Crisi della conoscenza, crisi della memoria!

Crisi della conoscenza, crisi della memoria!

diMaurizio Tiriticco

L’articolo di Giuseppe De Rita su “la Repubblica” di oggi, “Non c’è passato in un Paese sena futuro”, mi induce a qualche riflessione, che in effetti viene da lontano. Nell’agosto del 2008 tra l’altro scrivevo quanto segue, a proposito di un Paese che pare mettercela tutta per cancellare la memoria! Anche se, purtroppo, si tratta di un fenomeno che, a mio vedere, riguarda tutti i Paesi ad alto sviluppo.

Conoscenza e memoria, sia a livello individuale che collettivo, procedono sempre contestualmente. La carenza dell’una provoca la carenza dell’altra. Ed è ovvio che il punto di arrivo di un simile processo comporta la crisi del pensare divergente e una contestuale ed inevitabile omologazione ad un pensiero unico: la morte del pensare!

Ma non dovrebbe essere così! In effetti, lo sviluppo della conoscenza e della memoria, sia nell’individuo singolo che in un determinato gruppo sociale, si realizza con continuità in una reciproca interazione tra più individui e tra questi e la realtà fenomenica.

Per dirla molto succintamente e ricorrere ad una simbologia grafica, possiamo dire che tale sviluppo si realizza nell’affrontare e risolvere situazioni concrete che sono sempre individuate e definite dalle coordinate ortogonali dello spazio e del tempo. Continuando con la rappresentazione grafica, possiamo dire che lo sviluppo/crescita di un individuo, dalla nascita alla maturità, si effettua a spirale, a partire dal punto di congiunzione delle due coordinate, sull’asse orizzontale dello spazio (l’espansione, la costruzione del sé corporeo) e sull’asse verticale del tempo (la comprensione, la costruzione del sé cognitivo). Ovviamente, lo sviluppo/crescita dell’individuo è sollecitato dagli stimoli esterni, fisici, simbolici, culturali, e l’apprendimento, in quanto processo di concettualizzazione e controllo del sé e della realtà circostante, si sviluppa dal meno al più in un processo a spirale. Più gli stimoli sono ricchi e positivi, più l’individuo si afferma e si consolida come persona autonoma (identità) e responsabile (socialità). E’ ovvio che alla carenza di stimoli corrisponde una difficoltà della crescita. Certamente si tratta di un modello e, come tale, non rappresenta la complessa realtà dello sviluppo/crescita di una persona con tutta le altre sue infinite variabili.

Lo sviluppo/crescita di un gruppo sociale non si differenzia di molto, quando veramente si costituisce come gruppo omogeneo, non come un insieme eterogeneo. Così, come una persona conquista progressivamente la sua identità personale, un gruppo – quando di gruppo si tratta – conquista la sua sintalità gruppale.

Pertanto, una persona o un gruppo umano sono sempre collocabili ed individuabili in una situazione in cui si incrociano le coordinate dello spazio e del tempo. Abbiamo assunto per convenzione che l’asse dello spazio sia orizzontale e quella del tempo verticale. Lungo il primo asse si estendono, a destra e a sinistra, l’al di qua e l’al di là, il sotto e il sopra; lungo il secondo asse, al di sotto dell’incrocio, il passato, la memoria la storia, al di sopra, invece, l’attesa, la speranza, il progetto.

Nel primo grafico sono rappresentati i microgruppi sociali di ieri, schiacciati sull’asse del tempo: conservazione della memoria, proiezione su un futuro post mortem; difficoltà a rompere i limiti spaziali. Nel secondo grafico sono rappresentati, invece, i macrogruppi sociali di oggi, schiacciati sull’asse dello spazio: perdita della memoria e difficoltà nel progettare il futuro.

Un piccolo gruppo di un tempo , viveva chiuso, ristretto, lontano da altri gruppi, separato da essi, e si ignoravano vicendevolmente. Oggi, invece, il piccolo gruppo, grazie allo sviluppo della rete della comunicazione, quella fisica (la facilità degli spostamenti) e quella simbolica (l’evoluzione dei media elettronici), si è incontrato con gli altri e ha dato luogo ad un mélange abbastanza indifferenziato. Jeans e cellulari sembrano caratterizzare i tratti comuni di questa sorta di macrogruppo planetario.

Dal punto di vista della fruizione dello spazio/tempo, il piccolo gruppo del passato traeva maggiore alimento culturale dall’asse del tempo che da quello dello spazio. Le informazioni viaggiavano sull’asse temporale, sul quale si trasmettevano conoscenze, tecniche, costumi, valori, attraverso la saggezza degli anziani, le tradizioni orali, i miti, le leggende, e così via. Dall’asse temporale il gruppo traeva forza per la sua identità e la sua sopravvivenza. Il macrogruppo di oggi, invece, fruisce delle informazioni soprattutto sull’asse spaziale, veicolate dai media.

In altri termini, il piccolo gruppo di ieri era schiacciato sull’asse temporale, il macrogruppo di oggi è schiacciato su quello spaziale. Questa diversità tra il gruppo di ieri e quello di oggi comporta serie ricadute e implicazioni sul piano culturale. Indichiamole sommariamente:

– nel piccolo gruppo del passato dominavano l’autorità della tradizione, l’accettazione di una organizzazione oligarchica e gerarchica, l’unicità o, per lo meno, un’ampia omogeneità dei valori; l’utilizzazione delle conoscenze e delle tecniche ai fini della sopravvivenza, la chiusura del gruppo in se stesso, da cui poi la conflittualità tra un gruppo ed un altro, considerato diverso e per questo ostile;

– nel macrogruppo del presente dominano la dissolvenza della tradizione e l’autorità delle mode, una organizzazione egalitaria e apparentemente democratica, la pluralità e la disomogeneità dei valori, l’utilizzazione di conoscenze e di tecniche che potremmo definire “gratuite”, che comportano soprattutto il consumismo e l’alienazione. Tensioni e conflitti si consumano all’interno di un indifferenziato macrogruppo.

Lo schiacciamento sull’asse dello spazio (quello di un’espansione all’infinito) è quindi tipico delle società affluenti, e ciò a danno dell’asse del tempo (quello della riflessine concettuale, della comprensione). L’indiscriminato macrogruppo dell’oggi non ha necessità di memoria e, conseguentemente, è anche incapace di progettare il futuro. Il qui ed ora è anche ben rappresentato da quel life is now di una nota casa produttrice di telefonini: che non è il carpe diem oraziano, un sano richiamo alle cose che contano, ma un perenne invito al consumo fine a se stesso di una comunicazione interpersonale fatta di quegli sms, in cui è il mezzo a sovrapporsi a poco a poco sul messaggio! Si sollecita la comunicazione del nulla!

La condizione adulta e soprattutto giovanile della “società della conoscenza” non è affatto né felice né proiettata verso il futuro. La scelta che questo neocapitalismo ha effettuato di non additare prospettive per il futuro – un’altra faccia aggiornata dello sfruttamento di un tempo – trova un alleato diretto in questa incapacità da esso stesso indotta nelle giovani generazioni di “coltivare” la memoria e di “progettare” il proprio domani. Il precariato non ha carattere temporaneo, è un modo nuovo che il neocapitalismo ha scientemente scelto di governare l’economia e la società. Ed il precariato rende precaria la vita stessa dei giovani, ne spegne le speranze del domani e rende inutile la conservazione della memoria.

Fin qui nel lontano 2008! Ma oggi, ad unici anni di distanza?

Mi piace sempre ricordare quel passaggio magistrale del comma 2 dell’articolo 1 del Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche:“L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Il che significa che il Sistema nazionale di istruzione – quello che una volta era genericamente la scuola – si è assunto un nuovo compito: oltre ad istruire in determinate materie, il compito della scuola si è ampliato, assumendo anche l’onere di educare e di formare: educare in quanto cittadini, formare in quanto persone. Ciò conduce noi tutti, “uomini di scuola” ad assumere responsabilità assolutamente nuove, rispetto ad un passato, peraltro neanche lontano. In altri termini, la scuola come edificio ben identificato sul territorio, deputato ad avviare bambini e adolescenti ad acquisire gli strumenti essenziali per accedere al mondo adulto, non è più tale. L’edificio va al di là delle sue mura, si apre al territorio e diventa – o dovrebbe diventare – scuola a tempo pieno e a spazio aperto. E non riguarda più solo bambini e adolescenti, ma i cittadini tutti, nella chiave di quell’apprendimento per tutta la vita cui ci richiamano tutti i documenti internazionali.

Così dovrebbe essere! Dalla scuola si passa – o si dovrebbe passare – ad un vero e proprio Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione. E, perché il Sistema funzioni, com’è noto, il novellato Titolo V della Costituzione attribuisce allo Stato, alle Regioni, agli Enti locali, alle Istituzioni scolastiche compiti ben precisi. Il che è più che corretto: a fronte di esigenze educative, istruttive, formative assolutamente nuove occorre apprestare strumenti assolutamente idonei e soprattutto rinnovati.

Da quanto esposto fin qui in ordine alle problematiche di fronte alle quali si trovano le nuove generazioni, viene da chiedersi se la politica scolastica – si chiama ancora così – dell’attuale gruppo dirigente sia in grado di dare risposte adeguate.

Le nuove generazioni, schiacciate sul qui ed ora di un eterno presente, sul tutto e subito delle suggestioni consumistiche, sollecitate giorno dopo giorno a non coltivare né la memoria del passato né la progettazione del futuro, fanno sempre più fatica ad accedere a repertori conoscitivi che, per altro, anche in forza di una ricerca specialistica sempre più avanzata, si fanno sempre più complessi. L’eterno presente viene per di più incentivato, notte dopo notte, dagli sballi di droghe sempre più a buon mercato. Il frastuono dei decibel e il lampeggiare delle psichedeliche danno il loro valido contributo! Il tutto contribuisce anche a quel progressivo deteriorarsi della coscienza civica, dalla guida in stato di ubriachezza, al bullismo, all’insulto costante all’arredo urbano e via dicendo.

Non è affatto un discorso moralistico! Mi limito soltanto ad indicare segnali emergenti che denunciano disagi profondi. E non occorre neanche tirare in ballo quel nichilismo che corrode i nostri giovani e che Nietzsche chiama “il più inquietante fra tutti gli ospiti”. In altri termini, i nostri giovani hanno grandi difficoltà di trasformare le sensazioni in emozioni, perché siano compiutamente maturate e comprese. Come se fossero condannati a non crescere e a vivere parcheggiati un una sorta di terra di nessuno: il limbo di un inquieto mondo giovanile alla ricerca del… nulla!!!

A fronte di questo stato di cose, lo strumento dell’autonomia scolastica potrebbe fare cose egregie, ma è uno strumento che va incoraggiato, rafforzato, sostenuto con ogni tipo di risorsa, in primo luogo economica. Ma quello che più mi preoccupa in questa difficilissima congiuntura è il silenzio colpevole dei pedagogisti e dei docimologi. Dopo avere imperversato per tutti gli anni Settanta e successivi, sembra che i problemi della scuola – come si suol dire – non siano più cosa loro! Sembrano una razza aliena per il nostro Sistema di istruzione.

E da parte del nostro Miur esiste una linea progettuale di sostegno reale alle nostre istituzioni scolastiche? Si procede nel sostenere ciò che le scuole stanno facendo tra tante difficoltà? Tra un paio di mesi avrà termine l’anno scolastico: si procederà ad un’analisi che – con il linguaggio oggi tanto di moda – dei costi e benefici? E non sarebbe male assicurare chi opera sul campo che sarà sostenuto come si conviene. Non si deve risparmiare sulla scuola! Se tutti concordiamo che l’istruzione è la prima voce in capitolo di un bilancio nazionale! Ma occorrerebbe una volontà politica precisa e, soprattutto, un Progetto! Sì, con la P maiuscola! Perché la buona volontà di un governo si dimostra quando sa ascoltare e sa muoversi… con tempestività!R

Migliorare l’accessibilità

Redattore Sociale del 13-03-2019

Migliorare l’accessibilita’, a Reggio altri 50 negozi potranno aderire al bando 

Fa il bis il bando per dare ai commercianti una consulenza gratuita e un kit con rampe mobili e campanello wireless per accogliere i clienti in sedia a ruote, anziani e bambini in passeggino. In 66 hanno partecipato alla prima edizione. “Anche piccoli interventi possono cambiare la vita”. 

REGGIO EMILIA. Saranno 50 gli esercizi commerciali che potranno aderire al nuovo bando di Reggio Emilia città senza barriere e Farmacie comunali riunite per migliorare l’accessibilità alle persone con disabilità, agli anziani e ai bambini in passeggino. Si aggiungeranno ai 66 che avevano partecipato alla prima edizione dell’avviso pubblico. “Molti ci hanno chiesto, posso farlo anch’io? Così abbiamo rifinanziato il bando”. Annalisa Rabitti, responsabile del progetto, spiega così il bis di “Non sono perfetto, ma sono accogliente”, aperto fino al 30 aprile 2019, per un importo massimo di 200 mila euro. “Il bando dichiara che per provare a risolvere il problema dell’accessibilità dei negozi forniamo una consulenza gratuita ad hoc. Cerchiamo piccole soluzioni, perché la perfezione sarebbe ristrutturare il locale, ma non sempre è possibile, per la spesa e per le difficoltà che ci sono in una città storica come la nostra”. Così accade che nella vita di tutti i giorni “nessuno fa niente”, mentre chi partecipa a “Non sono perfetto”, che già nel titolo ammette consapevolmente i propri limiti, “almeno prova a creare un accesso, perché in un negozio è meglio poterci entrare che no”, sintetizza Rabitti. Rispondendo ad alcune perplessità espresse anche nei commenti su Facebook alla notizia del nuovo bando, la responsabile di Reggio Emilia città senza barriere spiega che “non si possono fare rampe fisse esterne, per non creare barriere architettoniche per gli altri e per le stesse persone che si muovono in carrozzina, mentre le rampe interne hanno costi molto alti e i proprietari non sono tenuti a farle se non in occasione di una ristrutturazione completa”.

Agli esercenti che aderiscono viene fatto un mini corso di formazione “perché siano pronti ad affrontare tutte le disabilità, sensibilizzandoli anche verso quelle di cui a volte ci si dimentica”. Per ricevere aiuto la persona che vuole entrare nel negozio deve suonare un campanello, segnalato dalla dicitura “accesso facilitato” e dai simboli che richiamano le categorie di persone interessate. Il kit di accoglienza varia a seconda delle caratteristiche e delle esigenze del locale e può contenere un campanello wireless, un pedana mobile, un manuale con le indicazioni per aiutare chi desidera entrare, una vetrofania che segnala l’adesione al progetto. 4 architetti formati dal Criba, il Centro regionale per il benessere ambientale, fanno i sopralluoghi e forniscono la consulenza individuale. “A volte bastano semplici accorgimenti, non è detto che servano grandi attrezzature, eppure questi interventi cambiano la vita a una persona che prima non poteva entrare. Per esempio, c’era una gelateria con 5 gradini che non poteva usare la rampa. A loro abbiamo fornito solo il campanello e ora, quando serve, portano fuori il gelato alle persona che non può accedere da sola. Oppure un bar che con alcune piccole soluzioni, per esempio collocare un tavolino delle misure giuste per far entrare una carrozzina, è diventato perfetto per chi ha una disabilità e prima non poteva andare lì a prendersi un caffè. Io spiego ai negozianti che rendere accessibili i loro locali è anche affare loro, che hanno un mercato perché la disabilità è democratica. È bello che stiano rispondendo con interesse. Va cambiata la cultura, si deve diffondere l’idea che i luoghi devono essere per tutti”.

I nuovi negozi accessibili entreranno in una mappa, insieme ad altri 200 già censiti. “In stile Trip Advisor, il disabile cliccando sull’icona del locale ne vede le caratteristiche. Non facciamo una classifica dell’accessibilità, ogni persona ha la possibilità di fare la propria valutazione”, dice. “Ognuno vede il proprio problema come centrale, ma la disabilità è complessa e non si possono fare interventi che rischiano di ledere i diritti degli altri – aggiunge Rabitti -. Come Reggio Emilia città senza barriere siamo su tutti i cantieri pubblici, i nuovi progetti saranno inclusivi. Per il futuro è importante non sbagliare più, mentre nel presente dobbiamo cercare di trovare le soluzioni migliori, perché sarebbe bello avere 20 milioni di euro per smontare la città, ma non li abbiamo”.

Per dire la propria anche su questo progetto e proporre nuove idee è possibile partecipare il 23 marzo al world café Faccio la mia parte, alla Polveriera in piazzale Oscar Romero 1, l’appuntamento annuale di Città senza barriere. È previsto anche un tavolo di lavoro sulle barriere architettoniche. “Il progetto ‘Non sono perfetto’ è nato proprio in questo contesto”, spiega Rabitti, ricordando che i gruppi di lavoro sono composti prevalentemente da cittadini, per favorire la partecipazione nella ricerca di soluzioni condivise e la consapevolezza di come funzioni la cosa pubblica. Ci si può iscrivere online fino al 20 marzo. 

di Benedetta Aledda

I Livelli Essenziali delle Prestazioni

I LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI PER UN REGIONALISMO EQUO E SOLIDALE

di Gian Carlo Sacchi

Nell’ultimo decennio del secolo scorso una serie di provvedimenti investì l’organizzazione dello Stato e per la prima volta dopo l’istituzione degli organi collegiali la scuola entrò in un processo multilaterale di rapporti tra enti territoriali: dalla riforma degli enti locali con la quale prese consistenza tale settore all’interno di comuni e province, a quella della pubblica amministrazione che decentrò competenze dell’istruzione oltre che ai predetti enti anche alle stesse scuole, divenute per effetto di questi ultimi interventi legislativi autonome con tanto di personalità giuridica. La revisione del titolo quinto della Costituzione venne così a ridisegnare l’architettura dello Stato, con tanto di referendum confermativo.
Di esclusiva competenza statale furono indicate le norme generali sull’istruzione ed i principi fondamentali, alle regioni fu assegnata l’istruzione e la formazione professionale, per il resto un governo misto nel quale dovevano agire in modo “concorrente” stato e regioni, fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Per i settori della sanità, welfare e istruzione “i livelli essenziali delle prestazioni” dovevano essere le clausule di salvaguardia della parità dei diritti sul territorio nazionale.
Con l’art. 116 la nuova Costituzione offriva la possibilità alle regioni che ne facessero richiesta di avere maggiori gradi di autonomia da concordare con il governo centrale e da concretizzarsi con legge nazionale. Questo percorso poteva riguardare sia le competenze concorrenti sia quelle esclusive dello Stato, come appunto le norme generali sull’istruzione.
La legge costituzionale del 2003 però non fu applicata, molto contenzioso suscitarono le suddette competenze concorrenti; l’autonomia scolastica da salvaguardare è rimasta largamente incompiuta ed i livelli essenziali elaborati nella sanità ed abbozzati nel welfare mancano del tutto nel settore formativo, se si eccettuano due soli interventi: il DPR 226/2005 che guardava più ai rapporti tra stato e regioni sul versante dell’offerta che ai diritti dei cittadini nei confronti del servizio e più di recente (D.Leg.vo 13/2013) la definizione di norme generali/livelli essenziali nell’ambito dell’apprendimento permanente, per individuare e validare competenze non formali ed informali ed arrivare alla loro certificazione; norme che sono rimaste perlopiù dichiarazioni di intenti senza un seguito a livello di sistema.
In sede di decentramento dello Stato il D.Leg.vo 112/1998 aveva indicato le competenze amministrative che dovevano essere trasferite a regioni, province e comuni, nonché alle scuole autonome, alle quali però non sono seguite le risorse umane e finanziarie; le funzioni degli enti locali sono state meglio precisate con la legge sul federalismo fiscale ed i relativi decreti applicativi e videro la luce solo per una iniziale ricognizione dei fabbisogni dei servizi formativi per l’infanzia. Cosa fossero quindi le norme generali e i principi fondamentali indicati dalla Costituzione non venne mai precisato, ma tutto l’ordinamento della pubblica istruzione sotto il governo dell’amministrazione scolastica centrale e periferica fu considerato generale perché a valere su tutto il territorio nazionale, come compito della Repubblica ad istituire scuole di ogni ordine e grado. Una bozza di accordo circolò nella conferenza stato-regioni (2008), ma non ottenne alcun risultato per l’opposizione del ministero; le stesse regioni tuttavia non hanno forzato la mano per il timore che fossero trasferite le competenze ma non i finanziamenti.
Nell’ultimo decennio del secolo scorso una fioritura di leggi regionali cercarono di interpretare le predette competenze concorrenti, ma questo generò un notevole conflitto costituzionale, inducendo l’alta Corte a sostituirsi al legislatore indicando in una sentenza le norme generali che dovevano riguardare la definizione complessiva del sistema di istruzione e formazione, la regolamentazione dell’accesso, il diritto-dovere della fruizione, la quota nazionale dei piani di studio (il decreto sull’autonomia delle istituzioni scolastiche prevede infatti una parte del curricolo di istituto e la legge 53/2003 introduce una quota riservata alle regioni), il passaggio tra i diversi cicli, la definizione degli standard minimi, la valutazione degli apprendimenti e del sistema educativo, il modulo di alternanza scuola-lavoro e i principi di formazione degli insegnanti.
A proposito del personale si iniziò a parlare di dipendenza funzionale dalle regioni, mentre per quanto riguarda i principi fondamentali che dovevano ruotare intorno allo Stato Anna Maria Poggi (2010) identifica: la libertà di insegnamento, lo sviluppo dell’autonomia scolastica, la libertà di accesso, le pari opportunità, il diritto all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Dopo il secondo scontro tra centro e periferia prodottosi in relazione alle già citate competenze concorrenti ,a difesa delle autonomie regionali, eccoci al terzo, al contrario, paventando che le tre regioni che hanno fatto richiesta di autonomia: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, cerchino di minare l’unità nazionale. Prima i livelli essenziali e poi il regionalismo, si grida anche nella maggioranza di governo; a nessuno sfugge che se avessimo dato spazio fin da allora al distretto scolastico, o realizzato quanto previsto dal nuovo titolo quinto i livelli essenziali sarebbero già diventati parte integrante delle politiche territoriali e non astratti pronunciamenti giuridici che una volta messi sulla carta, ammesso che sia semplice e veloce farlo, non corrispondono alla realtà sociale ed economica dei territori, per cui si ha l’impressione che ancora una volta sarà il centralismo burocratico ad avere la meglio, come è accaduto in passato, facendo leva sulla parte più debole della politica in termini di visione strategica ed esperienza di governo.
Guardando alla realtà tutt’ora fortemente statalista si fa notare (CENSIS 2018) che è la situazione attuale differenziata, e non si fa fatica a riconoscerlo in base a tutte le ricerche nazionali ed internazionali di cui disponiamo, ma intanto cresce un forte bisogno di rappresentanza dei territori, che potrebbe riavvicinare i cittadini alla politica, nonché la necessità evidente di ridefinire i rapporti tra le regioni e lo stato centrale.
Un sistema di autonomie, che potrebbe riguardare tutte le regioni (sono già circa una decina quelle interessate all’autonomia differenziata) e in futuro dare anche più senso ad una camera nazionale delle stesse, sarebbe meglio in grado di interpretare le esigenze locali, incorporando servizi essenziali, cioè inderogabili, per garantire i diritti di tutti i cittadini, da condividere al tavolo con lo Stato come avviene per la sanità. Le prestazioni sono già identificate nella predetta legge sul federalismo fiscale; i livelli saranno soggetti ad un costante confronto stato-regioni nell’ottica del multigoverno territoriale e delle disponibilità finanziarie al quale devono partecipare anche le autonomie scolastiche.
Nell’orizzonte delle prestazioni c’è infatti sia la dimensione economica, sia quella educativa, orientata alla qualità pedagogica e didattica dei processi formativi. I livelli devono essere agganciati a standard di sviluppo della persona umana e della cittadinanza in riferimento ai diritti garantiti dalla Costituzione. Essi non sono solo gli elementi essenziali che vanno finanziati, ma il risultato della convergenza di punti di vista dei diversi soggetti che operano per questa comune finalità sul territorio, evitando che il passaggio dal centralismo alle autonomie provochi distrazioni di risorse.
Tali livelli devono indicare: i diritti da garantire (diritto all’integrazione, all’apprendimento per tutta a vita, ecc.), gli aventi diritto (evoluzione della popolazione scolastica; quantità e qualità dell’offerta e successo formativo, pari opportunità, ecc.), le condizioni per l’esercizio del diritto e la fruizione del servizio, (caratteristica delle strutture, ecc.), le prestazioni (orario e parametri del servizio, rapporto insegnanti/alunni, qualificazione del personale, sistemi di osseverazione della qualità) e le istituzioni ( scuola dell’infanzia, primaria, secondaria, post-diploma, istruzione degli adulti, ecc.).
Si tratta di realizzare una spesa efficiente, che potrebbe portare a soluzione anche il finanziamento delle scuole paritarie, che per ora vedrà le stesse risorse impiegate dallo stato per le diverse regioni, ma che in futuro andrà posta in relazione con la crescita economica, in quanto ad un maggiore PIL regionale corrisponderà una quantità di imposte che rimangono sul territorio, ma la Costituzione prevede un fondo perequativo a livello nazionale per quelle regioni con minore capacità fiscale. Verrà così superata la spesa storica per l’introduzione del costo standard.
La Costituzione prescrive inoltre che il finanziamento dello Stato venga assegnato a ciascuna regione senza vincolo di destinazione, ma per ogni livello del multigoverno occorre attivare un monitoraggio dell’erogazione delle prestazioni attraverso un controllo di gestione, una valutazione dell’efficacia e dell’equità nello sviluppo delle competenze, con riferimento a rilevazioni nazionale e internazionali ed una valutazione dell’efficienza finalizzata ad individuare e diffondere le migliori pratiche, nonché idonei piani di miglioramento, che arrivino fino alla revisione dei livelli medesimi, sulla base dei risultati conseguiti ed in rapporto all’evoluzione culturale, sociale ed economica del Paese.
Le diverse leggi regionali che daranno il via alla maggiore autonomia potranno essere l’occasione per completare il decentramento amministrativo nel settore e la stessa autonomia scolastica ha bisogno di migliori condizioni per potersi esplicare compiutamente; la sua elevazione a dignità costituzionale la mette al riparo da nuovi centralismi regionali.
La preoccupazione del legislatore costituzionale è quella di tenere legata la Repubblica che detta norme generali con enti e privati che hanno il diritto di istituire scuole e con le realtà territoriali che questo diritto devono applicare concretamente: da qui nasce l’intreccio di competenze e responsabilità previsto dalla revisione del titolo quinto.
Il dibattito su questi temi ha sempre privilegiato l’uniformità dei trattamenti a scapito della loro individualizzazione, nell’ottica del carattere trasmissivo della scuola, per cui i livelli sono visti come standard minimi di servizio e non piuttosto come diritti da tutelare a livello individuale e sociale. La governance dovrà quindi fondare il suo potere nell’intreccio tra autonomie scolastiche e locali.
Introdurre il costo standard per studente vuol dire riqualificare la spesa delle scuole nonché l’acquisizione di competenze di riorganizzazione amministrativa e gestionale, per rendere sostenibile una qualità senza sprechi. Tale costo sarà determinato con riferimento alla popolazione residente in quella regione, alle caratteristiche del territorio ed alla propria capacità fiscale. La legge 107/2015 ci si avvicina mediante la possibilità per le famiglie di effettuare una detrazione fiscale e per la scuola una raccolta fondi privati; con l’accentuazione dell’autonomia si potrà così valorizzare le ricchezze delle differenze nell’offerta formativa, portando a compimento, come si è detto, quanto iniziato anche per le scuole paritarie. E’ la legge 62/2000 che fa un passo avanti, dalla scuola di Stato al sistema nazionale di istruzione e formazione, oggi composto dai servizi per l’infanzia (D.Leg.vo 65/2017), dalle scuole statali, di iniziativa privata e degli enti locali, dalla formazione professionale regionale e degli adulti per il conseguimento di competenze formali, non formali ed informali (D.Leg.vo 13/2013).
Il costo standard viene già utilizzato per l’attribuzione del fondo per il finanziamento ordinario alle università (DM 585/2018), calcolato sulla base del costo del personale, della docenza a contratto, del personale amministrativo, delle figure di supporto, del funzionamento e gestione delle strutture didattiche, di ricerca e servizio nei diversi ambiti disciplinari. E’ prevista una perequazione in base al reddito medio familiare e della capacità contributiva degli iscritti della regione ove ha sede l’ateneo. Un’ulteriore perequazione a livello nazionale tiene conto delle diverse accessibilità in funzione della rete dei trasporti e dei collegamenti.
Agli inizi del federalismo fiscale erano circolati dei questionari per i Comuni, singoli o associati, al fine di determinare il fabbisogno in termini di servizi per l’infanzia e per il primo ciclo dell’istruzione, con l’indicazione del personale impiegato, l’edilizia ed altre attività ricreative. Dal versante delle scuole paritarie arriva un elenco di voci che dovrebbero essere utilizzate per questo calcolo, che vanno anche qui dal personale, alla manutenzione degli edifici, riscaldamento, pulizie e progetti didattici, investimento per le tecnologie, amministrazione, formazione dei docenti. Mense, trasporti ed attività extracurricolari resterebbero a carico delle famiglie (Alfieri 2018).
Livelli essenziali e costi standard sono utili la dove c’è una vera autonomia, per evitare che si produca disuguaglianza, e come per la sanità anche per l’istruzione si possono metter insieme istituzioni con diverse provenienze.


Il reddito di cittadinanza e la “colpa sociale” della disabilità

Redattore Sociale del 13-03-2019

Il reddito di cittadinanza e la “colpa sociale” della disabilita’ 

ENIL, l’associazione internazionale per il diritto alla vita indipendente, ha presentato una memoria alla Camera, per chiedere modifiche urgenti ai passaggi più “discriminatori”: tra questi, la considerazione delle indennità assistenziali come “vantaggio economico”.

ROMA. “Limitare l’accesso al Reddito di cittadinanza ai nuclei familiari che hanno, fra i loro componenti, anche delle persone con disabilità”: è questa la principale criticità del decreto, approvato in Senato e tornato ora alla Camera, che dovrebbe rappresentare una misura di contrasto alla povertà. Per ENIL Italia, “costola” italiana del network europeo per la vita indipendente, questa è l’ennesima conferma che la “persona con disabilità in Italia è ormai definitivamente da considerare come un ‘affare di famiglia’, il cui compito prioritario è quello di prendersene cura, vicariando lo Stato”. Ci sono gli estremi per parlare di “discriminazione di una intera categoria di cittadini”, secondo Germano Tosi, presidente di ENIL, che ricorda invece come, in base alla Costituzione, dove dello Stato non sia “quello di “agevolare” una disparità tra cittadini di diverse condizioni, ufficializzando come sostituti di quegli stessi doveri i loro nuclei famigliari, ma di operare per ‘rimuovere’, quindi eliminare gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Sempre la Costituzione, osserva ancora ENIL, nella memoria depositata alla Camera, considera “discriminazione diretta ogni procedimento condizionato da situazioni per le quali la persona viene messa o potrebbe venir messa in una posizione meno favorevole rispetto ad un’altra, in una situazione paragonabile”. Per l’associazione, “è proprio questo che avviene indiscutibilmente quando in un disegno di legge si prevede esplicitamente, per l’accesso al beneficio del Reddito di Cittadinanza, di ‘concorrere cumulativamente a diversi requisiti’ che considerano una ricchezza del nucleo familiare quei supporti economici, peraltro notoriamente insufficienti e residuali, erogati per attenuare lo svantaggio della disabilità. Quindi, a parità di condizioni reddituali, una famiglia – che ha il torto grave di avere tra i suoi membri una o più persone con disabilità – avrà accesso ad un sostegno inferiore rispetto ad una famiglia che non ha disabili tra i suoi componenti, subendo di fatto una indiscutibile discriminazione diretta”.

A supporto della sua argomentazione, ENIL fa riferimento anche alla Sentenza del Tar 2549/2015 e di quella definitiva del Consiglio di Stato 842/2016, che “ha ben chiarito che considerare tra i requisiti di accesso ad un qualsiasi beneficio ‘i trattamenti percepiti dai disabili considerando la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, ed i benefici erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una ‘remunerazione’ del suo stato di invalidità è oltremodo irragionevole e in contrasto con l’art. 3 della Costituzione”.

Di qui, la richiesta di modifica del comma 7 dell’articolo 2, con l’esclusione dal computo del reddito di ogni supporto erogato per la disabilità. “Chiediamo altresì di introdurre, nel comma 4 Art. 2, la scala d’equivalenza – continua ENIL – che segnali la presenza nel nucleo familiare di un globale impegno economico nel ‘mantenere’ la disabilità di un congiunto, graduandola in base al maggiore impegno tra disabilità lieve, media e non autosufficienza (0,4 per la disabilità lieve, 0,5 per la disabilità media e 0,7 per la non autosufficienza)”.

Queste due fondamentali modifiche servirebbero per garantire “il diritto di pari opportunità dell’individuo”, che per ENIL “rappresenta lo scopo, la sintesi, di ogni trattato che ne sancisce i diritti umani. Ed è in questo principio che una politica, che si propone come cambiamento verso una maggiore giustizia sociale, dovrebbe veicolare le proprie energie nel garantire a tutti i cittadini il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza. Il diritto di scegliere come vivere la propria vita, dunque – conclude ENIL- come cittadino libero in un libero Stato”.

Per Sara Bonanno, caregiver a tempo pieno del figlio gravemente disabile e autrice del blog “La cura invidibile”; “ancora una volta la disabilità è trattata dal governo come una condizione di ‘colpa sociale’, alla stregua di un reato commesso dall’intero nucleo famigliare e che, quindi, deve essere espiato da tutta la famiglia. Questa – continua – è la cruda lettura di ciò che sta accadendo con la misura creata dal Governo per combattere proprio le condizioni di disagio emarginante e povertà, meglio conosciuta come Reddito di cittadinanza, titolo quanto mai evocativo se si considera il fatto che si finisce per ratificare che la persona con disabilità ed il suo nucleo familiare saranno definitivamente considerati cittadini con diritti attenuati”. Bonanno, nel rilanciare quindi sul suo blog le richieste di ENIL, ritiene “assurdo che occorra ribadire come sia del tutto illogico considerare l’aiuto prestato come un vantaggio. E’ un po’ come se qualcuno, dopo aver aiutato una persona a rialzarsi da una brutta caduta, considerasse quella stessa persona, ancora malconcia e dolorante, come il puntello sulla quale far leva”. E fa notare: “Questo è riservato solo per la disabilità, infatti nel decreto sono considerati diversamente – e quindi non inclusi nella ricchezza familiare – i supporti destinati ai minori di 3 anni e quelli per chi rimane disoccupato. Quelle non sono ‘colpe sociali – conclude – come la condizione di disabilità!” 

Il gioco delle carte truccate

Il gioco delle carte truccate

di Vincenzo Andraous

Geopolitica, politica, politicanti e politichese, insomma il gioco delle tre carte, esposto all’ennesima potenza, sotto una coltre di parole, di intendimenti, di azioni, tutte incentrate a coprire o mistificare la realtà, quella degli affari, del business, degli interessi incrociati, ove tutti fanno la loro poco bella presenza, ma nessuno s’addossa la più piccola responsabilità. Eppure la compra-vendita di armi, di tecnologie sofisticate di distruzione, gonfiano a dismisura i capitolati di ogni governo, fanno guadagnare ognuno e ciascuno, senza il benché minimo rischio di  rimanere intrappolati, là, dove infuria la battaglia, soprattutto, là, dove le nefandezze più inenarrabili sono l’unico pane quotidiano. Le commesse battono la gran cassa, i produttori non si fanno troppi scrupoli, il guadagno è troppo insensatamente appetibile. Non si può vendere armi a quello stato, ma si possono vendere a quell’altro, che a sua volta consegnerà i pacchetti regalo a chi di dovere senza infrangere alcuna legge internazionale. Insomma ogni governo che cade, che vince, che si avvicenda, sul tema delle armi, non esibisce alcuna discontinuità, anzi, traccia  una unica via maestra, la ricerca rapidissima per una crescita degli investimenti militari collegandosi alle zone a più alta tensione. Aggirando i soliti blocchi imposti dal potente di turno, che però chiuderà un occhio nei riguardi del proprio amico-suddito-supino. Non serve diventare matti a leggere i rapporti dei più  autorevoli istituti di ricerca, a dare l’esatta misura del mercato della guerra è l’aumento esponenziale dei conflitti, dei massacri, dei silenzi e delle omertà consolidate, con particolare riguardo verso quei territori disumanizzati al punto da non fare neppure più notizia, e per i morti, e per la potenza di fuoco messa in campo da questo o da quell’altro. Geopolitica e politica, timbrano il passaporto alle multinazionali del crimine, e lo fanno con astuzia, con freddezza, con calcolo lungimirante, infatti la matematica non è un opinione e i numeri posseggono la loro musicalità, poco importa se le note camminano tra ruderi e cadaveri. Le armi consentono di fatturare miliardi di dollari, è questo introito che ci fa voltare le spalle e lo sguardo da un’altra parte, e la famosa “comunità internazionale”, è ben rodata a sopportare il sangue della vergogna che ne deriva.Qualcuno ha scritto: “le guerre si fanno con le armi, quindi, meno armi si producono e commercializzano meno morte e distruzione seminiamo. Fino a quando non renderemo almeno marginale l’economia di guerra che caratterizza molti stati, riducendo numero di armi e armamenti leggeri e pesanti non faremo che favorire terribili conflitti”. Fra poco è Pasqua e nuovamente Cristo sarà crocifisso.

A scuola 36mila cattedre libere ma non è colpa di quota 100

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto*

Che impatto avrà quota 100 sulla scuola? Porterà gli insegnanti a uscire in massa, contribuendo alla fuga dal pubblico impiego di cui si parla tanto in questi giorni? Sarà l’occasione per quel rinnovamento generazionale che spesso esponenti del governo evocano come argomento a favore della misura (uno esce, uno entra) e di cui la nostra scuola ha disperatamente bisogno?

Probabilmente niente di tutto ciò, come suggeriscono i primi dati relativi alle domande di pensionamento per il prossimo anno scolastico.

Quest’anno le domande di cessazione presentate dai docenti della scuola statale entro il 31 dicembre – secondo le regole della legge Fornero e di altre “finestre” pensionistiche – sono state circa 15mila. A queste vanno sommate 16mila domande presentate entro fine febbraio, di cui circa 13mila dovute all’introduzione di quota 100 e le restanti per altre misure (Ape sociale, Opzione donna, Pensione anticipata). Bisogna, infine, aggiungere 5mila pensionamenti d’ufficio per raggiunti limiti di età di docenti. Non sappiamo ancora quante saranno le domande che l’Inps accetterà; in media ogni anno ne vengono respinte il 10-15%. Allo stesso modo, non è ancora dato sapere quante saranno le cessazioni in corso d’anno per motivi diversi dal pensionamento, quali sopravvenuta inabilità, dimissioni volontarie, decessi: in genere, sono circa 2mila. In ogni caso, approssimando, si può stimare che le cessazioni effettive potrebbero essere 35-36mila. L’anno precedente – senza quota 100 – furono in tutto 33mila.

La differenza fra questo e lo scorso anno dovrebbe essere modesta: poche migliaia di unità. Di qui una prima conclusione: quota 100 non avrà una funzione di acceleratore e il suo impatto sulla scuola sarà poco significativo. La ragione è che – a dispetto di quanto affermato dal governo – il “tappo” della legge Fornero, che dal 2012-13 al 2016-17 ha portato un effettivo rallentamento dei pensionamenti degli insegnanti, era già saltato prima di quota 100. D’altra parte, la riforma pensionistica poteva al massimo ritardare di alcuni anni il grande esodo degli esponenti più anziani di un corpo docente che ha un’età media fra le più elevate al mondo: 51 anni nelle primarie, 52 alle medie, 54 alle superiori; le uscite sono ricominciate lo scorso anno.

Ma un’altra più preoccupante conclusione emerge dai dati sui pensionamenti e da quanto avviene sul lato opposto, quello del reclutamento dei nuovi docenti. Si può, infatti, facilmente prevedere che anche il prossimo anno – indipendentemente dal numero di cessazioni – le scuole avranno enormi difficoltà a rimpiazzare chi esce e a dare stabilità alle cattedre negli anni passati occupate da supplenti. Altro che cogliere l’occasione per un profondo rinnovamento: la verità è che da alcuni anni in molte regioni, soprattutto al Nord e al Centro, e per molte materie non si trovano insegnanti con la formazione e i titoli adeguati a occupare le cattedre di ruolo lasciate libere.

Pochi esempi bastano a spiegare questo clamoroso scollamento fra domanda e offerta. Si pensi che a Torino, Milano e Roma sono ormai del tutto vuote le graduatorie provinciali di matematica per le medie e le superiori; lo stesso accade per italiano, storia e geografia alle medie: non proprio materie di secondo piano. Del resto, per l’anno scolastico in corso il Mef aveva autorizzato 57mila assunzioni a tempo indeterminato, ma alla fine ne sono state effettuate meno della metà: per tutte le altre non è stato possibile trovare le persone giuste. Né sarà possibile trovarle per il prossimo anno: come ha ammesso il ministro Bussetti, è troppo tardi per portare a conclusione entro settembre nuovi concorsi. Alla fine, in assenza di docenti di ruolo, le scuole dovranno ricorrere ai precari delle graduatorie di istituto o, sempre più spesso, alla messa a disposizione di personale senza tutte le qualifiche necessarie. Quindi, a dispetto di tutte le promesse di eliminare la “supplentite” e garantire la continuità didattica, il numero impressionante di supplenti – che quest’anno ha sforato quota 160mila – è destinato ad aumentare.

Riassumendo: almeno nella scuola, quota 100 è un falso problema e se n’è discusso fin troppo. Se vogliamo in Italia un rinnovamento dell’insegnamento e della didattica, il problema vero e serissimo è, invece, come reclutare nei prossimi anni i docenti che oggi ci mancano, trovando soluzioni che diano giusti incentivi ai neolaureati (soprattutto nelle discipline matematiche e scientifiche, ma non solo) per intraprendere la carriera dell’insegnamento.

  • Direttore della Fondazione Agnelli

Vaccini: controlli nelle scuole, denunciati due genitori

da Il Sole 24 Ore

Bambini sospesi dalla frequenza scolastica e due genitori, di due diversi bimbi, denunciati a Livorno dai militari del Nas per aver rilasciato false dichiarazioni sullo stato vaccinale dei propri figli. Nel primo giorno dell’entrata a regime della norma per cui i piccoli da 0 a 6 anni non vaccinati non possono frequentare nidi e materne, sono scattate le prime misure ed i controlli nelle scuole anche se, affermano i presidi, sono complessivamente pochi i casi di
allontanamento registrati. E il ministro della Salute, Giulia Grillo, dal canto suo ribadisce come i numeri delle coperture vaccinali siano nel complesso «alti».

I bambini 0-6 anni, secondo i dati del ministero dell’Istruzione, sono circa 900.000, mentre i casi di allontanamento segnalati, precisa il presidente della Associazione presidi, Antonello Giannelli, «sono numericamente molto contenuti, ma ancora non determinati con precisione. Infatti – chiarisce – non è ancora possibile avere dati certi poiché l’Anagrafe vaccinale, a quasi due anni dal decreto Lorenzin, non è ancora efficiente come dovrebbe».

Ad ogni modo, tengono a precisare i presidi, «casi di esclusione temporanea dalla scuola dell’infanzia sono dolorosi e sono peraltro oggetto di vasta eco mediatica, ma nello stesso tempo sono obbligatori: i dirigenti scolastici attuano la norma e la norma non lascia alcuna possibilità di scelta». Ed infatti, dal Nord al Sud si sono segnalati oggi episodi di esclusione dalla frequenza in classe: una quindicina i casi conosciuti di bambini costretti a restare a casa in Liguria perché non in regola con le vaccinazioni, un altro piccolo è stato sospeso da una scuola materna nel piacentino mentre nelle scuole comunali di Napoli si registrano tre casi di bimbi i cui genitori non hanno ancora presentato tutta la certificazione vaccinale.

A Livorno, invece, due genitori sono stati denunciati dai militari del Nas per aver rilasciato false dichiarazioni sullo stato vaccinale dei figli. I Nas hanno accertato che avevano attestato falsamente alla direzione scolastica l’assolvimento dell’obbligo vaccinale. I due sono stati denunciati per falso in atto pubblico.

Il bilancio è tuttavia positivo secondo la titolare del dicastero della Salute: «Credo che il dibattito abbia funzionato, i cittadini hanno capito che era necessario vaccinarsi, soprattutto per il morbillo. Quello che ha funzionato – ha detto Grillo – è il dibattito, non la legge
sull’obbligo vaccinale». Quanto ai no-vax, «sono cittadini che hanno dei dubbi nei confronti dei vaccini e vanno rassicurati, bisogna spiegare loro che ci sono eventi avversi minimi rispetto ai benefici», rileva il ministro.

Critica è invece la posizione del Pd: «I M5s sui vaccini sono come al solito ambigui e la ministra Grillo non chiarisce”, commenta il senatore Edoardo Patriarca. Ed a preoccupare è anche il disagio sociale: non a caso, rileva Paolo Siani, capogruppo Pd in Commissione infanzia, «se si guarda nelle micro aree, si scopre che nell’istituto Leopardi di Torre Annunziata, scuola materna che accoglie i bambini del quartiere delle Carceri, fortino dei clan camorristici, 59 bambini su 250 (23,6%) non hanno esibito il certificato vaccinale. E’ su questa fetta di popolazione infantile – conclude – che bisogna concentrare i nostri sforzi».

Formazione, fondi Ue: edizione pilota di “A scuola di OpenCoesione”

da Il Sole 24 Ore

Aperta la manifestazione d’interesse a partecipare a una edizione pilota di “A scuola di OpenCoesione”, progetto che promuove l’impegno degli studenti a monitorare gli investimenti della politica di coesione dell’Ue tramite l’uso di dati pubblici aperti.

Riservato agli organismi nazionali di coordinamento dei fondi Ue e alle Autorità di gestione dei programmi Fesr o FdC.

La Commissione, considerata l’importanza dell’azione di monitoraggio degli studenti sull’efficacia degli investimenti della politica di coesione, offre il suo sostegno attraverso un’attività di formazione e tutoraggio per impostare attività, strumenti e competenze necessarie per replicare l’esperienza italiana, la traduzione dei moduli di apprendimento utilizzati nell’ambito del progetto italiano nelle lingue degli stati membri che parteciperanno, attività di supporto durante tutto il primo anno scolastico.

Sostegno a 3-5 Stati membri che vogliano replicare l’esperienza italiana di monitoraggio civico di “A scuola di OpenCoesione”.

Domanda secondo il modello, compilato in inglese, francese o tedesco, presentata elettronicamente a regio-external-communication@ec.europa.eu entro il 29 marzo 2019.

Concorso nazionale “#Zerobullismo: la tua storia contro il bullismo in rete”

da Il Sole 24 Ore

Verrà presentato il prossimo 16 marzo alle 11 al Base di Milano in occasione della Digital week il concorso nazionale per scuole e giovani #Zerobullismo: la tua storia contro il bullismo in rete.
Il concorso promosso da ND Comunicazione e dallo studio legale Dike nell’ambito del progetto #Zerobullismo con il sostegno di Every child is my child onlus e il contributo dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, è rivolto ai giovani e agli studenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, singoli o in gruppo, e prevede la realizzazione di elaborati letterari, audiovisivi, grafici, digitali o in musica da consegnare entro il 31 maggio 2019.

Lo scopo è favorire la sensibilizzazione sul tema del cyberbullismo, facendo emergere i comportamenti legati delle nuove tecnologie che possono favorirlo e le metodologie per contrastarlo. Il lancio del concorso è dunque anche occasione di un convegno a tema, focalizzato sulle dimensioni del fenomeno e sui suoi aspetti psicologici, legali, educativi e di tutela, a partire dalla legge 71/2017.

Secondo la ricerca di EU Kids Online (realizzata da OssCom – Centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Miur) svolta su un campione di 25mila ragazzi tra i 9 e 16 anni e i loro genitori in 25 Paesi europei, il 19% degli intervistati è stato testimone di episodi di cyberbullismo in un anno. Il 31% ha visto online messaggi d’odio e non soltanto cresce l’esposizione a contenuti pornografici, ma anche la percentuale (13%) dei giovani che hanno vissuto su internet esperienze che li hanno turbati o fatti sentire a disagio, in particolare fra i bambini tra i 9-10 anni.

In questo contesto, un ragazzo su quattro non ha parlato con nessuno delle esperienze negative, chiudendosi in sè stesso, anche se genitori e amici risultano ancora essere le principali fonti di sostegno quando i ragazzi decidono di aprirsi.

Al concorso si può partecipare a partire della pubblicazione del bando che avverrà il 16 marzo, entro il 31 maggio e la premiazione avverrà a fine luglio in occasione del Campus party di Milano. I premi per i primi 3 classificati per ciascuna categoria saranno personal computer, smartphone ed e-reader per i più piccoli.

Le opere potranno essere pubblicate sul sito www.zerobullismo.it e degli altri enti promotori, nonché utilizzate per la realizzazione di mostre e un eventuale cortometraggio che farà parte della campagna di comunicazione contro il cyberbullismo e l’uso consapevole dei social.

Mattarella ai giovani “Studiare è un modo per aprirsi agli altri”

da la Repubblica

Concetto Vecchio

roma

Cassino, aula magna dell’Università, inaugurazione dell’anno accademico, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Elena Di Palma, 24 anni, rappresentante degli studenti, fa un intervento con una forte impronta sociale. Racconta del sogno di due adolescenti della Guinea, Yaguine Koita e Fodè Tounkara, che il 2 agosto del 1999, all’aeroporto di Conakry, si nascosero nel vano carrello di un aereo diretto a Bruxelles. Volevano venire a studiare in Europa. Li ritrovarono abbracciati, morti per congelamento. In tasca avevano le pagelle di scuola e una lettera indirizzata ai ” Signori membri e responsabili dell’Europa: vi chiediamo di aiutarci a studiare per essere come voi”.

Mattarella è molto colpito dal racconto. Interviene a braccio. «Le sue parole», dice rivolto a Di Palma, «mi hanno fatto venire in mente quel ragazzo di 14 anni annegato nel Mediterraneo a cui è stata trovata cucita all’interno della giacca la pagella con i suoi voti». Quando, lo scorso gennaio, venne fuori la sua storia, grazie al libro dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto, rilanciato da una vignetta di Makkox, il presidente della Repubblica si commosse per quel piccolo migrante senza nome. Ieri, guardando gli studenti, ha detto: « Chissà quanti casi non conosciamo di giovani per i quali il rendimento scolastico ha il valore di un passaporto. Di un accreditamento di serietà, di credibilità, verso i Paesi in cui pensavano di poter sviluppare la loro vita e la loro cultura. Le loro morti interrogano fortemente le nostre coscienze».

Dove sognava di andare questo ragazzo? Sappiamo soltanto che veniva dal Mali. Il barcone su cui viaggiava si ribaltò. Bulletin scolaire, recitava il pezzo di carta serbato come un tesoro. L’acqua aveva sbiadito i voti. Durante l’autopsia, racconta Cattaneo, « mi ritrovai in mano un piccolo plico di carta composto da diversi strati. Cercai di dispiegarli senza romperli e poi lessi i nomi delle materia, in francese: mathématiques, sciences physiques ».

Citando quel giovane, Mattarella, ci ricorda che l’apprendimento è anche un ponte verso altri mondi, per conoscere, per conoscersi. Perché il razzismo, è il ragionamento implicito, si nutre di ignoranza. «Lo studio», dice il Capo dello Stato, « costituisce la spinta e lo stimolo per l’apertura verso culture diverse, verso le altrui opinioni, verso le esperienze degli altri». Dischiude amicizie e dialogo. E qui ci aggancia un altro ragionamento. «Gli studi universitari non possono essere un fenomeno di élite, ma devono essere il più diffusamente possibile distribuiti nel Paese e avere un contatto profondo con i territori ».

Cassino, ottomila studenti, vanta del resto un record: è l’ateneo che va a laureare il maggior numero di studenti che hanno genitori non laureati. « L’Italia è ancora in ritardo sul numero dei laureati rispetto alla media europea e ha bisogno di intensificare questo percorso che necessita di una forte spinta da parte delle istituzioni » , ammonisce Mattarella.

Negli ultimi due anni, denuncia un rapporto della Fondazione Agnelli, la dispersione scolastica è tornata a crescere: si è passati dal 13,8 del 2016 al 14,5 del 2018. È cresciuta la dispersione delle ragazze, dall’ 11,2 al 12,1 per cento, quella maschile tocca il 16,6 per cento, con punte del venti per cento nelle isole, mentre virtuosi restano Trentino, Emilia Romagna, Umbria e Abruzzo.

«Sono passati vent’anni dal sogno infranto di Yaguiné e Fodè, ma poco è cambiato se l’immigrazione è un argomento che continua a dividere e ad alzare muri», dice Di Palma. Un’ovazione sigilla il suo discorso. Mattarella la elogia, « eccellentissima studentessa » . Figlia di un’insegnante e di un geometra studia per diventare ingegnere. « I deputati della Lega sono venuti a stringermi la mano, a farmi i complimenti. Evidentemente hanno capito poco del mio discorso » , dice alla fine. Il suo cuore batte a sinistra? «No, voto Forza Italia » confessa. « Ho lavorato in uno Sprar e i migranti li ho conosciuti bene. Nessuno è diverso. Siamo tutti uguali. Ma col decreto sicurezza tutto è peggiorato ».

Nuove lauree a misura di lavoro

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

Un’offerta formativa tagliata sulle esigenze del mercato del lavoro. È stato l’obiettivo fondante degli Its, gli istituti tecnici superiori, concepiti come canale alternativo alle università, ma gli stessi atenei (l’altra gamba della formazione superiore) si stanno attrezzando. Dopo il decreto Giannini, che ha aperto la via, oggi sono in campo con ben quattordici corsi di laurea sperimentali ad orientamento professionale, ulteriori sei corsi di laurea sperimentali risultano proposti dall’articolo 8, comma 2, del decreto ministeriale n. 6 del 2019. Una corsa a intercettare i fabbisogni delle aziende e degli ordini che ha portato il Cun, il Consiglio universitario nazionale, a chiedere l’attivazione di altre quattro lauree. Richiesta che ha ottenuto il parere favorevole del ministro dell’istruzione, università e ricerca, Marco Bussetti. A renderlo noto il viceministro Lorenzo Fioramonti rispondendo a un’interrogazione in aula alla Camera.

Ecco le nuove lauree professionalizzanti: Professioni tecniche agrarie, alimentari e forestali; Professioni tecniche industriali e dell’informazione; Professioni tecniche paraveterinarie; Professioni tecniche per l’edilizia e il territorio. Tutte caratterizzate da maggiore presenza di laboratori e attività in azienda: dei 180 Cfu complessivi, almeno 48 si prevede che siano di attività formative frontali, altrettante di laboratorio e di tirocinio. Obiettivo: formare tecnici di livello avanzato a immediato ingresso nel mondo del lavoro.

«I titoli delle nuove classi sono stati scelti in modo da rendere immediatamente chiari agli studenti scopi e sbocchi occupazionali dei corsi», si legge nel documento predisposto dal Cun, «distinguendoli dalle altre offerte di formazione terziaria (lauree triennali non a orientamento professionale e Its), così che ciascuno possa scegliere con consapevolezza il percorso più adatto alle proprie attitudini e ai propri interessi».

Una sovrapposizione, quella con gli Its, che sarebbe deleteria, commenta il deputato (Misto) ed ex sottosegretario all’istruzione, Gabriele Toccafondi: «C’è spazio per tutti, c’è una prateria, spero che il Miur svolga fino in fondo il suo ruolo di regista per evitare duplicazioni che porterebbero al fallimento di entrambi i percorsi». Sempre il Cun ha proposto nuove classi intedisciplinari: Data Science, Ingegneria dei materiali, Neuroscienze e Scienza dei materiali, tutte magistrali, Scienza dei materiali, triennale. All’insegna della contaminazione dei saperi.

Tfa Sostegno, prove rinviate Vince il fronte degli atenei

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

I rettori fanno fare retromarcia al Miur sul IV ciclo del Tfa per gli insegnati di sostegno. Su tutta la linea. Il ministro dell’istruzione Marco Bussetti, infatti, non ha solo rinviato al 15 e al 16 aprile le date delle prove di accesso preliminari al Tfa, ma anche a marzo 2020 la fine prevista per la conclusione dei corsi. Mentre il Miur ha lasciato libere le università di stabilire i costi dei percorsi che, leggendo i bandi finora pubblicati dai singoli atenei, oscillano tra i 2.500 e i 3.700 euro. Un salasso «a costi variabili» per Gianni Verga, segretario generale Uil Scuola di Puglia, che, «fatta salva l’autonomia di ciascuna università», parla di «un’incomprensibile ingiustizia».

A convincere il Miur per il rinvio è stata la Conferenza dei rettori (Crui) che in una nota del 26 febbraio, appena 5 giorni dopo la pubblicazione del decreto ministeriale, spiegava che «al fine di consentire una migliore organizzazione delle prove e del percorso di formazione» occorreva rinviare sia le date dei test sia quella di conclusione dei corsi. Detto fatto.

Solo due giorni dopo, il 27 febbraio, Bussetti con un nuovo decreto sposta al 15 aprile (dal 28 marzo) il test preliminare per la scuola dell’infanzia e la primaria e al 16 aprile quello per le medie e le superiori, ma rinvia anche di un mese la conclusione dei percorsi formativi che dovranno concludersi non più entro febbraio 2020 ma «entro marzo 2020».«Questo rinvio è l’ennesima riprova di una modalità di gestione dei processi decisionali improntata alla mancanza di confronto», commenta la Fcl-Cgil. «Una scelta che contribuisce ad aumentare le criticità presenti nel decreto del Tfa».

Tra cui la tempistica della conclusione dei percorsi che rischia di sacrificarne la qualità. I 60 crediti formativi Cfu, infatti, devono essere acquisiti in non meno di 8 mesi con i percorsi che dovranno partire entro giugno, collocandone le attività didattiche nei mesi estivi ed anche a cavallo di agosto. «Una corsa contro il tempo, che oltretutto impedirà agli specializzandi l’accesso alle 150 ore del diritto allo studio».

Videosorveglianza, si riparte

da ItaliaOggi

Nicola Mondelli

Prosegue lentamente e non senza difficoltà il cammino parlamentare di un disegno di legge contenente, tra le altre, alcune misure per prevenire o contrastare condotte di maltrattamento o abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia e quelle per l’installazione di sistemi di videosorveglianza, accentuando la prevenzione attraverso un’adeguata formazione del personale, tra cui test attitudinali e verifiche periodiche, e un piano di ispezioni e controllo accurati.

A tali fini il disegno di legge n. 1066, approvato in prima lettura dall’Aula di Montecitorio il 23 ottobre 2018, è dall’8 gennaio 2019, come disegno di legge 897, all’esame 1^ Commissione Affari Costituzionali con nome S.897, un esame che dovrebbe concludersi nella seconda metà del mese di marzo.

Nell’ultima seduta della Commissione svoltasi il 28 febbraio 2019 la relatrice Gabriella Giammanco (FI-BP) ha proposto un testo unificato che tiene conto analoghi disegni di legge: n. 897 (Annamaria Calabria– FI), n. 182 (Maria Rizzotti – FI-BP), n. 200 (Stefano Bertacco – FDI), n. 262 e 264 ( Giammanco), n. 546 (Massimiliano Romeo –Lega) e n. 1020 (Daniela Sbrollini – PD) e recepisce gli spunti di riflessione emersi nel corso delle audizioni informali, come anche i rilievi proposti durante il dibattito in Commissione quali un incremento della dotazione finanziaria da 15 a 126 milioni di euro che consentirà di erogare incentivi per l’installazione di sistemi di videosorveglianza; l’introduzione del reato di maltrattamento, percosse e lesioni in danno di persone ricoverate presso strutture socio-educative. Un testo unificato che la Commissione ha deciso di adottare quale testo base per il proseguo dell’esame in sede referente del disegno di legge.

Il ddl punta a contrastare il fenomeno dei maltrattamenti in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia non solo mediante l’installazione di sistemi di videosorveglianza ma anche accentuando la prevenzione attraverso una adeguata formazione del personale.

Per conseguire tale ultimo obiettivo, il Governo dovrebbe adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per la definizione delle modalità della valutazione psico- attitudinale per l’accesso alla professione educativa nonché delle modalità della formazione obbligatoria iniziale e permanente del personale degli asili nido e delle scuole dell’infanzia, nel rispetto di alcuni principi e criteri quale quello, ad esempio, di prevedere che gli educatori e il personale docente e non docente siano in possesso al momento dell’assunzione e successivamente durante lo svolgimento dell’attività professionale degli adeguati requisiti di carattere psico-attitudinale.

Per assicurare il conseguimento delle finalità in premessa, il testo all’esame propone l’installazione di sistemi certificati di videosorveglianza a circuito chiuso con registrazione audio-video a colori. La presenza dei sistemi dovrebbe essere adeguatamente segnalata a tutti i soggetti che accedono all’area videosorvegliata.

Probabile esame in seconda lettura dall’Aula di Montecitorio. Poiché il testo del disegno di legge che sarà approvato dall’Aula di Palazzo Madama conterrà presumibilmente – considerato l’orientamento favorevole al testo unificato da parte della maggioranza dei componenti la Commissione – modifiche al testo approvato in prima lettura dall’Aula di Montecitorio il 23 ottobre 2018, si renderà necessaria una seconda lettura.

A giorni i bandi per entrare nelle graduatorie Ata Servono 24 mesi di lavoro, vale anche il servizio civile

da ItaliaOggi

Franco Bastianini

Tra pochi giorno saranno pubblicati dai direttori dei rispettivi uffici scolastici regionali i bandi di concorsi per titoli per l’accesso ai ruoli provinciali, relativi ai profili professionali di assistente amministrativo, assistente tecnico, guardarobiere, cuoco, infermiere, addetto aziende agrarie e collaboratore scolastico.

Tali concorsi, ai quali potrà partecipare il personale Ata che, alla data di scadenza della domanda, potrà fare valere non meno di 24 mesi di servizio prestato in qualifica Ata, sono finalizzati alla costituzione delle graduatorie provinciali permanenti utili per l’anno scolastico 2019-2010.

Lo ha anticipato Carmela Palumbo, capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione del Miur, nella nota n. 8991 del 6 marzo 2019.

I modelli di domanda di partecipazione ai concorsi compilati in forma cartacea, si legge nella nota, dovranno essere inviati all’Ambito territoriale provinciale della provincia d’interesse, entro i termini previsti dal relativo bando, mediante raccomandata A/R ovvero consegnati a mano ovvero mediante Pec.

Il modello di domanda con la scelta delle istituzioni scolastiche in cui si richiede l’inclusione nelle graduatorie di circolo e di istituto di 1ª fascia per l’anno scolastico 2019-2020 dovrà invece essere successivamente trasmesso tramite le istanze online. Per quest’ultima modalità di trasmissione la nota ministeriale si raccomanda ai competenti uffici di invitare tutti gli aspiranti interessati alle graduatorie di istituto a procedere alla registrazione essendo tale registrazione un prerequisito essenziale per poter trasmettere la domanda.

Con la nota si ribadisce che è valutabile come servizio svolto presso enti pubblici anche il servizio civile volontario svolto dopo lì abolizione dell’obbligo di leva. Tale servizio dovrà infatti essere valutato con il medesimo punteggio attribuito, nella tabella di valutazione dei titoli, al servizio prestato alle dipendenze di amministrazioni statali.

Si ricorda, inoltre, con riferimento alla predisposizione dei relativi bandi, che le controversie e i ricorsi avverso le graduatorie sono devoluti al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.

Al fine di dare uniformità alla procedura concorsuale che di concluderà con la pubblicazione delle graduatorie definitive i relativi bandi, con le indicazioni delle date iniziali e finali per l’invio delle domanda di partecipazione, dovranno essere pubblicati entro il 20 marzo 2019

Vincolo quinquennale sostegno: ricomincia dopo passaggio di ruolo

da Orizzontescuola

di Giovanna Onnis

Per il docente di sostegno che ottiene passaggio di ruolo sul sostegno il quinquennio ricomincia. Si tratta di un nuovo vincolo quinquennale nel nuovo ruolo di titolarità

Un lettore ci scrive:

“Sono un docente passato dalla secondaria di primo grado,  dove ho già fatto i 5 anni di ruolo su sostegno, alla secondaria di secondo grado  l’anno scorso, sempre sul sostegno
Gradirei sapere gentilmente se posso fare assegnazione o utilizzazione su materia alla secondaria di primo grado? Potrei farla anche alla secondaria di secondo grado su materia essendo ancora vincolato sul
sostegno?”

Il docente titolare sul sostegno è obbligato a rimanere su questa tipologia di posto per un quinquennio a decorrere dall’anno scolastico della sua immissione in ruolo sul sostegno o dall’anno scolastico in cui ottiene il trasferimento da posto comune/materia  a sostegno

Come si calcola il vincolo dopo il passaggio di ruolo

Il docente titolare sul sostegno che ottiene il passaggio di ruolo sempre sul sostegno è tenuto a rispettare un nuovo vincolo quinquennale e il computo del quinquennio ricomincia a decorrere dall’anno scolastico in cui ottiene il passaggio

Questa disposizione è prevista nell’art.23 comma 11 del CCNI sulla mobilità dove si stabilisce che “[….] I docenti che ottengono il passaggio di ruolo su posti di sostegno hanno l’obbligo di permanervi per un quinquennio [….]”

Conclusioni

Il nostro lettore, quindi, avendo ottenuto il passaggio di ruolo sul sostegno nella Secondaria II grado, è nel vincolo quinquennale nel nuovo grado di titolarità, anche se ha superato in precedenza tale vincolo nella Secondaria I grado

Non potrà, quindi, partecipare alla mobilità annuale  per posto comune, ma se possiede i requisiti necessari per presentare domanda, requisiti che saranno indicati nel prossimo contratto sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie, potrà chiedere  il movimento annuale solo per la tipologia di posto di titolarità, quindi solo sul sostegno