Droga come vetro refrattario alla luce
di Vincenzo Andraous
Un ragazzino mi ha detto: io c’ero per intero in
quel buco nero profondo, fino a esser diventato un pezzo di vetro trasparente,
refrattario alla luce, tra le macerie sotto i miei piedi.
Sono parole dette da un ragazzo che fortunatamente
ha avuto la forza di chiedere aiuto, il
coraggio maturo di alzare la mano per tentare di rialzarsi nella Comunità Casa
del Giovane.
Da molti mesi rimbombano nelle orecchie
autocelebrazioni e autoreferenzialità, pilotate da ideologie cadute in disuso,
tarlate dalle storie personali di tanti uomini devastati ed a volte “terminati” dalle sostanze.
Con questa idea della droga ricreativa, della droga
buona e quella cattiva, si fa strada il messaggio che la droga sia un bene di
consumo normale, a tal punto da pensare che assumere stupefacenti sia un
passatempo accettabile, tutto all’interno di un’accezione diventata normalità.
Accapigliarsi tra
un incompreso uso e abuso ed una
ipotetica riduzione del danno,
serve solamente a tentare di spostare l’asse di un coordinamento sociale in
fibrillazione, dimenticando che a mezzo ci stanno le persone, i vissuti devastati e devastanti di uomini
piegati, di adolescenti piagati, peggio scomparsi.
Pezzi di vita immatura ammucchiata addosso a giovanissimi
inconsapevoli del cappio al collo, costruito da una diseducazione che è
prettamente genitoriale, professorale, a tal punto da divenire cultura della
fatica non eccessiva, della responsabilità che è sempre altrui, del male
minore, sempre che ciò accada un passo, meglio due, più in là della nostra
dimora illusoriamente intoccabile.
Non esistono altisonanti carichi scientifici,
titoli, e ruoli ben definiti, che possono allontanare dalla consueta morte che
attende alla curva dei rischi estremi, non esiste un Dio altro, altero e
severo, che può elargire comandi salvifici, non ci possono essere davvero
titubanze, su questo argomento, perché davvero non sopravvive alcuna
speculazione filosofica.
Non è possibile entrare in una scuola e leggere
negli sguardi dei ragazzi l’inquietudine della colpa, anestetizzata dallo
scampato pericolo, perché stamattina il coma etilico è toccato a un altro.
Non è possibile incontrare quel giovane in una
comunità, ridotto a un ammasso di niente, sotto vuoto spinto, e con la pazienza
della speranza accoglierlo, accompagnarlo, in un percorso di ricostruzione e di
riconciliazione, ciò attraverso l’esperienza dei fallimenti non certamente
delle parole dette in fretta per non dire niente.
A una Giustizia giusta non appartiene la sanzione
punitiva nei riguardi di una tossicodipendenza che annienta dignità e capacità
di amare, aiutare non può significare
incarcerare né mutilare ulteriormente la personalità più fragile.
Chi scrive non è maestro di niente, neppure possiede
grandi consigli da donare, o intuizioni geniali per arginare questo
sgretolamento sociale, di certo però non riesco a pensare a una droga
compatibile, o collettivamente tollerabile,
forse è necessario più semplicemente non tacere, non avere timori ad
andare controtendenza, impattando senza indugio le icone della trasgressione,
in forza delle tragedie che ci portiamo addosso, memoria indelebile per
smetterla di sparare alle spalle dei più giovani.
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