TAR boccia Comune di Vigevano

Redattore Sociale del 15.07.2019

Disabilita’: TAR boccia Comune di Vigevano su compartecipazione delle spese 

MILANO. Il regolamento prevedeva che il Comune di Vigevano dovesse contribuire alle spese per l’accoglienza delle persone disabili in strutture residenziali, solo se la famiglia aveva meno di 5 mila euro in banca e nel caso fosse in possesso di immobili si doveva procedere con la vendita. Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (Tar) ha dichiarato illegittimo questo regolamento così draconiano che costringeva le persone con disabilità e le loro famiglie a essere povere o a far da sole. 
Non è l’unico comune lombardo ad aver adottato un regolamento del genere. Ma ancora una volta un tribunale ha sancito questo principio: “E’ illegittimo chiedere alle persone con disabilità e ai loro familiari di dare fondo ai propri risparmi o vendere i propri beni immobili”, commenta la Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha), che aveva presentato il ricorso contro il Comune di Vigevano.
“Il Tar ha dichiarato illegittimo il regolamento comunale nella parte in cui prescrive le condizioni affinché il Comune stesso possa intervenire nell’integrazione delle rette dovute alle strutture residenziali che ospitano le persone con disabilità – spiega la Ledha -. Il testo del regolamento, infatti, prevedeva l’intervento del Comune a integrazione della retta “solo se il patrimonio mobiliare dell’assistito risulta inferiore ad euro 5.000″. In caso di presenza di un patrimonio immobiliare, invece, il regolamento prevedeva l’obbligo di alienazione o la locazione per destinare i proventi al rimborso dell’integrazione anticipata dal Comune, con la precisazione che, in mancanza di accordo tra il Comune e l’assistito (o i suoi rappresentanti), l’ente locale avrebbe potuto rivalersi sulla futura eredità”.
I giudici hanno evidenziato che il regolamento comunale è in contrasto con la normativa nazionale di compartecipazione alla spesa (Dpcm 159/2013), sottolineando come “in nessuna norma è previsto che, se superiore a determinati limiti, il patrimonio immobiliare debba essere interamente destinato alla copertura della retta; né è previsto che i Comuni possano imporre agli assistiti la messa a reddito del loro patrimonio immobiliare al fine di destinare i proventi al pagamento della retta stessa, o addirittura la rivalsa sull’eredità”.
Ancora più importante, sottolinea l’avvocato Fancesco Trebeschi che ha patrocinato in giudizio il ricorso di Ledha, è il richiamo nel dispositivo della sentenza, della possibilità dei Comuni di “prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari” (così l’art. 2 co. 1 del Dpcm n. 159/2013). Ma questi “criteri ulteriori” non possono essere di “natura economica” bensì solo “sociale” perché, diversamente, significa che ogni Comune potrebbe individuare criteri di accesso e compartecipazione che violano il decreto Isee, mentre questo indicatore, nello stesso articolo, è individuato quale “livello essenziale” per l’accesso e la determinazione della compartecipazione.
“In nessuna parte del decreto ISEE, infatti, è previsto un meccanismo simile a quello che molti Comuni pretendono di adottare: vale a dire ‘consumare’ tutte le proprie sostanze fino al valore di 5mila euro, soglia al di sotto della quale si giustifica e si prevede la possibilità dell’intervento comunale a sostegno del pagamento della retta -commenta l’avvocato Laura Abet del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi -. L’invito a leggere attentamente i regolamenti comunali è quindi d’obbligo”.
I criteri stabiliti dalla legge statale, insomma, devono trovare uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale. “Siamo molto soddisfatti di questa sentenza, che rappresenta un ulteriore riconoscimento di un principio importante che LEDHA, attraverso l’attività svolta in questi anni dai legali del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, ribadisce da anni – commenta Alessandro Manfredi, presidente di LEDHA -. I regolamenti comunali, che pur formalmente recepiscono la normativa nazionale, ma non ne danno corretta applicazione, sono illegittimi”. (dp)

Ocse:Pil italiano anemico, puntare su scuola e lotta evasione

da Il Sole 24 Ore

Il rilancio dell’Italia e del suo Pil passa anche dall’istruzione. Oltre che dalla lotta all’evasione fiscale. Parola dell’Ocse.

L’analisi dell’Ocse
Il Pil italiano resta debole rispetto agli altri paesi dell’Ocse e la produttività di gran lunga inferiore, fino al 70%. Nonostante il miglioramento dell’occupazione registrato nell’ultimo periodo è migliorato, in molti casi si tratta di lavori temporanei o poco qualificati e anche per questo i giovani senza lavoro restano moltissimi. Lo scrive l’organizzazione parigina nel paragrafo sull’Italia contenuto nel suo rapporto Obiettivo Crescita. Si è inoltre ampliata la forbice nella distribuzione della ricchezza mentre i tassi di povertà sono aumentati
dall’inizio della crisi.

Le ricette proposte
Invocando un rafforzamento dei recenti meccanismi di reddito minimo l’organizzazione parigina invita il nostro paese a potenziare anche il rapporto tra scuola e lavoro mentre l’inefficienza della pubblica amministrazione e la bassa qualità delle infrastrutture allontanano gli investimenti. Da qui la raccomandazione dell’Ocse, per il 2019, a razionalizzare le utilities territoriali e aprire i mercati locali alla competizione. Ma anche a migliorare la lotta all’evasione e la digitalizzazione sono gli altri obiettivi, accanto al sostegno di Anpac e Anpal nei rispettivi ambiti di applicazione.


Graduatorie d’istituto I fascia, da oggi al 29 luglio modello B su Istanze

da Orizzontescuola

di redazione

Per l’aggiornamento e l’inserimento in prima fascia delle graduatorie di istituto su Istanze online da oggi  15 e fino alle ore 14 del  29 luglio è disponibile l’apposito form per la scelta delle sedi.

Modalità presentazione domanda

La domanda  si può presentare per una sola provinciaanche diversa da quella delle graduatorie ad esaurimento, fino a un massimo complessivo di 20 scuole, con il limite, per quanto riguarda la scuola dell’infanzia e primaria, di 10 istituzioni di cui, al massimo, 2 circoli didattici; le indicazioni relative a istituti comprensivi si valutano per la scuola dell’infanzia e primaria solo entro il predetto limite di 10 istituzioni.

Per coloro che sono inclusi nelle graduatorie ad esaurimento di due province, la provincia di inclusione nella I fascia delle graduatorie di circolo e di istituto coincide con quella prescelta ai fini del conferimento delle supplenze da GaE.

Chi non può cambiare provincia

Come detto sopra, è possibile presentare domanda per una provincia diversa da quella delle GaE e non c’è alcun vincolo al riguardo, nel senso che si può presentare domanda di aggiornamento nella I fascia delle graduatorie di istituto di qualsiasi provincia, esclusa una determinata categoria di personale. Vediamo quale.

L’articolo 9 bis, comma 7, del DM 374/2019 così dispone:

In ragione di quanto disposto dall’art. 1, comma 10 bis, del Decreto Legge 30 dicembre 2015 n. 210, convertito in Legge 25 febbraio 2016 n. 21, gli aspiranti di I fascia, che risultino inseriti anche nelle graduatorie di istituto di II e III fascia costituite ai sensi del D.M. 1 giugno 2017 n. 374, non potranno scegliere le istituzioni scolastiche, ivi inclusa la scuola capofila, ai fini dell’inserimento in I fascia, ma  dovranno confermare con il modello B, le stesse sedi già indicate nel precedente aggiornamento per la II e/o III fascia, salvi gli effetti del dimensionamento, e  necessariamente per la stessa provincia di iscrizione, ai sensi dell’ art. 5 comma 6 del Regolamento.

I docenti già inseriti in II o III fascia (considerato che l’aggiornamento della II e III delle GI è già avvenuto, in seguito a quanto previsto dalla summenzionata legge n. 21/2016), dunque, non potranno scegliere le istituzioni scolastiche, compresa la scuola capofila, ma dovranno confermare con il modello B le stesse sedi già indicate nel precedente aggiornamento per la II e/o III fascia, salvi gli effetti del dimensionamento. Conseguentemente non potranno cambiare provincia delle predette graduatorie di istituto.

I predetti docenti potranno soltanto sostituire, nella stessa provincia di iscrizione in II e/o III fascia, una o più istituzioni scolastiche esclusivamente per i nuovi insegnamenti per i quali si chiede l’iscrizione in I fascia; non possono cambiare scuole qualora nelle stesse (scuole) i nuovi insegnamenti, per i quali si chiede l’iscrizione i I fascia, risultino già impartiti.

Pubblicazione graduatorie

La pubblicazione delle graduatorie di istituto di I fascia provvisorie, secondo quanto indicato dal  Miur ai sindacati, è prevista entro il 20 agosto 2019, mentre quella delle definitive entro il 31 agosto 2019.

Operazioni e tempistica

Alla luce di quanto detto sopra, le operazioni da svolgere e la relativa tempistica saranno le seguenti:

  • scelta scuola dal 15 al 29 luglio;
  • pubblicazione graduatorie di istituto di prima fascia provvisorie entro il 20 agosto;
  • pubblicazione graduatorie di istituto di prima fascia definitive entro il 31 agosto.

Per tutte le info sulla presentazione del Modello B clicca qui 


Eccellenze, pubblicare voti sui mezzi di informazione è discriminatorio? La risposta del Garante

da Orizzontescuola

di redazione

Pubblicare i voti eccellenti di alcuni bambini sui mezzi di informazione è discriminatorio?

Assolutamente no, afferma Antonio Marziale, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della regionale Calabria.

Richiesta intervento Garante

Il Codacons della Calabria si  rivolta al Garante, affinché intervenisse riguardo alla pubblicazione dei voti eccellenti di alcuni bambini sui mezzi di informazione in quanto discriminatorio nei confronti degli altri alunni.

Risposta del Garante

Ecco le parole di Marziale:

“Ritengo inammissibile quanto chiesto dall’Associazione dei Consumatori perché i bambini non possono essere evidenziati dalla stampa solo quando versano in condizioni di degrado o di pericolo. Quando invece i bambini risultano meritevoli, l’informazione non solo può, ma deve riconoscerne il merito. Far salire sul podio il primo arrivato in una gara è discriminante per chi è arrivato dopo? No

Secondo il Garante, dunque, l’informazione è tenuta a riconoscere il merito dei bambini e quindi pubblicarne i voti. Non c’è nulla di discriminante.

Oltre all’esempio della gara, Marziale ne fa un altro: seguendo il ragionamento del Condacons, non si dovrebbe bocciare nessuno per non discriminare i bocciati rispetto a quanti sono stati promossi.

Il fatto di pubblicare i voti eccellenti di alcuni bambini, conclude Marziale, può servire da stimolo a chi è rimasto indietro perché migliori nel tempo.

Diventare docente nella scuola. La scheda del Miur

da Orizzontescuola

di redazione

Il nuovo sito Miur presenta una nuova pagina dedicata a “Come si diventa insegnanti”. Una pagina che pur essendo stata aggiornata recentemente, non tiene conto delle modifiche che saranno presentate nelle prossime settimane.

Come si diventa docenti nella scuola

Per diventare docenti sono necessari titolo di studio di accesso all’insegnamento e abilitazione all’insegnamento. Il Decreto legislativo 59 del 2017 sul nuovo sistema di formazione e reclutamento dei docenti ha apportato diverse modifiche alle procedure di accesso e formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria.

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Maturità 2019, il giudizio di alcuni docenti: imbarazzante ascoltare collegamenti astrusi e senza logica

da Orizzontescuola

di redazione

Maturità 2019: com’è andata veramente? Numerose le testimonianze giunte a redazione@orizzontescuola.it. Oggi ne segnaliamo alcune negative, con l’avvertenza che ce ne sono anche di positive, alle quali dedicheremo domani un altro articolo specifico.

Il colloquio: è questo il punto nodale del nuovo Esame

Pur essendo rintracciabili motivi di miglioramento anche nella prima e seconda prova scritta, è sicuramente il Colloquio la parte più innovativa del nuovo Esame. E anche quella che presuppone una modifica dell’impostazione didattica da parte dell’intero Consiglio di Classe.

I commenti negativi

“Gli studenti sono molto più abili di noi insegnanti. Io ho passato settimane a pensare come si potessero collegare certi documenti a più materie, gli studenti invece hanno capito subito che l’uso delle frasi “mi fa venire in mente” “mi ricorda” mi ispira” mi fa pensare” , etc .. gli permetteva di collegare esattamente ciò di cui volevano parlare e su cui si erano preparati.  In pratica un esame facile a condizione di avere un minimo di scioltezza nell’esprimersi.

“Sono un ‘insegnante di 2^ lingua comunitaria ( commissario esterno) con esperienza pluriennale e trovo che questa nuova modalità di esame sia solo paragonabile a un quiz televisivo ( L’Eredità) e nulla più
La padronanza dei contenuti,  non può essere ridotta a semplici spunti disciplinari contenuti in una busta. La mia idea sull’ Istruzione non è questa!”

“Io credo che questo esame sia proprio una farsa senza eguali. Questo esame non premia chi studia, visto che una prova scritta ha lo stesso peso di un orale che riguarda tutte le materie! L’esame è frustrante per il docente che è costretto ad assistere ad orali imbarazzanti (o per assenza di contenuti o per collegamenti astrusi e senza logica) di candidati che sono già promossi o quasi e che non aspirano a un voto alto per ambizione personale, ma si accontentano del cosiddetto “calcio”. Si abbassano le ambizioni degli studenti, si alzano gli “aiutini” degli insegnanti.
L’unica cosa su cui posso concordare è l’aumento dei punti dedicati alla media voti del triennio, ma quei 20 punti dell’orale sono davvero troppo pochi!”
“In qualità di commissario esterno di italiano, al di là delle consuete contrattazioni all’interno della commissione, che non mi sembrano affatto una novità, rilevo alcune criticità:
1. L’adeguamento degli studenti alle indicazioni della prima prova scritta è stato difficoltoso: gli ” snodi argomentativi” restano per molti un mistero, la sintesi un terreno scivoloso, lo sviluppo della produzione spesso ridotto a due mezze colonne poco significative ( tipologia B). Del resto le misure di accompagnamento previste dal Ministero sono state apprezzabili ma insufficienti: gli esempi di dicembre non conformi ai quadri di riferimento, le simulazioni “a maglie larghe” (lunghezza testo, paragrafatura, titolatura non prescrittive ma suggerite), sono solo esempi delle ambiguità ed incertezze in cui studenti e docenti si sono, per così dire, arrabattati, non sempre con esiti fausti.
Sottolineo anche che le tracce di tipologia C, per essere ben sviluppate, richiedevano conoscenze che mediamente gli studenti non posseggono, apparivano falsamente vicine all’orizzonte esperienziale e culturale degli studenti e non presentavano un ” breve testo d’appoggio”, ma una pagina in cui non di rado i candidati, specie i più fragili, si sono smarriti.
Ancor più problematico l’orale. L’impressione sgradevole è quella di avere la ” bocca tappata”: percorsi preconfezionati, materiali scelti ad hoc e forse in qualche caso preliminarmente divulgati ai poveri candidati, collegamenti stiracchiati, a volte fantasiosi, il tutto per evitare di rispondere alla domanda “sul programma”. Risultato: appiattimento completo. O quasi. Preparazione modestissima.
Aggiungo infine che la modalità proposta con 3 sezioni di colloquio in 50/60 minuti suggerisce percorsi che più banali non si può: di fatto il trionfo del collegamento su base ” cronologica” (italiano storia filosofia storia dell’arte e il povero latino, speriamo salvo al classico) senza una vera integrazione e soprattutto senza una riflessione critica o personale, a volte anche nei casi migliori.”

“Questo esame è peggiore del precedente.

  1. Dopo il primo giorno di colloqui gli alunni hanno fatto quasi sempre i soliti collegamenti e quindi la maggior parte ha detto i soliti argomenti anche se il contenuto della busta era differente.
  2. Non avendo possibilità di fare domande (o almeno poche domande) non è possibile per i commissari esterni capire le effettive conoscenze degli alunni.
  3. Il tempo del colloquio è stato contingentato dal presidente 5 minuti a disciplina, 10 minuti per alternanza e cittadinanza; se un alunno aveva buona capacità espositiva per ogni disciplina veniva esposto al massimo un argomento.
  4. La valutazione dell’esame tende a livellare verso la sufficienza tutti gli alunni. Risulta più difficile arrivare a 100 rispetto all’esame precedente. Esempio esame precedente. Alunno con 25 crediti. Prende 14/15 (9/10) alle tre prove scritte, prende 28/30 (9/10) al colloquio, totale 95 + 5 di bonus = 100.
    Esempio esame attuale. Alunno con 40 crediti. Prende 18/20 (9/10) alle due prove scritte, prende 18/20 (9/10) al colloquio, totale 94 + 5 di bonus = 99.”

“Dal mio punto di vista, quello che sembrava il problema principale di questo nuovo esame di maturità, ovvero il fatto di far partire il colloquio  da uno spunto contenuto in una busta “pescata”, di fatto si è rivelato l’unico aspetto positivo; in primo luogo perché ha superato la desueta e spesso scontata “tesina”, talvolta copiata, imparata a memoria, ma soprattutto perché ha consentito, in sede di colloquio, di valutare in maniera globale i candidati (lo spettro delle conoscenze e la capacità di collegarle,  l’autonomia nel trovare le connessioni tra le varie discipline). Al netto di questo, ritengo che questo esame sia complessivamente peggiore di quello precedente, in quanto il colloquio, l’unica prova che consente ai candidati di dimostrare quanto abbiano studiato, prevede un’attribuzione di non più di 20 punti, il che avvantaggia inevitabilmente  coloro che si sono impegnati di meno. Inoltre, un credito scolastico fino a 40 punti da un lato può tutelare i ragazzi più impegnati nel corso dell’ultimo triennio, dall’altro è svantaggioso per le scuole in cui vigono maggiore rigore e serietà, oltre al fatto che affievolisce il significato stesso dell’esame di Stato. ”

“La mia impressione, ad esami appena finiti, non è proprio positiva.
Sarà che sono un ‘maturo’ del 1976, quando il superarli era una vera ‘prova’, quando la notte prima degli esami non dormiva nessuno…..
L’impressione che si è provata, questa volta (e non è il primo esame per me!) è quello di…ruoli ribaltati.
Cioè noi docenti sembravamo, spesso, gli esaminati, e loro, i candidati, gli…esaminatori.
Perchè, i ragazzi hanno capito molte volte il trucco.
Presentavano uno schema, valido per qualsiasi cosa.
Così, se la busta rivelava, chessò, una frase di Montale, o un grattacielo di Dubai, si arrampicavano sugli specchi per farci entrare quell’unica cosa che conoscevano bene di ogni materia.
Così è finita che noi Commissari sentivamo sempre le stesse cose di Italiano, Matematica, Storia, Geografia, ecc.
E ci sforzavamo di capire…… che c’entrasse con la busta scelta dal candidato.
Concludendo: così l’esame evidenzia soltanto la potenzalità del candidato a ‘cavarsela’.
Ma non ci dice nulla sulla sua effettiva preparazione.”

” Quando ormai il secondo quadrimestre era già stato avviato,  il MIUR emanava la Circolare contenente le istruzioni sulle nuove modalità di svolgimento dell’Esame di Stato del secondo ciclo di studi. …..caos, timori, dubbi, contestazioni da parte di colleghi e studenti ….questo il clima che aleggiava nella scuola. Tuttavia, da docenti appassionati, i miei colleghi ed io, ci siamo rimboccati le maniche ed abbiamo lavorato perché i nostri studenti fossero all’altezza della situazione. Altroché! La nuova modalità di esame li ha completamente deresponsabilizzati…..di tutto il lavoro fatto ne è rimasto traccia solo in un esiguo gruppo di studenti..la maggioranza ha pensato che studiare non valesse la pena…” tanto posso improvvisare”…una sorta di “Stasera si recita a soggetto”, un “così è se vi pare”(e se non vi pare, questo è ciò che voglio dire)…che mi ha lasciata allibita, sconfortata e delusa….forse l’Esame di Stato ha perso il suo valore? Non so darmi al momento una risposta, ma certo è che chiunque provi a cambiare la Scuola italiana,  di scuola ,forse, ne sa ancora poco.”

“Ho partecipato agli Esami 2019 in qualità di Commissario interno. Tutto mi è sembrato più semplice con l’eliminazione della terza prova e con il colloquio strutturato con la nuova modalità. Quindi giudizio positivo da questo punto di vista. Ma, purtroppo, non è positivo il giudizio sull’esame in se stesso, affidato com’è a Commissioni che riescono a fare “miracoli”, pur di non dover bocciare nessuno. A chi serve un esame così? Sarebbe meglio fare contare il curriculum dello studente e i risultati di una prova da svolgersi online con le modalità dei concorsi, predisposta dal MIUR a livello nazionale. Il Consiglio di classe avrebbe compiti di verbalizzazione e certificazione dei risultati ottenuti dagli studenti. Nessuna spesa per lo Stato perché i Docenti sono già in servizio. Sarebbero bocciati gli studenti con votazione complessiva inferiore a sessanta, tra punti del curriculum e punti ottenuti alla prova ministeriale multidisciplinare”

“Apprezzo il credito maggiore attribuito al percorso scolastico, ma non il resto. A che serve? Accerti capacità, competenze ed altro? Macché, inutile spreco di denaro. Perché non abolirli, si risparmierebbe tanto denaro ”

“Da docente come commissario esterno ho notato che la maggior parte dei voti di ammissione erano gonfiati e 3/4 alunni della classe che ho esaminato non sarebbero dovuti neanche essere ammessi. Altrettanti 10/12 alunni erano stati ammessi con aiuto in due o tre materie e quindi con voto di consiglio per avere almeno la sufficienza. Il sistema dei crediti va inoltre rivisitato e ridotto. Non è possibile che la maggior parte dei ragazzi abbia più di 30 punti nei crediti. Questo sistema perverso di voti gonfiati ed alti crediti mette i ragazzi nelle condizioni di partire da almeno 65-70 punti. Non è meritocratico e questa procedura non li incoraggia nell’impegno. Nella mia classe di nomina 18 ragazzi su 22 non hanno aperto bocca: scena muta! Il resto erano collegamenti forzati o senza senso.

Il Presidente, come molte volte succede, non si è sentito di bocciare.

E chi non ha risposto ad almeno 3 colleghi è uscito felice, vittorioso e festeggiato con lo spumante.

Dovremmo riflettere su questo e sulla bocciatura come elemento educativo.”

”  “ Agli studenti questa formula è piaciuta”, dice lui; e ti credo, caro ministro! Perché, ad eccezione dei pochi bravissimi, che per fortuna ci sono sempre in ogni ordine di scuola, tutti gli altri, e dico tutti, avevano preparato un argomento a piacere di ciascuna disciplina e si sono limitati a ripetere quello, a prescindere dalla traccia contenuta nella busta.
Se qualcuno dei commissari esterni faceva notare la poca attinenza del discorso rispetto al contenuto della busta, i colleghi interni, uniti ai parenti e amici che assistevano, spalancavano gli occhi e si mostravano inorriditi come per dire “ sei proprio una carogna!”.
A quel punto ….. che fare?  Bocciarli tutti ed essere veramente una carogna o lasciar perdere?”

“Il sistema delle buste ha caricato di una ulteriore quanto inutile  tensione gli studenti, che, davanti al documento, hanno elaborato collegamenti talvolta forzati o superficiali o, nel migliore dei casi, piuttosto banali. Inoltre, passato il primo momento “interdisciplinare” dei  collegamenti, il colloquio ha preso l’inevitabile piega di una discussione disciplinare, in cui ogni riferimento si appoggiava su parti precise del programma. E giustamente, visto che, per fortuna, a scuola si insegna ancora qualche contenuto. ”

Abilitati in Romania, sentenza TAR: ha ragione il Miur ad escluderli dalle graduatorie

da Orizzontescuola

di redazione

Gli Uffici Scolastici stanno dando seguito all’avviso Miur del 2 aprile 2019 sulle abilitazioni all’insegnamento e i titoli di sostegno conseguiti in Romania.

Nell’avviso il Miur afferma di aver richiesto specifico parere di merito al CIMEA chiarendo che “… la qualifica attestata dal Ministero rumeno agli italiani ad esito di apposito corso di formazione psicopedagogica “Adeverinta” , è condizione necessaria ma non sufficiente al fine dell’esercizio della professione di insegnante…”,

inoltre “… i titoli denominati “Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II” conseguiti dai cittadini italiani in Romania non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE …” ; L’avviso

Inoltre, per il sostegno l’avviso afferma  “per quanto riguarda le richieste di riconoscimento specifiche per il sostegno, sia la legge di istruzione nazionale rumena n. 1/2011 sia la nota esplicativa del Ministero dell’educazione nazionale rumeno, chiariscono che tale insegnamento rientra in Romania nell’ambito dell’educazione speciale in apposite scuole speciali e non nelle classi comuni come avviene in Italia. Non vi è pertanto corrispondenza con l’ordinamento scolastico italiano”

Di conseguenza gli Uffici Scolastici regionali stanno depennando i docenti che grazie a quei titoli avevano potuto partecipare al concorso per docenti abilitati indetto con DDG n. 85 del 1° febbraio 2018.

Sentenza breve TAR: commento dell’Avv. Maurizio Danza

Pubblichiamo il commento dell’Avv. Maurizio Danza Prof. Diritto del Lavoro “Università Mercatorum” Roma alla prima sentenza breve emanata dal TAR Lazio che rigetta le richieste di annullamento dell’avviso del 2 aprile 2019 e dei decreti di rigetto individuali ricevuti dal MIUR.

“Destano sorpresa i primi provvedimenti del Collegio della terza sezione Bis del Tar Lazio- Roma che con sentenza breve hanno rigettato le richieste di annullamento dei ricorrenti abilitati in Romania, dell’avviso n.5636/2019 e dei decreti di rigetto individuali ricevuti dal MIUR;

a ben vedere, aldilà delle considerazioni in merito alla illegittimità dei provvedimenti emanati dal MIUR, per non aver mai disposto un accertamento finalizzato alla verifica di quei “requisiti minimi” tali da garantire l’espletamento della funzione docente in Italia a salvaguardia del diritto alla libertà di circolazione previsto dall’art.45 del trattato fondativo dell’Unione Europea , in tale sede appare doveroso sottolineare alcuni punti evincibili dalle prime pronunce, che evidenziano la contraddittorietà delle decisioni.

In primo luogo, a ben vedere a pg.9 della sentenza n.9211/2019 in forma breve emanata dalla III° Sez. Bis del 11 luglio 2019 si ricava letteralmente che “Nel dettaglio, il Ministero rumeno precisa ancora che l’attestato di conformità alla direttiva europea, al fine della valutazione del percorso seguito in Romania in altri Stati UE, viene rilasciato solo a coloro che abbiano compiuto in Romania sia studi di scuola superiore o post istruzione secondaria, sia studi universitari. Ne discende che, per espressa indicazione dell’autorità rumena, il programma in oggetto non consente l’attribuzione di un livello di qualifica rilevante per la direttiva in questione, con la conseguenza il provvedimento dell’amministrazione appare privo di vizi sul punto”.

Orbene, a parte che il Ministero della Educazione Nazionale Rumeno non ha mai espresso una tesi siffatta frutto di una errata traduzione della nota del Ministero romeno, avendo invece riconosciuto pienamente, la equivalenza del titolo rilasciato a tutti i cittadini sia italiani che rumeni, così come confermato con ben due note del 21 maggio 2019 a firma del Direttore Generale del Ministero dell’Educazione Nazionale Rumeno-Dott.ssa Corina Marin- ed indirizzate al rappresentante FSIUSAE Scuola Estero, Raffaele Nucera ed in possesso esclusivo di questa difesa, è sorprendente come la tesi del c.d. doppio titolo conseguito in Romania adoprata dal Tar-Lazio a fondamento del rigetto delle richieste, non sia mai stata adottata neanche dal MIUR che con ben 5 decreti in possesso della difesa, ha invece riconosciuto l’abilitazione conseguita in Romania a cittadini italiani in possesso di Laurea conseguita in Italia !

Peraltro, a ben vedere uno di questi decreti , recante la data del 5 dicembre 2017, risulta firmato dalla stessa Dirigente che ha emanato l’avviso n.5636/2019!

Ulteriore perplessità suscita inoltre, l’utilizzazione erronea nella sentenza di due pronunce della Corte Europea, atteso che esse appaiono del tutto estranee al regime generale di riconoscimento delle professioni regolamentate, tra cui è compresa la professione docente, e che invece si riferiscono esclusivamente al regime di riconoscimento della professione medico-chirurgica in Italia, regolamentata con norma ad hoc sia dalla Direttiva n.36/2005 che dal D.lgs.n.206/2007 ; in tal senso la sentenza breve del Tar Lazio-Sez.III bis n.9211/2019 a pg.10 “ Sul punto, la giurisprudenza europea (Corte di giustizia CE 19 giugno 2003, C-110/01, ma il concetto è ripreso anche da Corte di giustizia UE, sez. III, 6 dicembre 2018, C-675/17) ha variamente chiarito che un sistema di riconoscimento automatico e incondizionato dei titoli di formazione sarebbe gravemente compromesso se gli Stati membri potessero mettere in discussione, a loro piacimento, la fondatezza della decisione dell’autorità competente di un altro Stato membro di rilasciare il suddetto titolo. Il caso di specie, pur differenziandosi da quello esaminato dalla giurisprudenza, si caratterizza per il fatto che l’autorità rumena competente ha espressamente dichiarato che la formazione sancita nel titolo conseguito da parte ricorrente non sia coerente con quanto richiesto dalla direttiva 2005/36/Ce e non sia sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania”.

Orbene, a prescindere dalla circostanza che lo stesso Collegio della sezione sottolinei come il caso menzionato sia del “tutto differente da quello esaminato”, si fa rilevare che è proprio il MIUR ad affermare letteralmente a pg.1 dell’avviso n.5636/2019 che “Il riconoscimento della professione di docente non è coperto dal regime del “riconoscimento automatico”, ma da quello del “Sistema Generale”, che prevede la valutazione della formazione attraverso l’analisi comparata dei percorsi formativi previsti nei due Stati Membri coinvolti !

Per tali motivi appare del tutto incomprensibile l’applicazione di principi giurisprudenziali propri del regime automatico al sistema di riconoscimento della professione docente, se non in palese contrasto con quanto previsto dalla Direttiva n.36/2005 e dal D.lgs.n.206/2007.

Auspichiamo che il Collegio in riferimento alle prossime udienze possa mutare il proprio orientamento, alfine di tutelare gli interessi dei numerosi studenti abilitati in Romania.

Dirigenti: attenti a come scrivete le circolari, adesso c’è la direttiva Bongiorno

da La Tecnica della Scuola

Di Reginaldo Palermo

Una direttiva a duplice firma (ministra della PA Giulia Bongiorno e sottosegretario con delega allle Pari Opportunità Vincenzo Spadafora) dovrebbe indurre gli uffici pubblici a cambiare il lessico utilizzato nelle circolari e in ogni altra forma di comunicazione istituzionale.

La direttiva Bongiorno

Il “succo” del provvedimento è molto semplice: nei documenti ufficiali (relazioni, circolari, decreti, regolamenti, ecc.) si dovranno usare termini non discriminatori. Meglio quindi l’uso di sostantivi o nomi collettivi che includano entrambi i generi: persone, per esempio, e non “uomini”.
Nella scuola quindi le circolari andranno indirizzate non “ai docenti” ma “al personale docente”, mentre potrebbe andare bene rivolgersi “ai genitori”.
Scrivendo agli studenti sarà opportuno usare la formula “alle studentesse e agli studenti”, mentre sarà meglio evitare di scrivere “ai collaboratori scolastici” (la formula più adeguata potrebbe essere “al personale ATA con funzioni di collaboratore scolastico”).
Il tutto in attesa che linguisti e Accademici della Crusca risolvano alcuni dubbi: se il presidente del Consiglio di Istituto è una donna, bisognerà scrivere “alla presidente”, “al presidente” o “alla presidentessa”?
E l’aggettivo “scolastico” riferito a “dirigente” dovrà essere declinato al femminile, se ci si rivolge ad una dirigente?
Senza sottovalutare il problema, ci sembra che la direttiva ministeriale lasci un po’ il tempo che trova: ma davvero qualcuno pensa che cambiando il lessico possano cessare comportamenti discriminatori?

I precedenti

Ma il ministro (o la ministra) Giulia Bongiorno non sa che già la legge n. 15 del 1968 prevedeva, ad esempio, la possibilità di sostituire molti documenti con l’autocertificazione e che la stessa pubblica amministrazione ha continuato a pretendere dai cittadini il documento originale “infischiandosi allegramente” (ci si passi l’espressione) di una ben precisa norma di legge?
E che dire della Direttiva del 2002 del ministro Frattini sulla semplificazione del linguaggio amministrativo?
A rileggerla oggi si capisce subito a quanto poco servano direttive del genere.
Per esempio già nel 2002 si suggeriva di “evitare neologismi, parole straniere e latinismi” (ma ormai non c’è norma di legge in cui non si faccia riferimento agli “stakeholders” o alle operazioni di “start up”).
Per non parlare dell’uso smodato delle maiuscole, di cui nella direttiva Frattini si diceva: “Le maiuscole sono mezzi ortografici che hanno lo scopo di segnalare l’inizio di un periodo e i nomi propri. I testi amministrativi affidano spesso alle maiuscole contenuti stilistici di rispetto, di gerarchia, di enfasi. Questi usi sono retaggio di una cultura retorica, appesantiscono lo stile e il tono della comunicazione: essi devono essere eliminati o ridotti quanto più è possibile”.

Basta prendere in mano una qualunque nota ministeriale per rendersi conto che quasi quasi le parole con le maiuscole sono la maggioranza (una maiuscola, ormai, non si nega a nessuno).
Apprezzabile, insomma, l’intenzione del Governo ma nutriamo forti, fortissimi dubbi che una direttiva del genere possa servire a superare discriminazione e comportamenti sessisti.