Mese dell’Educazione Finanziaria

Dopo la prima edizione, che ha visto l’adesione di 108 organizzazioni (per un totale di 197 soggetti coinvolti, tra istituzioni e organizzazioni pubbliche e private), con oltre 350 eventi in 120 città in tutta Italia, torna dall’1 al 31 ottobre 2019 il Mese dell’Educazione Finanziaria promosso dal Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, di cui è membro per il MIUR il Dirigente Tecnico Alvaro Fuk.

Il Mese avrà un calendario ricco di appuntamenti, a cominciare da quelli della prima settimana di ottobre connessi alla “World Investor Week” – la manifestazione internazionale dedicata alla gestione del risparmio – per proseguire con eventi culturali, seminari informativi, spettacoli, giornate di gioco e formazione sull’Educazione finanziaria e sui temi assicurativi e previdenziali.

Le iniziative possono essere proposte compilando il form on line all’indirizzo www.quellocheconta.gov.it/ottobreedufin da oggi fino al 13 settembre 2019.

L’adesione consentirà di utilizzare il logo ufficiale del Mese e di comparire nella promozione su scala nazionale, così da garantire agli organizzatori delle singole iniziative una maggiore visibilità e favorire l’efficacia delle azioni attraverso il coordinamento con gli altri soggetti partecipanti.

Per tutti i partner del Mese saranno a disposizione anche una chat e strumenti interattivi per massimizzare la comunicazione sugli eventi, conoscere chi in Italia si impegna su questo fronte, così da creare sinergie.

Il Comitato invita associazioni, istituzioni, imprese, università e centri di ricerca, scuole, fondazioni, pubbliche amministrazioni e qualsiasi organizzazione voglia impegnarsi nel campo dell’Educazione finanziaria con eventi di qualità, senza scopo di lucro e gratuiti per chi vi partecipa, a proporre la propria candidatura. Saranno accolte tutte le iniziative che avranno l’obiettivo di accrescere le conoscenze di base sui temi assicurativi, previdenziali e di gestione e programmazione delle risorse finanziarie personali e familiari. Conoscenze indispensabili per la serenità di oggi e del futuro.

Caso prof. Dell’Aria

Scuola: Sinopoli, caso prof. Dell’Aria è una sciagura istituzionale

 “Sul caso della professoressa Dell’Aria si sta consumando una sciagura istituzionale senza precedenti, che mina la libertà di insegnamento nella scuola italiana e la credibilità del governo”. Lo dice il segretario generale della FLC CGIL, Francesco Sinopoli.

“È grave – aggiunge – che a settimane di distanza dalle rassicurazioni fornite dal vicepremier Salvini e dal ministro della pubblica istruzione Bussetti il provvedimento disciplinare nei confronti dell’insegnante non sia stato né revocato né dichiarato illegittimo. Motivo per cui i legali della docente stanno procedendo alla presentazione del ricorso presso la sezione lavoro del Tribunale di Palermo”.

“Dopo l’ammissione di colpa sull’inopportunità della sanzione disciplinare – prosegue Sinopoli – ci saremmo aspettati un’attenzione e una coerenza maggiori da parte di chi guida la scuola ed il Paese. Non solo chiarimenti pro forma e belle parole, ma atti concreti. Invitiamo il Miur e il governo a fare la propria parte con i fatti per rendere giustizia alla professoressa Dell’Aria e ribadire il valore della libertà d’insegnamento”.

‘Sulla libertà d’insegnamento – conclude il segretario generale della FLC – è necessario riaprire una discussione nelle scuole già da settembre, su questo versante infatti, l’autonomia differenziata rappresenta un ulteriore pericolo, poichè rischia di subordinare la scuola direttamente alla politica regionale.”

Colla (Cgil): «L’alternanza serve, il governo torni indietro sui tagli»

da Il Sole 24 Ore

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Il governo ha tagliato ore e fondi all’alternanza scuola-lavoro dicendo di voler così garantire maggiore qualità dei percorsi. Lei ritiene che la maggiore qualità si raggiunga in questo modo?

È giusto preoccuparsi della qualità dei percorsi di alternanza scuola lavoro, ma la soluzione individuata dal governo è sbagliata – risponde Vincenzo Colla, vice segretario generale della Cgil -. La pesante riduzione delle ore e delle risorse ha dato un messaggio di smobilitazione al mondo della scuola e al mondo del lavoro. La strada per superare le difficoltà incontrate nella prima attuazione è un’altra: costruire nelle scuole, nelle imprese e nei territori le condizioni per garantire a tutti la qualità dei percorsi. Si tratta di formare i docenti, i tutor aziendali e scolastici, sostenere le piccole imprese nella capacità di co-progettazione con le scuole. Di tutto questo non c’è traccia nelle scelte del governo. Ne consegue che anche i percorsi di eccellenza che erano stati intrapresi in tante aree del paese rischiano di fallire di fronte ai continui cambiamenti normativi. Cgil Cisl Uil, da quando l’alternanza scuola lavoro è diventata obbligatoria, hanno proposto ai diversi i governi di costituire una cabina di regia con i soggetti istituzionali e le parti sociali per promuovere e sostenere le azioni necessarie. Continua invece a prevalere la logica della disintermediazione. Al contrario, nei paesi europei dove il rapporto scuola lavora funziona, le organizzazioni sindacali e del mondo del lavoro sono coinvolte nel governo del sistema e sono protagoniste nelle azioni di promozione e qualificazione.

Il mondo delle imprese è allarmato e chiede di ripristinare un numero di ore adeguate di formazione on the job, almeno negli istituti tecnici, e maggiori risorse per non allontanare nuovamente scuola e lavoro, visto che in Italia abbiamo il 30% di disoccupazione giovanile. Condivide questa preoccupazione del mondo produttivo?

Nel Patto per la Fabbrica Cgil Cisl Uil e Confindustria indicano nell’alternanza scuola lavoro una delle leve per una strategia delle competenze che permetta al paese di vincere la sfida dell’innovazione. L’alternanza è uno strumento importante per innovare la scuola e il sistema produttivo. Le imprese che si impegnano nella formazione e nella valorizzazione delle conoscenze e competenze e che imparano a co-progettare con le scuole e le università sono le imprese più innovative e competitive. D’altro canto, le scuole che si aprono alla collaborazione con il territorio e il mondo del lavoro migliorano i livelli di apprendimento di tutti, riducono la dispersione scolastica, formano competenze adatte a fronteggiare i cambiamenti continui e dirompenti del lavoro 4.0 e valorizzano l’intelligenza delle mani e l’etica del lavoro. Per questo il rapporto istruzione-lavoro e la qualità dei suoi percorsi saranno al centro dello sviluppo del patto per la fabbrica. Ne consegue che il vincolo a determinare un pacchetto di ore nell’alternanza scuola lavoro è uno strumento importante su cui bisognerebbe investire di più, diversamente da quello che sta facendo il governo, per diffondere i livelli di qualità raggiunti dalle scuole e dalle imprese migliori. Non è un caso che le migliori esperienze nel campo dei rapporti scuola-lavoro sono nati da accordi sindacali come alla Ducati e all’Enel. Accordi che permettono di garantire etica, educare al senso del giusto e della tecnologia. È inoltre scorretto e fuorviante pensare che l’alternanza scuola lavoro debba essere inserita nei curricula dei soli istituti tecnici e professionali; l’alternanza è strategica anche e soprattutto nei licei anche in un’ottica di un umanesimo tecnologico allo scopo di implementare competenze trasversali utili in ogni progetto di vita di un giovane o di una giovane e di meglio rispondere alla sfida di un apprendimento che dovrà proseguire per tutta la vita.

Già a settembre si annunciano defezioni sia tra imprese sia tra docenti, specie dei licei, come risposta alle nuove regole. Non teme un effetto boomerang su un mismatch tra domanda e offerta di lavoro già elevato nel nostro paese?

La causa principale del mismatch nel nostro paese è la bassa domanda di competenze espressa dal sistema produttivo addirittura inferiore all’offerta in un paese che, per numero dei giovani laureati, è agli ultimi posti fra quelli Ocse. A questo si aggiunge la tradizionale resistenza del mondo della scuola e del lavoro a dialogare che ostacola l’incontro tra domanda e offerta di competenze. Anche per questo il messaggio di smobilitazione prodotto dal governo è sbagliato e preoccupante. Deve essere corretto rilanciando l’obbligo dell’alternanza come diritto di ogni studente ad apprendere conoscenze e competenze utili per il lavoro e la cittadinanza attiva e costruendo le condizioni per la significatività di tutti i percorsi. Il primo passo è ripristinare già dalla prossima legge di bilancio l’intero stanziamento di 100 milioni precedentemente previsto.

Pezzi importanti del sindacato, compresa la vostra categoria, hanno avuto posizioni critiche sull’alternanza assecondando giudizi negativi di una fetta di insegnanti che, storicamente, non vede di buon occhio il dialogo tra scuola e lavoro. Sono posizioni da rivedere alla luce dei primi risultati positivi dell’alternanza obbligatoria?

Le strutture di categoria si sono fatte carico di rappresentare il diffuso malessere espresso dagli insegnanti costituito certo da resistenze e chiusure da superare, ma anche da una più che legittima protesta contro modalità attuative prive di gradualità e del coinvolgimento attivo delle parti sociali. Errori che sono all’origine, tra l’altro, della difficoltà a trovare imprese disponibili e preparate alla co-progettazione dei percorsi di alternanza. Il governo attuale ha scelto la via facile del consenso a buon mercato. Si è innanzi tutto preoccupato di tranquillizzare i settori più conservatori, indebolendo i percorsi e cancellando la stessa parola lavoro – il cui sapere è da sempre misconosciuto dalle scuole e dalle imprese meno innovative – e ha abbandonato a se stessa quella parte del mondo della scuola e del lavoro che invece si è impegnata per migliorare le cose.

Confindustria stima che un terzo delle prossime assunzioni sarà di difficile reperimento per mancanza di competenze adeguate. Ciò accadrà soprattutto per i profili tecnico-professionali. È un danno per il Paese. Quali misure servono per evitare questa penalizzazione che grava sui giovani?
È innanzi tutto necessaria una politica industriale che promuova l’innovazione del sistema produttivo e che innalzi la qualità delle competenze richieste dalle imprese. Il potenziamento dei percorsi che integrano istruzione e lavoro rappresentano una parte essenziale di una nuova politica industriale. I percorsi scolastici non possono inseguire l’incessante cambiamento delle competenze professionali richieste dal mondo del lavoro. Però attraverso l’alternanza scuola lavoro possono migliorare l’orientamento degli studenti e formare soprattutto quelle “soft skills” che sono sempre più considerate essenziali dalle imprese che innovano. Occorre poi un forte investimento nello sviluppo dell’apprendistato duale (tipologia 1 e 3: percorsi per acquisire contemporaneamente una specializzazione professionale e un titolo di studio secondario o terziario) che rappresenta lo strumento più qualificato – ma oggi molto poco utilizzato – per formare professionalità alte e curvate sulle esigenze di sviluppo e innovazione dei diversi sistemi produttivi. Le tecnologie cambieranno le dinamiche economiche e sociali, ma proprio per questo abbiamo bisogno di un governo pubblico ragionato che sia in grado di coniugare umanesimo ed innovazione, fondamentali per la crescita della comunità, dei territori nel mondo globale. Dobbiamo evitare lo spiazzamento delle conoscenze delle competenze che si polarizzano su pochi soggetti che diventano gli ottimati, e il resto a disposizione, senza diritto di senso critico, di autonomia soggettiva, di fantasia innovativa, di competenze digitali. Una cesura sociale che non permetterebbe di fare restare il nostro Paese la seconda Manifattura in Europa.
Creeremo il valore aggiunto solo se sapremo fare diventare di massa, e non di censo, il sapere, la conoscenza per il lavoro e, in questo, il ruolo della Scuola Pubblica di Stato è dirimente. Per evitare che l’economia digitale diventi tritacarne sociale, serve un new deal della conoscenza, della formazione continua.


Nei professionali spunta «l’ammissione con revisione» (per promuovere alla classe successiva)

da Il Sole 24 Ore

di Claudio Tucci

Nelle indicazioni operative per condurre lo scrutinio relativo alla prima annualità del biennio unitario dei nuovi istituti professionali, al debutto lo scorso settembre, spunta una “modalità” tutta nuova per promuovere i ragazzi alla classe successiva: l’«ammissione con revisione» del Progetto formativo individuale. Che viene deliberata dal consiglio di classe se lo studente ha riportato una valutazione negativa in una o addirittura più discipline e/o non ha maturato tutte le competenze previste. In questo caso, il Miur spiega che bisognerà «prevedere per tempo una o più attività finalizzate al proficuo miglioramento della carriera scolastica, fra cui: la partecipazione nell’anno scolastico successivo ad attività didattiche mirate (ad esempio, frequenza di attività didattiche nelle classi del primo anno) o la partecipazione a interventi didattici programmati dalla scuola durante i mesi estivi per il recupero delle carenze rilevate». «Ove ne ricorrano le condizioni, il consiglio di classe potrà adottare i necessari ulteriori adattamenti del Pfi».

La circolare
A illustrare le modalità di scrutinio al termine del primo anno nei nuovi istituti professionali è una circolare del Miur: la bocciatura diventa una “mission impossible”. Lo stop al ragazzo dovrà scattare solo in caso di insufficienza in condotta o se le valutazioni negative e il deficit di competenze attese sono tali da non poter ipotizzare il pieno raggiungimento degli obiettivi di apprendimento al termine del secondo anno, neanche a seguito della revisione del Pfi.

Maniche larghe allo scrutinio
La promozione invece al secondo anno scatterà sempre nel caso di valutazioni positive in tutte le discipline di insegnamento, e, quindi, nei casi in cui il Pfi non ha bisogno di adeguamenti. Il disco verde ci dovrà essere anche se, ottenuti i giudizi positivi, il Pfi necessita di adeguamenti, ad esempio, in previsione di un cambio di indirizzo, della volontà di attuare un passaggio o di conseguire anche la qualifica IeFp maturando crediti con lo strumento della personalizzazione. In tal caso, come detto, si è promossi, e le modifiche al Pfi potranno essere fatte anche all’inizio del nuovo anno. La circolare del ministero conferma poi il requisito generale per essere ammessi, vale a dire la frequenza del 75% del monte ore personalizzato, ovvero il diritto alla deroga in presenza di gravi motivi (ad esempio, malattie).

Miur, al via valzer delle poltrone

da Italiaoggi

Marco Nobilio e Alessandra Ricciardi

Due direzioni generali in più al ministero dell’istruzione. E direttori generali, così come gli uffici di diretta collaborazione, che decadono tutti e dovranno essere riconfermati tramite interpello. È l’effetto del decreto del presidente del consiglio dei ministri 4 aprile 2019, n. 47, che, superato il vaglio degli organi di controllo, reca il regolamento con la nuova organizzazione del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Il provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale n.133 dell’8 giugno scorso ed entrerà in vigore il giorno 23 dello stesso mese. Il numero delle poltrone apicali di viale Trastevere aveva subito una riduzione del 25% durante la precedente legislatura, passando dalle 12 direzioni generali del dicastero Giannini alle 9 del dicastero Fedeli. E adesso, con il ministro Bussetti passeranno ad 11, attingendo a posizioni in dotazione al gabinetto. Nessuna novità di rilievo per gli uffici scolastici regionali, che restano 20 come nella passata legislatura. Idem per i dipartimenti che rimangono 3: uguali nel numero e nel nome: a) dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione; b) dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca; c) dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali. Ecco il progetto della nuova struttura. Il dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione avrà 4 direzioni generali (attualmente ne ha 3): ordinamenti scolastici e valutazione del sistema nazionale di istruzione; personale scolastico; direzione generale per lo studente, l’inclusione e l’edilizia scolastica.

E infine, la new entry: la direzione generale per il supporto giuridico e amministrativo. L’articolo 5 del decreto assegna a questa direzione compiti di supporto e di consulenza agli uffici scolastici per la gestione del contenzioso avente carattere generale anche tramite la redazione di atti. Insomma, una sorta di megaufficio legale che si affiancherà all’ufficio legislativo e cercherà di dare una mano agli uffici periferici perlomeno in materia di contenzioso seriale e collettivo

L’istituzione di questo nuovo settore è sintomatico della crescita esponenziale del contenzioso in materia scolastica che si è verificato negli ultimi anni. Da una parte per effetto dei sempre più ampi margini offerti alla discrezionalità amministrativa dalle nuove disposizioni. E dall’altra parte per il crescente interesse da parte dei cosiddetti ricorsifici per le ampie prospettive di guadagno offerte dalle azioni collettive.

Il dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca manterrà le attuali 3 direzioni generali, che però saranno meglio caratterizzate in termini di competenze specifiche. Mentre il dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali passerà da 3 a 4 direzioni generali.

La new entry è la direzione generale per la comunicazione e i rapporti internazionali, già esistente nella storia del Miur e che ora ritorna. Che si occuperà dell’informazione istituzionale, dell’organizzazione di manifestazioni e di campagne informative di pubblico interesse, del sito internet e della rete intranet del ministero, della gestione dell’ufficio relazioni con il pubblico del ministero, delle relazioni internazionali con particolare riferimento all’unione europea. Insomma, una direzione a metà tra un megaufficio stampa e un’agenzia di marketing.

Prove in entrata o in uscita? Il nodo della sanatoria precari

da Italiaoggi

Carlo Forte

Un concorso riservato agli aspiranti docenti con almeno 36 mesi di servizio. È l’ipotesi su cui è stata raggiunta un’intesa di massima tra il ministero dell’istruzione e i rappresentanti dei sindacati firmatari del contratto di lavoro, Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda-Unams il 3 giugno scorso. Secondo quanto è emerso nell’incontro, i 36 mesi di servizio non andrebbero intesi in senso stretto, ma come annualità di servizio. Così come previsto dall’art.11, comma 14, della legge 124/99: almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale. Quanto ai dettagli, la questione è ancora aperta.

È certo, però, che le assunzioni che faranno seguito all’indizione del concorso riservato avverranno dopo le assunzioni relative allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi già effettuati nel 2016 e nel 2018 e delle graduatorie a esaurimento. Quanto alle procedure da adottare, non è ancora stato deciso quale sarà il grado di selettività delle prove.

In pratica, non è ancora chiaro se le prove da effettuare saranno più facili, rispetto a quelle previste dal concorso ordinario oppure no. Secondo quanto risulta a Italia Oggi, sarebbe stato superato lo scoglio della preselezione. Alla sessione riservata, infatti, si accederà senza alcun filtro, salvo il possesso del requisito di servizio. Ma non è ancora chiaro se le successive prove saranno in tutto analoghe a quelle del concorso ordinario oppure si opterà per una prova teorico-pratica basata sulla simulazione di una lezione, come avvenuto nelle selezioni riservate precedenti. Va detto subito, peraltro, che sebbene il governo abbia aperto un tavolo di concertazione con i sindacati per discutere la questione, la materia è riserva di legge. Non si tratta, dunque, di una trattativa per negoziare un contratto, ma di un tavolo di consultazione per giungere a decisioni condivise e per prevenire il contenzioso. La decisione finale spetta, infatti, in via esclusiva al legislatore. Ciò vuole dire che, per dare seguito agli accordi che il governo sta per prendere al tavolo tecnico con i sindacati, sarà necessario dare forma alle decisioni tramite un provvedimento legislativo.

In ogni caso, qualora il governo dovesse escludere la possibilità di un percorso selettivo facilitato, verrebbe meno anche la necessità di adottare una procedura concorsuale riservata. Basterebbe, infatti, ampliare la quota di riserva del concorso ordinario al 50%, prevedendo l’accesso senza preselezione in favore dei precari triennalisti. Dunque, la questione resta aperta. Così come pure tutta una serie di questioni accessorie.

Prima fra tutte la compatibilità delle nuove disposizioni con il dettato costituzionale. La Consulta, infatti, di recente ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che precludeva l’accesso ai concorsi per i docenti già in ruolo (251/17). Sebbene si trattasse di una questione non sovrapponibile. Perché, in quel caso, la norma precludeva l’accesso tout-court (articolo 1, comma 110, ultimo periodo, della legge 13 luglio 2015, n. 107). Finora, peraltro, il giudice delle leggi non ha mai dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme riguardanti concorsi riservati. Sempre che, contestualmente alla selezione riservata, si tenga anche il concorso ordinario e che i posti messi a concorso vengano distribuiti equamente tra le due selezioni.

Resta il fatto, però, che qualora il governo dovesse decidere di istituire la procedura riservata senza prove semplificate, potrebbe essere meno rischioso optare per un ampliamento fino al 50% della quota di riserva del concorso ordinario. L’ordinamento, peraltro, già prevede la possibilità di istituire concorsi con una quota di riserva non superiore al 50% (si veda il comma 1-bis dell’art. 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001). E la Corte costituzionale è costante nel ritenere che questa previsione legislativa sia legittima. In ogni caso, la diatriba potrebbe essere agevolmente risolta aprendo la selezione riservata anche al personale di ruolo, se in possesso del prescritto requisito di servizio. Fermo restando che i docenti di ruolo hanno comunque diritto a partecipare ai concorsi ordinari. Allo stato attuale, peraltro, il superamento di un concorso a cattedra ha valore abilitante. E dunque, i docenti di ruolo che dovessero superare la selezione, conseguirebbero anche un titolo valido ai fini della mobilità professionale (passaggi di cattedra e di ruolo).

Si tratta, comunque, di complicazioni accessorie che deviano l’attenzione dalla questione principale. Ossia la necessità di stabilizzare i precari triennalisti archiviando il contenzioso seriale che, negli ultimi anni ha ingolfato i tribunali e, molto spesso, ha visto l’amministrazione soccombente. Tant’è che la legge 107/2015, ha dovuto prevedere un piano straordinario di immissioni in ruolo e al tempo stesso uno stanziamento di risorse per fare fronte ai costi delle soccombenze in giudizio.

Controlli biometrici all’ultimo sì

da ItaliaOggi

Nicola Mondelli

Per cercare di contrastare l’assenteismo nel settore pubblico, le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo n. 165/2001, ivi comprese le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e quelle educative, dovranno introdurre, seppur nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza degli accessi, in sostituzione dei diversi sistemi di rilevazione automatica, attualmente in uso. È quanto dispone il comma 1 dell’articolo 2 del disegno di legge n. 920-B che dovrebbe essere approvato in seconda lettura dall’Assemblea di Palazzo Madama nella seduta di domani 12 giugno nell’identico testo approvato dall’Assemblea di Montecitorio il 12 aprile 2019.

Le vivaci proteste da parte dei dirigenti scolastici, dai docenti, dal personale educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario e dalle organizzazioni sindacali di categoria avverso l’introduzione anche nelle scuole dei predetti sistemi di verifica biometrica e di videosorveglianza degli accessi, manifestatesi all’indomani dell’approvazione del disegno di legge da parte dell’Assemblea di Montecitorio lo scorso 12 aprile, non sono evidentemente riuscite ad impedire che nel testo della legge che entrerà in vigore dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale fossero presenti anche le istituzioni scolastiche.

Le proteste sono invece riuscite a evitare che sia i sistemi di verifica biometrica dell’identità impronte digitali) che quelli di videosorveglianza si applicassero indiscriminatamente a tutto il personale scolastico in servizio.

Il comma 4 del predetto articolo 2, che detto per inciso non brilla di chiarezza, dispone infatti che solo il personale docente ed educativo degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative non dovrà sottoporsi ai due sistemi di verifica, mentre i dirigenti scolastici saranno soggetti ad accertamento esclusivamente ai fini della verifica dell’accesso, secondo modalità stabilite, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strutturali. Del tutto ignorato il personale amministrativo, tecnico e ausiliario che dovrà invece sottoporsi sia alla verifica biometrica che alla videosorveglianza.

Fin qui il senso letterale della nuova legge. Ma si tranquillizzino le categorie degli gli interessati (dirigenti scolastici e personale Ata). Prima che le nuove disposizioni possano trovare concreta applicazione dovranno concretizzarsi tutti gli atti e gli adempimenti espressamente indicati nei commi 4, 5 e 6 del più volte citato articolo 2.

Considerato peraltro che tali atti per concretizzarsi richiederanno tempi non brevi è presumibile che le nuove disposizioni non potranno entrare in vigore già dall’inizio dell’anno scolastico 2019/2020 ma solo dall’anno scolastico successivo.

Sia nei confronti dei dirigenti scolastici che del personale Ata il sistema di videosorveglianza degli accessi potrà essere operativo solo dopo che sarà pubblicato, da parte del ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il ministro dell’istruzione e previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, il decreto applicativo della disposizione di legge, ma a condizione che risulti istituito nello stato di previsione del ministero dell’economia e delle finanze un apposito fondo da ripartire, con una dotazione di 35 milioni di euro per l’anno 2019.

L’utilizzo del fondo dovrà essere disposto, previa ricognizione dei fabbisogni (a partire dai costi delle apparecchiature) con uno o più decreti del presidente del consiglio dei ministri.

Per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario anche il sistema di verifica biometrica sarà operativo solo dopo che saranno stati completati i predetti adempimenti propedeutici, sempre che, nel frattempo, la pressione sindacale e la sensibilità politica avranno individuato modalità applicative meno rigide.

Ipotesi Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (MIUR, 12.6.19)

Utilizzazioni ed Assegnazioni provvisorie del Personale Docente, Educativo ed A.T.A. per gli anni scolastici 2019/20, 2020/21 e 2021/22