova il 31 agosto,  potrà  chiedere il trasferimento o l’assegnazione provvisoria, magari con riserva. Oppure si è davvero esclusi dalla possibilità di mobilità  per il prossimo anno scolastico?”

Il docente nel  terzo anno FIT risulta in anno di prova e in servizio come supplente annuale, quindi giuridicamente non risulta ancora immesso in ruolo

Docente nel terzo anno FIT: come acquisisce titolarità su scuola

Come stabilito nell’art.6 comma 9 del CCNI sulla mobilità,  il docente nel terzo anno FIT nel corrente anno scolastico, in seguito all’esito positivo dell’anno di prova e formazione che sta svolgendo quest’anno, acquisirà titolarità nella scuola di servizio, nel 2019/20, a decorrere dal 1 settembre 2019.

In caso di contrazione di posti nella scuola di servizio, il docente in questione assumerà  la titolarità su scuola  su un posto tra quelli rimasti disponibili, all’interno della provincia di riferimento, al termine delle operazioni di mobilità e comunque prima delle immissioni in ruolo.

Il docente nel terzo anno FIT può chiedere trasferimento?

Il docente nel terzo anno FIT non risulta ancora immesso in ruolo, perciò non potrà partecipare alla mobilità per il prossimo anno scolastico. Il docente, infatti, risulta essere in servizio con contratto a tempo determinato come supplente annuale e non ha, quindi, i requisiti per chiedere trasferimento.

Nell’art.2 comma 1 del CCNI, infatti, si chiarisce esplicitamente che le disposizioni relative ai trasferimenti e ai passaggi contenute nel contratto si applicano esclusivamente ai docenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato

Il docente nel terzo anno FIT potrà partecipare alla mobilità annuale?

Per le stesse motivazioni valide per il trasferimento,  il docente nel terzo anno FIT, in base alle regole valide fino al corrente anno scolastico e ipotizzando una loro conferma, non potrà partecipare neanche alla mobilità annuale in quanto non risulterà ancora immesso in ruolo alla data di presentazione della domanda.

Non potrà chiedere utilizzazione in quanto, come docente con contratto a tempo determinato, non potrà ancora valutare il possesso dei requisiti richiesti per presentare domanda.

Non potrà chiedere assegnazione provvisoria in quanto non è consentito presentare domanda per lo stesso anno scolastico di decorrenza dell’immissione in ruolo, ipotizzando la conferma di quanto disposto nell’art.6 comma 4 del CCNI sulla mobilità annuale 2018/19, dove si stabilisce che “[….] Non sono consentite le assegnazioni provvisorie nei confronti di personale scolastico assunto a tempo indeterminato con decorrenza giuridica coincidente all’inizio dell’anno scolastico 2018/19”. Chiaramente se questo sarà confermato anche per il prossimo anno il riferimento non sarà il 2018/19, ma il 2019/20.

Tutto sulla Mobilità 2019

Esami di Stato, anche i sindacati vogliono fermare Bussetti

da Orizzontescuola

di redazione

Arriva dai sindacati FLCGIL, CISL e UIL la richiesta di un incontro al Ministero sugli Esami di Stato 2019. Le motivazioni

“Numerose e importanti novità – scrivono le tre sigle sindacali – arrivano ad anno scolastico inoltrato, nella fase conclusiva del percorso didattico degli studenti determinando disorientamento e difficoltà di adeguamento delle indicazioni ministeriali ai contesti organizzativi, metodologici e didattici già strutturati, funzionali a piani formativi che le scuole avevano da lungo tempo programmato ed ora nella fase conclusiva di realizzazione. Per un esame attento delle criticità e l’individuazione delle possibili soluzioni siamo a richiedere un incontro urgente.”

A queste domande il Ministro ha risposto già da diversi giorni,  non da ultimo durante un’intervista a RepubblicaCon gli studenti non sarebbe servito muoversi neanche con un anno di anticipo. I ragazzi di quarta sono presi dal loro anno scolastico, avrebbero pensato alla Maturità soltanto in quinta. L’orizzonte di un diciottenne è la stagione“.

Vedremo quindi cosa dirà ai sindacati.

Nel frattempo rimangono confermate le simulazioni nazionali, per le quali si attendono le istruzioni operative.

La simulazione – ha spiegato la dott.ssa Palumbo Capo Dipartimento Miur – permetterà a tutti gli attori in campo di rendersi conto della situazione. Per gli studenti si tratterà di una prova simile a quella ufficiale, mentre il Miur analizzerà gli esiti per comprendere la risposta da parte delle scuole.

Il preruolo vale quanto il ruolo sia per docenti che ATA. Sentenza

da Orizzontescuola

di redazione

Un sospiro di sollievo, e una ravvivata fiducia nella Giustizia, arriva nel mondo del precariato grazie ad una recentissima sentenza del Tribunale di Padova.

Al contrario di quanto si era tentato di sostenere, la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza “Motter” dello scorso 20 settembre 2018, non ha affatto retrocesso rispetto all’ormai consolidata giurisprudenza che vede pacifico il riconoscimento di una sostanziale equiparazione del servizio reso dal personale a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato.

Quanto ai docenti, la Corte ha sottolineato l’importanza del ruolo del Giudice Nazionale che, caso per caso, dovrà valutare l’esperienza professionale maturata dai ricorrenti nel periodo di precariato,  escludendo dal riconoscimento dell’integrale anzianità di servizio esclusivamente coloro che non abbiano maturato un’esperienza qualificante – quale quella del docente che abbia prestato servizio sempre e solo per supplenze particolarmente brevi.

In tale ipotesi, non sarebbe possibile, secondo i Giudici della Corte di Giustizia, riconoscere ai precari il medesimo trattamento giuridico ed economico riservato ai docenti di ruolo.

Come ben sapranno i precari, o coloro che lo sono stati per molto tempo, la maggior parte di chi ricorre ai Tribunali per vedersi riconosciuta l’anzianità di servizio integrale ha lavorato per moltissimi anni svolgendo l’identico lavoro dei docenti di ruolo – salvo una maggiore preoccupazione per l’incertezza del domani e il maggiore carico di lavoro dovuto alla necessità di adeguarsi ogni anno alle diverse realtà nelle quali si trovano, o si sono trovati, a prestare servizio.

Correttamente, dunque, il Giudice di Padova, dr. Francesco Perrone, con sentenza n. 705/2018 del 20 dicembre 2018, ha riconosciuto il diritto all’integrale ricostruzione di carriera ai fini giuridici ed economici, nonché alla corresponsione delle differenze retributive non percepite in favore dei docenti che, con l’avv. Maria Elena Sinigaglia, in collaborazione con l’avv. Irene Graziosi, hanno avviato l’azione promossa dal Sindacato UIL SCUOLA di PADOVA.

Si legge infatti nella sentenza:

“-  come emerge dall’esame della giurisprudenza della CGUE, i lavoratori a tempo determinato non devono ricevere un trattamento che, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato al riguardo a lavoratori a tempo indeterminato comparabili. La nozione di «ragione oggettiva» di cui al punto 1 della clausola cit. “dev’essere intesa nel senso che essa non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma interna

–  a tale proposito, alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza della CGUE si deve ritenere che la clausola 4, punto 1 della direttiva cit. “esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato per quanto riguarda le condizioni di impiego. Il suo contenuto appare quindi sufficientemente preciso affinché possa essere invocato da un singolo ed applicato dal giudice” (v. sentenze Gaviero Torres, punto 78, Impact, punto 60, Zentralbetriebsratder Landeskrankenhäuser Tirols, punto 24);

–  peraltro, nel nostro ordinamento, il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato trova espresso riconoscimento, seppur non generalizzato, nell’articolo 6 del decreto legislativo n. 368/2001;

–  nel caso di specie, la disparità di trattamento che viene a crearsi in merito al riconoscimento dell’attività di servizio non risulta giustificata dalla sussistenza di alcun preciso e concreto elemento, oggettivamente fondato su caratteristiche obiettive le quali contraddistinguano il rapporto di impiego a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato, idoneo ad ancorare la legittimità del differente regime di trattamento ad una reale e oggettiva necessità quale ad esempio l’esigenza di perseguire uno specifico obiettivo della direttiva medesima ovvero una legittima finalità di politica sociale dello Stato membro;

–  nemmeno rileva che i lavoratori a termine siano stati assunti sulla base di particolari procedure diverse da quelle praticate per le assunzioni a tempo indeterminato, atteso che tale circostanza costituirebbe semmai una ulteriore ragione di disparità di trattamento la quale, a fronte dell’omogeneità qualitativa delle mansioni svolte, resterebbe a sua volta priva di oggettiva giustificazione;

–  è evidente che se i ricorrenti avessero sin dall’origine ottenuto il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nei periodi di assunzione a termine, essi avrebbero goduto di ogni beneficio conseguente sotto il profilo sia retributivo, sia dell’avanzamento di carriera (v. sentenze CGUE C- 177/2010, Rosado Santana, nonché C- 302-205/2012, Valenza, punti da 39 a 49), così come previsto in applicazione della contrattazione collettiva di settore;

–  deve essere altresì rilevato che in materia di riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato da personale docente la CGUE (Sentenza 20/9/2018, C-466/17, Motter), ha recentemente statuito che l’esclusione di parte dell’anzianità di servizio, maturata dai docenti in forza di servizi prestati a tempo determinato, può, in certe circostanze, essere considerata rispondente all’obiettivo legittimo di “rispecchiare le differenze tra l’esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell’ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti […]”. A giudizio della Corte tali elementi possono costituire “una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro” in quanto utili a “giustificare la differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato” (v. punti da 49-54). La Corte tuttavia precisa che sono sempre “fatte salve le verifiche che spettano al giudice del rinvio” dirette ad accertare se tali fattori di giustificazione effettivamente sussistano nel caso concreto;

–  tanto premesso, la disparità di trattamento tra docenti assunti a tempo determinato e docenti assunti a tempo indeterminato può trovare oggettiva giustificazione – la cui concreta sussistenza deve essere valutata caso per caso dal giudice nazionale – nelle peculiarità caratterizzanti il processo di acquisizione della professionalità da parte dei docenti in ruolo rispetto ai docenti assunti a tempo determinato. Esso infatti, come evidenziato dalla stessa CGUE, è significativamente caratterizzato dalla requisito della continuità dello svolgimento dell’attività di docenza su un particolare insegnamento la quale, in linea di principio, svolge un ruolo particolarmente incisivo nel delineare la “qualità” professionale dell’insegnante di ruolo, in termini sia di esperienza didattica, sia di bagaglio conoscitivo. Pertanto, quantomeno in linea di principio, la continuità professionale acquisita per mezzo dell’insegnamento in ruolo non può essere considerata omogenea alla continuità d’insegnamento sperimentata dall’insegnante assunto a tempo determinato, qualora adibito alla copertura di supplenze frammentarie e discontinue;

–  al tempo stesso deve essere compito del giudice quello di accertare se, nel caso concreto, l’insegnante non in ruolo abbia svolto la propria attività di insegnamento con modalità tali da consentire la maturazione di un’esperienza professionale qualitativamente comparabile rispetto a quella propria dell’insegnante in un ruolo. L’approccio della CGUE è infatti tradizionalmente orientato ad indicare quale sia la corretta interpretazione del diritto dell’Unione facendo specifico riferimento alle caratteristiche sostanziali del caso concreto, assegnando al giudice nazionale il compito di andare al di là delle definizioni formali eventualmente tracciate del diritto nazionale;

–  venendo al caso di specie, è pacifico in causa che la carriera dei ricorrenti è stata caratterizzata da una sostanziale “continuità” nell’insegnamento. Tutti i ricorrenti hanno continuativamente lavorato, per molti anni scolastici, presso i medesimi Istituti o per Istituti di ordine e grado omogenei, dedicandosi alle medesime materie d’insegnamento, coprendo pressoché per intero ciascun anno scolastico, seppure in esecuzione di successivi contratti formalmente distinti tra loro;
–  pertanto, assumendo la continuità d’esercizio della professione docente come elemento distintivo della professionalità maturata dal docente in ruolo, rispetto alla professionalità del docente assunto a tempo determinato, non vi sono ragioni obiettive per ritenere che, nel caso di specie, i ricorrenti abbiano maturato una professionalità qualitativamente diversa, a parità di mansioni, di materia d’insegnamento e d’Istituto di assegnazione, per il solo fatto di essere stati assunti con plurimi e successivi contratti di lavoro a tempo determinato;
(…)

–  ne consegue che l’art. 485, comma 1, d. lgs. 297/1994 deve essere disapplicato nella parte in cui, escludendo la completa equiparazione dell’incidenza dei periodi di lavoro svolto a tempo determinato ai fini del computo della complessiva anzianità di servizio maturata, determina una irragionevole discriminazione rispetto ai pubblici dipendenti assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a parità di mansioni”.
Anche al personale ATA lo stesso Giudice dr. Francesco Perrone, con sentenza n. 608/2018, ha riconosciuto il diritto all’integrale ricostruzione di carriera e alla corresponsione delle differenze retributive non percepite, specificando, con riferimento alla sentenza “Motter” che: “…venendo al caso di specie, non vi sono elementi di fatto sufficienti a ritenere che la professionalità propria degli ATA, sotto questo particolare punto di vista, sia paragonabile alla professionalità propria del corpo insegnante in quanto essa, quantomeno in linea di principio, non risulta influenzata in modo altrettanto intenso dalla maggiore o minore continuità con cui le relative mansioni siano state eseguite nel corso degli anni;

– la circostanza che il processo di acquisizione e consolidamento della professionalità da parte del personale ATA sia qualitativamente diverso e diversamente influenzato dalla continuità di servizio è desumibile anche da precisi indici normativi, tra i quali la diversa durata prevista per i rispettivi periodi di prova. Il CCNL Scuola del 19/4/2018 prevede, all’articolo 30, che “il personale ATA assunto in servizio a tempo indeterminato è soggetto ad un periodo di prova la cui durata è stabilita come segue: a) due mesi per i dipendenti inquadrati nelle categorie A e A super; b) quattro mesi per i restanti profili”, mentre l’art. 438 del D.Lgs. n. 297/1994 per il personale docente prevede il più lungo periodo di prova della “durata di un anno scolastico. A tal fine, il servizio effettivamente prestato deve essere non inferiore a 180 giorni nell’anno scolastico”;

– tale specifico dato normativo dimostra che lo stesso sistema normativo riconosce per le mansioni ATA un grado di complessità diverso rispetto alle mansioni docenti. Da ciò consegue che il principio di diritto espresso dalla sentenza Motter con riferimento al corpo docenti deve essere declinato diversamente quando applicato al corpo insegnanti, e diversa deve essere considerata la rilevanza della continuità professionale necessaria ad acquisire quel grado bagaglio esperienziale necessario a rendere oggettivamente ingiustificata una disparità di trattamento nel riconoscimento dell’anzianità professionale anteriore alla stabilizzazione rispetto a quella maturata successivamente;

– non sono, pertanto, ravvisabili ragioni oggettive idonee a giustificare per il personale ATA, assunto a tempo determinato disparità di trattamento nel computo dell’anzianità professionale rispetto al personale assunto a tempo indeterminato;

– ne consegue che l’art. 485, comma 1, d. lgs. 297/1994 deve essere disapplicato nella parte in cui, escludendo la completa equiparazione dell’incidenza dei periodi di lavoro svolto a tempo determinato ai fini del computo della complessiva anzianità di servizio maturata, determina una irragionevole discriminazione rispetto ai pubblici dipendenti assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a parità di mansioni …”.

Invalsi V superiore: date e somministrazione. Caratteristiche e struttura prova di Italiano

da Orizzontescuola

di redazione

Le classi V della scuola secondaria di II grado svolgeranno, nel corrente anno scolastico, la prova Invalsi che non costituirà requisito d’ammissione all’esame come inizialmente previsto dal D.lgs. 62/2017. Lo sarà dal prossimo anno (salvo nuovi interventi legislativi).

Vediamo in questa scheda le discipline coinvolte nella prova, le date di svolgimento, la somministrazione delle prove, le caratteristiche e la struttura della prova di Italiano.

Prova Invalsi V superiore: date

La prova si svolgerà:

  • classi NON campionedal 4 marzo 2019 al 30 marzo 2019
  • classi campionedal 12 marzo 2019 al 15 marzo 2019 

Qui tutte le date

Prova Invalsi V superiore: somministrazione

La prova si svolgerà nell’ambito della finestra di somministrazione indicata dall’Invalsi alle scuole e può essere somministrata:

  • per classe: l’intera classe svolge contemporaneamente la prova in un’aula informatica;
  • per gruppi: la classe è suddivisa in gruppi (non necessariamente di uguale numerosità) che in sequenza (anche in giorni diversi) o in parallelo svolgono la prova

Classi non campione

Nelle classi non campione le prove si svolgono preferibilmente in tre giornate distinte (una per l’italiano, una per la matematica e una per l’inglese), scelte dal Dirigente scolastico all’interno della finestra di somministrazione assegnata alla scuola nell’ambino del  periodo di somministrazione suddetto (4-30 marzo 2019)
Anche l’ordine di somministrazione delle materie (Italiano,
Matematica e Inglese-reading e Inglese – listening) è deciso
dal Dirigente scolastico in base all’organizzazione interna che intende adottare.
Classi campione
Nelle classi campione la somministrazione delle prove deve avvenire in modo da consentire all’Osservatore esterno di assistere allo svolgimento delle prove di tutti gli allievi  della classe, con la sola eventuale eccezione degli allievi disabili  o, limitatamente alla prova d’Inglese, anche degli allievi DSA che non sostengono la prova. Pertanto, gli eventuali gruppi, che compongono una classe campione,  svolgono sempre le prove in sequenza al fine di permettere all’Osservatore di assistere allo svolgimento delle prove di tutti gli allievi della classe a lui affidata.
Nelle classi campione le prove si svolgono in tre giornata distinte, scelte dalla scuola tra il 12 e il 15 marzo 2019. L’ordine di somministrazione delle materie è indicato dall’Invalsi:
  • giornata 1: Italiano
  • giornata 2: Matematica
  • giornata 3: Inglese (reading e listening nell’ordine stabilito dalla scuola e che può essere anche differenziato all’interno della classe).

Prova Invalsi V superiore: discipline coinvolte

La prova, che si svolgerà al PC, vede coinvolte le discipline di:

  • italiano;
  • matematica;
  • inglese.

Prova Invalsi italiano V superiore: caratteristiche

La prova presenta le seguenti caratteristiche:
  • non è differenziata per indirizzi poiché si riferisce ad ambiti di competenza comuni;
  • è volta a verificare le abilità di comprensione del testo e non presenta contenuti di storia della letteratura;
  • le domande riguardanti la riflessione sulla lingua (conoscenze e competenze grammaticali) sono riferite a brevi testi e alla capacità di utilizzare le conoscenze  e le esperienze acquisite per porsi in maniera linguisticamente consapevole di fronte agli stessi;
  • le predette domande sono finalizzate a stimolare l’osservazione e la riflessione sui nodi linguistici più significativi e necessari alla corretta decodifica dei testi.

Prova Invalsi italiano V superiore: struttura

Questa, come indicato nella presentazione dell’Invalsi, la  struttura della  prova:
  • 7 unità di comprensione del testo;
  • 1 unità di riflessione sulla lingua;
  • 7-10 domande per unità;
  • testi narrativi, argomentativi, espositivi, regolativi, continui, non continui ecc.
  • testi con ampia varietà di contenuti
  • lunghezza dei testi: la lunghezza di ogni testo può variare, in ogni caso tale parametro viene tenuto in considerazione in fase di composizione della prova, in modo tale da garantire un’equità delle diverse prove proposte agli studenti.
La prova ha una durata di:
  • 120 minuti (prova standard)
  • 135 minuti (prova con tempo aggiuntivo per allievi disabili o con
  • DSA)

Qui degli esempi per la grammatica

In pensione con quota 100, la circolare favorisce docenti, Ata e presidi: i sindacati prevedono un esodo

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

L’anticipazione della Tecnica della Scuola era corretta: i lavoratori della scuola potranno aderire a quota 100 facendo valere tutto il 2019, sua per raggiungere i 38 anni di contributi, sia per compiere i 62 anni di età.

Cosa dice la Circolare Miur

La conferma ufficiale è giunta il 1° febbraio, all’interno della Circolare Miur 4644  su “Cessazioni dal servizio del personale scolastico dal 1° settembre 2019 a seguito delle disposizioni in materia di accesso al trattamento di pensione anticipata introdotte dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n.4. Indicazioni operative”.

Viene ribadito, quindi, quanto già indicato, seppure in forma generale, nel decreto approvato ad inizio 2019 dal CdM, nel quali si riportava che “per il personale del comparto Scuola ad Afam si applicano le disposizioni di cui all’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449”.

Il riferimento è al testo di legge di 21 anni fa, il quale prevedeva che “per il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico e accademico, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno”.

I requisiti per lasciare favoriscono i lavoratori della scuola

Ora, la circolare Inps del 1° febbraio sulla scuola, come già scritto dalla nostra testata, riporta nel dettaglio i requisiti necessari e le indicazioni operative per aderire alle varie forme di pensionamento anticipato. A partire dalla tempistica della domanda, che potrà essere presentata on line dal 4 al 28 febbraio prossimi attraverso il sistema Polis.

Il passaggio della circolare Inps che deroga la scuola dagli altri dipendenti pubblici, è quella parte che “prevede la possibilità di accedere alla pensione anticipata per il personale del comparto scuola in possesso di uno dei seguenti requisiti al 31 dicembre 2019: l’articolo 14, comma 1, prevede la possibilità di conseguire il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento di un età anagrafica di almeno 62 anni e di un anzianità contributiva minima di 38 anni ( cd. pensione quota 100); l’art. 15, comma 1, innovando l’art. 24, comma 10, del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, consente l’accesso alla pensione anticipata se risulta maturata un’anzianità contributiva di 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. In tali casi è, anche, consentito chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale con contestuale attribuzione del trattamento pensionistico, purché ricorrano le condizioni previste dal decreto 29 luglio 1997, n. 331 del Ministro per la Funzione Pubblica”.

Le stime dei sindacati

Questa postilla, che permetterà di far valere pure i quattro mesi tra settembre e dicembre 2019, non è di poco conto: sono diverse migliaia i docenti e Ata che, infatti, attendevano di questa precisazione per rientrare nel doppio requisito 62 anni di età e 38 di contributi.

Il possesso dei requisiti per aderire a quota 100, per i dipendenti della scuola non comporterà un accesso sicuro alla pensione: per molti rimane il dubbio della decurtazione dell’assegno di quiescenza, per via della mancata contribuzione degli ultimi anni.

I sindacati però, ritengono, che la risposta sarà buona. Per la segretaria generale della Cisl Scuola, Maddalena Gissi, si prevede un “esodo dalla scuola di oltre 30 mila” lavoratori.

Secondo Pino Turi, leader della Uil Scuola, “almeno 20 mila docenti saranno interessati a quota 100: c’è una emergenza. Occorre che l’amministrazione metta mano ad una fase transitoria, con un percorso accelerato per i precari che hanno maturato almeno 36 mesi di servizio e consentire un loro reclutamento rapido. Solo così potremo garantire la continuità didattica e non avere troppi buchi di organico”, ha detto all’Ansa

“È responsabilità del governo trovare una soluzione rapida: quota 100 accelera l’emergenza di vuoti nel mondo della scuola”, ha concluso Turi.

Dello stesso avviso è Rino di Meglio, coordinatore della Gilda Insegnanti: “Con quota 100 sicuramente se ne andranno molti colleghi insegnanti, siamo preoccupati, questo esodo significherà ulteriori vuoti di organico nella scuola mentre rimane il problema della precarietà”.

“Ci auguriamo – conclude Di Meglio – che il meccanismo dei concorsi si metta in moto ma la macchina è lenta e sicuramente non si potranno colmare i vuoti per l’inizio del prossimo anno scolastico a settembre, è matematicamente impossibile”.

Pensioni quota 100, le domande per la scuola dal 4 al 28 febbraio. Tutte le info

da La Tecnica della Scuola

Di Andrea Carlino

È online, sul sito del Miur, la circolare di attuazione del decreto legge 28 gennaio 2019 n.4, per Quota 100 e tutte le altre forme di trattamento di pensione anticipata.

La circolare riporta nel dettaglio i requisiti necessari e le indicazioni operative per aderire alle varie forme di pensionamento anticipato.

La domanda potrà essere presentata on line dal 4 al 28 febbraio prossimi attraverso il sistema Polis.

Chi ha già inoltrato istanza il 12 dicembre, termine previsto per i pensionamenti, non dovrà nuovamente ripresentarla. Il termine ultimo del 28 febbraio è valido per i soggetti che intendono avvalersi della misura introdotta dal governo con il decreto 4/2019.

LEGGI LA CIRCOLARE (clicca qui)

PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA DI CESSAZIONE – POLIS

I dirigenti scolastici, il personale docente e ATA, gli insegnanti di religione hanno facoltà di presentare domanda di cessazione e le eventuali revoche solamente in via telematica, attraverso Polis (“Istanze on line“) dal 4 febbraio ed entro e non oltre il 28 febbraio 2019. Il personale in servizio all’estero ha facoltà di presentare domanda anche in modalità cartacea.

DOMANDE DI PENSIONE

Le domande di pensione devono essere inviate direttamente all’INPS, esclusivamente attraverso le seguenti modalità:

  • via WEB, se in possesso di un PIN INPS, di una identità SPID o di una Carta Nazionale dei Servizi (CNS) per l’accesso ai servizi telematizzati dell’Istituto;
  • Contact Center multicanale, chiamando da telefono fisso il numero verde gratuito 803164 o da telefono cellulare il numero 06 164164-, a pagamento in base al piano tariffario del gestore telefonico, se in possesso di PIN;
  • patronati e intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi, anche se non in possesso di PIN.

APE SOCIALE, PENSIONE ANTICIPATA PER I LAVORI GRAVOSI E PER I LAVORATORI PRECOCI

I lavoratori interessati, dopo aver ottenuto la certificazione del riconoscimento da parte dell’INPS, potranno presentare la domanda di cessazione dal servizio con modalità cartacea con effetto dal 1° settembre 2019.

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ProteggiMi Tour, una nuova cultura contro la violenza

da La Tecnica della Scuola

Di Pasquale Almirante

Parte il ‘ProteggiMI Tour’, una serie di assemblee nelle scuole superiori di Milano, organizzate da Terre des Hommes assieme a ScuolaZoo, sino alla fine di marzo, nell’ambito di un progetto ideato per il Garante dei Diritti per l’Infanzia e l’Adolescenza di Milano.

Obiettivo seguendo l’Osservatorio Indifesa sugli adolescenti

L’obiettivo è stimolare l’attivazione degli studenti su azioni e contenuti positivi, trasformandoli in protagonisti di una nuova cultura contro la violenza. Secondo l’Osservatorio Indifesa sugli adolescenti ben l’88% degli intervistati si è detto pronto a impegnarsi per combattere la violenza e le discriminazioni di genere.

Dunque: i giovani parlano ai giovani, dei loro diritti e su ciò che si può fare per affrontare situazioni potenzialmente a rischio come violenza online, bullismo e discriminazione.

La community di studenti

Attraverso la community di studenti di ScuolaZoo, il progetto sta coinvolgendo youtubers attivi sui temi del bullismo, cyberbullismo e partecipazione giovanile che si faranno portatori dei messaggi dei ragazzi sui loro diritti e che inviteranno allo stesso tempo i ragazzi a diventare loro stessi i protagonisti di una campagna per promuoverli.

Le webradio

All’interno della campagna ProteggiMI si promuoveranno anche le attività di due Webradio scolastiche sul territorio di Milano. Le Webradio sono nate dall’intraprendenza dei ragazzi, con una programmazione oggi abbraccia i più svariati temi che attengono alla loro quotidianità. Grazie al progetto promosso da Terre des Hommes le Radio includeranno nel loro palinsesto finestre di informazione ‘istituzionale’ sull’azione dell’Ufficio del Garante e temi inerenti alla campagna di promozione dei diritti.

Terre des Hommes

Queste attività fanno parte del progetto “Garante Infanzia e Adolescenza – Azioni di supporto” che Terre des Hommes sta portando avanti per l’Ufficio Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza del Comune di Milano co-finanziato con fondi ex L 285/97, che ha lo scopo di migliorare l’offerta di servizi della città ai bisogni dei bambini e ragazzi, con particolare attenzione a fasce di età e soggetti che presentano specifiche vulnerabilità. Nell’ambito del progetto si punta anche al rafforzamento delle competenze degli operatori impegnati nella cura, protezione, accompagnamento ed educazione dei bambini e ragazzi rispetto a fenomeni di rischio cui possono essere esposti quali violenza, maltrattamento e discriminazione. Oltre a Terre des Hommes, ente capofila, gli altri partner del progetto sono Associazione Alice, IRS (Istituto per la Ricerca Sociale) e Campoteatrale.

Formazione docenti neoassunti, educazione ai media e come auto-valutare le proprie competenze digitali

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Ci sono due nuovi articoli nella sezione Approfondimenti del portale Indire dedicato alla formazione dei docenti neo-assunti.

Il primo, dal titolo Media Education for Equity and Tolerance (MEET). Strumenti e risorse per l’educazione ai media in contesti interculturali di Maria Ranieri, illustra il progetto MEET, finanziato dal Programma Erasmus+ KA3 della Commissione Europea per il biennio 2016-18, con l’obiettivo di creare strumenti per insegnanti ed educatori sull’educazione ai media e interculturale.

Il secondo articolo si intitola invece Mentep (Mentoring Technology Enhanced Pedagogy): tool europeo online per auto-valutare le proprie competenze digitali in ambito pedagogico di Gabriella Taddeo. Mentep è uno strumento online aperto rivolto ai docenti; si tratta di un “bilancio delle competenze pedagogiche-digitali” utile ad auto-valutare la propria padronanza in questo ambito e ad orientare così scelte formative e approfondimenti. Questo tool è stato realizzato attraverso un progetto finanziato dall’Unione Europea all’interno del programma Erasmus+ ed è stato coordinato da European Schoolnet (EUN) e partecipato da Indire.

Iscrizioni 2019: tutti pazzi per il Liceo. In crescita gli Istituti tecnici

da Tuttoscuola

Ieri, 31 gennaio, si sono chiuse le iscrizioni per l’anno scolastico 2019/2020. Secondo i primissimi dati disponibili diffusi dal Miur, il 55,4% degli studenti che a settembre frequenterà una classe prima della Scuola secondaria di secondo grado ha optato per un indirizzo liceale. Anche per l’anno scolastico 2019/2020, dunque, i Licei si confermano in testa alle preferenze. Lo scorso anno erano stati scelti dal 55,3% dei neo iscritti. In crescita anche gli Istituti tecnici, che passano dal 30,7% delle preferenze dello scorso anno al 31% del 2019/2020. Lieve calo per i Professionali, scelti dal 13,6% dei ragazzi rispetto al 14% del 2018/2019.

Prosegue il trend di crescita dei Licei, scelti dal 55,4% degli studenti. È dal 2014/2015 infatti che i Licei vengono scelti da oltre uno ragazzo su due. Anche quest’anno continua a crescere la percentuale di iscritti al Classico: sono il 6,8%, rispetto al 6,7% dell’anno scorso. Lo Scientifico (tra indirizzo tradizionale, opzione Scienze Applicate e sezione Sportivo) si conferma in testa alle preferenze: lo ha scelto il 25,5% degli studenti, con una leggera flessione dello 0,1% rispetto allo scorso anno. Guardando nel dettaglio, si registra una lieve flessione dell’indirizzo tradizionale (passato dal 15,6% dello scorso anno al 15,4% delle scelte del prossimo anno scolastico), cresce la percentuale di chi sceglie l’opzione Scienze Applicate: è l’8,4% quest’anno, era l’8,2% un anno fa. L’opzione Sportivo passa dall’1,8% del 2018/2019 all’1,7% del 2019/2020.

Restano stabili al 9,3% le preferenze per il Liceo linguistico e allo 0,5% quelle per il Liceo europeo/internazionale. Si registra invece un leggero calo per l’Artistico (dal 4,1% dell’anno scorso al 4%). Prosegue la crescita del Liceo delle Scienze umane, lo ha scelto l’8,3% dei ragazzi rispetto all’8,2% dell’anno scorso, e dei Licei musicali e coreutici, passati dallo 0,9% degli ultimi tre anni all’1% del 2019/2020.

Uno studente su tre (31%, erano il 30,7% un anno fa) ha scelto un Istituto tecnico. Il settore Economico è stabile all’11,4%; il settore Tecnologico, con i suoi indirizzi, continua ad attrarre maggiormente, con il 19,6% delle scelte (registrava il 19,3% nel 2018/2019). Gli Istituti professionali, scelti dal 13,6% degli studenti, registrano un lieve calo rispetto al 14% del 2018/2019.

Anche quest’anno il Lazio si conferma la regione con la maggiore percentuale di iscritti ai Licei, con il 68,6%. Seguono Abruzzo (61,2%), Campania (59,1%), Sardegna e Umbria (rispettivamente 58,5%), Sicilia (58,2%). Il Veneto si conferma la regione con meno ragazzi che scelgono gli indirizzi liceali (45,7%) e la prima nella scelta dei Tecnici (40%). Nei Tecnici seguono Emilia Romagna (37,2%) e Friuli Venezia Giulia (36,5%). La regione con la più alta percentuale di iscritti negli Istituti professionali è la Basilicata (16,8%), seguita da Campania (16%) ed Emilia Romagna (15,8%).

Interessi sul debito pubblico: la spesa supera quella per la scuola

da Tuttoscuola

Ormai da molti anni nel bilancio della Stato la somma iscritta per pagare gli interessi sul “debito” contratto dal Tesoro con i risparmiatori nazionali e stranieri supera l’importo degli stanziamenti diretti a sostenere il sistema formativo. È una verità amara, scarsamente evidenziata forse per non deprimere la comunità, ma è lo specchio di una realtà che rende difficoltosa la stabilità economica della Nazione ed incerte le prospettive di sviluppo del Paese. La qualificazione del capitale umano è un fattore decisivo nella competizione delle economie globalizzate, ma se le risorse finanziarie prodotte dal nostro sistema produttivo vanno prioritariamente impiegate per pagare gli interessi ai risparmiatori, alle banche e ai fondi che acquistano i titoli di Stato, non ci sono margini per investire nella formazione delle giovani generazioni e per supportare gli altri servizi ai cittadini. Uno squilibrio finanziario patologico, una spirale tremenda dalla quale il Paese non riesce a uscire. Ne abbiamo parlato nel numero di gennaio di Tuttoscuola, in un articolo di Enzo Martinelli, ex direttore generale Miur.

Al netto degli interessi per il debito le entrate annue dello Stato superano leggermente le spese (avanzo primario). Ma gli oltre 75 miliardi di interessi pagati ogni anno ai possessori delle cartelle di credito del Tesoro vanno ad incrementare la montagna del debito pubblico arrivato ormai a 2.300 miliardi di euro. Dunque la vera, dura battaglia per le nuove generazioni sarà quella diretta a ridurre il debito statale che pone l’Italia al terzo posto mondiale fra gli Stati più indebitati ed al secondo posto in Europa. Giappone e Grecia sono i nostri concorrenti per il primato nelle rispettive graduatorie.

Per la verità tutti gli Stati hanno sul groppone un rilevante debito pubblico, ma la partita decisiva viene giocata sul rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo (il famoso Pil) di ciascun Paese. Proprio su questo piano la condizione dell’Italia è critica, perché il nostro debito supera (132%) l’importo di quanto annualmente viene prodotto nella penisola.

Di queste abbastanza elementari nozioni i giovani che escono dai nostri istituti superiori e dalle università hanno effettiva cognizione e consapevolezza? Al di là dell’educazione finanziaria, più auspicata che realizzata nelle aule, vengono messe in atto da parte della classe docente attività finalizzate a rafforzare il profilo civico degli alunni sui quali, pro quota, grava il citato debito pubblico? Esiste tra i cittadini una diffusa consapevolezza della gravità finanziaria in cui vive il Paese, pesantemente condizionato dalla fiducia che in esso ripongono i risparmiatori stranieri che hanno in mano circa un terzo del nostro debito? Non si tratta di spaventare o deprimere adulti e giovani. Anzi. Si tratta di comunicare e rappresentare la realtà per quello che è, al fine di rilanciare il civismo come antidoto alla rassegnazione o peggio all’indifferenza, all’assenza di speranza. Oggi i veri nemici di troppi giovani sono la paura e la pigrizia. Per questo vanno resi edotti delle presenti difficoltà, spronati ad acquisire la reale cittadinanza e partecipare responsabilmente alla futura difficile costruzione della vita comunitaria.

Nell’ambiente scolastico troppe volte si sente dire che queste nozioni sono argomenti connessi alle vicende della politica, che quindi è bene che la loro trattazione resti lontana dalle cattedre. Inoltre tanti insegnanti dichiarano che nel loro percorso di studi non si sono “addentrati” in queste specifiche “materie”  e  non hanno la capacità di trattarle. Per tali motivi l’attenzione per creare o rafforzare il profilo civico degli studenti rimarrebbe scarsa nei banchi di scuola. Anche la stampa quotidiana non offre apprezzabili contributi alla causa perché il suo peso nella comunicazione è ridotto al lumicino; in Italia ogni giorno si stampano ormai appena 1.900.000 copie di giornale, un milione in meno di quante se ne stampavano nel 2014; rispetto agli altri grandi Stati europei ormai in Italia si leggono i giornali nella stessa misura dei Paesi sottosviluppati. Alla televisione urla e slogan la fanno da padroni e la funzione culturale di aggiornamento e formazione sui temi citati è ormai residuale. Per altro verso il dibattito politico è sempre più caratterizzato da scontri tra tifoserie piuttosto che da serie, approfondite e documentate riflessioni che aiutino a capire le vere problematiche e orientare le scelte idonee ad affrontare la grave situazione in cui si dibatte la comunità.

Non deve allora meravigliare se gli studenti continuano a celebrare, nell’autunno di ogni anno, le loro liturgie con i riti delle okkupazioni, degli scioperi, delle manifestazioni con i vessilli di lotta sotto le finestre del ministro di turno, chiedendo la luna che però si allontana sempre più dal pozzo perché la quota di finanziamenti del Pil nazionale destinata alla scuola scende sempre più in basso. Il rumore non sposta la forza dei numeri. Siamo appena al 3,8%., una percentuale che attesta il fallimento e l’assuefazione alle sterili “agitazioni” studentesche.

Le cifre purtroppo evidenziano una situazione quasi incredibile. Le abbiamo commentate nel numero di gennaio di Tuttoscuola.