Olimpiadi Europee della Fisica

Una medaglia d’argento, tre di bronzo e una Menzione d’onore per gli studenti della squadra italiana che ha partecipato alla III edizione delle Olimpiadi Europee della Fisica. La manifestazione si è svolta a Riga, in Lettonia, dal 31 maggio al 4 giugno, organizzata dall’Università della Latvia.
La competizione era articolata in due fasi, una prova teorica composta da tre problemi e una prova sperimentale. Questa terza edizione ha visto la presenza di studenti da 35 Paesi con la partecipazione, fuori gara, di delegazioni di ragazzi dal Sud America e dall’Asia.

I cinque componenti della squadra italiana sono stati tutti premiati:

Mattia Arundine, medaglia di bronzo, Liceo scientifico “Alfonso Gatto”, Agropoli (SA).
Pietro Benotto, medaglia di bronzo, Liceo scientifico “Giancarlo Vallauri”, Fossano (CN).
Francesco Debortoli, Menzione d’onore, Liceo scientifico “Galileo Galilei”, Trento.
Luca Muscarella, medaglia d’argento, Liceo scientifico “Alessandro Volta”, Milano.
Nikolas Plattner, medaglia di bronzo, Liceo scientifico “Galileo Galilei”, Trento.
Le prove si sono rivelate molto complesse, di conseguenza assume ancora maggior rilievo il risultato dei nostri studenti, ai quali vanno i più vivi rallegramenti da parte di tutta la comunità italiana delle Olimpiadi di Fisica e dell’AIF (Associazione per l’Insegnamento della Fisica), che organizza la competizione su mandato del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

A DIFESA DELLA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO

LE SCUOLE DI BARI A DIFESA DELLA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO (NONOSTANTE IL MINISTRO)

In questi ultimi giorni, a seguito dell’odioso provvedimento disciplinare comminato alla prof.ssa palermitana Dell’Aria a causa di un lavoro realizzato dai suoi studenti, molte scuole statali di Bari e provincia hanno alzato la testa e protestato.

Al di là del singolo caso (pare risolto con la promessa della dichiarazione di illegittimità del provvedimento), questi giorni sono stati l’occasione per riaffermare principi che, evidentemente, non sono più scontati.

Sono anni che si attribuiscono alla scuola colpe “ideologiche”. I docenti sono accusati da politici, giornalisti e pensatori di turno di “inculcare idee” e “fare politica”. Al netto di situazioni limite (vedi il docente veneziano neofascista che augura alla senatrice Segre di finire in un termovalorizzatore), che troppo spesso non ricevono le risposte sanzionatorie adeguate, le accuse più indignate vengono rivolte a quelle scuole nelle quali si affermano con forza valori quali l’accoglienza, l’inclusione, la lotta ad ogni tipo di discriminazione.

Si dimentica colpevolmente, però, una questione basilare: la scuola è ben al di là della politica spicciola e, finché esiste una scuola pubblica, statale e nazionale, essa risponde alla Costituzione, non certo all’ennesimo Governo di passaggio.

Tra l’altro, non era stato proprio questo Governo a ribadire la necessità di insegnare educazione civica in classe?

La docente palermitana ha dichiarato, al suo rientro a scuola, che continuerà a insegnare a pensare. Intanto, però, il problema resta e lo svilimento della funzione docente e del ruolo educativo della scuola continua ad essere perseguito con ottusa tenacia. E’ per questo che siamo orgogliosi delle moltissime scuole in cui si è discusso del tema, facendo emergere dibattiti, documenti, delibere, iniziative.

Fra le varie iniziative, il Liceo Socrate di Bari ha organizzato, domenica 2 giugno, un’assemblea aperta su Costituzione e Scuola e ha deliberato un documento in cui conferma “la propria adesione al modello di civiltà e convivenza sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana”, e cita a supporto, opportunamente, lo Statuto degli Studenti ( La vita della comunità scolastica si basa sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale”). Anche l’IISS Rosa Luxemburg di Acquaviva, in un accorato documento sottoscritto dal personale e dal Dirigente Scolastico, afferma che la scuola della Costituzione si caratterizza per il pluralismo culturale e la libertà di insegnamento; è la scuola di tutti e per tutti.

L’insegnamento è libero nel senso che nella scuola statale non può essere consentita alcuna indebita forma di condizionamento, specialmente ideologico, non deve essere consentita una dottrina ufficiale e/o statale e che l’insegnante ha il dovere, il diritto e l’onore di liberare il pensiero”.

Anche i docenti del Liceo Scacchi di Bari, si legge nel loro documento, “consentono ai propri studenti di esprimere le proprie opinioni e incentivano il libero pensiero anche quando questi non sono condivisi e anche quando non sono allineati al pensiero dominante”.

Fa eco l’Istituto Savio Montalcini di Capurso: “Noi crediamo che l’insegnamento abbia come finalità principale quella di creare coscienze critiche e libere che sappiano comprendere il passato, il presente, la loro stessa vita con riflessioni operate mediante l’esercizio della ragione. Nessun ostacolo, nessuna censura possono e devono reprimere l’azione e il libero pensiero degli studenti e dei docenti”.

Molti docenti ci hanno comunicato anche iniziative singole (lettura degli articoli 21 e 33 della costituzione in classe, riunioni interne, riflessione con gli studenti) e vari striscioni sono stati esposti all’esterno (nelle immagini, il Marco Polo di Bari e il Circolo Didattico Rodari di Casamassima), per ribadire diritti e doveri, per rivendicare libertà di insegnamento.

La FLC CGIL di Bari non può esimersi dal dare il suo contributo. Dopo i sit-in unitari e le richieste di ritiro delle sanzioni, vogliamo rafforzare la nostra azione sul territorio con uno degli strumenti che più appartiene alla nostra categoria: la formazione. Pertanto, promuoveremo in modo più capillare l’organizzazione di incontri, corsi e assemblee, nel corso dei prossimi mesi, in cui vogliamo far emergere in modo chiaro e fondato il principio della libertà di insegnamento, il valore della scuola della Costituzione, pubblica statale, l’importanza di una scuola unitaria su tutto il territorio nazionale. Intanto, speriamo che questo grave incidente democratico sia definitivamente lasciato alle spalle.

Prevenzione dell’uso di droga in età scolare

Attuazione dell’accordo per la prevenzione dell’uso di droga in età scolare sottoscritto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Il Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell’Istruzione Università e della Ricerca danno avvio al piano di azioni per la prevenzione dell’uso di droga in età scolare, realizzato in attuazione del protocollo d’intesa sottoscritto tra la PCM e il MIUR.

Le iniziative in programma sono rivolte a studenti, insegnanti e genitori e sono inquadrate nelle seguenti tre categorie:

  1. L’erogazione di un percorso di informazione/formazione indirizzato a un nucleo di docenti su tutto il territorio nazionale realizzato con il supporto scientifico dell’Istituto superiore di sanità; della Direzione centrale per i servizi antidroga del Ministero dell’interno; della Polizia stradale e del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi e con il supporto tecnico e operativo dell’Istituto nazionale documentazione innovazione ricerca educativa (INDIRE).
    Il percorso formativo sarà disponibile per i circa 6.000 docenti iscritti a partire dal 5 giugno 2019 tramite accesso alla piattaforma web dedicata (https://fad.cuorailfuturo.it/)
    Il percorso di formazione è costituito da quattro moduli didattici accompagnati, ciascuno, da materiale di approfondimento. I docenti saranno supportati nella frequentazione del corso da soggetti esperti, sia per gli aspetti strettamente attinenti la parte informatica, sia per ogni richiesta di chiarimento o approfondimento sui contenuti dei moduli didattici.

  2. La realizzazione di una campagna di comunicazione e informazione destinata agli alunni delle scuole di ogni ordine e grado, ai docenti e alle famiglie, volta ad approfondire la conoscenza sulle tipologie di sostanze e ai relativi effetti nocivi per la salute nonché sui nuovi sistemi di diffusione degli stupefacenti e sul ruolo svolto dai servizi di prevenzione e di assistenza.

  3. La realizzazione di attività di rafforzamento della rete territoriale tra le scuole, le istituzioni del territorio, gli enti del volontariato sociale e le famiglie, soprattutto nelle aree territoriali a rischio attraverso la valorizzazione del personale docente precedentemente formato.


Raddoppiati in 20 anni gli studenti con disabilità certificata

da Il Sole 24 Ore

Nel 2017/2018 erano presenti nelle aule scolastiche 268.246 alunni con disabilità, il 3,1% del totale, 14 mila in più rispetto all’anno precedente, quando erano il 2,9%. Rispetto a venti anni fa, gli alunni con disabilità certificata sono più che raddoppiati (erano 123.862
nel 1997/1998). Sempre nel 2017/2018, il 93,3% degli alunni con disabilità ha frequentato una scuola statale, il 5,1% una paritaria, l’1,6% una non paritaria comunque iscritta negli elenchi regionali. Le classi con almeno un alunno con disabilità sono state 192.606, pari al 45% del totale delle 427.728 classi attivate, comprese le sezioni della Scuola dell’infanzia.
È quanto emerge dai dati pubblicati dal sito del Miur, nell’approfondimento statistico dedicato agli studenti con disabilità nelle scuole italiane statali, paritarie e non paritarie.

Gli studenti con disabilità erano così distribuiti per ordine di scuola: 31.724 nella scuola dell’infanzia, 95.081 nella primaria, 71.065 nella secondaria di I grado, 70.376 nella secondaria di II grado. Netta la prevalenza del genere maschile.

Distribuzione territoriale
La Regione con la percentuale più alta di alunni con disabilità è stata l’Abruzzo (3,7%), quella con la percentuale più bassa, la Basilicata (2,3%). A livello territoriale si è evidenziata una distribuzione disomogenea, con notevoli differenze tra le singole Regioni.
Mediamente, nelle Regioni del Centro e del Nord Ovest l’incidenza è stata maggiore che nel resto d’Italia. Nel complesso del sistema scolastico, la presenza è stata del 3,1%, mentre nel Centro e nel Nord Ovest si è attestata al 3,2%, rispettivamente 53.748 alunni con disabilità su un totale di 1.667.396 e 70.611 su un totale di circa 2.203.000. Nel Nord Est si è registrata la percentuale più contenuta, pari al 2,7%.

Tipologie
Il 96,4% degli alunni con disabilità aveva una disabilità psicofisica, l’1,4% una disabilità visiva, il 2,3% una disabilità uditiva.

Secondaria di secondo grado
La percentuale media di alunni con disabilità rispetto al totale dei frequentanti nella secondaria di II grado è stata prossima al 2,6%. Per i licei l’1,3%, per gli Istituti tecnici pari al 2,2%, nei professionali ha raggiunto il 6,6%. Il 23,8% del totale degli alunni con disabilità frequentava un liceo, il 27,3% un istituto tecnico, il 48,9% un istituto
professionale.

Posti e docenti per il sostegno nella scuola statale
Nel 2017/2018 il rapporto tra numero di studenti con disabilità e posti di sostegno è stato pari, nella scuola statale, a 1,69 alunni per posto di sostegno. Sempre nel 2017/2018 si è registrato un incremento rispetto all’anno precedente di oltre 16.000 unità sul numero di docenti per il sostegno in tutti gli ordini di scuola. In numero complessivo, è risultato pari a 155.977 su un totale di 872.268, così ripartito: 17.743 per l’infanzia, 55.578 per la primaria, 41.512 per la secondaria di I grado, 41.144 per la secondaria di II grado.

Le nuove regole dell’inclusione
L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità si appresta a fare un passo avanti: il Consiglio dei ministri ha infatti approvato lunedì 20 maggio, in via preliminare, un importante provvedimento che interviene per modificare significativamente le nuove norme in materia che sarebbero entrate in vigore il prossimo settembre e che vengono riviste mettendo sempre di più al centro lo studente e le sue necessità. A partire dall’assegnazione delle ore di sostegno che, d’ora in poi, avverrà anche con il coinvolgimento delle famiglie, fino a oggi lasciate fuori da questo processo.

Cambia radicalmente l’approccio alla disabilità in ambito scolastico. L’Italia, già all’avanguardia in materia, si allinea definitivamente al principio riconosciuto dalle Nazioni Unite secondo cui la disabilità è tale in relazione al contesto: solo offrire opportunità specifiche ai ragazzi con diverse abilità garantisce maggiore autonomia e una qualità della vita più elevata.

Con l’approvazione delle nuove norme, dunque, sussidi, strumenti, metodologie di studio più opportune, saranno decisi non in modo “standard”, in relazione al tipo di disabilità, ma con un Piano didattico veramente individualizzato che guarderà alle caratteristiche del singolo studente.

Cari insegnanti facciamo amare la storia a scuola

da la Repubblica

di Franco Lorenzoni

Migliaia di studenti in piazza chiedono agli adulti di preoccuparsi un po’ più seriamente del futuro. Oltre mille professori e intellettuali firmano un appello perché non si dimentichi il passato. C’è qualche possibilità che queste due spinte a sottrarsi alla dittatura del presente si incontrino? Un’insegnante di Orvieto racconta che un suo allievo un giorno le ha domandato: «Perché dovrei studiare il passato se io vivrò nel futuro?» Sembra una domanda banale, ma se proviamo a prenderla sul serio forse possiamo provare a capire perché, da dieci anni, oltre il 97% dei ragazzi non sceglie la traccia storica all’esame di maturità.

L’abolizione di quella traccia ha valore simbolico e ha suscitato scandalo. Ma se vogliamo cercare strade per provare a rivitalizzare l’incontro tra i ragazzi e la storia, credo non basti chiedere il ritorno di quella prova e sia necessario porci un po’ di questioni riguardo alla formazione di noi insegnanti e al funzionamento di scuole e università. Tranne che per ristrette minoranze colte o fortemente politicizzate date come il 1° maggio, il 25 aprile e il 2 giugno non dicono nulla a bambini e ragazzi.Nellefamiglie regna una pressoché totale afasia riguardo alla storia e il racconto orale di fatti accaduti alle generazioni precedenti si è talmente affievolito da essersi spento, anche perché i genitori sono nati in anni lontani dalle tragedie della guerra, che hanno sempre portato con sé la necessità di essere ricordate e narrate. La Storia con la S maiuscola, venerata dalle organizzazioni di massa e dai movimenti collettivi del secolo scorso, dagli anni Ottanta si è rapidamente trasformata in oggetto polveroso di cui disfarsi. La conseguenza è che genitori vissuti nell’ultimo trentennio non considerino più la narrazione storica come terreno fertile per l’educazione dei figli.

Molti libri di testo che circolano nelle scuole inferiori e superiori illustrano ancora la storia in modo lineare e riduttivo, privilegiando guerre ed espansioni di imperi a una più complessa e articolata storia della cultura, delle culture, che permetta a bambini e ragazzi di comprendere come arte, architettura, lingue, economia e scoperte scientifiche, insieme al trasformarsi delle istituzioni e all’altalenante espansione dei diritti plasmino la condizione umana nei diversi continenti.

Ho avuto la fortuna di essere stato allievo di Emma Castelnuovo alle medie e nel suo insegnamento ogni regola e teorema matematico lei lo collegava alla storia, a chi lo aveva intuito e dimostrato. Con lei ho imparato a 12 anni che le cifre posizionali che rivoluzionarono la nostra relazione con i numeri ci sono arrivate dal Mediterraneo, che è sempre stato luogo di scambi culturali e ha permesso agli arabi di portare fino a noi le scoperte di matematici indiani. Ma perché la storia trovi senso nella scuola si deve nutrire e intrecciare con scienza e arte, letteratura e musica, statistica e demografia, che tanto hanno da dirci sul mondo che è stato e che verrà. Come è possibile, ad esempio, comprendere il ’900 senza conoscere qualche rudimento di storia della fisica e aver inteso la portata della rivoluzione di Kandinsky?

Per far questo, tuttavia, noi insegnanti dovremmo avere tempi e luoghi in cui confrontarci e discutere su ciò che andiamo proponendo ai ragazzi, mentre nell’attuale ordinamento della scuola solo gli insegnanti di scuola primaria dedicano due ore settimanali a una programmazione comune, necessaria a mio avviso in ogni ordine di scuola.

Quale formazione storica abbiamo noi insegnanti? Ho la sensazione che la storia, da tempo avvilita e dimenticata nella società, non ha il respiro che merita neppure nelle università dove ci formiamo noi insegnanti, tanto che ben pochi tra i giovani docenti che arrivano oggi nelle scuole conoscono il ricchissimo dibattito storiografico che si è svolto negli ultimi decenni. La relazione tra microstorie e storia, l’apporto della storia orale, la complessità come paradigma indispensabile per affrontare grandi nodi concettuali raramente alimenta la prima formazione e la formazione in servizio di noi docenti, per non parlare della scarsissima considerazione data alla didattica della storia. Oltre 50 anni fa, a Barbiana, don Lorenzo Milani proponeva ai suoi ragazzi di confrontare ciò che scrivevano il Saitta e lo Smith con ciò che raccontavano della guerra i loro genitori e nonni analfabeti, mandati a combattere in trincea. Oggi che il mondo popola le nostre classi, abbiamo l’opportunità di ascoltare voci con memorie di diversi continenti alle spalle. E allora perché non raccogliere questi frammenti di storia orale confrontandoli con uno studio serio e approfondito di cosa è stato il colonialismo, quali tracce abbia lasciato e quali siano gli esiti delle lunghe e mai terminate lotte anticoloniali? Per compiere queste lunghe e complesse manovre di avvicinamento è tuttavia necessario che noi docenti ci si abitui a lavorare con una ricca documentazione che vada ben oltre a ciò che forniscono i libri di testo e si sia capaci di fornire agli studenti materiali diversi su cui ragionare, discutere, mettere in forse certezze. Il grande nemico della conoscenza e dell’intelligenza sta nella semplificazione, che nella scuola dovremmo cercare di contrastare con ogni mezzo. Lo scorso anno, leggendo e rileggendo in classe le cinque folgoranti righe con cui Erodoto dà avvio alle sue Storie, i bambini sono stati molto colpiti dalla sua scelta di voler dare dignità e memoria sia ai greci che ai barbari e dal suo domandarsi «la ragione per cui essi vennero in guerra tra loro ». Un giorno Emilia a 11 anni ha scoperto su wikipedia che Erodoto era figlio di una greca e di un persiano. Siamo stati così felici di scoprire che la storia è nata dalla curiosità e dall’immaginazione di un uomo che incarnava l’incrocio tra culture proprio come Emilia, che è figlia di un uruguaiano e di una belga. A Erodoto, alla fine dell’anno, Maia ha scritto una lettera: «Secondo me hai fatto una delle invenzioni più utili di tutte: la Storia! Senza la storia come avrebbe fatto Martin Luther King a sapere di Gandhi e della nonviolenza e quindi fare come lui? E noi? Noi come avremmo fatto a sapere di tutti voi? Ipazia, nessuno saprebbe chi era…». Ecco, quando la storia diventa luogo di connessioni inaspettate apre la mente e non può non appassionare ragazze e ragazzi.

Studenti disabili, in vent’anni sono raddoppiati. Record nei professionali

da Corriere della sera

Valentina Santarpia

Rappresentano il 3,1% degli studenti, hanno per lo più (96,4% dei casi) una difficoltà psicofisica, e sono più che raddoppiati in 20 anni: sono i bambini e i ragazzi disabili che frequentano le scuole italiane, soprattutto quelle statali (93,3%). I dati ufficiali del ministero dell’Istruzione (anno 2017/2018) mostrano un realtà che non va più ignorata: in quasi la metà delle classi (45% del totale) c’è un alunno disabile, rispetto all’anno precedente sono 14 mila in più, e necessitano di giusta e doverosa assistenza. Nel 2017/2018 gli studenti con disabilità erano così distribuiti per ordine di scuola: 31.724 nella Scuola dell’infanzia, 95.081 nella Primaria, 71.065 nella Secondaria di I grado, 70.376 nella Secondaria di II grado. Negli istituti Professionali la presenza di studenti disabili ha raggiunto il 6,6%. Netta la prevalenza del genere maschile.

La differenza tra Regioni

A livello territoriale si è evidenziata una distribuzione disomogenea, con notevoli differenze tra le singole Regioni. Mediamente, nelle Regioni del Centro e del Nord Ovest l’incidenza è stata maggiore che nel resto d’Italia. Nel Centro e nel Nord Ovest si è attestata al 3,2%, rispettivamente 53.748 alunni con disabilità su un totale di 1.667.396 e 70.611 su un totale di circa 2.203.000. Nel Nord Est si è registrata la percentuale più contenuta, pari al 2,7%. La Regione con la percentuale più alta di alunni con disabilità è stata l’Abruzzo (3,7%), quella con la percentuale più bassa, la Basilicata (2,3%).

Il nodo dell’assistenza

Ma ad oggi, nonostante l’aumento di 16 mila insegnanti di sostegno, c’è un docente di supporto ogni 1,69 studenti: e spesso non viene messo accanto allo studente disabile neanche nei modi e nei tempi giusti. Qualcosa dovrebbe cambiare, sottolinea il Miur. L’Italia, già all’avanguardia in materia, si allinea definitivamente al principio riconosciuto dalle Nazioni Unite secondo cui la disabilità è tale in relazione al contesto: solo offrire opportunità specifiche ai ragazzi con diverse abilità garantisce maggiore autonomia e una qualità della vita più elevata. Con l’approvazione delle nuove norme, avvenuta il 20 maggio scorso, sussidi, strumenti, metodologie di studio più opportune, saranno decisi non in modo ‘standard’, in relazione al tipo di disabilità, ma con un Piano didattico veramente individualizzato che guarderà alle caratteristiche del singolo studente, precisa il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti. «Tutto questo sarà vano sino a quando continueranno ad esserci oltre 50 mila posti in deroga, che pur essendo liberi a tutti gli effetti continuano ad essere assegnati ai supplenti annuali, con scadenza delle nomine al 30 giugno dell’anno successivo», replica l’Anief. A questo proposito, ricorda l’Anief, «è emblematico quanto stabilito dal Tar della Sicilia che con una esemplare sentenza sugli organici di sostegno dello scorso gennaio ha stabilito che il Miur deve verificare quanti dei posti siciliani in deroga, ben 7 mila, rispondano a effettive esigenze, al fine di essere assegnati alle immissioni in ruolo.

I dubbi di costituzionalità

Critiche al provvedimento appena varato anche dalla FIRST, la Federazione italiana rete sostegno e tutela diritti delle persone con disabilità: «Il testo presenta ancora molte lacune, è di difficile gestione, lettura e comprensione». L’associazione ritiene ci siano anche «molti dubbi di compatibilità costituzionale di talune disposizioni» ed «evidenti alcune stridenti contraddizioni». La FIRST teme che il provvedimento possa essere «foriero di fortissime tensioni e contrapposizioni tra le famiglie e gli organismi scolastici che redigeranno il PEI e il Profilo di Funzionamento», e «tra gli stessi componenti» dei gruppi di lavoro «visto che oggi, per la prima volta, dopo 27 anni dall’entrata in vigore della legge 104/1992, ne entreranno a far parte “ i rappresentanti degli enti locali ». Per l’associazione le famiglie e i loro figli, lungi dal diventare centrali, saranno lasciate sole perché «non è stata accolta la richiesta della First di garantire la presenza almeno di un rappresentante delle associazioni vicino all’alunno e la famiglia»: una presenza che invece, secondo First, sarebbe stat utile a supportare le famiglie che negli organismi scolastici «sono poste in uno stato di oggettiva soggezione».

Precari, una nuova fumata nera

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

Nuova fumata nera a viale Trastevere. Anche ieri un nulla di fatto sul reclutamento dei precari all’incontro tra il ministero dell’istruzione, rappresentato dal capo di gabinetto Giuseppe Chinè, e i segretari dei sindacati Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda, rispettivamente Francesco Sinopoli, Lena Gissi, Pino Turi, Elvira Serafini e Rino Di Meglio. L’incontro, in avvio con la presenza del ministro dell’istruzione Marco Bussetti, è partito con una proposta elaborata dal Miur, sulla scorta dei confronti delle settimane precedenti (si vedano le anticipazioni di ItaliaOggi di martedì scorso), che prevedeva un doppio binario: Pas, e dunque percorso abilitativo speciale, da un lato, e concorso riservato dall’altro per l’accesso ai ruoli, in questo ultimo caso, già dal prossimo anno scolastico di circa 25mila precari.

Al termine del confronto si è invece affermata la preferenza per un altro schema, ed è quello del percorso unico: un iter che sia abilitativo per tutti i precari e che solo per chi ha già 36 mesi di servizio alla spalle sia invece anche utile all’assunzione già da settembre -ottobre di questo anno. Ancora da chiarire se il pas-concorso unificato avrà una selezione in ingresso oppure al termine.

Sulla nuova proposta le parti dovranno rivedersi prossimi giorni per verificare l’ennesimo articolato. Dicono i sindacati, per fotografare alcuni dei nodi: «È stata discussa la possibilità di consentire l’accesso ai soli fini abilitanti ai percorsi riservati, in subordine rispetto ai precari con 36 mesi di servizio: ai docenti di ruolo che vogliono acquisire l’abilitazione in un’altra classe di concorso per cui hanno titolo ad insegnare; ai laureati che hanno compiuto un percorso di dottorato di ricerca; ai docenti che hanno maturato le tre annualità di servizio nell’ambito della Formazione Professionale insegnando nei bienni di assolvimento dell’obbligo scolastico; ai docenti che sono in possesso del requisito delle tre annualità di servizio presso le scuole paritarie».

I tempi stringono, e per essere operativi è necessario che rapidamente la proposta sotto forma di emendamento sia presentata al dl Crescita in discussione alla camera. Un emendamento che Bussetti aveva annunciato, alla vigilia delle Europee, sarebbe stato a firma del governo per ribadire la priorità che l’esecutivo e la Lega in particolare pongono sul tema del precariato e sulla necessità di trovare una soluzione transitoria.

Anche a costo, stando alle voci critiche, di sacrificare la piena selettività che il concorso ordinario comporta.

L’accelerazione è dettata non solo dalla necessità di trovare un veicolo legislativo utile per garantire le prime immissioni in ruolo già per il prossimo anno scolastico, ma anche per mettere a riparo l’operazione precariato dai venti di crisi che si sono abbattuti sempre più sferzanti sul governo.

Ieri nel suo discorso in conferenza stampa, in occasione del primo anno dell’esecutivo gialloverde, il premier Giuseppe Conte ha ribadito quanto finora fatto e ha indicato alcune priorità dell’azione governativa su scuola (l’accordo con i sindacati che ha evitato lo sciopero generale del settore è a sua firma) e università, con tra l’altro un nuovo piano per la ricerca. Ma ha anche chiesto di riavere la fiducia dei due partner, Lega e M5s, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Un discorso fatto in conferenza stampa e non nelle aule parlamentari e che pure ha il sapere di un preavviso di dimissioni.

Autonomia, stipendi in bilico

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

L’attuazione dell’autonomia differenziata potrebbe comportare un abbassamento delle retribuzioni del personale statale ceduto alle regioni. Nel 2005, infatti, è stata introdotta una modifica al testo unico dei dipendenti pubblici, che cancella il diritto all’assegno ad personam. E assegna ai dipendenti che passano da un’amministrazione ad un’altra il trattamento retributivo previsto per la qualifica in cui vengono inquadrati nell’amministrazione di arrivo. È quanto si evince dalla sentenza 14499 della sezione lavoro della Corte di cassazione, depositata il 28 maggio scorso.

Il caso riguardava una docente che era passata dai ruoli del ministero dell’istruzione a quelli del ministero degli affari esteri. E che, all’atto del passaggio, si era vista decurtare la retribuzione dell’importo corrispondente alla retribuzione professionale docenti: circa 200 euro. La docente aveva esperito l’azione giudiziale, ma il ricorso era stato rigettato dal giudice di I grado. Che aveva applicato le disposizioni contenute nel comma 2-quinquies dell’articolo 30 del dlgs 165/2001. Il quale dispone che: «Salvo diversa previsione, a seguito dell’iscrizione nel ruolo dell’amministrazione di destinazione» recita il dispositivo «al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione».

La docente, aveva proseguito l’azione impugnando la sentenza di I grado in appello. E in quella sede il collegio aveva ribaltato la decisione. L’amministrazione, quindi aveva impugnato la sentenza per cassazione. Ma gli ermellini hanno ritenuto di confermare la decisione dei giudici di secondo grado. I giudici di piazza Cavour, infatti, hanno argomentato la decisione facendo presente che le nuove norme, che comportano l’allineamento della retribuzione a quella spettante nell’amministrazione di arrivo (anche se ciò comporti una decurtazione della retribuzione in godimento) si applicano solo ai passaggi di amministrazione intervenuti dopo l’entrata in vigore della modifica al testo unico. Che è avvenuta solo a partire dal 2005.

Ciò vuol dire che per le cessioni di contratto che avverranno per effetto dell’entrata in vigore dell’autonomia differenziata, l’importo retributivo spettante dovrà essere calcolato senza applicare il cosiddetto assegno ad personam. Vale a dire: senza corrispondere al dipendente ceduto dal Miur alla regione la differenza tra la retribuzione in godimento nell’amministrazione di partenza (Miur) e quella spettante nell’amministrazione di arrivo (regione). Che è necessariamente inferiore a parità di qualifica. Perché la cessione del contratto (è così che si chiama il passaggio di amministrazione) comporta l’azzeramento dell’anzianità di servizio.

Pertanto, il docente che dovesse essere inquadrato nei ruoli regionali delle regioni ad autonomia differenziata, riceverebbe lo stesso stipendio del docente neoassunto. Per esempio, un docente di scuola secondaria di I grado con 30 anni di servizio nella scuola statale, a fronte di una retribuzione mensile di circa 1950 euro netti, qualora dovesse essere inquadrato nei ruoli regionali, andrebbe a percepire 1.350 euro netti. Senza alcun diritto al cosiddetto assegno ad personam. Sempre che, nel frattempo, non dovesse intervenire un provvedimento legislativo, che andasse a modificare nuovamente le disposizioni contenute nel testo unico dei dipendenti pubblici.

Resta il fatto, però, che anche se il legislatore dovesse rimuovere l’ostacolo al riconoscimento dell’assegno ad personam, a legislazione costante, il docente che passasse dai ruoli statali a quelli regionali, pur vedendosi riconoscere l’assegno ad personam, perderebbe comunque l’anzianità di servizio maturata. Ciò comporterebbe una cristallizzazione della retribuzione in godimento. Che potrebbe essere incrementata per anzianità solo in presenza di due condizioni.

La prima è che nel trattamento contrattuale regionale venisse prevista la progressione di anzianità. E la seconda è che l’anzianità di servizio del docente interessato non sia troppo avanzata. Perché, per esempio, un docente in inquadrato nella classe stipendiale 8, a fronte dell’azzeramento della propria anzianità di servizio, comunque dopo 15 anni maturerebbe comunque il gradone successivo. Ripartendo da 0, infatti, dopo 8 anni rimaturerebbe la classe stipendiale 8. E dopo comincerebbe a maturare l’anzianità necessaria per il successivo gradone. E cioè la classe 15. Che si matura, appunto, al compimento del 15esmio anno di servizio riconosciuto.

Non così, invece, il docente più anziano che, per esempio, passasse dallo stato alla regione con una retribuzione in classe 28. Questo docente, infatti, per rimettersi in pari con la progressione di anzianità avrebbe bisogno di prestare altri 28 anni di servizio. E poi gliene servirebbero altri 7 per maturare il gradone successivo (classe 35). Dunque, ben oltre la scadenza del termine ultimo ai fini della cessazione dal servizio.

Pronti i fondi per le telecamere

da ItaliaOggi

Marco Npbilio

Sono 5 i milioni di euro che vanno ai comuni per installare le telecamere di videosorveglianza nelle scuole dell’infanzia statali e paritarie per il 2019. E 15 milioni l’anno dal 2020 al 2024. Lo prevede un emendamento al decreto sblocca cantieri (AS 1248) approvato in commissioni riunite (8a e 13a) al senato, prima firmataria, Maria Saponara, senatrice della Lega. Il testo dell’emendamento costituisce, ormai, parte integrante del disegno di legge. Che è stato calendarizzato in aula, sempre al senato, per il 4 giugno. Va detto subito che il disegno di legge AS1248 in discussione al senato non riguarda la scuola. Il provvedimento, infatti, prevede la conversione in legge del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32: il cosiddetto decreto sblocca cantieri. Che reca disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici. E le disposizioni che prevedono l’installazione delle telecamere nelle scuole dell’infanzia sono di natura meramente economica. Il dispositivo, infatti, non reca disposizioni sostanziali o procedurali riguardati il merito della materia. E si limita semplicemente a prevedere uno stanziamento di fondi. Il provvedimento, peraltro, non rinvia ad una eventuale regolamentazione ministeriale sull’installazione e il funzionamento delle telecamere.

Pertanto, è ragionevole ritenere che, affinché possa andare a regime, necessiterà di un ulteriore intervento legislativo che rechi la disciplina sostanziale e procedurale per darvi attuazione. In particolare, le nuove disposizioni approvate in commissione prevedono uno stanziamento, che ha come finalità quella di assicurare la più ampia tutela a favore dei minori nei servizi educativi per l’infanzia e nelle scuole dell’infanzia statali e paritarie.

E sarà erogato ai comuni per coprire i costi per l’installazione di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso presso ogni aula di ciascuna scuola nonché per l’acquisto delle apparecchiature finalizzate alla conservazione delle immagini per un periodo temporale adeguato. Le risorse, dunque, non dovranno essere utilizzate solo per le telecamere, ma anche per consentire l’archiviazione della videodocumentazione, al fine di poterla utilizzare per accertare eventuali abusi a danno dei minori. Fin qui la questione della copertura finanziaria.

Per quanto attiene, invece, il merito della questione, sono state presentate diverse proposte di legge. Una di queste (C 1066) è stata anche oggetto di un argomentato ed articolato parere reso dal garante della privacy, Antonello Soro, il 2 ottobre scorso, davanti alle commissioni riunite, affari costituzionali e lavoro, della camera. In quell’occasione, Soro ha messo in guardia il legislatore dai rischi che si corrono adottando le telecamere in classe.

A maggior ragione se si tratta di bambini in tenera età, avuto riguardo anche ai dati sensibili riguardanti le condizioni di salute dei piccoli. In particolare, il garante ha spiegato che, in questi casi, è necessario garantire i principi di proporzionalità e necessità del trattamento dei dati, assicurando che il ricorso a uno strumento di monitoraggio così invasivo, possa avvenire solo laddove altre misure meno limitative della riservatezza risultino inefficaci. Orientando così anche una discrezionalità dei titolari che rischierebbe, altrimenti, di degenerare in arbitrarietà.

Per il garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, audita dalle stesse commissioni il 3 ottobre scorso, sullo stesso progetto di legge: « L’obbligo di installare telecamere negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia consentirebbe una maggiore tutela contro violenze e abusi nei confronti di bambini molto piccoli. Altrettanto importante, però», spiega il garante nel parere, «è prevedere sistemi di formazione iniziale e permanente del personale e una sistematica raccolta dati di tipo quantitativo e qualitativo che, dando la fotografia del fenomeno, consenta di porre in essere interventi di prevenzione».

Resta da vedere come si svilupperà la discussione parlamentare sulla questione e in che modo il governo deciderà di dare attuazione alle nuove disposizioni. Le sezioni di scuola dell’infanzia statali sono 13 mila. A queste vanno aggiunte anche 9 mila sezioni nelle private. Dunque, per munire tutte le aule scolastiche interessate delle apparecchiature necessarie, vi sarebbe la necessità di installare circa 22 mila dispositivi, comprensivi anche della strumentazione per la conservazione delle risultanze delle videoriprese.

E i relativi adempimenti sarebbero di stretta competenza dei comuni, che sono gli enti locali ai quali spetterà la competenza sull’esecuzione delle nuove disposizioni. Pertanto, alle difficoltà oggettive di copertura dei costi, per i quali le risorse stanziate non sembrerebbero sufficienti, bisognerà aggiungere anche gli oneri relativi all’indizione delle gare d’appalto e per la gestione dell’inevitabile contenzioso fisiologicamente connesso alle relative procedure.

Tempo pieno, ritardo massimo

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Corsa contro il tempo per incrementare di 2 mila posti il tempo pieno alla scuola primaria. Con circa tre mesi di ritardo è approdato, giovedì scorso, in Conferenza Unificata lo schema di decreto del Miur sulle modalità per aumentarlo, così come previsto dalla legge di Bilancio 2019 che però stabiliva l’emanazione del decreto entro l’inizio di marzo. Parere favorevole quello espresso della Conferenza Unificata, perché la norma prevede un aumento dell’organico di 2 mila docenti nella primaria per potenziare l’offerta del tempo pieno nelle scuole primarie.

Tuttavia al Miur arriva anche un richiamo: i criteri di riparto dei posti a livello nazionale sia secondo le regioni sia secondo la Conferenza Unificata non rispondono all’obiettivo di incrementare davvero il tempo pieno secondo i fabbisogni territoriali espressi dagli enti locali. Di qui la richiesta al Miur di un tavolo per condividere questi criteri dal prossimo anno. Richiesta, tra l’altro, già ribadita in passato al ministero dell’istruzione. Dai rappresentanti di M5S in Commissione Cultura della Camera era arrivata la previsione del ricorso per la ripartizione dei posti al criterio perequativo e non demografico, basato cioè sulla popolazione studentesca.

L’aumento dell’organico sarebbe cioè stato frutto di una valutazione che avrebbe tenuto conto anche del gap tra Nord e Sud nell’offerta del servizio del tempo pieno, nell’ottica di un miglioramento delle situazioni più critiche. Metà dei posti previsti, 941, sono destinati al Sud, concentrati in tre regioni: Campania, Sicilia e Puglia. Mentre 729 docenti in più per il tempo pieno si avranno al Nord, con in testa Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Circa la metà dei 330 insegnati previsti nel Centro saranno destinati al Lazio, seguito dalla Toscana. Tuttavia, aumentare le ore della scuola il pomeriggio significa anche avere a scuola locali da adibire a mensa, che in Sicilia, la regione italiana con al percentuale minore di tempo pieno, il 14,7%, mancano. Né le famiglie siciliane mostrano di essere interessate al servizio.

Il numero di richieste arrivate alle scuole durante le iscrizioni, infatti, non consentono di istituire altre classi di tempo pieno. Così il 39% di tutte le cattedre assegnate nelle primarie della regione verranno restituite al Miur. Così, i posti non assegnati in Sicilia prenderanno la strada delle regioni del Nord e del Centro, dove il servizio già copre la metà delle classi funzionanti, come nel Lazio (53%), in Lombardia (53%) e in Piemonte (48%). È, infatti, caduta nel vuoto, anche la richiesta dei sindacati di potenziare il tempo pieno già attuato pur di salvare le cattedre nella regione. Si tratta di un problema analogo a quello presentatosi nei primi anni Novanta quando entrò in vigore la legge 148 con l’obbligo di far funzionare le classi anche per almeno due pomeriggi alla settimana. Allora una circolare ministeriale stabilì in via provvisoria che si sarebbe potuto concentrare tutto nell’orario antimeridiano: dalle 8,30 alle 14

PENSIONI: MANCANO DECRETI PER ANTICIPO TFS

PENSIONI, GILDA: MANCANO DECRETI PER ANTICIPO TFS
“Il Governo acceleri per chiudere l’accordo con l’Abi e varare i decreti attuativi entro agosto”. A dichiararlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, che invita l’Esecutivo a rispettare quanto stabilito dall’articolo 23 del decreto legge 4/2019 su pensioni e reddito di cittadinanza e dare ai docenti alle soglie della pensione la possibilità di riscuotere subito una parte del TFS pagando un tasso agevolato. 
“Stiamo ricevendo molte richieste da parte di docenti che vorrebbero preparare la documentazione ma, in mancanza dei decreti attuativi e dell’accordo con l’Abi entro fine agosto, rischiano di non poter accedere all’anticipo di 45.000 euro a tasso agevolato garantito  dalla legge. Senza considerare che gli insegnanti che scelgono Quota 100 potrebbero dover aspettare fino a 5 anni per ottenere il TFS, diversamente dai colleghi con la pensione di anzianità o di vecchiaia per i quali il periodo di attesa è di ‘soli’ 2 anni”.
“I tassi di mercato applicati dagli istituti bancari non sono di certo convenienti e non si può negare a tanti dipendenti pubblici l’opportunità, garantita da una legge dello Stato, di godere di condizioni più vantaggiose”.     

Autonomia differenziata, i sindacati illustrano criticità al presidente della Camera

da Orizzontescuola

di redazione

Comunicato sindacale unitario – Nell’incontro col Presidente della Camera Roberto Fico abbiamo esposto le ragioni delle nostra ferma contrarietà al venir meno del carattere unitario e nazionale del sistema di istruzione, come prefigurano le richieste di autonomia differenziata avanzate da alcune Regioni.

Si tratta di una prospettiva inquietante perché, oltre a minare l’unità culturale del Paese, una scuola regionalizzata finirebbe per aumentare il divario già oggi molto marcato tra aree territoriali, aggravando le disparità e gli squilibri esistenti nel Paese anziché ridurli.

Abbiamo anche evidenziato i gravi rischi che il governo dell’istruzione affidato alle regioni potrebbe comportare rispetto alla tutela di principi di rango costituzionale come l’autonomia delle istituzioni scolastiche e la libertà di insegnamento. Abbiamo infine indicato come necessaria una discussione che coinvolga tutti i soggetti di rappresentanza, a partire dal Parlamento e comprese le rappresentanze sociali, su questioni che per la loro valenza di ordine generale non possono essere gestite con una trattativa fra singole Regioni e Governo.

Ringraziando il Presidente della Camera per la disponibilità dimostrata, esprimiamo vivo apprezzamento per il suo fermo ed esplicito richiamo alla centralità che dev’essere riconosciuta alle Camere nell’esame del provvedimento.

Riforma sostegno, formazione personale docente e ATA

da Orizzontescuola

di redazione

Il decreto 66/2017, recante norme sull’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, disciplina anche la formazione del personale docente e ATA.

Quanto previsto dal suddetto decreto non sarà modificato (come al momento si legge nel testo che ancora deve concludere il suo iter) dal decreto di revisione approvato in via preliminare dal Governo il 20 maggio scorso.

Piano nazione formazione

Il decreto 66/2017, relativamente alla formazione del personale scolastico in materia di inclusione, rinvia al Piano nazionale per la formazione dei docenti triennio 2016-2019, che discende dal comma 124 della legge n. 107/2015 ed è stato adottato con il DM n. 797/2016.

Il Piano, come leggiamo nel decreto, garantisce le necessarie attività formative in materia.

L’inclusione e la disabilità, infatti, costituiscono una delle priorità di formazione indicate nel Piano medesimo.

Le scuole, ai sensi del predetto decreto, nell’ambito della definizione del Piano di formazione di Istituto inserito nel PTOF, individuano le attività formative rivolte in particolare ai docenti delle classi in cui sono presenti alunni disabili.

Ricordiamo quali sono le caratteristiche delle azioni formative che possono essere attivate dalle istituzioni scolastiche, singolarmente o in rete (vedi i Piani di formazione di Ambito, che rispondono alle esigenze formative delle scuole facenti parte della Rete di Ambito), in materia di disabilità e inclusione, secondo quanto indicato nel Piano nazionale per la formazione dei docenti.

Azioni priorità “Inclusione e Disabilità”

Il paragrafo 4.5 del Piano è dedicato alla priorità “Inclusione e Disabilità” e indica le attività formative da far svolgere ai diversi soggetti che partecipano al processo di inclusione dell’allievo disabile.

La formazione, leggiamo nel Piano, deve essere rivolta a tutti i docenti e non solo agli specializzati, in modo che l’inclusione diventi una “modalità “quotidiana” di gestione delle classi” e non sia delegata al solo docente di sostegno.

Le azioni formative, a livello di singola scuola, possono essere individuate (nel Piano leggiamo “è auspicabile”) collegialmente dal consiglio di classe o dall’intero team docente in tutte quelle classi che accolgono alunni con disabilità o altre difficoltà/disturbi di apprendimento.

Le attività di formazione, realizzate invece dalle scuole polo per l’inclusione, sono frutto della programmazione territoriale e del lavoro in rete svolto dalle istituzioni scolastiche.

Le attività formative, sia a livello di scuola singola che di rete, devono vertere su specifici contenuti, indicati dal Piano e definiti “contenuti chiave”:

  •  scuola inclusiva (ambienti, relazioni, flessibilità); piano dell’inclusione (strategie e strumenti); autovalutazione, valutazione e miglioramento dell’inclusione nell’istituto;
  • corresponsabilità educativa; gestione della classe; leadership educativa per l’inclusione; classi inclusive; sostegno “diffuso”;
  • progetto di vita; progettazione individualizzata e personalizzata; valutazione degli apprendimenti e certificazione delle competenze degli alunni con disabilità; relazione tra progettazione e metodologie didattiche curriculari e sviluppo di competenze complementari sviluppate anche in orario extrascolastico che concorrono positivamente al percorso educativo complessivo;
  • tecnologie digitali per l’inclusione; didattiche collaborative, differenziazione didattica, misure compensative e dispensative;
  • ruolo delle figure specialistiche; ruolo del personale ATA; ruolo di altri soggetti del territorio appartenenti alla “comunità educante”.

Le azioni formative, leggiamo ancora nel Piano, vanno rivolte a:

  • referenti di istituto per il coordinamento delle azioni di integrazione nei piani inclusivi di scuola;
  • docenti di sostegno (nel triennio va assicurato un modulo specifico di approfondimento per tipologie di disabilità);
  • docenti curricolari (team e consigli di classe) per migliorare la programmazione di classe in presenza di allievi con disabilità, disturbi e difficoltà di apprendimento;
  • figure di supporto (mediatori, assistenti per la comunicazione, educatori, personale di collaborazione) per migliorare le capacità di progettazione integrata;
  • dirigenti scolastici;
  • personale ATA.

Destinatari formazioni

Nel Piano sono indicati sinteticamente i percorsi formativi da svolgere, i relativi destinatari e la relativa tempistica:

Come si legge nella tabella e come indicato nell’articolo 13 comma 3 del decreto n. 66/17, la formazione relativa all’inclusione e alla disabilità è rivolta anche al personale ATA, al fine di sviluppare, in coerenza con il profilo professionale, competenze organizzative, educativo-relazionali e sull’assistenza di base.

Docenti italiani lavorano poco? I dati dicono altro: primi in Europa per giorni di scuola

da Orizzontescuola

di redazione

Gianfranco Scialpi – Giorni di scuola, abbiamo un bel primato! Con la Danimarca siamo tra i primi in Europa! Il “si dice”, purtroppo, propone qualcosa di diverso. I dati autorevoli, invece, dicono altro. L’esempio che davanti a grafici e numeri non c’è discussione! Il problema risiede nella diversa distribuzione delle pause.

Giorni di scuola nell’anno, il condizionamento del “si dice” Giorni di scuola, siamo i primi in Europa! Sembra strano, condizionati dal “si dice” che presenta i docenti come lavoratori privilegiati. Il ritornello tornerà in auge con l’inizio delle vacanze estive. Alcune volte il messaggio passa attraverso il canale del “non detto, ma si comprende”. In altri termini, utilizzando una espressione molto cara ai teorici della comunicazione, il contenuto diventa metamessaggio, cioè viaggia utilizzando sguardi, prossimità corporale, toni della voce…

E’ ultimo esempio di un analfabetismo funzionale anche di molti laureati che hanno smesso di leggere e scrivere da diversi anni. Attualmente gli analfabeti funzionali gravi sono il 42%, mentre quelli a un livello medio registra il dato del 39%. E questo significa che 4 italiani su 10 hanno gravi difficoltà “a usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana.” Qui si annida l’informazione di superficie, quella basata sulle emozioni e sensazioni. Non a caso il filosofo G. Lipovetsky ha definito il contesto post-moderno come dominato dal “Piacere e colpire” (2019). Nel nostro specifico tutto questo si traduce in affermazioni del tipo:” gli insegnanti hanno tre mesi di vacanze estive, quindici giorni a Natale e sette almeno a Pasqua”. L’informazione di livello superiore presenta un’altra realtà

Ovviamente alcuni dati sono oggettivi, ma sono limitati a quelli delle vacanze natalizie e pasquali. Il resto è solo un “si dice”, senza alcun fondamento. Quello che disturba è la pessima immagine che emerge: gli insegnanti lavorano poco, hanno troppe ferie…!
Saliamo di livello, offrendo dati autorevoli, aggiornati e accurati. Questi sono desunti dallo studio Eurydice- Indire (2018-19):

La Danimarca e l’Italia presentano il calendario più lungo (200 giorni), uniforme nei tre gradi di studio. Gli altri paesi hanno un calendario scolastico tra i 170-190 giorni.

Le due tabelle evidenziano che in Italia le vacanze sono concentrate a Natale, Pasqua e in estate. In altri paesi i giorni di pausa sono distribuiti durante tutto l’anno (ottobre-maggio). Ad esempio in Francia, le vacanze estive durano 8 settimane, ma tra ottobre-novembre e a carnevale le scuole sono chiuse complessivamente per 4 settimane.

La maggior parte dei paesi a giugno chiude i cancelli. Quindi le vacanze estive sono concentrate tra giugno e fine agosto. Fanno eccezione paesi come la Germania, l’Islanda, la Norvegia e la Scozia. L’inizio del loro anno scolastico è compreso tra il 1° agosto e 22-23 agosto. Ovviamente non è difficile comprenderne il motivo: la diversa latitudine rispetto alla nostra.

La differente organizzazione delle pause influisce sulla durata delle vacanze estive. Si va da un minimo di 6 a un massimo di 12-13.

Le vacanze estive vanno dalle 6-8 settimane (Francia,Germania,Liechtenstein,RegnoUnito, Norvegia…) alle 10-12 (Finlandia Grecia, Islanda,Portogallo, Spagna, Ungheria…) . La Lettonia, l’Italia chiudono l’elenco con 13 settimane.

Conte: dal Governo attenzione alla scuola

da Orizzontescuola

di Elisabetta Tonni

Autonomia differenziata; piano nazionale per potenziare la ricerca e l’intero sistema dell’innovazione; interventi per rafforzare il sistema scolastico e il sistema universitario.

Sono questi i riferimenti del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante il discorso alla conferenza stampa, all’indomani delle elezioni europee, sui recenti attriti di Governo.

Nell’intervento di Palazzo Chigi, il capo del Governo ha espressamente detto di essere intenzionato a proseguire, ma in un contesto di armonia, altrimenti avrebbe rimesso il suo mandato nelle mani del presidente della Repubblica.

In caso di dimissioni e di caduta del Governo, la scuola potrebbe ancora una volta pagare un conto salato. E’ stato infatti proprio il presidente Conte a sottoscrivere l’intesa del 24 aprile fra il Governo e le organizzazioni sindacali del comparto istruzione e ricerca.

Nell’incontro che ha portato alla firma del documento erano presenti il presidente del Consiglio, il ministro dell’Istruzione, Bussetti, il sottosegretario al Miur, Salvatore Giuliano, e i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda.

I temi sul tavolo erano quelli fondamentali: rinnovo del contratto di lavoro con conseguente recupero salariale, cioè l’aumento dello stipendio del personale scolastico, per avvicinarlo a quello erogato negli altri paesi europei; stabilizzazione dei rapporti di lavoro con nuovi concorsi con cadenza regolare e soluzione per il ruolo per i precari con oltre 36 mesi di lavoro; interventi normativi per Unversità, Afam e Ricerca; salvaguardia dell’unità nazionale nel sistema di istruzione con un sistema di reclutamento uniforme.

Tutti questi punti dovrebbero essere trattati nei tavoli tematici e di confronto da tenersi insieme con le parti sociali e che invece rischiano quanto meno di proseguire in salita se non tornerà “l’armonia” nel Governo auspicata dal presidente Conte, con tutte le conseguenze già annunciate.