Una giornata particolare

Una giornata particolare

di Maurizio Tiriticco

Grande giornata, oggi 13 maggio 2109, a Roma! Grande giornata democratica ed antifascista! Questa ripresa odierna del fascismo nel nostro Paese, alimentato anche da governanti in parte ignoranti e in parte sovranisti senza scrupoli, mi preoccupa e deve stimolarci tutti ad una opposizione severa e decisa! INTOLLERABILE oggi che i fascisti di turno pretendano di accedere ad affermare la loro fede, cosiddetta, in una università della nostra Repubblica, nata proprio dalla lotta contro il fascismo e il nazismo! Sono decenni che i fascisti alla Sapienza non mettono piede.
Un pizzico di storia! Io mi iscrissi alla Sapienza nel lontano 1946, alla Facoltà di Lettere. Eravamo tutti noi studenti assolutamente democratici, e molti di noi iscritti e/o militanti nei sei partiti di allora, comunisti, socialisti, democristiani, repubblicani, liberali. democratici del lavoro. Dei fascisti organizzati, neanche l’ombra, anche se qualche studente si dichiarava nostalgico! E lo erano anche alcuni miei colleghi, di cui ho anche un bel ricordo per la loro cultura e per il loro successo professionale. Qualche scontro tra noi, repubblicani e democratici, da un lato, e nostalgici – pochi in verità – dall’altro ci fu, ma sempre circoscritto in qualche litigata a parole e senza particolari conseguenze. Il fatto è che gli anni dell’immediato dopoguerra erano molto inquieti, soprattutto nel sociale! Le grandi lotte contadine per la terra! Le grandi lotte operaie! La rinascita del sindacato confederale con Giuseppe Di Vittorio!
Da quegli anni sono trascorsi ormai una settantina d’anni! Un lungo periodo in cui alla Sapienza il fascismo poteva costituire soltanto oggetto di ricerca e di studio. Renzo De Felice, compagno comunista, era anche mio compagno di studi. Ricordo le nostre conversazioni sul fascismo e gli interrogativi che lui si proponeva del perché e del come avesse potuto conquistare in pochi anni tanti Italiani. Erano dei pour parler che in genere si svolgevano nell’area antistante alla Biblioteca Alessandrina, un po’ per distrarci, un po’ per fumare una sigaretta – non c’era ancora il divieto in quella zona – e confrontarci un po’ sulle nostre ricerche bibliografiche: lui sul fascismo e su Mussolini, soprattutto; io sul Modernismo francese e sulla corrispondenza sia di impegno intellettuale che di amorosi sensi tra Henri-Benjamin Constant de Rebecque e Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein. A quei tempi i nobili non si risparmiavano affatto quanto ad appellativi! Comunque, In quei primi anni dell’800, dopo il Congresso di Vienna e con le varie forme assunte dal Romanticismo europeo, dibattiti, discussioni, nuve riverche costituivano un fermento di grande interesse. Oggetto di studio di molti di noi studenti di lettere. Poi io e De Felice ci siamo laureati e ciascuno di noi ha preso la sua strada!
Alla Sapienza si studiava! E come! Poi con i passar degli anni, ci fu la grande stagione del Sessantotto, quella del Movimento studentesco! Io ero già fuori dall’università! Laureato da tanti anni! E a fianco del movimento studentesco nacque il “movimento insegnanti”, promosso e animato da noi insegnanti di sinistra! Quel movimento che in seguito portò alla fondazione della “CGIL-Scuola”. Ricordo lo stupore di molti docenti, maschi e femmine: “Come!!! Gli insegnanti in un sindacato degli operai? Impossibile!” Un’espressione che oggi fa solo ridere! E da quel movimento nacque anche il Cidi (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti), avviato, organizzato ed animato da Luciana Pecchioli, moglie di Ugo Pecchioli, autorevole membro della Segreteria del PCI. I maligni dissero che si trattava di una manovra del PCI, tesa ad ammorbidire il “sinistrismo” del Movimento insegnanti.
Il tutto accadeva in quello scorcio degli anni sessanta! Allora gli estremisti – se si può dir così – erano gli studenti più a sinistra della sinistra! C’erano Avanguardia Operaia, Potere Operaio, Servire il Popolo, i Maoisti, il Libretto rosso di Mao, i Trotskisti,! E poi le vicende internazionali: Fidel Castro e la Rivoluzione cubana! E l’influenza del Che! Che Guevara! Il nuovo eroe della Rivoluzione! Il suo volto in bianco e nero su migliaia di manifesti e di magliette! E il Maggio Francese! E gli studenti di Berkley! E gli studenti di Pechino! Insomma, anni ruggenti! Una sorta di internazionale rivoluzionaria giovanile! E A Roma molti gli studenti più a sinistra della sinistra! Luciano Lama, segretario nazionale della CGIL, vuole portare agli studenti della Sapienza la solidarietà della classe operaia! Ma, appena iniziò il suo discorso, venne subito contestato dagli studenti.
E qui mi fermo! Dopo quegli anni ruggenti, all’Università si è ripreso a studiare! Comunque, a volte periodi difficili in questi settant’anni li abbiamo vissuti alla Sapienza, ma mai ci siamo dovuti confrontare con i fascisti! Scomparsi per sempre, e non solo dall’Università, ma dall’intero Paese! Il Movimento Sociale Italiano e il suo più autorevole segretario, Giorgio Almirante, ex fascista (aveva collaborato alla stesura del “manifesto sulla razza” nel lontano 1938 nonché con la Repubblica Sociale Italiana) convissero con la Repubblica accettandone in linea di massima la sua connotazione democratica ed il suo ordinamento.
Oggi, 13 maggio 2109 a Roma – ripeto e concludo – dopo settanta anni, all’Università di Roma, ci siamo dovuti confrontare ancora una volta con i fascisti. Tuttavia, la manifestazione promossa si è svolta con grande successo! E il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, ha potuto svolgere la sua relazione, attesa, partecipata, condivisa, applaudita. Una vittoria della democrazia! Una vittoria della cultura!
Un comitato promotore, costituito da diverse associazioni ha avviato una larga azione per proporre la nomina del Comune di Riace per il Nobel della pace! Un atto di grande impegno civile, per il nostro Paese! E per l‘intera Europa dei popoli! Una sfida ai populisti di turno!

Ventotene al Mamiani

Ventotene al Mamiani

di Maurizio Tiriticco

Stamane al Liceo “Terenzio Mamiani” di Roma” si è tenuto un interessante seminario di studi, molto affollato e partecipato, dal titolo: “L’Europa che vogliamo”. Questo è il link del programma: (https://www.liceomamiani.gov.it/pvw/app/RMLG0012/pvw_sito.php?sede_codice=RMLG0012&page=2415573). Data l’ora tarda con cui si sono conclusi i lavori del seminario e la proiezione del film “Le parole di Ventotene: Ernesto Rossi e il progetto di Europa unita”, non sono potuto intervenire. Lo faccio ora con la mia testimonianza scritta che, data la mia longevità… viene da lontano!

Voglio in primo luogo sottolineare che negli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso, nonostante avessimo perduto la guerra, la nostra voce, all’interno del concerto europeo ed internazionale, aveva non solo un alto ascolto, ma anche un considerevole peso politico. In altre parole. Il “Manifesto di Ventotene” non costituisce un unicum, una meravigliosa e costruttiva eccezione, ma una punta avanzata – se possiamo utilizzare questa espressione – dell’intero antifascismo italiano attivo in Italia e in Europa, nonché la visione di un’Europa nuova. La resistenza che molti italiani avevano opposto al fascismo aveva prodotto i suoi frutti. Sul fronte interno, ma anche sui fronti di guerra. Mi limito a qualche accenno alla guerra civile di Spagna – anni trenta – quando, con i combattenti contro i fascisti di Franco, di Mussolini e di Hitler si schierarono anche, tra i fuorusciti di molti Paesi, molti fuorusciti italiani. Erano gli antifascisti in esilio, i comunisti, i socialisti, i repubblicani, i cattolici, gli anarchici. Ricordo solo qualche nome: Carlo Rosselli, di Giustizia e Libertà, l’anarchico Camillo Berneri, il repubblicano Randolfo Pacciardi, il socialista Pietro Nenni, i comunisti, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Vittorio Vidali, Giuseppe Di VIttorio. Nella sola Brigata Garibaldi combatterono oltre tremila italiani. Il fatto è che la guerra civile di Spagna costituiva una chiave di volta. Se avessero vinto i franchisti di Francisco Franco, nell’intera Europa si sarebbe costituito un forte schieramento fascista – sovranista, per usare un aggettivo oggi in voga – e pericoloso per la pace! E infatti possiamo anche dire che la vittoria dei falangisti di Franco costituì l’anticipo di quella guerra mostruosa che solo qualche anno dopo Hitler ed, a seguire, Mussolini, scatenarono contro l’intero mondo civile!

E le finalità che la guerra nazifascista si proponeva erano mostruose! Basta leggere il “Mein Kampf”, di Adolf Hitler, una sorta di bibbia nazista! Si sosteneva che una sola razza, quella bianca, pura, ariana, avrebbe dovuto governare il mondo intero! Un disegno folle, che portò ineluttabilmente a quel folle conflitto che fu la seconda guerra mondiale. E all’olocausto! Uno sterminio che, se la follia nazista non fosse stata sconfitta, non avrebbe riguardato solo gli ebrei e i rom, ma tutti coloro che non fossero di pura razza ariana! Cioè alti, belli e robusti e, soprattutto biondi!

Questa premessa ci fa comprendere le ragioni per cui, nonostante avessimo perso la seconda guerra mondiale, il nostro Paese ebbe invece– se si può usare questa espressione – un trattamento di favore! Basta ricordare che l’intera Germania, sconfitta, venne divisa in quattro zone di occupazione, francese, inglese, statunitense, sovietica! Noi questa umiliazione non la subimmo! Fu la Resistenza a salvarci, non solo quella dei partigiani e di Bella Ciao, ma anche e soprattutto quella che veniva da lontano, nel tempo e nello spazio, dagli anni venti, dal delitto Matteotti, dal fuoriuscitismo di tanti italiani all’estero e dalla prigionia di molti altri! Non dimentichiamo che il comunista Antonio Gramsci scrisse le sue più belle lettere proprio dal carcere fascista! Il Manifesto di Ventotene non è quindi solo un testo degli esiliati in un’isola, ma è una delle tante testimonianze antifasciste, ovviamente tra le più significative! Perché va oltre l’auspicio della caduta del fascismo, per vagheggiare un sogno, quello addirittura di un’Europa Altra! Quella forse nascosta da una lunga storia di guerre e, forse, vagheggiata da tutti. Quella indicata, ad esempio, da Federico Chabod, mio maestro alla Sapienza, nel suo “Storia dell’idea d’Europa”.

Ma veniamo ora all’Europa, anzi proprio all’Idea di Europa, che animò larga parte dei nostri uomini politici e del nostro stesso popolo, che il fascismo aveva illuso come uno dei popoli eletti! Basti pensare a quella scritta che compare a caratteri cubitali sul Palazzo della Civiltà Italiana, qui a Roma: “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”. Ed alla dolorosa verità di un Paese sconfitto, di un Mussolini imprigionato, di un re fuggitivo! Umiliazioni profonde e dolorose, che la mia generazione dei ragazzi di allora soffrì terribilmente.

Dopo la fine della guerra il sogno di Ventotene comincia la sua marcia per diventare realtà. L’Europa, quella vera, quella dei popoli in pace, comincia a prendere corpo. Un sogno che, per quanto riguarda il nostro Paese viene da lontano! E precede Ventotene! Qualche nome: Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti, Giuseppe Mazzini, Carlo Pisacane! Europeisti italiani in pieno Ottocento! E poi gli europeisti del nostro Novecento: Alcide De Gasperi, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni. Ma non mancano gli europeisti europei: il tedesco Konrad Adenauer, i francesi Robert Schuman e Jean Monnet, il belga Paul Henri Spaak. Sono gli alfieri di una bella squadra, che hanno creduto all’Europa e che l’Europa l’hanno voluta costruire.

Dopo la guerra si cominciano a sottoscrivere i primi trattati. Possiamo dire in dimensione europea. Con il Trattato di Parigi del 1951 nasce la CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Viene instaurato il mercato comune per il carbone e i minerali di ferro. I sei Paesi costitutivi, Italia, Francia, Germania, BElgique, NEderland e LUXembourg (BENELUX) sopprimono i dazi doganali e le restrizioni quantitative sulle materie prime. E poi a Roma! Centro ideale di una nuova Europa! Appunto, i Trattati sottoscritti a Roma nel 1957: il Trattato che istituisce l’Euratom, la Comunità europea dell’energia atomica; il Trattato che istituisce la CEE, Comunità Economica Europea. E’ importante sottolineare che in questo trattato si considera la formazione professionale come leva delle politiche del lavoro. Come se la formazione professionale – e questo ne era forse il limite – fosse più al servizio del mercato che della persona. Insomma, è ancora resistente il concetto della formazione professionale come istruzione che possiamo definire di secondo livello, finalizzata cioè all’addestramento all’uso delle macchine nei processi lavorativi. E forse non è un caso che nella stessa nostra Costituzione, varata nel lontano 1947, si attribuisce l’istruzione professionale alla competenza delle Regioni, forse perché più vicine al lavoro cosiddetto manuale.

Negli anni successivi si hanno significativi cambiamenti. Ci si rende conto che l’evoluzione delle tecnologie, dell’automazione e dell’informatica sono in grado di trasformare i processi di lavorazione e richiedono competenze non solo manuali, ma elevate e complesse. Per cui nella Formazione Professionale il concetto e la pratica di puro e semplice addestramento vengono via via superati.

Negli anni che seguono si verificano via via profondi cambiamenti. E’ doveroso citare il cosiddetto Atto Unico, del 1987. Con questo si procede ad una revisione dei Trattati di Roma al fine di rilanciare l’integrazione europea e portare a termine la realizzazione del mercato interno. Si modificano le regole di funzionamento delle istituzioni europee e si ampliano le competenze comunitarie, in particolare nel settore della ricerca e sviluppo, dell’ambiente e della politica estera comune. Si avvia un primo embrione di Unione politica.

Si giunge così al Trattato di Maastricht. Siamo già nel 1992. Ed è di estrema importanza! La vecchia CEE, Comunità Economica Europea, sale di rango! Nasce l’Unione Europea! Dalla CEE alla UE! Un salto politico di notevole importanza e ricco di auspici! Si va oltre l’istruzione professionale! L’istruzione, nella sua interezza, viene considerata un forte fattore promozionale, anche per lo sviluppo di una sempre maggiore coscienza europea da parte delle nuove generazioni.

Nasce così la DEE, ovvero la Dimensione Europea nell’Apprendimento. Va sottolineato che con la DEE non si intendeva affatto giungere ad una rivisitazione degli ordinamenti scolastici dei singoli Paesi Membri della UE. Come dirigente tecnico, ho avuto l’onore di rappresentare l’Italia nelle numerose riunioni svolte in genere a Bruxelles, finalizzate a dar corpo a questa grande idea della DEE. Ovviamente, non si trattava di unificare percorsi scolastici che avevano storie assolutamente diverse, ma di individuare fattori che fossero in grado di individuare percorsi finalizzati alla formazione di cittadini che si sentissero anche europei, oltre a sentirsi italiani, inglesi, tedeschi, spagnoli, e via dicendo. Occorreva ricercare e ritrovare quali fossero le vie più opportune ed efficaci per realizzare tale finalità.

Lungi dal gruppo di lavoro pensare ad una modifica dei curricoli di studio nazionali. Dopo lunghe e faticose discussioni, giungemmo alla soluzione che ci sembrò più idonea. Si sarebbe trattato, da parte delle singole scuole dei Paesi dell’UE e dei loro organismi dirigenti nazionali, di individuare tre percorsi curricolari di ricerca e di studio lungo tre filoni. Individuammo, infatti, tre linee di azione; a) le comuni origini storiche, culturali e civili; una grande sfida, pensando ai numerosi secoli di guerre che gli europei hanno conosciuto e vissuto; b) la ricerca scientifica e le tecnologie; c) le competenze linguistiche, ovvero lo studio in ciascun Paese dell’UE, di almeno due lingue comunitarie, ovviamente oltre la lingua nazionale.

Il sogno di Maastricht del ’92 successivamente si arricchì di una seconda proposta. Il 15 dicembre del 2004, sempre a Maastricht, ben trentadue ministri dell’istruzione europei sottoscrivono un documento in cui si sottolinea la necessità di giungere ad un sistema unitario di formazione e qualificazione professionale per rilasciare certificazioni leggibili e spendibili in tutti i Paesi dell’Unione.

Insomma, si avviò una gara tesa a ricercare quali fossero gli elementi costanti e comuni per istruire, formare ed educare il “buon cittadino europeo”; e di quali competenze dovesse disporre.

Un esempio tra i tanti. Il Rapporto DeSeCo/Ines (DEfinition and SElection of COmpetencies), del 2003, individua ben dodici competenze ritenute essenziali per riuscire nella vita e per il buon funzionamento della società. Da allora documenti simili si sono moltiplicati fino al giorno d’oggi. Mi piace ricordare il più recente. Si tratta della Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 maggio 2018, relativa proprio alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Si tratta di un documenti lungo, complesso e articolato. Mi limito a riportare il “quadro di riferimento” con cui si delineano otto tipi di competenze chiave: 1) competenza alfabetica funzionale; 2) competenza multilinguistica; 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4) competenza digitale; 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare; 6) competenza in materia di cittadinanza; 7) competenza imprenditoriale; 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

Per concludere, posso dire che di strada per costruire l’Europa ne abbiamo costruita e percorsa tanta in questi lunghi 74 anni che ci separano dalla fine della seconda – ed ultimaaa!!! – guerra mondiale! Ovviamente va ricordato che la “caduta del muro di Berlino” (9 novembre 1989), che intenzionalmente ho virgolettato, ha segnato una tappa fondamentale perché l’Unione Europea potesse estendersi oggi anche a quei Paesi dell’Est che, per tutta la lunga durata dei due blocchi, USA ed URSS, oggi Federazione Russa, sono stati separati dalla “cortina di ferro”. Così definì la linea di separazione dei due blocchi, quello occidentale, “capitalistico”, e quello orientale, “comunista” – le virgolette sono necessarie, ma la vulgata per tanti anni le ha create e condivise – il Primo Ministro britannico Winston Churchill in un discorso tenuto al Westminster College di Fulton, in Missouri, il 5 marzo del 1946.

Oggi l’Unione Europea consta di ben 28 Paesi! Com’è noto, vènti sovranisti e populisti si stanno levando adducendo le ragioni più assurde, che qui non è il caso né di affrontare né di discutere! Voglio solo concludere che un attacco all’unità raggiunta con tanti sacrifici e fatica va assolutamente respinto! Viva l’Europa Unita! Viva l’Unione Europea! Viva l’Europa della pace!

CONTROLLI BIOMETRICI

CONTROLLI BIOMETRICI: IL NO DELL’ANP

Sabato scorso, 11 maggio, il Presidente Nazionale dell’ANP ha inviato una mail a tutti i soci per fare il punto della situazione e per chiarire che non escludiamo, in caso di approvazione definitiva del decreto, nessuna forma di contrasto, incluso il ricorso all’autorità giudiziaria per ragioni di incostituzionalità.
Le innumerevoli azioni intraprese dall’ANP (serrati incontri con parlamentari, presentazione di documenti, interviste) e dalla FP-CIDA (la federazione sindacale a cui l’ANP aderisce) per convincere la maggioranza parlamentare a cambiare idea in merito all’introduzione dei controlli biometrici della presenza in servizio non hanno finora trovato accoglimento, probabilmente per l’imminente scadenza elettorale europea.
Le nostre ragioni sono ben note e le ribadiamo con forza: misura del tutto sproporzionata allo scopo, lesione della privacy, costi totalmente a carico delle scuole.
Considerando che, se il decreto dovesse essere approvato nella versione attuale, potrà diventare esecutivo nelle scuole solo a seguito di decreto del MIUR, ne discuteremo nei prossimi giorni con il Ministro e informeremo i nostri iscritti, tutto il mondo della scuola e l’opinione pubblica.

Problemi e contrasti ricorrenti

Formazione delle classi, loro assegnazione ai docenti, funzioni strumentali: problemi, e contrasti, ricorrenti.

Francesco G. Nuzzaci

1. Nell’abbondante manualistica messa a disposizione dei candidati in occasione delle imminenti prove orali nel concorso a dirigente scolastico si riscontrano diverse letture dei tre istituti evidenziati nel titolo – ma anche di altri, come i collaboratori del dirigente scolastico – a testimonianza dell’irrisolto intreccio tra norme pubblicistiche, particolarmente figuranti nel Testo unico della scuola (D. Lgs. 297/94) e anche nella legge 107/15, e norme pattizie susseguenti alla contrattualizzazione del pubblico impiego, di cui al D. Lgs. 165/01 e successive modifiche e integrazioni, fondamentalmente ad opera della novella recata dal D. Lgs. 150/09 (c.d. Riforma Brunetta), con le ulteriori correzioni dei decreti legislativi nn. 74 e 75 del 2017 (c.d. Riforma Madia).

La già risalente disciplina del predetto D. Lgs. 297/94, originariamente contenuta nei c.d. decreti delegati del 1974 – specificatamente nel D.P.R. 416, di riordino e istituzione degli organi collegiali della scuola –, avrebbe necessitato indubbiamente una sua profonda rivisitazione per allinearla al nuovo assetto autonomistico delle istituzioni scolastiche, statuito dalla legge 59/97 (legge Bassanini), seguita dai decreti di attuazione, in contestualità del conferimento della qualifica dirigenziale ai già presidi, direttori didattici e figure affini, ed afferenti nuove prerogative: l’esclusiva loro responsabilità degli atti di micro-organizzazione degli uffici e delle misure relative alla gestione del rapporto di lavoro, con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi i vincoli di legge.

Sugli uni – gli atti di organizzazione degli uffici – e sulle  altre – le misure circa la gestione del rapporto di lavoro – vi è il solo  generale obbligo di informativa ai sindacati, ovvero di corrispondere alle ulteriori forme di partecipazione se previste dai contratti, poi nei medesimi compendiate nell’esame congiunto (come nel CCNL 2018 del comparto Istruzione e Ricerca).

Essendo sin qui mancato un organico intervento di armonizzazione del legislatore, la compatibilità delle due fonti è, gioco forza, un problema di interpretazione, cui ha pure provato a fornire supporto – certamente, non risolutivo –  la giurisprudenza, a partire dal Consiglio di Stato (Sez. II, n. 1021/00, richiamante il proprio precedente, n. 1603/99 e la pronuncia dell’Adunanza generale n. 9/99); secondo cui – nella tematica qui in esame – sono attratte alle prerogative della nuova figura dirigenziale tutte le pregresse disposizioni attributive di potere agli organi collegiali, e ad altri soggetti istituzionali, ogniqualvolta esse risultino confliggenti con gli autonomi poteri di direzione, coordinamento, organizzazione del dirigente scolastico.

Di conseguenza, devono – o dovrebbero – ritenersi abrogate per implicito tutte le preesistenti disposizioni di legge, regolamentari e contrattuali attributive di competenze al Collegio dei docenti che esulino dalla progettazione e attuazione dei processi di insegnamento-apprendimento (art. 16, comma 3, DPR 275/99), dalla cura della programmazione dell’azione educativa e consequenziale valutazione della sua efficacia in rapporto agli obiettivi programmati (art. 7, comma 2, D. Lgs. 297/94), ovvero dall’elaborazione del POF-PTOF per gli aspetti pedagogico-didattici (comma 14, L. 107/15 e art. 26, comma 3, CCNL Scuola).

E l’abrogazione implicita vale – dovrebbe valere – per tutte quelle attribuzioni tuttora formalmente intestate al Consiglio d’istituto (cfr. art. 10, D. Lgs. 297/94 e art. 45, D.I. 129/18, nuovo regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche) non sussumibili nei (soli) poteri di indirizzo politico: approvazione del POT-PTOF e degli inerenti strumenti finanziari di attuazione e controllo (il programma annuale e il conto consuntivo).

Si è volutamente impiegata la forma condizionale perché – nella perdurante assenza di un intervento legislativo – la compatibilità delle semisecolari disposizioni, datate al 1974, con i sopravvenuti poteri dirigenziali resta comunque e sempre un problema di interpretazione, in quanto tale controvertibile e dunque intrinsecamente precaria.

Sicché, specialmente nelle classiche – e sono tante – situazioni di confine, dovrà adottarsi un canone ermeneutico pacificamente acquisito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, qual è quello della conservazione dell’ordinamento giuridico; per cui, prima di espungervi disposizioni ravvisate antinomiche, occorre dimostrare – con un ragionamento logico-argomentativo ancorato a specifici riferimenti normativi e infine ai principi generali del diritto – che non vi è alcun modo di farle comunque coesistere.

2. Se si assume la validità di questa premessa,  può senz’altro convenirsi de plano sull’abrogazione implicita dell’articolo 7, comma 2, lettera h del Testo unico della scuola, perché non può in alcun modo essere compatibile con la sopravvenuta regolazione della materia da parte dell’articolo 25 del D. Lgs. 165/01, citato, peraltro da intendersi qui assorbito nella più ampia fattispecie introdotta dall’articolo unico, comma 83 della parimenti menzionata legge 107/15.

Trattasi, rispettivamente, della prerogativa del Collegio dei docenti di affiancare al direttore didattico o al preside, figure direttive appartenenti al personale della scuola, uno o più collaboratori tra i quali egli, primus inter pares, sceglie colui che lo sostituisce in toto in caso di sua assenza o impedimento; e del potere del dirigente scolastico di individuare, tramite apposita delega con oggetto e tempo definiti, nel limite del 10% dell’organico dell’autonomia, dei docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell’istituzione scolastica, pertanto a lui legati da un rapporto fiduciario e tale da non tollerare l’interposizione di altri soggetti.

3. Per quanto invece attiene alla formazione delle classi e, ancor più, all’assegnazione delle stesse ai docenti, è ben vero che esse appaiono riconducibili alla categoria privatistica delle determinazioni per l’organizzazione degli uffici e gestione dei rapporti di lavoro assunte dagli organi preposti alla gestione con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro; e che, seppure il provvedimento del dirigente scolastico sia un atto soggettivamente amministrativo, la sua cognizione del giudice ordinario non subisce alcuna limitazione (Tribunale diAgrigento, sentenza 2778/04).  Ma non può condividersi la conseguenza che questa loro riconfigurazione abbia fatto venir meno le competenze del Consiglio d’istituto e del Collegio dei docenti che si leggono nel Testo unico della scuola (rispettivamente: art. 10, comma 4 e art. 7, comma 2, lett. b del D. Lgs. 297/94).

Non la si può condividere perché dai relativi criteri generali e dalle relative proposte il dirigente scolastico potrà discostarsene nella sua determina (che, se non si ritiene obbligatoria la motivazione propria degli atti oggettivamente amministrativi, è pur sempre necessario, o almeno opportuno, che in essa risulti l’iter logico-argomentativo a sostegno della decisione finale, che il giudice eventualmente adito dovrà apprezzare).

Non la si può condividere poiché non è intaccato il potere decisorio del dirigente scolastico. Quindi si possono e si devono conservare le competenze dei due organi collegiali; che – l’uno soggetto esponenziale della comunità scolastica, l’altro soggetto tecnico-professionale – sono chiamati a prestare ausilio a colui che dovrà assumere la decisione finale, peraltro avendo partecipato pleno iure all’inerente esercizio e, per di più, in posizione qualificata: membro di diritto con il potere di proposta ovvero presidente dell’organo, con le più incisive prerogative connesse alla funzione, e ad ogni modo essendogli preservato il doveroso esercizio della decisione finale, della quale si assume l’esclusiva responsabilità. E a tacer del suo obbligo di rispetto delle competenze degli organi collegiali (art. 25 del D. Lgs. 165/01, ripreso dall’articolo unico, comma 78 della legge 107/15).

Pertanto la procedura che a nostro giudizio dovrebbe seguirsi può essere così sintetizzata:

a) ad inizio di anno scolastico il dirigente predispone una bozza sulla formazione delle classi ed assegnazione dei relativi docenti, tenendo conto dei preesistenti criteri deliberati dal Consiglio d’istituto, se egli non ritenga che vadano rivisti;

b) la bozza è oggetto d’informativa alla RSU d’istituto unitamente ai dirigenti territoriali delle sigle sindacali firmatarie del CCNL, cui può seguire la richiesta di confronto e il cui esito può comportare la sua correzione;

c) modificata o meno, la bozza è portata in Collegio dei docenti per l’acquisizione di eventuali proposte;

d) il dirigente scolastico emana quindi la determina che rende ragione dell’iter seguito nella sua decisione finale e la rende pubblica con le modalità, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 14, comma 7, D.P.R. 275/99 (Regolamento dell’autonomia).

4. Più complesso è il caso delle funzioni strumentali al piano dell’offerta formativa, compiutamente ed esclusivamente regolate dal comma 2, art. 33 CCNL Scuola del 29.11.07, tuttora vigente in forza del richiamo di cui all’articolo 1, comma 10 del nuovo CCNL del 19.04.18.

Esse sono identificate con delibera del Collegio dei docenti in coerenza con il predetto piano e che ne definisce criteri di attribuzione, numero e destinatari.

Trattasi di un tipico provvedimento amministrativo di un organo amministrativo, che il dirigente scolastico deve eseguire se non vi ravvisa, indicandoli e motivandoli, i canonici vizi di legittimità (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge), in ordine al quale l’atto con cui vi dà seguito ha natura dichiarativa.

Sicché la sua qualifica di atto di gestione non dovrebbe sussistere, con il corollario che è sottratto al sistema delle relazioni sindacali d’istituto se non per la sola definizione dei compensi e qui in disparte ogni considerazione in ordine alla sua impugnabilità davanti al giudice ordinario o – come più pare – davanti al giudice amministrativo.

Al riguardo una certa dottrina (L. Paolucci, Il diritto per il dirigente scolastico, 2012, pp. 185-186) insiste nel mantenimento della competenza del Collegio dei docenti, perché le aree d’intervento delle Funzioni strumentali (tradizionalmente: gestione del POF-PTOF, sostegno al lavoro dei docenti, interventi e servizi per gli studenti, realizzazione di progetti formativi d’intesa con enti ed istituzioni esterni alla scuola)  concernono prestazioni professionali che, pur non avendo per oggetto l’insegnamento, sono sempre riferite alla dimensione didattico-educativa-pedagogica, tipica della funzione docente, comunque prevalente sugli aspetti organizzativo-gestori, che devono pertanto considerarsi marginali (cfr. L. PAOLUCCI, Il diritto per il dirigente scolastico, cit., 2012, pp. 185-186).

Il che potrebbe sortire invero effetti paradossali qualora il Collegio dei docenti, in assoluta libertà, decidesse di spalmare democraticamente su tutti i propri componenti queste funzioni strumentali alla definizione e attuazione della progettualità dell’istituzione scolastica o, non meno democraticamente, di non istituirle affatto!

Tuttavia, se pur il dirigente scolastico è privo, in questa evenienza, di strumenti di contrasto giuridicamente cogenti né tanto meno potendo sostituirsi al Collegio – e se proprio dovesse riuscirgli complicato l’esercizio delle sue competenze di management e di leadership –, può però ben surrogare, in parte o in tutto, le carenti – o mancate – funzioni strumentali con i docenti coadiuvanti sino al 10% dell’organico dell’autonomia (ante) avvalendosi del sistema della delega, qui dovendosi sottolineare che quest’ultima può essere conferita non solo per le funzioni organizzative e amministrative, ma anche per le attività di supporto didattico.

Vincitori delle Olimpiadi delle Scienze Naturali

Scuola, premiati gli studenti vincitori delle Olimpiadi delle Scienze Naturali, 35.000 i ragazzi in gara

Quasi settecento le scuole iscritte. Un nuovo record per la XVII edizione delle Olimpiadi delle Scienze Naturali, svolta presso l’Almo Collegio Borromeo di Pavia dal 10 maggio e conclusa ieri con la premiazione dei vincitori. La gara proseguirà, per i vincitori, con le Olimpiadi Internazionali di Biologia (Ungheria) e di Scienze della Terra (Corea del Sud).

La manifestazione è promossa dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e realizzata dall’ANISN – Associazione Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali.

Venerdì 10 maggio, alle ore 18.00, la cerimonia di inaugurazione, nella Sala degli Affreschi, alla presenza del Rettore del Collegio, con il saluto del MIUR portato dalla Professoressa Anna Brancaccio, della Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per la Valutazione del Sistema Nazionale di Istruzione.

A sfidarsi in gara, sabato 11, a partire dalle 9.30, nelle aule del Collegio, 120 studenti delle scuole di tutta Italia e di una scuola italiana all’estero. Finalisti selezionati tra i quasi 35.000 ragazzi che hanno partecipato alle competizioni di istituto e regionali in questi mesi.

Domenica 12 alle ore 10.00, nella stessa sede, si è tenuta la premiazione dei vincitori.

Sono quasi 350.000 gli studenti che, a partire dalla prima edizione del 2002/2003, sono stati coinvolti, insieme con i loro docenti, nelle fasi di istituto della gara. Dal 2008 l’Italia partecipa anche alle Olimpiadi Internazionali di Biologia e, dal 2009, anche alle Olimpiadi Internazionali di Scienze della Terra: 84 complessivamente i ragazzi che hanno partecipato alle gare internazionali. Il loro medagliere: 2 medaglie d’oro, 53 d’argento, 19 di bronzo e una menzione speciale, per un totale di 75 studenti premiati su 84.

La struttura dei quesiti è stata diversificata, dal formato più consueto al problem solving. Le domande puntavano a veicolare un approccio interdisciplinare allo studio dei fenomeni.

Gli studenti premiati 
Ecco i vincitori delle diverse sezioni.
Sezione Biennio

  • I classificato: Leonardo Morotti, IIS “Francesco Alberghetti”, Imola (BO).
  • II classificato: Giacomo Calogero, Liceo scientifico “G. Banzi Bazoli”, Lecce.
  • III classificato: Francesco Aiazzone, Istituto “Sella”, Biella.

Sezione Triennio Scienze della Terra

  • I classificato: Andrea Gibilaro, Liceo scientifico “Galileo Galilei”, Catania.
  • II classificato Mattia Stoppari, Liceo scientifico “Galileo Galilei”, Trieste.
  • III classificato Tommaso Valerio, IIS Parentucelli-Arzelà, Sarzana (SP).

Sezione Triennio Biologia

  • I classificato: Francesco Sitta, Liceo scientifico “Michelangelo Grigoletti”, Pordenone.
  • II classificato: Marcello Fonda, Liceo scientifico “Galileo Galilei”, Trieste.
  • III classificato: Alessandro Limonta, Liceo “M.G. Agnesi”, Merate (LC).

Dalle graduatorie vengono scelti i rappresentati dell’Italia alle manifestazioni internazionali.

Squadra italiana alle Olimpiadi Internazionali di Biologia (IBO – International Biology Olympiad) – Szeged, Ungheria,
14-21 luglio 2019

  • Francesco Sitta, Liceo scientifico “Michelangelo Grigoletti”, Pordenone.
  • Marcello Fonda, Liceo scientifico “Galileo Galilei”, Trieste.
  • Alessandro Limonta, Liceo “M.G. Agnesi”, Merate (LC).
  • Jacopo Cardinale, Liceo classico “Vittorio Alfieri”, Torino.

Squadra italiana alle Olimpiadi Internazionali di Scienze della Terra (IESO – International Earth Science Olympiad)-  Daegu, Corea del Sud, 26 agosto-3 settembre 2019

  • Leonardo Morotti, IIS “Francesco Alberghetti”, Imola (BO).
  • Giacomo Calogero, Liceo scientifico “G. Banzi Bazoli”, Lecce.
  • Francesco Sitta, Liceo scientifico “Michelangelo Grigoletti”, Pordenone.
  • Marcello Fonda, Liceo scientifico “Galileo Galilei”, Trieste.

IMPRONTE DIGITALI AI PRESIDI

APPELLO AI SENATORI DELLA REPUBBLICA
IMPRONTE DIGITALI AI PRESIDI
UNA MORTIFICAZIONE INCOMPRENSIBILE
I DIRIGENTI SCOLASTICI SONO ASSENTEISTI DA TENERE SOTTO CONTROLLO?

L’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici rinnova l’appello al Senato della Repubblica perché voglia modificare il ddl S.920-B nel punto in cui prevede la rilevazione della presenza dei dirigenti scolastici con sistemi di verifica biometrica e di videosorveglianza.
Si tratta di una misura palesemente illogica e sproporzionata, che manda un messaggio sbagliato al Paese perché insinua nell’opinione pubblica il sospetto che anche i presidi possano comportarsi alla stregua dei fannulloni e dei “furbetti del cartellino”.
I dirigenti scolastici hanno un ruolo di guida e di orientamento delle comunità scolastiche; rispondono dei risultati di apprendimento di 8 milioni di alunni; sono chiamati a confrontarsi tutti i giorni con le emergenze educative che la società del
nostro tempo pone alla scuola; sono responsabili della sicurezza degli edifici e della salute e dell’incolumità di 9 milioni di persone.
I sistemi ipotizzati per la verifica degli accessi non tengono conto del fatto che la funzione del dirigente scolastico non è legata ad un unico ufficio o ad orari fissi.
I 7.000 dirigenti scolastici in servizio devono garantire la loro presenza nei 43.000 plessi scolastici dipendenti; devono curare i rapporti con Enti Locali, ASL, Uffici Territoriali del MIUR, Associazioni del territorio, Ordini professionali; devono farsi carico anche di 1.700 istituzioni scolastiche prive di titolare e affidate in reggenza.
Di conseguenza sono costretti ad adeguare ogni giorno la loro prestazione lavorativa alle diverse sedi dipendenti e alle molteplici e complesse esigenze dell’organizzazione.
Tanto premesso, l’A.N.DI.S. rinnova l’appello agli Onorevoli Senatori perché vogliano escludere i dirigenti scolastici dalle misure previste per il controllo della presenza nell’Atto n. 920. Ciò anche per garantire ai dirigenti delle istituzioni scolastiche parità di trattamento con altre categorie escluse dalla verifica della presenza con sistemi di rilevazione biometrica, come i docenti del sistema scolastico, i professori e i ricercatori universitari, i magistrati, gli avvocati e i procuratori dello Stato, le forze dell’ordine.

Il Presidente nazionale
Paolino Marotta

Ripensare il Patto

Prima di estendere il Patto occorrerebbe ripensarlo

di Cinzia Olivieri

Sì è parlato tanto dell’articolo 7 del testo unificato AC682 relativo all’insegnamento dell’educazione civica, approvato alla Camera il 2 maggio e trasmesso in Senato il giorno successivo (DDL S1264), rubricato (Scuola e famiglia), che recita: “1. Al fine di valorizzare l’insegnamento trasversale dell’educazione civica e di sensibilizzare gli studenti alla cittadinanza responsabile, la scuola rafforza la collaborazione con le famiglie, anche integrando il Patto educativo di corresponsabilità di cui all’articolo 5-bis del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, estendendolo alla scuola primaria. Gli articoli da 412 a 414 del regolamento di cui al regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297, sono abrogati”.

Questa norma nella sua formulazione desta numerose perplessità.

Non fa chiarezza la documentazione depositata in cui si spiega che il Patto educativo di corresponsabilità, è attualmente previsto solo nella scuola secondaria  e che “il 1° marzo 2018 il MIUR aveva comunicato che la proposta di revisione del patto di corresponsabilità educativa sottoscritta all’unanimità dal FONAGS, il Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola – che sarebbe stata oggetto di confronto con tutti gli attori a vario titolo coinvolti e con il Forum delle studentesse e degli studenti – prevedeva, fra l’altro, l’estensione dello stesso anche alla scuola primaria”. Tale passaggio richiama un comunicato stampa emesso all’esito di un complesso lavoro, durato oltre un anno, di un gruppo composto da diverse componenti tra cui, oltre i genitori, studenti, docenti, dirigenti, esperti, che aveva operato in maniera fattiva e condivisa sulla revisione dell’intera struttura del DPR 249/98 come modificato dal DPR 235/07, analizzandone tutti i punti di debolezza, in particolare quelli relativi al Patto, ed il cui nuovo testo era stato ultimato e sottoposto all’attenzione dell’ufficio legislativo.

L’art. 5-bis del DPR 249/1998, aggiunto dall’art. 3 del DPR 235/2007, che ha introdotto  il patto educativo di corresponsabilità, figlio del Contratto formativo della vecchia “Carta dei Servizi” (DPCM 7 giugno 1995), costituisce infatti solo una delle disposizioni dello “Statuto delle Studentesse e degli Studenti”, nelle intenzioni del gruppo esteso anche alla scuola primaria, ma sicuramente rappresenta la disposizione su cui in particolare si è concentrato il lavoro di revisione, essendo tra quelle che presentavano maggiori criticità. Approvata nel 2007, in un momento di particolare emergenza educativa, sì è rivelata infatti poi priva di sostanziale efficacia e per taluni aspetti superata. Basti pensare che con l’attuale sistema di iscrizione online la sottoscrizione è normalmente sostituita da spunta nell’area riservata alle istituzioni scolastiche.

La modifica del 2007 era finalizzata ad un inasprimento delle sanzioni (pure opinabile quanto ai risultati) ed a ricordare ai genitori che  “in presenza di gravi episodi di violenza, di bullismo o di vandalismo, per eventuali danni causati dai figli a persone o cose durante il periodo di svolgimento delle attività didattiche, …, in sede di giudizio civile, potranno essere ritenuti direttamente responsabili dell’accaduto, anche a prescindere dalla sottoscrizione del Patto di corresponsabilità, ove venga dimostrato che non abbiano impartito ai figli un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti. Tale responsabilità, riconducibile ad una colpa in educando, potrà concorrere con le gravi responsabilità che possono configurarsi anche a carico del personale scolastico, per colpa in vigilando …” (dalla nota del 2008).

Insomma, almeno testualmente più che di corresponsabilità sembra parlarsi di richiamo alle reciproche responsabilità e piuttosto che esortare all’alleanza si evoca il conflitto.

Al di là dei frequenti idealistici ed appassionati richiami, il “patto” è scritto su un foglio elettronico ma non nelle coscienze delle parti…e le testimonianze sono giornaliere. Perché non è sufficiente a sancire un’alleanza una firma o una spunta sotto un formulario già predisposto in maniera non condivisa, non frutto di reali e consapevoli accordi tra le parti, che non nasce da un reale procedimento di elaborazione e revisione condivisa. Tale procedura dovrebbe essere disciplinata da ogni istituzione nel proprio regolamento interno, il quale (art. 1 DPR 235/07 che ha modificato l’art. 4 del DPR 249/98) individua altresì i comportamenti che configurano mancanze disciplinari, le relative sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il relativo procedimento.

Con una nota del 31 luglio 2008 dell’allora Ministro Gelmini è stato già chiarito che per gli alunni della scuola elementare risulta ancora vigente il Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1927, salvo per le disposizioni da ritenersi abrogate per incompatibilità con la disciplina successiva ed “attualizzazione” di quelle sopravvissute tramite applicazione delle regole generali sull’azione amministrativa derivanti dalla L. n 241/1990,

Gli articoli che l’art. 7 summenzionato ora formalmente abroga, riguardano la tipologia delle sanzioni disciplinari, le modalità di irrogazione e l’impugnativa, da intendersi sostanzialmente già abrogate per incompatibilità con la disciplina successiva (basti solo pensare alle storiche figure professionali dell’art. 413 ed alla mancanza delle tutele previste dalla L 241/90).

Nella consapevolezza di tanto e per estendere garanzie ai più piccoli nell’affermazione del valore educativo e non meramente afflittivo della sanzione, il gruppo di lavoro aveva previsto, per quanto compatibile, l’estensione di tutto il decreto alla primaria, rimettendo le sanzioni al regolamento che, com’è noto, deve essere deliberato dal consiglio di istituto.

Pertanto appare quanto mai opportuna una rielaborazione di questo articolo.

Invero per rafforzare la collaborazione con le famiglie va in primo luogo modificato il patto educativo superandone le molteplici criticità lungamente evidenziate e non può ritenersi bastevole estenderlo così com’è alla primaria. Peraltro il Patto, in quanto richiama ai diritti e doveri dello statuto, è sottoscritto anche dallo studente nella secondaria. Quindi occorre prevedere opportune distinzioni dello “Statuto” nei vari gradi e ordini di scuola, realizzando il maggiore coinvolgimento possibile di genitori e  studenti nella elaborazione del regolamento interno e del Patto se si vuole davvero sensibilizzare alla cittadinanza responsabile.

Magari ci si potrebbe ricordare di un lavoro già fatto senza dover riscrivere ciò che è stato già scritto e dimenticato.

Its garanzia di occupazione: il 90% ha un lavoro «coerente»

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

Passano gli anni, cambiano i governi ma gli Its, le super scuole di tecnologia post diploma – a oggi l’unico canale terziario alternativo all’università – si confermano un formidabile passepartout per il lavoro: l’80% dei diplomati, a un anno dal titolo, ha un impiego; e nel 90% dei casi, per di più, in un’area coerente con il percorso svolto, in aula e “sul campo”. Si tratta di due numeri, contenuti nel monitoraggio 2019, targato Miur-Indire, che verrà presentato domani, che spiccano in un’Italia dove il tasso di disoccupazione giovanile è al 30,2% (peggio di noi, solo Spagna e Grecia); e dove circa un terzo delle imprese lamenta difficoltà nel reperire profili tecnici a causa dell’elevato mismatch.

Il successo dei percorsi Its (il monitoraggio ne passa al setaccio 139, con 3.367 iscritti e 2.601 diplomati) è legato a due fattori. Il primo, è che questi istituti si collegano a un reale bisogno delle aziende. Il secondo, è che formano le persone direttamente per un “mestiere”. I docenti infatti che provengono dal mondo del lavoro sono il 70% e in stage si fa il 42% delle ore totali. Quasi il 40%, poi, dei partner degli Its, sono imprenditori che assumono o fanno assumere i ragazzi che specializzano. La stragrande maggioranza dei contratti firmati sono stabili: tempo indeterminato o apprendistato.

Certo, a una decina d’anni dal loro debutto, i dati restano di nicchia: le fondazioni, che gestiscono gli Its, hanno superato quota 100, ma tutti gli studenti frequentanti sono circa 13mila; un dato di gran lunga inferiore alla Germania, per esempio, dove i giovani che frequentano sistemi di formazione terziaria professionalizzante sono 764.854. In Francia sono 529.163, in Spagna 400.341, nel Regno unito 272.487. Inoltre, dei 139 percorsi monitorati da Miur e Indire, 74 sono vere e proprie eccellenze (si trovano in Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Umbria, soprattutto – e principalmente nelle aree tecnologiche della meccanica, della mobilità sostenibile, della moda). Trentatre percorsi sono bocciati o “rimandati” (in testa Sardegna, Calabria e Sicilia), 32 sono sufficienti.

«Il monitoraggio 2019 manda un messaggio chiaro a famiglie e studenti – commenta il vice presidente di Confindustria per il Capitale umano, Gianni Brugnoli -. Chi sceglie un Its ha la garanzia di trovare subito un lavoro e di trovarlo coerente con il proprio percorso formativo. Ci sono però dei problemi da risolvere. Bisogna analizzare ai raggi X i percorsi critici o problematici e capire come migliorarli. Serve inoltre ragionare insieme su come potenziare ulteriormente – per farne modelli replicabili e diffondibili – i percorsi con elevati standard di qualità. Premiare i migliori servirà anche ad affrontare quella che è una questione strategica per la nostra economia: il numero annuale di diplomati Its è ancora basso, poco più di 2.600 persone. Ne servono almeno 20mila soltanto per rispondere all’emergenza di competenze delle nostre imprese nei prossimi 12 mesi». Quest’anno gli istituti tecnici superiori, rifinanziati dal precedente esecutivo in chiave 4.0, possono contare su 32 milioni di euro statali, a cui si aggiungo i 50 circa provenienti dalle regioni. Ma, per il salto di qualità, servono risorse aggiuntive, stabili e un’operazione di semplificazione burocratica e normativa (a oggi ancora al palo).

«Gli Its sono il canale formativo che ha maggiore successo occupazionale in Italia – aggiunge il presidente di Indire, Giovanni Biondi -. Per questo sono cresciuti gli investimenti nel settore, ma adesso occorre spingere le Regioni a fare una manutenzione efficace del sistema. Ci sono fondazioni che non erogano corsi da tre anni, e percorsi inseriti nell’area critica per lo stesso periodo. Bene, quindi, premiare i migliori, ma si dovrebbe prevedere anche la chiusura per gli altri».

Del resto, gli Its “al top” sono una risorsa, specie in chiave Industria 4.0. Un esempio? All’Its Umbria Academy (presente tra i percorsi eccellenti). «Quest’anno – risponde il direttore, Nicola Modugno – i ragazzi si sono confrontati con la reingegnerizzazione di un drone ad uso civile, per alleggerirlo, sostituendo un sopporto metallico, che è stato riprogettato, prototipizzato e collaudato, grazie all’utilizzo di software di progettazione, stampanti 3D di ultima generazione e sistemi di misura tridimensionali e laser, presenti nel laboratorio. L’obiettivo è far confrontare gli studenti con le più evolute tecnologie per avvicinarli, rapidamente, al mondo del lavoro».

Bocciato il professore che usa il cellulare in classe

da Il Sole 24 Ore

di Marisa Marraffino

A finire sotto la lente dei giudici per l’uso scorretto degli smartphone e di internet questa volta sono i professori. Lo dimostrano alcune recenti sentenze che invertono le responsabilità e denunciano un uso compulsivo del cellulare durante l’orario scolastico proprio da parte del corpo docente. Le pronunce sono chiare e partono da un assunto più generale: le regole che valgono per gli alunni devono essere rispettate anche dai loro insegnanti.

I casi concreti

Così a Lecco una professoressa di un istituto superiore è stata sospesa per un giorno dal servizio per aver riposto alla telefonata del fratello durante l’orario di lezione. Forse con durezza eccessiva, ma a nulla sono valse le giustificazioni addotte dall’insegnante sull’urgenza della comunicazione, dovuta ad aggiornamenti sullo stato di salute dell’anziana madre (corte d’Appello di Milano, sentenza del 3 aprile 2019 n.462). La telefonata, peraltro di breve durata, è costata cara alla docente che si è vista confermare la sentenza di primo grado del Tribunale di Lecco, con relativa condanna al pagamento delle spese di giudizio.

Per la corte d’Appello, la circolare del Miur n. 362 del 25 agosto del 1998 è chiara nel vietare tutti i comportamenti che «si traducono in una mancanza di rispetto nei confronti degli alunni e recano un obiettivo disturbo al corretto svolgimento delle ore di lezione». La pronuncia richiama gli insegnanti all’osservanza della direttiva ministeriale n. 30 del 15 marzo 2007 sul divieto dell’utilizzo dei cellulari durante le lezioni che deve valere anche nei confronti del personale docente. L’educazione passa infatti dall’esempio, come precisano i giudici, che sottolineano la gravità della condotta che ha «implicazioni dirette sul modello educativo» e non è «consona alla funzione del personale docente».

Una precisazione che vale in generale. E solo la mancanza di prova certa, infatti, salva un’insegnante di sostegno di una scuola dell’infanzia della provincia di Caserta sospesa per dieci giorni per uso compulsivo dello smartphone. Per il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere non basta lo screenshot della schermata di un cellulare collegato a WhatsApp con la dicitura online per dimostrare l’effettivo uso durante la lezione. Lo stesso vale per un commento che sarebbe stato pubblicato su Facebook quando l’insegnante era in servizio. Occorre la prova certa dell’utilizzo durante l’orario di lavoro, in caso contrario la sanzione deve essere annullata (Sentenza del 14 maggio 2018 n. 611).

A segnalare ai dirigenti l’uso eccessivo del cellulare da parte dei docenti sono spesso anche i genitori degli alunni, come è successo in una scuola secondaria della provincia di Cremona, dove un’insegnante è stata sospesa per un giorno e censurata – tra gli altri addebiti – anche per l’uso dello smartphone durante la lezione. (Corte di appello di Brescia, sentenza del 23 maggio 2018 n. 136).

In una scuola primaria della provincia di Torino, invece, un’insegnante di sostegno non ha superato la prova per l’effettiva immissione in ruolo perché dalle ispezioni condotte era emerso, tra le altre cose, un utilizzo eccessivo del cellulare durante le ore di lavoro (Tribunale di Torino, sentenza del 19 marzo 2018 n. 5328).

Le trappole della Rete

Dallo smartphone alla Rete il passo è breve, e allora ad essere contestati sono anche gli abusi delle pubblicazioni online da parte dei docenti. Solo la liberatoria firmata dai genitori salva il docente di un liceo classico romano sanzionato per aver realizzato un calendario con gli studenti nell’ambito di un progetto promosso dalla scuola, che però avava irrogato al prof la censura per aver raccolto i dati degli alunni minori di propria iniziativa. In questo caso il tribunale ha accolto il ricorso del docente che aveva appunto fatto sottoscrivere la liberatoria ai genitori insieme all’informativa privacy (Tribunale di Roma, sentenza de 28 febbraio 2019 n. 2007).

Tuttavia, l’insegnate non era nuovo a sanzioni disciplinari per iniziative analoghe. Nel 2015 infatti era stato sospeso per sei giorni per aver pubblicato sul suo sito web alcuni video girati durante un laboratorio didattico che ritraevano studenti dell’ultimo anno, già maggiorenni. I filmati – girati in parte nel cortile della scuola – ritraevano anche alcuni alunni mentre cantavano e ballavano. L’insegnante aveva fatto firmare la liberatoria ai ragazzi, ma anche quella volta, non aveva avvisato la scuola. Sul sito comparivano anche informazioni su genitori e colleghi, oltre a notizie su alcuni progetti della scuola. Il tribunale non ha accolto le giustificazioni del docente, che si era difeso sostenendo che nel video la scuola non fosse riconoscibile e che i ragazzi non fossero intenti a compiere atti “sconvenienti”. Per il tribunale il comportamento è grave e «non conforme alle responsabilità e ai doveri di correttezza inerenti la funzione di docente». Tanto è bastato per confermare la sanzione (Tribunale di Roma, Sezione lavoro, sentenza del 1 dicembre 2015 n. 10489).

«La formazione dei giovani torni priorità per l’intero Paese»

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

La formazione dei giovani deve tornare una priorità per il Paese. Perché Industria 4.0 sta trasformando il mondo; da qui al 2022 un terzo delle attuali professioni cambieranno, e c’è bisogno di competenze nuove e sempre aggiornate. Perché in Italia si punta ancora poco sulle discipline tecnico-scientifiche: da noi ogni anno si laurea in queste “materie Stem” solo l’1,4% dei ragazzi tra i 20 e 29 anni, a fronte del doppio, e quasi del triplo, a livello internazionale. Senza contare, poi, che demograficamente abbiamo pochi giovani; il tasso di laureati è il più basso in Europa; e il collegamento tra scuola e mondo del lavoro è rimasto debole: qui, il 4,4% di under25 studia e ha un primo contatto con le aziende, in Germania questa percentuale è del 36,8%. Insomma, «oggi più che mai la vera sfida sono le competenze – spiega Gianni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il Capitale umano -. E per questo, lunedì agli Stati generali dell’Education organizzati da noi imprenditori, e ospitati nella sede dell’Unione industriale di Torino, vogliamo ragionare sugli strumenti che servono per rimettere al centro la formazione dei nostri ragazzi. E lo faremo ascoltando quello che si fa in India, Cina, negli Stati uniti, a Bruxelles. E poi, confrontando le singole esperienze con la realtà italiana per individuare la strada giusta».

Vice presidente, il 4.0 ha innescato una rivoluzione…

È così. La digitalizzazione sta trasformando attività umane, scuole, imprese, tutto. Ma, adesso, mai come prima nella storia, il valore della competenza diventa centrale. Nei prossimi tre anni nel manifatturiero prevediamo di assumere 193mila risorse. Già oggi però sappiamo che una selezione su tre sarà “difficile” per l’elevato mismatch. Mancano periti e tecnici superiori: eppure, abbiamo pochi iscritti alle scuole tecniche, e soltanto l’1% degli studenti terziari fa percorsi di formazione professionalizzante. La vicina Francia è al 18%, la Germania inarrivabile al 34%, ma anche oltreoceano, negli Usa, la formazione professionalizzante nei “Community College” ha conosciuto un boom negli ultimi anni. Rispetto agli altri paghiamo soprattutto un orientamento carente. E così la nostra disoccupazione giovanile si attesta oltre il 30%.

Sono i nodi storici della scuola italiana. All’estero che succede?

Lunedì a Torino ascolteremo e discuteremo proprio di questo. Posso dirle che l’India ha messo in piedi un programma nazionale dedicato alle skills, così come in Cina dove dal 2016 è partita una grande campagna delle istituzioni per collegare a doppio filo i percorsi di formazione all’industria nazionale. Gli Stati uniti poi investono in istruzione il 5% del Pil. Sono tutti paesi manifatturieri che puntano tutto sull’education. Noi in 10 anni siamo passati dal 4% al 3,4%. La sensazione è che in paesi come India, Cina, Stati Uniti e in gran parte dei paesi europei l’education sia un tema prioritario del dibattito pubblico. In Italia invece è un tema che “non fa rumore”, e anche da questa esigenza nascono i nostri Stati Generali.

È un problema più di vision o di risorse?

L’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa, e non possiamo non avere un sistema educativo al passo con i tempi, e con gli altri, che stanno correndo molto veloce. Nell’immediato, non arriveremo a competere con l’India che ogni anno laurea in ingegneria il doppio della popolazione dell’Islanda. Ma un paese con una industria così forte come la nostra deve laureare ogni anno in discipline Stem almeno il 3% dei giovani tra i 20 e i 29 anni, che è comunque sotto il 3,6% della Germania o il 3,8% del Regno Unito.

Non c’è dubbio: serve un canale di formazione terziaria professionalizzante.

Esatto. A cominciare dagli istituti tecnici superiori, i nostri Its. Come Confindustria abbiamo presentato una proposta di legge quadro per rilanciarli. Non solo: noi crediamo nelle lauree industriali manifatturiere, che hanno lo scopo proprio di dare una opportunità concreta ai ragazzi. Serve un canale di formazione terziaria professionalizzante con piena dignità, riconoscibile innanzitutto dai giovani e dalle loro famiglie. E a marzo siamo entrati anche nell’Alleanza europea per gli apprendistati per spingere il link scuola-lavoro.

Un messaggio che indirizza al governo?

Sì. Voglio dire al ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, che le imprese sono e possono diventare partner e alleati ideali. È positivo che l’esecutivo abbia ripristinato gli incentivi sulla formazione 4.0. Sull’alternanza, invece, il dimezzamento di ore e fondi è stata un’operazione semplicistica, specie per gli istituti tecnici. In giro per l’Italia ci sono tantissime best practice, sono da studiare e replicare nelle regioni. Ritengo che scuola e impresa debbano avere a cuore la formazione del capitale umano. E, soprattutto, i nostri studenti, che vanno preparati al futuro affinché ne siano i veri protagonisti.

“Fermate le impronte digitali a scuola”. I dirigenti scolastici tornano in piazza

da la Repubblica

Giovedì 16 maggio sit-in davanti al Senato. “Bisogna togliere ai presidi le troppe pratiche amministrative e di controllo”.

di ANNA MARIA DE LUCA*

Giovedì 16 maggio ci sarà un sit-in davanti al Senato. I dirigenti scolastici scendono in piazza, sostenuti dai sindacati. La questura ha già autorizzato la data. I presidi si stanno organizzando da tutte le regioni d’Italia per  protestare davanti al Senato contro le misure del Governo, “vessatorie e immotivate”. I controlli biometrici (impronte digitali o scansione dell’iride) inseriti nel cosiddetto Ddl concretezza sono assolutamente inadatti alla scuola e lesivi del loro ruolo, sia dal punto di vista della legge che dal punto di vista del Contratto nazionale del lavoro.

Cosa chiedono. Scendere in piazza è l’ultimo di una serie di tentativi messi in campo dai dirigenti scolastici per farsi ascoltare dal Governo. Stanchi di essere diventati uno dei bersagli degli ultimi mesi, i presidi chiedono di essere rispettati in quanto rappresentano, anche legalmente, la prima istituzione con cui viene a contatto ogni cittadino italiano: la scuola. “Riteniamo che la qualità del servizio di istruzione non si migliori trattando i dirigenti degli istituti e il personale Ata da assenteisti seriali, ma investendo in ammodernamento e sicurezza degli edifici, in organici adeguati, dando risorse per l’attuazione dell’offerta formativa e la formazione del personale, liberando le scuole da oneri impropri che devono essere a carico di altri soggetti”, dice Roberta Fanfarillo, responsabile nazionale dirigenti scolastici della Federazione lavoratori della conoscenza (Cgil). Per “oneri impropri” la Fanfarillo si riferisce alla manutenzione degli edifici, alle pratiche amministrative per i pensionamenti, alle ricostruzioni di carriera, alla concessione di prestiti ai dipendenti, ai controlli sanitari sulla vaccinazione obbligatoria.

I controlli biometrici stanno per andare al voto. Da anni i dirigenti scolastici denunciano le difficili condizioni di lavoro a cui sono sottoposti e l’impossibilità di far fronte alle pressioni, insopportabili, delle responsabilità che l’amministrazione centrale e le altre amministrazioni pubbliche scaricano continuamente sulle scuole. Di fatto, la risposta del Governo si limita a proporre macchinette per i controlli biometrici, operazione che, secondo l’Associazione nazionale presidi, costerebbe all’erario 100 milioni di euro (cifra che, molto probabilmente, potrebbe essere prelevata dai già deboli bilanci delle scuole).

L’urgenza di scendere in piazza. E’ un periodo di lavoro intenso questo, per i dirigenti scolastici, e alle difficoltà quotidiane ora si è aggiunta la necessità di organizzarsi per lasciare la propria scuola almeno per un giorno, il 16 maggio appunto, per arrivare a Roma e mandare ai parlamentari un chiaro segnale di dissenso. L’iter del Ddl concretezza è stato inaspettatamente accelerato e gli emendamenti sostenuti dai dirigenti scolastici sono stati respinti. La commissione Lavoro ha infatti approvato il testo l’8 maggio inviandolo in plenaria senza tenere in alcun conto la posizione dei presidi. Cosi come la lettera indirizzata il 12 aprile scorso a tutti i senatori della Repubblica, al presidente del Consiglio e ai vicepresidenti Di Maio e Salvini, alla quale la Bongiorno aveva risposto proprio su Repubblica. Nel testo che andrà in votazione in Aula resta dunque confermata la previsione di controlli biometrici, per il personale amministrativo Ata e per i ds (non per i docenti). L’eventuale approvazione potrebbe avvenire nel corso della prossima settimana.

*dirigente scolastico

Chiamata diretta: per ora resta in vigore, ddl Granato fermo

da La Tecnica della Scuola

Di Reginaldo Palermo

Il disegno di legge presentato dalla senatrice del M5S in materia di chiamata diretta e di ambiti territoriali è fermo da 100 giorni nella Commissione Cultura del Senato e, a questo punto, è pressochè impossibile che venga approvato in tempo prima dell’avvio delle operazioni per il prossimo anno scolastico.
Il provvedimento prevede l’abrogazione definitiva della procedura della chiamata diretta (o meglio “per competenze”, come recita la legge 107/2015) con la quale i dirigenti scolastici possono assegnare gli incarichi attingendo alla quota di docenti titolari sugli ambiti territoriali senza dover necessariamente ricorrere alle consuete graduatorie.
Lo scorso anno il problema era stato parzialmente risolto con un contratto stipulato fra ministero e sindacati nel mese di giugno valido però solamente per l’anno scolastico 2018/2019. Inoltre dall’accordo rimanevano fuori i docenti neoassunti.
Adesso, in mancanza di una legge bisognerà ricorrere di nuovo ad un accordo sindacale che però potrebbe non riguardare tutto i docenti ma solo quelli che già ora sono titolari sull’ambito.
La soluzione contrattuale potrebbe piacere ai sindacati ma dimostrerebbe come il Governo non sia in grado di trovare l’accordo per cancellare la legge 107 come era stato invece promesso nel corso della campagna elettorale.

Nota 13 maggio 2019, AOODGEFID 14872

Ministero dell’Istruzione, dell’ Università e della Ricerca
Dipartimento per la Programmazione e Gestione delle Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali
Direzione Generale per interventi in materia di Edilizia Scolastica,
per la gestione dei Fondi Strutturali per l’Istruzione e per l’Innovazione Digitale
Ufficio IV – Autorità di Gestione

Agli Uffici scolastici regionali
c.a. Direttori Generali
LORO SEDI
Alla Provincia Autonoma di Trento
SEDE
Alle Istituzioni Scolastiche beneficiarie
c.a. Dirigenti Scolastici
LORO SEDI

Oggetto: Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola – Competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020. Fondo Sociale Europeo (FSE). Nota prot. DGEFID\4496 del 18/02/2019. Definizione della tempistica per la realizzazione e l’allineamento della chiusura dei progetti.

Nota 13 maggio 2019, AOODGEFID 14884

Ministero dell’Istruzione, dell’’Università e della Ricerca
Dipartimento per la Programmazione e Gestione delle Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali
Direzione Generale per interventi in materia di Edilizia Scolastica,
per la gestione dei Fondi Strutturali per l’Istruzione e per l’Innovazione Digitale
Ufficio IV – Autorità di Gestione

Alle Istituzioni Scolastiche beneficiarie di finanziamenti PON
LORO SEDI
e, p. c.
Al Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
di istruzione
c.a. Capo Dipartimento
dott.ssa Carmela Palumbo
DPIT@postacert.istruzione.it
Al Dipartimento per la programmazione e
gestione delle risorse umane, strumentali e finanziarie
c.a. Capo Dipartimento
dott.ssa Daniela Beltrame
DPPR @postacert.istruzione.it
Agli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI

Oggetto: Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola – Competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020 – CCI2014IT05M00P001 – Fondo Sociale Europeo (FSE) –Comunicazione integrativa relativa ai controlli “in itinere” su progetti FSE rendicontati a costi standard.