Università Catania, il MIUR avvia verifiche

Università, Catania: il MIUR avvia verifiche sui docenti coinvolti e si costituirà parte civile

(Giovedì, 27 giugno 2019) Appena appresa dagli organi di stampa la notizia delle indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Catania e delle misure cautelari personali applicate su disposizione dell’Autorità giudiziaria, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha immediatamente avviato una verifica sull’eventuale presenza all’interno delle commissioni di abilitazione scientifica nazionale – o in qualsiasi altro tipo di collaborazione istituzionale con il MIUR – di docenti universitari coinvolti nel procedimento penale.

All’esito degli accertamenti saranno adottati i necessari provvedimenti di sospensione di tali collaborazioni con il personale docente coinvolto nell’inchiesta. Il MIUR provvederà inoltre a richiedere all’Autorità giudiziaria catanese copia degli atti al momento ostensibili dell’indagine, al fine di costituirsi parte civile nel futuro giudizio penale.

UN PEDAGOGISTA NELLE SCUOLE PUGLIESI

UN PEDAGOGISTA NELLE SCUOLE PUGLIESI DI OGNI ORDINE E GRADO

La VI Commissione Consiliare della regione Puglia approva all’unanimità la proposta di legge “Unità regionale di Pedagogia e formazione del personale della scuola”

Stefania Coti, presidente della regione Puglia APEI -Associazione Pedagogisti ed Educatori Italiani- si congratula i Consiglieri della VI commissione che, a seguito dei pareri favorevoli espressi durante le audizioni, hanno approvato all’unanimità la proposta di legge che prevede la presenza del Pedagogista nelle scuole di ogni ordine e grado.

Il Pedagogista è fortemente atteso da insegnanti, alunni e famiglie e rappresenta la figura “chiave”, di raccordo tra la scuola, le famiglie e il territorio. Una figura attenta alle biografie umane che accompagna gli alunni senza classificarli, capace di mediare quella complessità che a volte appare disorientante. Figura indispensabile per la prevenzione primaria dell’insuccesso scolastico, prima causa di dispersione che grava sul bilancio economico delle istituzioni scolastiche e sulla spesa pubblica del Welfare.

“Oggi abbiamo fatto un altro passo in avanti verso una scuola più moderna e attenta alla soggettività dei ragazzi” -dichiara il primo firmatario della proposta di legge Gianluca Bozzetti (M5S)-. “ La Regione Puglia valorizza l’importanza del pedagogista: una figura fondamentale perché la scuola non assolva solo al compito dell’istruzione, ma anche a quello educativo e formativo”….”La norma prevede interventi per promuovere negli alunni la motivazione allo studio e la fiducia in se stessi; per favorire l’integrazione attraverso l’educazione al rispetto delle differenze di genere, culturali, politiche e religiose e per contrastare fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo,e molto altro ancora”.

“Nel convegno regionale dell’ APEI, l’Associazione dei Pedagogisti e Educatori Italiani a cui ho partecipato lo scorso anno -continua Bozzetti nel suo comunicato regionale- sono emersi risultati positivi nelle scuole che l’anno scorso avevano aderito al bando “Diritti a Scuola”, avvalendosi del Pedagogista”…. “e da quell’incontro è nata l’esigenza di mettere a sistema l’Unità di pedagogia scolastica attraverso la modifica della legge 31 del 2009”…..“Ora che la proposta è stata approvata in Commissione ne auspichiamo la calendarizzazione in aula, così da permettere al governo regionale di avere il tempo di emanare il relativo regolamento attuativo (previsto entro 60 giorni dall’approvazione della legge), in modo da poter introdurre l’Unità di Pedagogia già dal prossimo anno scolastico”.

Stefania Coti esprime il proprio compiacimento e ringrazia l’Assessore regionale all’ Istruzione Sebastiano Leo per il previdente inserimento dei Pedagogisti nell’avviso pubblico “Diritti a scuola”, il Consigliere regionale Gianluca Bozzetti e tutti i componenti della VI commissione, auspicando la celere approvazione definitiva in consiglio regionale.

Stefania Coti

Pedagogista e presidente regionale APEI Puglia

Fondo di Finanziamento Ordinario Università

Aumentano di oltre 110 milioni le risorse per le Università. Il MIUR ha avviato l’iter per l’elaborazione del decreto con i criteri di riparto del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO). La procedura è stata iniziata dopo aver ricevuto da tutti gli atenei italiani, il 20 giugno scorso, i dati necessari per procedere alla ripartizione.

Per il 2019 è previsto uno stanziamento pari a 7.450.770.950 euro. Un incremento che supera i 110 milioni, rispetto all’assegnazione di 7.340.489.147 euro dello scorso anno.

Sono stati infatti sbloccati dal MEF i 40 milioni di euro previsti a favore dell’FFO e accantonati con l’ultima Legge di bilancio. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sbloccato inoltre, su richiesta dal Ministro Bussetti, i 30 milioni stanziati per il Diritto allo studio, originariamente accantonati con la medesima Legge di bilancio.


AUTONOMIA DIFFERENZIATA

AUTONOMIA DIFFERENZIATA: AL MOMENTO NESSUN PASSO AVANTI, MA IL PROGETTO È ESTREMAMENTE PERICOLOSO

L’autonomia differenziata che doveva andare in Consiglio dei Ministri in tempi ridottissimi, è stata posticipata di almeno una settimana.

USB continua a opporsi con fermezza a questo progetto di secessione mascherata (avviato dal centrosinistra, occorre sempre ricordarlo) che peraltro si presenta con allarmanti “buchi neri” che rendono opaca e pericolosissima l’operazione leghista, in Lombardia e Veneto, e piddina, in Emilia Romagna.

Concordiamo con l’analisi di Gianfranco Viesti sul Messaggero (link): la mancata pubblicazione delle intese con le tre regioni apripista e delle modifiche che a queste intese vengono apportate di giorno in giorno, è una palese violazione del diritto dei cittadini ad essere informati. Essi non sanno bene, se non attraverso i soliti spot demagogici e propagandistici, quali e quante materie dovrebbero passare nelle competenze delle regioni autonome, né in che termini e con quali conseguenze. Quello che sappiamo con certezza è che transiteranno dalla tutela dello Stato alla gestione delle regioni diritti fondamentali, come salute, istruzione, previdenza, sicurezza sul lavoro.

Diritti sanciti dalla Costituzione e che devono essere garantiti egualmente in ogni angolo del Paese.

Il tentativo di ridurre la discussione parlamentare ad una semplice presa d’atto, senza confronto nelle commissioni parlamentari, senza discussione nelle aule di Camera e Senato, evitando modifiche al testo che verrà presentato dal Consiglio dei Ministri, ossia senza gli emendamenti che normalmente il Parlamento ha il diritto di apportare ai testi di legge, e forzando i tempi di approvazione, se fosse confermato, sarebbe una palese violazione delle regole di base della democrazia, un’applicazione forzata di quella riforma di depotenziamento del Parlamento che con il voto del 4 dicembre 2016 venne bocciata in modo schiacciante e per la cui abrogazione USB si impegnò con tutte le sue forze.

USB crede negli strumenti che la Costituzione democratica e antifascista diede all’Italia intera e la discussione in Parlamento di un testo così delicato, che porterà ad aumentare le diseguaglianze sociali, a ridurre le opportunità di crescita nelle zone più bisognose, a modificare in modo radicale ogni aspetto della vita civile, sociale, lavorativa di ciascuno, siano indispensabili per non cadere nelle trappole di riduzione, se non sparizione, degli spazi democratici che da anni in Italia, prescindendo dal colore del governo di turno, si tendono.

Iscrizioni Anno Scolastico 2019/2020

MIUR – Ufficio Gestione Patrimonio Informativo e Statistica


Scuola, pubblicati i dati definitivi sulle iscrizioni al nuovo anno scolastico

Disponibile, da oggi, l’approfondimento statistico relativo ai dati definitivi sulle iscrizioni al nuovo anno scolastico (2019/2020) per le prime classi delle Scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado.
Le domande di iscrizione alle prime classi per l’a.s. 2019/2020, inoltrate dalle famiglie, sono state 1.553.278. Circa un milione sono quelle presentate alle scuole del Primo ciclo (473.294 alla Scuola primaria e 537.330 alla Secondaria di primo grado) mentre sono 542.654 le domande ai percorsi di istruzione e formazione di secondo grado.

Già da qualche anno si assiste a un calo nel numero dei nuovi ingressi, più marcato nel caso della Primaria che, nell’ultimo anno, registra una perdita di circa 23 mila alunni (-4,6%), mentre il ciclo di Scuola secondaria perde 20 mila studenti.

Cresce, invece, la richiesta del tempo pieno a 40 ore settimanali nella Primaria. Circa il 42% delle domande si orienta per questo tempo scuola e, in quasi in tutte le regioni, si evidenzia una maggior propensione a lasciare i propri figli a scuola con un orario prolungato. Lazio e Piemonte sono le regioni dove la richiesta è maggiore (rispettivamente 59,6% e 58,5% delle domande inoltrate), mentre Campania e Liguria sono quelle dove si registra un maggior incremento di tale richiesta.

La scelta dell’indirizzo alla scuola superiore
Il percorso liceale continua ad essere quello preferito, con il 54,6% di iscritti. Puntando lo sguardo agli ultimi tre anni, la scelta del Liceo scientifico e del Liceo classico risulta in costante ascesa: se un ragazzo su quattro sceglie di studiare allo Scientifico, l’opzione delle Scienze Applicate, con l’8,2% di iscritti, è quella che registra il maggior incremento (+0,6% rispetto al 2017/2018); per il Classico, la quota dei nuovi ingressi sale al 6,7%.
C’è poi chi,  con la prospettiva di diplomarsi un anno in anticipo, ha scelto di iscriversi a un percorso quadriennale. Il 75,7% di questi studenti si è orientato verso il percorso liceale. In particolare, il gruppo più numeroso è costituito dagli iscritti al Liceo scientifico (43,2%).

La preferenza per le materie dell’area scientifica si riflette anche nella crescita delle iscrizioni agli Istituti tecnici che, nel prossimo anno scolastico, raggiungono il 31%. In particolare gli indirizzi del settore “Tecnologico”, con il 19,7% di iscritti, sono quelli che ottengono il maggiore interesse.

Si conferma, infine, la vocazione femminile per gli studi liceali (60,5% dei nuovi iscritti) con picchi che riguardano la sezione Coreutica del Liceo musicale (90,6%) e le Scienze Umane (88,6%). Negli Istituti tecnici la situazione si ribalta e il 70% degli iscritti è di sesso maschile; quota che raggiunge l’83% per gli indirizzi del settore Tecnologico. La preferenza dei maschi per le materie tecnico-scientifiche si evidenzia, inoltre, nel Liceo scientifico, dove la presenza femminile scende al di sotto della metà. 

Patto tra Google e Fondazione Agnelli per il social dei prof

da Il Sole 24 Ore

di Filomena Greco

Una alleanza tra il gigante Google e la Fondazione Agnelli per condividere e migliorare l’esperienza di insegnamento e i modelli didattici. La notizia è arrivata durante Te@ch, una giornata dedicata alle innovazioni tecnologiche applicate alla formazione organizzata nell’ambito dell’Italian Week in corso a Torino. Ad annunciare le novità è direttamente il presidente della Fondazione Agnelli John Elkann, con Carlo d’Asaro Biondo, presidente di Emea Strategic Relationships di Google. A ottobre partirà la sperimentazione di Parallel Education, una piattaforma ideata e promossa da Fondazione Agnelli e implementata da Google riservata agli insegnanti. Saranno in 300, a partire dal prossimo anno scolastico, a potersi confrontare su Parallel Education per scambiare esperienze, risolvere problemi, implementare percorsi didattici. Una sorta di piattaforma sharing per condividere e migliorare le esperienze didattiche, a cominciare dalla scuola media.

«Quanto presentato qui non finirà con questo annuncio – promette il presidente Elkann – perché la tecnologia gioca un ruolo chiave». Anzitutto nell’insegnamento, da sempre focus privilegiato per la fondazione diretta da Andrea Gavosto. «Abbiamo deciso di focalizzarci sulla scuola media – spiega Gavosto – che resta uno snodo debole nel sistema di formazione italiano ma importante per le scelte dei ragazzi, e sul tema delle e metodologie di insegnamento che in Italia sono più vecchie di quelle degli altri paesi, troppo incentrate sulla lezione frontale classica». Per fare innovazione, dunque, bisogna formare i docenti e farlo in maniera nuova, «coinvolgendoli su una piattaforma dove si promuovono e si condividono buone pratiche in anonimato». Parallel Education rappresenta una piazza digitale per la formazione reciproca (peer-to-peer training) realizzata grazie alla tecnologia Google Cloud. Dopo un anno di sperimentazione, dal 2020 sarà disponibile gratuitamente per tutti i docenti italiani.

La collaborazione tra Fondazione Agnelli e Google in realtà ha precedenti importanti come ricorda lo stesso Elkann, in particolare i corsi di formazione al coding Google CS First, che nelle due edizioni realizzate hanno coinvolto oltre cento insegnanti delle scuole primarie e delle secondarie di I grado. Si tratta di un corso per avvicinare alle basi della programmazione con linguaggio Scratch, il più diffuso per la programmazione a blocchi. L’obiettivo è permettere a studenti dai 9 ai 14 anni, di realizzare, con la guida degli insegnanti, percorsi digitali su sport, arte, moda, narrazione.

Quel dossier esplosivo che smonta l’autonomia

da Il Messaggero

Gianfranco Viesti

No, non sembra proprio che il problema sia liquidabile come semplice «discussione a livello di burocrati ministeriali che la riforma non la vorrebbero», come è stato detto l’altra sera a caldo. Stiamo parlando delle richieste di autonomia regionale differenziata (lo spacca-Italia come opportunamente definito da questo giornale). E delle questioni che esse sollevano: di funzionamento della democrazia parlamentare; di organizzazione giuridica e funzionale dei poteri pubblici; di grandi flussi di spesa pubblica.
Il tema solleva interrogativi preoccupanti sotto il profilo del chi e del come prende le decisioni in Italia. Abbiamo appreso dall’ Appunto del Dipartimento per gli affari giuridici della Presidenza del Consiglio (reso noto ieri da questo giornale), che esistono dal 16 maggio nuovi schemi di intesa fra il governo e le tre regioni interessate: Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.
Ma questi schemi sono segreti per l’ampia parte inclusa nel Titolo II, che dettaglia i nuovi poteri. Non sono noti né ai cittadini italiani né agli stessi parlamentari della Commissione Bicamerale sul Federalismo Fiscale che stanno svolgendo un’utile indagine preliminare conoscitiva.
Ma se quella che viene definita l’autonomia è davvero la medicina per lo sviluppo del Paese, e non porterà che benefici a tutti i cittadini, perché il Governo o le tre Regioni non li rendono noti? Perché non spiegarlo concretamente, dettagliatamente agli italiani, che in stragrande maggioranza ancora non ne sanno nulla? Addirittura, abbiamo appreso, la Regione Lombardia richiede che il processo di approvazione parlamentare preveda la non emendabilità del testo. Testi segreti, approvazione rapida. Ma non può essere così: come già argomentato da moltissimi giuristi e politici, secondo il Dipartimento «appare necessario (…) garantire il ruolo del Parlamento (…) la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente incisa dalle scelte operate nell’ambito delle Intese».
Ma perché invece è così importante che il Parlamento abbia tempo e modo di «vedere le carte» e di decidere come meglio crede, in rappresentanza di tutti gli italiani? Perché il progetto tocca tutte le grandi politiche si fanno nel nostro Paese, e le ridisegna; con conseguenze rilevanti per i cittadini delle tre Regioni e di tutti gli altri. Dalla scuola alla sanità, dalle infrastrutture, all’energia, all’ambiente.
La Lombardia ha chiesto 131 nuove competenze legislative e amministrative. Vogliamo discuterne? E’ giusto concederle? In base a quali principi, quali valutazioni di efficacia, efficienza, equità? Le Regioni dovrebbero innanzitutto dimostrare che vi sono nel loro caso e non in altri – «interessi peculiari da soddisfare». Ma poi, nota il Dipartimento, «una così ampia estensione dell’autonomia è suscettibile di determinare, di fatto, la creazioni di nuove regioni a statuto speciale». In modo indiretto, senza modificare la Costituzione. E ancora, se «tutte le Regioni di diritto comune avanzano richieste di analogo contenuto (…) il riparto di competenze di cui all’articolo 117 finirebbe per essere sostanzialmente alterato». Cioè, ancora una volta, si inciderebbe indirettamente sulla Costituzione (articolo 117) cambiando gli equilibri fra governo nazionale e governi regionali. Insomma, il timore è quello di una modifica surrettizia della Costituzione: materia da grande e attentissimo dibattito parlamentare.
Vi sono poi gli aspetti finanziari. Le bozze di Intesa sono scritte per dare ogni vantaggio alle tre regioni richiedenti, mettendo i costi a carico delle altre, e dei loro cittadini. Sono diversi i punti dei testi del 16 febbraio (il Titolo I delle Intese, che è sul sito del Dipartimento affari regionali, e che sembrerebbe confermato) che possono determinare questo esito. Più di uno studioso lo ha messo in luce con chiarezza; su queste colonne sono stati illustrati e commentati. Il testo è tanto complesso nella sua formulazione letterale quanto chiaro nei propri obiettivi: determinare risorse maggiori per le tre Regioni, metterle al riparo da manovre d’emergenza di finanza pubblica, a spese delle altre. La conclusione lapidaria del Dipartimento è che ciò è «suscettibile di determinare una violazione indiretta degli articoli 5, 81, 116 e 119 della Costituzione».
Concludendo. Altro che burocrati; non sono certo piccole osservazioni tecnico-amministrative. Si tratta di grandi questioni di funzionamento dei processi democratici; di organizzazione e fruizione per tutti gli Italiani dei grandi servizi pubblici; di criteri di finanziamento e di riallocazione delle scarse risorse di cui il nostro paese dispone. Il rischio, sempre presente, è quello di una secessione dei ricchi.
Cioè a dire, la formazione, nelle aree più ricche del paese, di regioni che somigliano molto ad un vero e proprio stato e che godono di poteri straordinariamente vasti e di un finanziamento maggiore dei servizi per i propri cittadini. Che rimangono in Italia per quanto conviene: come per il debito pubblico, che rimarrebbe a carico di tutti. E, di converso, la definizione residuale di un’Italia minore, con diritti di cittadinanza assai inferiori.
Una prospettiva pericolosa, ma possibile. Sulla quale sarebbe bene che finalmente si facessero sentire tutti quei protagonisti della politica, dal Pd a Forza Italia, finora asserragliati in un silenzio sempre più insostenibile. In fin dei conti si vuole cambiare radicalmente l’Italia: non sarebbe il caso di discuterne?

«Una scuola senza qualità genera rabbia sociale e populismo»

da Corriere della sera

Luciano Benadusi

Come si desume già dalla sua testata Scuola democratica, rivista trimestrale edita da Il Mulino , ha da sempre focalizzato il suo impegno intellettuale sulla relazione fra educazione e democrazia, in coerenza con il lascito culturale di John Dewey. Questo impegno è divenuto anche più importante oggi dinnanzi ad una crisi della democrazia liberale che va diffondendosi nel mondo sino a farsi minacciosa perfino in Paesi dove sembrava aver piantato le più solide radici. Per tale ragione la rivista ha organizzato la sua prima conferenza scientifica internazionale a Cagliari il 6-7-8 giugno, sul tema «Education and Post-Democracy». La rilevanza attuale del tema, insieme al carattere interdisciplinare ed internazionale della conferenza, spiega l’ampiezza della partecipazione: fra ricercatori universitari ed extra universitari nonché insegnanti e dirigenti scolastici circa 850 persone provenienti da 27 nazioni (dall’Italia all’Europa, dagli Stati Uniti all’America del Sud, dall’Asia al Nord Africa).

Il termine post-democrazia, proposto dal sociologo inglese Colin Crouch in un suo volume del 2003 e dall’autore ripreso più volte anche di recente, come nella videointervista rilasciataci ad hoc per la conferenza, descrive le tendenze in gioco nel processo di crisi della democrazia identificandone l’origine in due fattori: fin dall’inizio il neo-liberismo, poi e in forma ancora più diretta il populismo. Fattori assai diversi, diciamo pure opposti, ma al tempo stesso dialetticamente legati, perché la destabilizzazione economica a livello globale e la crescita delle disuguaglianze provocate dal primo hanno spianato per reazione la strada al secondo. Il populismo, specie nelle sue versioni nazionaliste e xenofobe, mina le fondamenta della democrazia moderna perché ne svuota di sostanza i meccanismi politici erodendone al contempo la base culturale, attaccata soprattutto nel suo tratto costitutivo di tipo liberale: il pluralismo, il rispetto e la valorizzazione della diversità, la difesa dell’autonomia degli individui e dell’opinione pubblica da ogni forma di repressione e manipolazione, la correttezza dell’informazione e dello stesso linguaggio quale prerequisito per la convivenza e la cooperazione sociale pur nel conflitto degli interessi e degli ideali, il giusto peso da riservare alla scienza e alla competenza nella formazione degli orientamenti e delle decisioni pubbliche. Non è dunque una sorpresa che le ricerche e i sondaggi condotti in molti Paesi, richiamati in più occasioni nella conferenza, mettano in luce che il populismo negli atteggiamenti, e in una certa misura nelle stesse scelte elettorali (vedansi ad esempio le elezioni presidenziali negli SU e in Francia e il referendum inglese sulla Brexit) vari inversamente al variare dei livelli di istruzione. Più bassa l’istruzione più alta la quota degli atteggiamenti e comportamenti di stampo populista, xenofobo, intollerante se non addirittura violento.

Evidenze empiriche che corroborano tale conclusione a livello transnazionale sono venute dalla relazione di Loredana Sciolla, un sintesi della quale è uscita su queste pagine il 17 giugno. Un’analisi dei dati della European Values Survey del 2016, presentata alla conferenza da Giancola e Ricotta giunge a conclusioni simili: a fornire le risposte più aperte alle domande sull’immigrazione sono sempre i giovani ben istruiti, specie se appartenenti a famiglie anche esse con elevati livelli di scolarizzazione. Ma in parte lo sono anche quelli provenienti da famiglie poco istruite e che se rimasti sotto-istruiti come i loro genitori si collocano invece sul picco della chiusura. E’ da notare poi che la chiusura si evidenzia maggiormente in Italia rispetto agli altri quattro Paesi considerati (Inghilterra, Francia, Germania, Spagna). Ciò dimostra che se l’origine socio-familiare incide decisamente sul grado di apertura mentale degli studenti un significativo e indipendente impatto su di essa lo esplicano anche la scuola e l’università. Più istruzione e più equamente distribuita rappresenta dunque una precondizione necessaria per rispondere efficacemente alla sfida della post-democrazia. Non la sola, tuttavia.

Una seconda precondizione è l’instaurazione di un forte nesso fra equità nelle politiche dell’istruzione ed equità nelle politiche economico-sociali. La povertà e la disuguaglianza educativa tanto più sono oggi un fattore trainante del nazional-populismo in quanto si sommano con la povertà e la disuguaglianza economica. Le quali a loro volta generano rabbia e protesta nei confronti delle istituzioni democratiche, estremizzazione politica, avversione nei confronti di tutte le élite comprese quelle intellettuali, ostilità verso il diverso, il minoritario, lo straniero. Una terza e cruciale precondizione riguarda la qualità dell’istruzione offerta, nel senso di un suo più intenso e pervasivo indirizzamento all’obiettivo del formare le conoscenze e le competenze strategiche per il buon funzionamento della liberal-democrazia, e ciò a livello sia della società che della politica.

Un’analisi dei dati raccolti nel tempo dalla Swg ci porge un quadro a chiaroscuri, non privo di aspetti preoccupanti. Alla domanda su quanto ha inciso la scuola nel determinare una serie di attitudini rilevanti su questo terreno (“il suo modo di relazionarsi con le idee degli altri”, “il suo modo di informarsi” ed altre simili) le risposte positive dei giovani appaiono nettamente in calo rispetto alle precedenti generazioni. Viceversa aumenta l’influenza della cultura giovanile, cioè degli amici, e dei social che spesso veicolano fake news, linguaggi e ragionamenti iper-semplificati ed emotivi, hate speeches. Donde una sfida per l’istruzione: divenire sempre più luogo di formazione del pensiero informato, critico, argomentativo e riflessivo applicato alla sfera socio-politica e a quella dei new media. Si può pure partire dal dispositivo sull’educazione civica approvato di recente dalla Camera, sulla cui utilizzazione su tematiche attuali in una chiave di gestione democratica delle controversie è stata avanzata a Cagliari un’innovativa proposta da Alessandro Cavalli. Ma la mission dell’educazione ai valori, alle regole e alle pratiche della liberal-democrazia è toppo sfidante e complessa per venire delegata ad un solo insegnante ed in un orario rigidamente delimitato. E non divenire invece un impegno condiviso da tutti i docenti, e da assolvere ciascuno nella sua materia o insieme ad altri in ben progettate attività interdisciplinari.

Mobilità: da revocare alcuni trasferimenti secondaria. Caos Uffici Scolastici

da Orizzontescuola

di redazione

Mobilità 2019/20: ci è appena giunta in redazione notizia che i trasferimenti e i passaggi di cattedra/ruolo, pubblicati in un’unica giornata, lunedì 24 giugno, per tutti i gradi di scuola, potranno subìre delle modifiche già in queste ore.

Secondo i dati forniti dal Ministero, è stato soddisfatto oltre il 55% delle domande di mobilità.

Rettifica trasferimenti

A due giorni dalla pubblicazione dei trasferimenti, per alcuni docenti della scuola secondaria di I e II grado arriva una doccia fredda, ossia la revoca del movimento disposto.
Il Miur, nell’elaborazione centrale informatizzata, avrebbe dimenticato di accantonare i posti per le immissioni in ruolo disposte dal concorso abilitati 2018, rendendolo così utili ai fini dei trasferimenti.
Non appena gli Uffici Scolastici si sono accorti dell’errore, si è reso così necessario rivedere i tabulati.
Questo, inevitabilmente, creerà inevitabilmente dei contenziosi.
Ci è stato comunicato che qualche docente ha già avuto la modifica della titolarità su Istanze online.
Si potranno verificare due situazioni:
  • annullamento del trasferimento
  • revoca del trasferimento ma nuova titolarità in altra provincia o scuola.
Le rettifiche dovranno concludersi entro il 28 giugno.
Nelle prossime ore notizie più aggiornate.

Pensioni, accertamento diritto per 99% domande con requisiti Fornero e per 74% con quota 100

da Orizzontescuola

di redazione

Miur e sindacati, insieme al Direttore Generale dell’Inps,  hanno fatto il punto sull’accertamento del diritto a pensione riguardante il personale della scuola, alla data del 24 giugno 2019.

Domande con requisiti Fornero

Le domande presentate entro il 12 dicembre, quindi con i requisiti previsti dalla legge Fornero, sono state 25.023, come riferisce la Cisl Scuola. Delle predette domande 24.980 hanno avuto già il benestare dell’Inps, ossia è stato accertato il diritto a pensione degli interessati. Si tratta del 99,12% delle istanze presentate.

Domande quota 100

A fronte di 22.197 domande presentate con i requisiti previsti dalla cosiddetta quota 100, è stato certificato il diritto a pensione di 16.713 istanze, pari al 74,17%.

Nelle più grandi città metropolitane (Roma, Milano e Napoli) lo stato di avanzamento delle certificazioni delle domande quota 100 si attesta intorno al 50%.

La certificazione del diritto a pensione delle rimanenti domande dovrebbe concludersi, secondo quanto affermato dall’Inps, entro fine luglio. Pertanto, introno al 20 del predetto mese dovrebbe svolgersi un altro incontro.

Riforma sostegno, audizione in Senato: novità e criticità. L’iter del decreto

da Orizzontescuola

di redazione

Prosegue l’iter del decreto di revisione del D.lgs. 66/2017, recante norme per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Oggi, audizione in VII Commissione Istruzione in Senato.

Novità

Tra le principali novità introdotte dal decreto di revisione (soggette comunque ancora a modifiche) ricordiamo:

  • la restituzione al GLHO della competenza relativa alla richiesta delle ore di sostegno, che il D.lgs. 66/17 assegnava al GIT, un organo tecnico e distante dall’alunno disabile;
  • la continuità didattica assicurata anche dai docenti supplenti.

Audizione in Senato

Come detto sopra, si è svolta oggi un’audizione in VII Commissione Istruzione al Senato.

I sindacati hanno espresso parere negativo sull’invarianza di spesa, tramite cui va effettuata la riforma. Invarianza di spesa che riguarda addirittura l’adeguamento dell’organico alle situazioni di fatto.

La Cisl ha chiesto una modifica dei corsi laurea in Scienze della Formazione Primaria, in modo che la specializzazione su sostegno ne diventi parte integrante.

Iter decreto

Lo schema di decreto, come scrive anche la Flc Cgil, una volta acquisito il parere (non vincolante) delle Commissioni Parlamentari, tornerà in Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva.

La predetta approvazione dovrà avvenire entro 90 giorni dalla data dell’approvazione preliminare (avvenuta il 20 maggio 201 9).

Chiamata diretta insegnanti va in soffitta, titolarità su scuola per tutti

da Orizzontescuola

di redazione

L’iter del DDL che elimina chiamata diretta e ambiti territoriali sta giungendo a conclusione. Ne parla la Sen. Bianca Laura Granato, prima firmataria del testo.

Stiamo aspettando i pareri della commissione Bilancio e poi, finalmente, potremmo votare in commissione Istruzione e in aula al Senato l’abrogazione di chiamata diretta e ambiti territoriali….

Ormai manca davvero poco..” commenta la Granato.

Il disegno di legge As 763 “Modifiche alla legge 13 luglio 2015, n. 107, in materia di ambiti territoriali e chiamata diretta dei docenti” prevede l’abrogazione dei commi 18, 80, 81 e 82 dell’articolo 1 della legge 107/2015,  che istituiscono gli ambiti territoriali e la cosiddetta chiamata diretta, poi battezzata “per competenze” per attutirne l’impatto emotivo.

Già il contratto sulla mobilità per il triennio 2019/22  ha disposto la modifica di titolarità per i docenti che avevano incarico triennale e titolarità su provincia per i docenti senza sede.

Adesso serve la copertura normativa, che si troverà appunto con l’approvazione di questo disegno di legge.

L’eliminazione della chiamata diretta: uno dei punti del Contratto di Governo

Eliminazione della chiamata diretta era uno dei punti inseriti nel Contratto di Governo:

“Un altro dei fallimenti della c.d. “Buona Scuola” è stato determinato
dalla possibilità della “chiamata diretta” dei docenti da parte del dirigente scolastico. Intendiamo superare questo strumento tanto inutile
quanto dannoso”

Immissioni in ruolo: si sceglierà la scuola

Di conseguenza, anche per le immissioni in ruolo dell’a.s. 2019/20 si sceglierà la scuola.

I docenti delle GaE sceglieranno una scuola della provincia in cui sono inseriti, i docenti delle graduatorie di merito dei concorsi una scuola di una provincia disponibile quando sarà il loro turno di scelta.

Pensioni Quota 100, rimangono in bilico in 5 mila. Bussetti: ottimo lavoro di squadra Miur-Inps

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Sono oltre 5 mila i docenti e Ata, su 27 mila candidati, ancora a non sapere se il prossimo anno scolastico saranno ancora in servizio o andranno in pensione attraverso l’anticipo “Quota 100”: dopo l’esperienza negativa dell’anno scorso, quando diverse migliaia di lavoratori della scuola ha avuto la risposta definitiva dall’Inps solo all’ultimo momento, alcuni addirittura ad agosto, il quadro è decisamente migliorato.

Quota 100: lavorate il 79,77% delle domande

Lo hanno detto i dirigenti ministeriali ai sindacati, nel corso di un incontro tenuto al Miur, al quale erano presenti anche rappresentanti dell’Inps, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, che stanno collaborando attivamente attraverso i loro uffici territoriali.

Al 24 giugno, secondo i dati presentati ai sindacalisti, risulta lavorato il 99,12% delle domande di pensionamento presentate entro il 12 dicembre scorso, secondo le regole di pensionamento vigenti prima dell’introduzione della cosiddetta ‘quota 100’ entrata in vigore successivamente (si tratta della cosiddetta prima platea).

Risulta poi lavorato il 79,77% delle domande relative alla cosiddetta seconda platea, quella che ha presentato domanda entro il 28 febbraio, dopo l’introduzione di ‘quota 100’.

Essendo 27 mila le domande presentate, risultano quindi oltre 5 mila richieste ancora non definite.

Il ministro: procediamo rapidamente

“Siamo particolarmente soddisfatti – ha detto il ministro Marco Bussetti – dell’andamento delle operazioni. Grazie al lavoro di squadra svolto da Miur e Inps, sia attraverso gli uffici centrali che territoriali, stiamo procedendo molto rapidamente con le certificazioni”.

“L’obiettivo finale – ha concluso Bussetti – è quello di consentire a coloro che nella scuola hanno diritto alla pensione di poterne usufruire da settembre, senza soluzione di continuità con lo stipendio. Anche a quelli che hanno presentato domanda nell’ambito della finestra che si è aperta a seguito dell’introduzione di ‘quota 100’ e dell’‘Opzione donna’”.

Carta docente, Consiglio di Stato: no Ata ed educatori. La replica: allora mettiamola nello stipendio con Fis e bonus

da La Tecnica della Scuola

Di Alessandro Giuliani

Niente card annuale da 500 euro per gli educatori. E nemmeno per il personale Ata. La decisione, già presente nella Legge 107/15, è stata ribadita dal Consiglio di Stato.

Eppure gli educatori sono docenti

Prima con una sentenza di inizio maggio, il 9, perché, sostengono i giudici, l’educatore che opera nei convitti “non ha titolo per invocare il riconoscimento in proprio favore della carta del docente, in quanto non è richiesto ad essi (…) l’obbligo di formazione aggiuntivo rispetto al PTOF” che invece sarebbe previsto solo per i docenti in base al comma 121 della L.107/2015″.

Solo che gli educatori sono docenti a tutti gli effetti, della scuola primaria per l’esattezza, profilo a quale risultano equiparati a tutti gli effetti.

Mentre i sindacati hanno deciso di incontrarsi per valutare “quali ulteriori iniziative sarà possibile intraprendere a tutela del personale educativo”, il “gruppo nazionale degli educatori” parla di “una sentenza che riporta soli pregiudizi” e “palesemente discriminante”, perché, sottolinea, “contraddice il quadro normativo, se si considera che finanche alla luce dell’ultimo rinnovo contrattuale, il personale educativo è docente a tutti gli effetti”.

Sentenzia ingiusta: perché non portare tutto in busta paga?

La sentenza, continuano gli educatori, “sancisce cioè il solo inquadramento economico al pari dei docenti, tesi dell’appellante, senza riportare a supporto alcun riferimento normativo. Del resto se la Carta docente fosse utile per aggiornarsi, allora sarebbe dovuta a tutti i lavoratori della scuola”.

“Riteniamo invece che sarebbe di gran lunga preferibile eliminare tutte queste “elemosine” della scuola renziana, da queste incrementando invece gli stipendi dei lavoratori della scuola. Denunciamo pertanto l’ingiusto trattamento e chiediamo la cancellazione del bonus, con l’inserimento dei relativi proventi per tutti nello stipendio tabellare anche ai fini pensionistici.

Con Fis e bonus quasi 100 euro in più al mese

Chiediamo quindi che Miur e sindacati prendano atto che la stagione politica dei bonus è finita. Molti sindacati infatti, continuano a sostenere la necessità di cancellarli ed erogarne il contenuto in busta paga per tutti, docenti inclusi.

Per gli educatori, “tra Fis, bonus merito, carta docenti, ci sarebbero circa un miliardo da mettere sugli stipendi di Ata, educatori e docenti, che significa circa 1.000 euro lordi in più all’anno, finanche pensionabili”.

La richiesta è chiara: portiamo “reddito utile anche a fini pensionistici”, quindi inserire “quella cifra” nello “stipendio tabellare”.

Una proposta di non facile soluzione

Per rendere la richiesta degli educatori fattibile, ricordiamo che sarebbe necessaria una modifica alla norma madre, la L.107/15, da cui è poi scaturito il il DPCM del 28 novembre 2016, il quale regola l’assegnazione del bonus annuale da 500 euro ai docenti.

Sarebbe stato più semplice, invece, allargare il bonus alle altre figure professionali. Ma il Consiglio di Stato non si è detto d’accordo.

Disco rosso anche per gli Ata

Una sentenza simile, sempre del Consiglio di Stato, la 4107 del 18 giugno scorso, è stata emessa sullo stesso argomento per il personale Ata.

Secondo i giudici, il personale Ata ricopre “funzioni amministrative, contabili, gestionali, strumentali, operative e di sorveglianza connesse all’attività delle istituzioni scolastiche”, che non hanno nulla a che vedere con quelle “assolte dal personale docente”.

Non trattandosi di un incremento di stipendio, va assegnata solo al personale di ruolo. Anche in questo caso, la sentenza lascia più di qualche dubbio: in particolare, non si comprende per quale motivo, ancora di più nella scuola dell’autonomia, il personale Ata non abbia diritto ad aggiornarsi professionalmente.

Carta del docente 500 euro, le risposte alle domande più frequenti

Come sappiamo, la Legge 107/2015 ha introdotto un bonus di 500 euro da utilizzare per l’aggiornamento e l’auto formazione professionale dei docenti di ruolo. Non mancano i dubbi relativi all’utilizzo della carta del docente, che ricordiamo prevede un’identità digitale Spid prima della registrazione al portale dedicato del Miur (CLICCA QUI)

A tal proposito, proviamo a fare chiarezza su alcuni dei quesiti che ci vengono posti dai nostri lettori.

Come ottenere lo SPID

Lo SPID è il sistema di autenticazione che permette a cittadini ed imprese di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione e dei privati aderenti con un’identità digitale unica.

L’identità SPID è costituita da credenziali (nome utente e password) che vengono rilasciate all’utente e che permettono l’accesso a tutti i servizi online, in questo modo si potrà accedere ai vari servizi senza la necessità di acquisire le diverse credenziali previste dai singoli enti. È utilizzabile da computer, tablet e smartphone.

Secondo le istruzioni fruibili sul sito dell’Agenzia per l’Italia digitale, occorre essere in possesso di un indirizzo e-mail, un numero di telefono cellulare, tessera sanitaria e di un documento di identità valido (uno tra carta di identità, passaporto o patente).

Il primo passo è quello di registrarsi sul sito di uno degli “Identity provider” a scelta tra Aruba, InfoCert, Namirial, Poste Italiane, Register.it, Sielte e Tim. I tempi di rilascio dell’identità digitale dipendono dai singoli gestori. La procedura di registrazione varia a seconda dell’Identity provider scelto.

L’accesso avviene utilizzando il nome utente e la password scelti al momento della registrazione. Per alcuni servizi, che richiedono un grado di sicurezza maggiore, è necessaria anche la generazione di un codice temporaneo di accesso (OTP: one time password) via sms o utilizzando una “app” su smartphone o tablet.

Maggiori informazioni sono disponibili a questo LINK (clicca qui)

Esami di Stato: come funziona la maturità negli altri Paesi europei?

da Tuttoscuola

Questo, per l’Europa, è stato un anno particolare. Tra la Brexit che rischia di mettere in discussione lo spirito comunitario, e il dilagare dell’emergenza terrorismo si è parlato spesso e volentieri delle vicende interne alle nazioni del ‘vecchio continente’. Ma il 2019 è stato soprattutto l’anno delle elezioni europee. Inevitabili i paragoni fra sistemi di voto e forme di governo. Così, rimanendo in tema di confronti, perché non farne uno anche sugli esami di Stato? Come si conclude il ciclo delle scuole secondarie nei Paesi europei? Quello italiano lo conosciamo bene (anche se nel 2019 cambieranno le regole del gioco pure qui). E gli altri? Non sempre, spiega Skuola.net, la risposta è così semplice.

Esame di Stato: come funziona di Inghilterra?

In Inghilterra il futuro si decide in anticipo. Gli studenti d’oltremanica sono in qualche modo ”obbligati” ad avere le idee chiare prima di sostenere gli esami di scuola superiore. Perché questo, inevitabilmente, influirà sulla loro carriera universitaria e lavorativa. In Inghilterra, infatti, quello che noi conosciamo come esame di maturità non è altro che un diploma di abilitazione , chiamato ”A-Level”, che possono conseguire solo i ragazzi con i voti più alti. L’esame di Stato non è organizzato dalle scuole ma da istituti o enti specializzati e si concentra solamente su 3 materie, scelte dal maturando tra quelle più indicate per iscriversi alla facoltà universitaria preferita (che dovrà rimanere quella, senza possibilità di ripensamenti dell’ultimo minuto). L’esame è suddiviso in due parti: l’AS, che si tiene il penultimo anno di scuola dell’obbligo sul 50% dei rispettivi programmi, e l’A2, che si svolge al termine del percorso di studi superiori.

Esame di Stato: e in Francia?

In Francia solo i più bravi vanno avanti. Quello con gli esami di Stato per gli studenti francesi è un appuntamento molto importante e duro da sostenere. Per i ragazzi transalpini, infatti, il conseguimento del diploma di scuola superiore, chiamato BAC, abbreviazione di Baccalauréat, permette d’iscriversi all’università ma non basta per accedere alle Grande Ecoles, le prestigiose scuole di alta formazione per le professioni più specialistiche. Per queste, infatti, serve un anno di studi supplementare e il superamento di un esame di ammissione. Ma questo particolare non fa del BAC un esame facile, casomai è il contrario: gli studenti vengono infatti valutati una prima volta durante il penultimo anno di scuola e, alla fine del percorso di studi, sarà una commissione esterna, in genere molto esigente visto che la percentuale di bocciature supera sempre il 20%, a dare il via libera per l’iscrizione all’università.

Esame di Stato: il diploma per la carriera

In Germania il diploma indirizza la carriera. L’istruzione di livello superiore si divide tra quella ”generale” (simile alla nostra) e quella ”a vocazione professionale”, che avvicina al mondo del lavoro. Per ottenere l’Abitur, l’equivalente del nostro diploma di maturità, necessario solo per il primo percorso, non serve un esame formale come da noi: il titolo di studi superiori tedesco viene infatti rilasciato da commissioni interne sulla base del percorso dello studente negli ultimi due anni di scuola. Con un esito positivo praticamente per tutti. Attenzione, però, perché il voto farà una grande differenza: se è molto buono, lo studente potrà decidere di iscriversi a qualsiasi università. Se invece il risultato è scarso ci si dovrà accontentare dell’ateneo scelto dall’Ufficio Centrale per il Collocamento degli studenti negli Istituti Universitari, l’ente creato apposta per organizzare la formazione professionale dei giovani tedeschi.

L’esame di Stato in Olanda

E in Olanda l’esame di Stato è in realtà un test di ammissione. Qui il sistema d’istruzione superiore si divide in 3 livelli: il primo step, chiamato Mavo, si consegue a 16 anni e permette di accedere ad un numero ristretto di opportunità lavorative; il gradino successivo, chiamato Havo, termina a 17 anni dando una formazione superiore nei mestieri scelti; l’ultimo passo, il Vwo, è il cosiddetto livello pre-universitario, si consegue a 18 anni ed è l’unico che consente l’iscrizione all’università. Solo al termine del Vwo i ragazzi dovranno sostenere un esame finale, che servirà a formare le graduatorie per l’accesso alle facoltà a numero chiuso.