Specializzazioni mediche

Specializzazioni mediche, pubblicato il decreto con la distribuzione dei posti. Aumentano i contratti, sono 8.776

Bussetti: “Dobbiamo superare imbuto formativo e dare ai giovani
laureati la concreta opportunità di completare il proprio percorso ed esercitare la professione”

È stato pubblicato l’8 luglio il decreto, firmato dal Ministro Marco Bussetti, con la distribuzione dei posti presso le Scuole di specializzazioni mediche finanziati con risorse statali, regionali e provenienti da altri enti pubblici e/o privati e di quelli riservati alle categorie previste dal decreto legislativo 368/1999.

I contratti di formazione medica specialistica per il 2018/2019 sono in aumento rispetto allo scorso anno: il totale è di 8.776. Di questi, 8.000 sono finanziati con risorse statali (erano 6.200 l’anno scorso), 612 con fondi regionali (a fronte dei 640 dello scorso anno accademico), 164 con risorse di altri enti pubblici e/o privati (per il 2017/2018 erano 94).

“Come promesso, abbiamo aumentato ulteriormente le borse di specializzazioni mediche, andando incontro alle esigenze di giovani professionisti e più in generale del nostro Paese. L’Italia ha bisogno di medici. Per questo stiamo anche ampliando la platea di studenti universitari che possono accedere ai corsi di Medicina e Odontoiatria. Dobbiamo ora continuare ad aumentare, anche per i prossimi anni, i contratti delle specializzazioni mediche per dare ai nostri laureati l’opportunità concreta di completare il proprio percorso, superando l’imbuto formativo che fa sì che non possano esercitare perché non specializzati. Stiamo agendo in maniera strategica. Continueremo in questa direzione”.

Per quanto riguarda, invece, i posti riservati: 238 sono previsti per i medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (194 i posti dello scorso anno), 24 i posti alle esigenze del Ministero della Difesa (erano 29 nel 2017/2018) e uno quello a disposizione della Polizia di Stato (a fronte dei 7 dello scorso anno).

I bambini non giocano

I bambini non giocano

di Maurizio Tiriticco

Tutti sanno che l’essere umano, quando è piccolo, gioca, ma poi, divenuto grande, non gioca più. Ma questa diffusa credenza corrisponde alla realtà? Assolutamente no! Il bambino non gioca! Il bambino cresce e apprende! Anzi, deve crescere e apprendere! Ma crescere significa in primo luogo costruire sé stessi. Ma non “da soli”, bensì in un rapporto costante e continuo con la realtà, la realtà fisica e la realtà relazionale.
Il nuovo nato, appena uscito dal grembo materno, è immerso in un mare di sensazioni, gratificanti o dolorose: è gratificato se “ha mangiato” dal seno materno, se “si è liberato”, se la temperatura ambiente è confortevole. Se alcune di queste condizioni positive mancano, soffre, quindi piange. Attenzione, non si tratta di una sofferenza “adulta”. In realtà, se, in condizioni normali, un adulto ha fame o sete o freddo o caldo o non so quali altri bisogni, non piange, ma adotta le strategie necessarie per “risolvere il problema”. Mangia, beve, si copre o si scopre. Ovviamente, se penso ai nostri soldati della seconda guerra mondiale in ritirata o nelle nevi dell’Unione Sovietica o nelle sabbie dei confini libico/egiziani, le cose – come si suol dire – si complicano.
Anche se, invece, a volte certa retorica sembra risolverle. Nel 1941, in piena seconda guerra mondiale, Alberto Simonetti, Alvaro De Torres e Mario Ruccione scrissero e composero una delle più note nostre canzoni di guerra, “La Sagra di Giarabub”. Giarabub era un’oasi al confine italo-egiziano in cui i nostri soldati resistettero con ardimento e sacrificio. Ecco il testo: “Colonnello, non voglio il pane, dammi il piombo del mio moschetto! C’è la terra del mio sacchetto che per oggi mi basterà. Colonnello, non voglio l’acqua, dammi il fuoco distruggitore! Con il sangue di questo cuore La mia sete si spegnerà. Colonnello, non voglio il cambio, qui nessuno ritorna indietro! Non si cede neppure un metro, se la morte non passerà”. Comunque, la canzoni di guerra sono una cosa, sempre festose e incoraggianti, ma le guerre, purtroppo non si affrontano e non si vincono con le canzoni.
Comunque, il faticoso e a volte sofferente sviluppo/crescita del nostro nuovo nato è sempre contrassegnato dal pianto. Quante volte i poveri genitori non riescono a dormire la notte, perché il bambino piange? O perché ha un leggero di mal di pancia od ha un braccio od una gamba “nessi male” o non so cos’altro! Fastidi che per l’adulto sono sopportabili e risolvibili, per il neonato, spesso, non lo sono affatto. Comunque, non voglio pensare all’adulto che, nel pieno di una avvincente e interessante conversazione, viene assalito da una “botta di diarrea”!
Ma torniamo al nuovo nato. In seguito, con lo sviluppo/crescita e con l’apprendimento, il mare delle sensazioni si affina. Appena nato, avverte solo soddisfazione o sofferenza (fame, sete, caldo, freddo, bisogni fisiologici). Non vede e non ascolta. O meglio, la vista e l’udito “nascono” e si sviluppano nella misura in cui colori e suoni sollecitano la capacità visiva e quella auditiva: si tratta di capacità, di possibilità che, con l’interazione continua con l’ambiente esterno, diventano abilità. Ma poi, con lo scorrere del tempo, il nuovo nato comincia a distinguere chi gli fa una carezza e chi gli dà un pizzicotto. Così, solo dopo un tempo relativamente lungo la sensazione pressoché indiscriminata si distingue in percezione soggettiva e consapevole di uno stimolo esterno.
Insomma, il bambino, nel suo sviluppo/crescita, deve apprendere con che cosa si deve misurare e come si deve comportare a fronte degli incessanti stimoli esterni. Va sottolineato che il bambino, appena nato, ha a che fare – se si può dire così – con se stesso. E deve imparare a rispondere agli stimoli, la fame, il sonno, i bisogni fisiologici. Impara presto che è la madre – nelle situazioni sociocollaborative normali – che può rispondere ai suoi bisogni, quelli primari e poi quelli secondari. E’ un bisogno secondario, ad esempio, quello di sapersi confrontare e misurare con gli “altri da sé”, o meglio i suoi coetanei. E le maestre della scuola dell’infanzia sono maestre, appunto, nel cogliere, decodificare, orientare, educare anche, questi bisogni di carattere relazionale indotti dai rapporti con gli altri bambini. In realtà, la maestra ha a che fare con situazioni interpersonali a cui in genere i genitori non sono abituati. Un conto è avere a che fare con più figli, tra loro fratelli e di età differenti; altro conto è avere a che fare con bambini che hanno la stessa età e che si devono confrontare e rapportare con coetanei in situazioni di gruppo.
A questo punto è opportuno ricordare Piaget e le sue quattro fasi dello sviluppo dell’intelligenza e della interazione interpersonale:
Fase senso-motoria (0/3 anni): continuità e contiguità tra il soggetto e gli oggetti; non vi sono cause, non c’è futuro, ma un eterno presente; si attivano curiosità e interessi: tutto va toccato, afferrato, smontato…
Fase intuitiva (3/7 anni): matura il pensiero egocentrico; il bambino proietta se stesso negli oggetti e si sente al “centro del mondo”; è la fase dell’egocentrismo in cui il bambino “cade” in una serie di errori sotto il profilo dei rapporti logici; è il mondo dei miti, della fiaba e della favola;
Fase operatorio-concreta (7/11 anni): il pensiero del bambino interagisce con gli oggetti, supera l’egocentrismo e con il linguaggio riconosce regole e rapporti logico-formali tra gli oggetti;
Fase ipotetico-deduttiva (11/14 anni): il soggetto si fa “adulto”, individua e fissa il valore del simbolo e dell’astrazione, definisce i rapporti formali che regolano l’attività del pensiero; elabora ipotesi e sa procedere anche per via deduttiva.
Potremmo anche sottolineare la grande fatica che deve fare il bambino quando passa da uno stadio che potremmo definire analogico (le prime due fasi piagetiane) a quello che potremmo definire digitale (le altre due fasi piagetiane).
Sono le fasi classiche del pensiero piagetiano che si succedono epigeneticamente e che potremmo rileggere… e riscrivere alla luce di quanto fin qui detto sullo sviluppo complessivo del bambino, che impegna e coinvolge:
a) in primo luogo la corporeità,
b) poi l’intelligenza emotiva (rubiamo il concetto a Daniel Goleman) ed ancora,
c) l’intelligenza strettamente cognitiva (la matematizzazione, il linguaggio delle interazioni interpersonali), e infine
d) l’intelligenza socio collaborativa. Si tratta di quattro modalità qui rappresentate in successione, ma che in effetti nell’apprendimento/sviluppo si integrano e si arricchiscono vicendevolmente.
Ed ancora: le prime due fasi contribuiscono alla costruzione e alla definizione dell’identità personale, dell’autonomia (io sono Io); le altre contribuiscono alla costruzione della responsabilità sociale (io, in quanto sono io, penso e faccio questo e non altro…).
Quindi: a) l’identità personale in quanto essere: il corpo, la personalità, il carattere, le emozioni, l’insieme degli atteggiamenti personali; b) la responsabilità sociale, in quanto fare: le conoscenze, le abilità, i comportamenti, le competenze, la professionalità al fine del vivere e cooperare insieme.
Sono ricorso a richiami dottrinari assolutamente necessari per rendersi conto che lo sviluppo/crescita di un bambino non è affatto una fenomenologia semplice. Ed è solo in uno scenario di questo tipo che possiamo comprendere come i bambini non giochino affatto! Noi adulti lo crediamo, perché noi adulti abbiamo imparato a distinguere il lavoro dal riposo, i giorni feriali dai giorni festivi, ad attendere le agognate ferie dopo un anno di lavoro.
Il bambino che si sviluppa e cresce, si misura con gli altri per costruire se stesso. In realtà non sappiamo in quale misura il carattere, la personalità di un nuovo nato siano ereditari. Ma sappiamo senz’altro che gli stimoli parentali, umani, ambientai in genere costituiscono un insieme importante di condizionamenti, positivi e negativi.
In conclusione, quello che noi chiamiamo gioco, per il bambino è l’insieme dei molteplici tempi della partita che è chiamato a giocare per costruire se stesso, il suo corpo, la sua corporeità, la sua intelligenza, le sue modalità di emozionarsi e di interagire con gli altri, con le cose, con gli avvenimenti!
Ben arrivato, nuovo nato! Augurissimi!

La scuola autonoma del FVG

La scuola autonoma del FVG: controllo politico, “quote” limitate per bambini stranieri e programmi scolastici regionali.

Mentre in Consiglio dei Ministri la Lega cerca ancora di trovare il modo di convincere sulla bontà dell’autonomia differenziata, il Friuli Venezia Giulia, regione autonoma a guida leghista, avoca a sé la gestione della scuola, creando la prima forte spaccatura nel sistema scolastico nazionale.

Le materie di cui si occuperà in via esclusiva la regione riguardano sia gli aspetti amministrativi sia quelli organizzativi, modificando radicalmente il volto della scuola friulana.

La regione si occuperà di definire gli organici e gestire le graduatorie del personale precario, mettendo le mani nel reclutamento, con la possibilità di bandire concorsi a cattedre regionali. Inquietante è la possibilità di incidere sugli aspetti più strettamente didattici, con la facoltà di istituire insegnamenti specifici regionali, operando un pesantissimo attacco all’unitarietà nazionale del sistema di istruzione e alla libertà di insegnamento. In stile prettamente leghista, inoltre, non manca una buona dose di demagogia contro gli stranieri, con la possibilità di stabilire un tetto massimo agli alunni non italiani nelle classi, una sorta di “quota stranieri” come nella migliore tradizione dell’apartheid sudafricano, che impediva l’accesso alla scuola statale dei bianchi. Con l’autonomia friulana gli ex provveditorati e l’USR passeranno sotto il controllo della regione, la politica metterà le mani nella scuola pubblica statale, anche qui seguendo il modello della scuola del ventennio, con il direttore regionale e gli ex provveditori nominati direttamente dalla politica, disponibili a seguire le indicazioni della maggioranza di turno. Come ovvio non manca lo specchietto per le allodole delle scuole aperte tutto l’anno e tutto il giorno. Con quali risorse? Questo non è dato saperlo. Gli insegnanti friulani, secondo l’accordo che attende solo la firma definitiva del ministro (leghista) Bussetti, continueranno ad essere pagati dallo Stato, ma si paventa come possibile la firma di contratti integrativi regionali che aumentano le ore di lavoro e i carichi di lavoro del personale docente e Ata, in cambio di qualche spicciolo in più.

La scuola friulana è un esperimento pericolosissimo, con l’obiettivo di vincolare i lavoratori al territorio, limitandone ulteriormente la possibilità di movimento e sottoponendoli all’occhio vigile della politica, pronta ad intervenire sulla libertà di insegnamento, quando questa andrà in direzione opposta agli indirizzi politici della regione, disegnando una scuola a misura delle esigenze del tessuto imprenditoriale della regione, investendo su insegnamenti diversi rispetto a quelli nazionali (stabiliti da Confindustria FVG?).

Preoccupa la gestione del sostegno, che sappiamo fare gola da tempo al terzo settore, che impiega educatori sottopagati, con l’obiettivo di sostituire la figura dell’insegnante specializzato sul sostegno.

USB Scuola ha sempre sostenuto la Scuola della Costituzione: una scuola pubblica, in cui il privato non metta il naso dei propri interessi, libera da ricatti propagandistici, in cui si aiutino gli alunni e gli studenti a sviluppare coscienza critica e consapevolezza di sé e del mondo, aperta a tutti ed inclusiva.

Il progetto di regionalizzazione della scuola, che il FVG sta accelerando e per cui Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna spingono fortemente, è un progetto di smantellamento del diritto all’istruzione uguale per tutti, su tutto il territorio nazionale.

USB Scuola si oppone ad ogni progetto di autonomia regionale sulla scuola e in generale sui diritti essenziali della persona, del cittadino e dei lavoratori, che devono essere garantiti in egual maniera in ogni angolo del Paese, senza distinzioni tra centro e periferie, tra nord e sud, tra zone ricche e zone depresse.

Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell’area istruzione e ricerca – Triennio 2016-2018

AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

COMUNICATO  

(GU Serie Generale n.168 del 19-07-2019)

CCNL Area dirigenziale Istruzione e Ricerca 2016-2018 (Aran, 8.7.2019)