Per una didattica labotatoriale

Per una didattica labotatoriale

di Patricia Tozzi

L’organizzazione didattica della scuola moderna prevede il riconoscimento di un solo tipo di differenza: la classe per età. Oggi sappiamo che, in effetti, nemmeno due gemelli omozigoti sono identici e che apprendono in modo diverso: quindi la tanto decantata lezione frontale, che alcuni dei nostri grandi intellettuali rimpiangono, potrebbe, e secondo me è così, essere non più efficace. Questi illustri personaggi, che negli ultimi giorni hanno scritto sui maggiori quotidiani nazionali, mancano dalla scuola da almeno qualche decennio e forse non hanno ben chiaro come sono le scuole e le classi oggi. Non hanno ben chiara la differenza fra nativi digitali e nativi cartacei, e non si rendono conto di come i nostri alunni siano in grado di reperire un contenuto in pochi secondi, con un click, in tutto il mondo del web. E a scuola spesso si annoiano davanti ad un insegnante che parla, a meno che non abbia un carisma ed una cultura straordinaria! Ma anche in quel caso qualcuno si perderà.
Inoltre, a scuola, troppo spesso viene disattesa una corretta formazione delle classi prime, perché di fatto si favoriscono richieste dei genitori e talvolta anche dei docenti, a discapito dei diritti degli alunni. In realtà, questi apprendono meglio nelle classe etorogenee, qualora, nel contempo, vengano introdotti in modo corretto ed equilibrato strumenti non solo compensativi o dispensativi, ma anche percorsi di didattica laboratoriale personalizzanti. Inoltre, la scuola italiana dal 1977 si fa carico di allievi con disabilità e dal 2010 riconosce i cosiddetti Bisogni Educativi Speciali di cui alcuni alunni sono portatori.
E va anche ricordato che non sempre alcuni istituti scolastici hanno modificato la loro organizzazione generale e hanno sfruttato le opportunità che il DPR sull’autonomia, entrata in vigore nel 2000, ha messo a disposizione. Quindi qualche responsabilità la hanno anche i dirigenti scolastici, perché in effetti sono loro a dover guidare l’innovazione, a regolamentare l’introduzione di strumenti digitali, a favorire la personalizzazione degli insegnamenti, a far capire ai docenti che misurare non è valutare e che per certificare competenze ci vogliono attività particolari dalle quali trarre evidenze operative, appunto, certificabili.
Per non dire, poi, di tutte le polemiche in atto sulle competenze! Anche il nostro ministro ora parla di perseguire più attitudini e meno competenze, forse senza riflettere sul fatto che il termine attitudine, usato dall’Ocse nelle sue indagini, trova la sua esatta traduzione nel termine “atteggiamento”. Pertanto, solo attività mirate alla certificazione di competenze di cittadinanza, che di fatto aiutano i ragazzi a vivere la società attuale da cittadini responsabili, ci permettono di osservare atteggiamenti e comportamenti su cui “lavorare” per migliorare anche l’educazione civica dei nostri alunni: ovviamente, utilizzando gli indispensabili contenuti ad hoc. Per non dire poi dell’errori in cui cadono molti docenti, in quali pensano che, se ci si preoccupa di certificare competenze, si trascurano i contenuti! Ma non è così perché “le competenze senza le conoscenze sono cieche”. E va detto che si possono veicolare tutti i contenuti possibili attraverso metodologie più accattivanti che riescano ad interessare l’alunno e ad aiutarlo a “tirare fuori” tutta la sua creatività!
E vorrei anche aggiungere che, come insegnante, pensare che a scuola si debbano dedicare 33 ore all’Educazione Civica, mi ha fatto dapprima sorridere e poi indignare!!! Si, perché io “ho fatto” Educazione Civica in ogni momento della giornata scolastica. Le regole in aula c’erano e andavano rispettate! Si lavorava in gruppo e ci si aiutava attraverso il peer-tutoring, si apprendeva tutto in gruppo e si ricercavano sempre altre informazioni, ovviamente rispettando le fonti, gli autori; e si imparava a scrivere in modo chiaro e sintetico, “imparando facendo” anche la “grammatica della matematica”! Ma tutti insieme, nessuno escluso!
Ovviamente, “un po’” di lezione frontale non mancava: si deve anche apprendere ad ascoltare, a comprendere, a memorizzare. Ma il vero cuore di questa attività era la didattica laboratoriale, in forza della quale ogni alunno dava il suo personale contributo, in base alle sue attitudini (che vanno pur sempre considerate) all’interno di una didattica che altro non era che una didattica laboratoriale per competenze, dove tutti facevano tutto, secondo le loro capacità, e tutti alla fine sapevano tutto.
Non ho mai capito come fanno gli insegnanti che hanno due ore intere a spiegare spiegare e a interrogare interrogare!!! Ma, quando l’insegnante interroga un alunno, che cosa fa la maggior parte degli alunni non interrogati??? Raramente ascoltano partecipi, perché “non è toccato a loro”!!! Quanto tempo viene perso! In realtà penso che ci sia ancora molto da fare nella scuola e per la scuola. Ma resta fondamentale il fatto che, comunque, il mestiere dell’insegnante oggi è faticosissimo! E chi in aula non c’è, non può capirlo nemmeno lontanamente.
Per non dire che poi c’è l’Invalsi! Il che un po’ mi sconvolge! Anche quest’anno l’istituto, con i dati pubblicati, certifica che, nel nostro sistema scolastico, in italiano e in matematica ci sono le solite criticità. Nonché un consistente tra le regioni del Nord, quelle del Centro e quelle del Sud. Vogliamo parlare anche dei risultati dell’apprendimento della lingua inglese? Sono veramente imbarazzanti! Solo uno studente su tre, dopo aver studiato per ben 13 anni questa lingua, riesce, secondo questi dati, a raggiungere livelli appena accettabili!
L’INVALSI continua ogni anno a rappresentare sostanzialmente una stessa fotografia della nostra scuola: grandi differenze tra nord e sud e dove ci sono situazioni socio-economiche difficili i dati rivelano maggiori criticità. A questo punto mi chiedo quale sia l’utilità dell’Invalsi, visto che queste rilevazioni hanno costi esorbitanti e non c’è da ben undici anni di rilevazioni una ricaduta positiva, almeno infinitesimale, sulle scuole. Ma cosa è stato fatto per recuperare la situazione in termini di supporto, investimenti e processi migliorativi?
Le scuole, oberate di lavoro, occupate a riempire carte su carte (PTOF, Curricoli, RAV, PdM, Bilanci sociali e quant’altro), che poi nessuno legge, riescono a riflettere sulla necessità di rivedere strategie didattiche e introdurre qualche cambiamento innovativo finalizzato a migliorare i risultati raggiunti? Oppure i PTOF, i curricoli verticali e quant’altro, sono prodotti soltanto per essere pubblicati sulla “Scuola in Chiaro”, senza che ciò produca alcuna ricaduta effettiva sugli insegnamenti?
Per non dire poi che anche l’Invalsi ha fatto confusione! La sua attività sui prodotti scolastici afferisce alla misurazione o alla valutazione? Si tratta di due attività ben distinte, selle quali però i ricorrenti dpr ministeriali sulla valutazione non dicono nulla. Chiediamoci se queste prove, così come sono organizzate e somministrate, riescano veramente a verificare in tempi stretti le reali capacità, abilità conoscenze, e competenze che inostri studenti sono tenuti a conseguire al termine di un dato periodo scolastico?
Comprendere un testo, argomentare, risolvere problemi, sono percorsi complessi che richiedono tempo e forse ai nostri alunni non viene dato abbastanza tempo per riflettere! Alcune esperienze dimostrano che le stesse prove, utilizzate dagli insegnanti con i loro alunni, dando loro il tempo necessario, possono migliorare la competenza di argomentare e quella di risolvere problemi.
I docenti conducono un lavoro faticoso e di grande responsabilità. E si sentono molto in ansia quando la restituzione capillare dei dati, alla scuola fa ricadere su di loro responsabilità che spesso sono dovute ad altri fattori, quali, ad esempio, una composizione sbagliata delle classi, che non sempre sono omogenee tra loro ed eterogenee al loro interno, oppure un contesto sociale e/o famigliare non sereno.
Insomma, se da ben undici anni si denunciano le stesse criticità e non ci sono miglioramenti – consapevoli che i miglioramenti richiedono tempi lunghi – forse anche l’Invalsi deve farsi qualche domanda! Ed anche i nostri governanti! Una mirata competenza didattica da parte dei nostri insegnanti deve diventare prioritaria! E la formazione in servizio può essere una soluzione per promuovere concretamente processi di miglioramento nella scuola.
Ma, soprattutto, occorre pensare ad una sera riduzione delle “carte” e della “burocrazia”. Il che andrebbe a vantaggio del tempo scuola e dell’energia da impiegare per migliorare i processi di apprendimento degli alunni. Ma occorre motivare gli insegnati all’aggiornamento, o meglio a concrete attività di “formazione continua in servizio”. Anche perché molti sono i cambiamenti in atto nel sociale! E molto sono cambiati alunni!
Concludendo, riflettere su tutto ciò non farebbe male. Perché da una riflessione attenta può nascere una serie di interventi produttivi e mirati!

laboratori enotecnici negli Istituti agrari

Bussetti: “Puntiamo a sviluppare competenze all’avanguardia per un settore strategico dell’economia italiana”

Oltre 1 milione di euro per finanziare i laboratori enotecnici negli Istituti agrari. Sono le risorse messe a disposizione dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nell’ambito del Piano Nazionale per la Scuola Digitale. Uno stanziamento che consentirà di dotare gli Istituti agrari con specializzazione per Enotecnici di attrezzature digitali all’avanguardia.

Attraverso una procedura selettiva sono state individuate le 12 istituzioni scolastiche che riceveranno i finanziamenti per la realizzazione dei laboratori ad alta innovazione. Ciascun istituto avrà fino a 85.000 euro per laboratori di ecofisiologia applicata con sensoristica multispettrale, laboratori di viticoltura di precisione high tech, vigneti attrezzati con sensori per il controllo da remoto, software e app per la gestione di tutto il processo di vinificazione, postazioni per prove di micro-vinificazione.

“Con questo intervento – dichiara il Ministro Marco Bussetti – intendiamo promuovere la formazione di eccellenza in un settore strategico dell’economia italiana nel mondo, dotando gli istituti di attrezzature digitali di avanguardia che verranno utilizzate nelle diverse fasi della filiera vitivinicola, al fine di sviluppare competenze digitali innovative negli studenti”.

Di seguito gli istituti finanziati:

Denominazione Regione Importo
ISTITUTO ISTR. SUP. “CIUFFELLI-EINAUDI” UMBRIA € 85.000,00
“GIUSEPPE GARIBALDI” MACERATA MARCHE € 85.000,00
EMILIO SERENI LAZIO € 85.000,00
IS G.RAINERI EMILIA R. € 84.800,00
ITA “TOMMASI” COSENZA CALABRIA € 85.000,00
IS CERLETTI VENETO € 85.000,00
ITA C. GALLINI – VOGHERA LOMBARDIA € 84.945,90
B. RICASOLI TOSCANA € 85.000,00
DE SANCTIS – D’AGOSTINO CAMPANIA € 85.000,00
IST. ISTR. SUP. “UMBERTO I” – ALBA  (CN) PIEMONTE € 85.000,00
I.I.S. “DUCA DEGLI ABRUZZI” ELMAS SARDEGNA € 85.000,00
ITA P. D’AQUILEIA FRIULI V.G. € 85.000,00

Online il nuovo bando di concorso di Intercultura: 2.200 posti disponibili, oltre1.500 borse di studio

da Il Sole 24 Ore

di Scuola24

E’ già disponibile sul sito di Intercultura (www.intercultura.it) il nuovo bando di concorso per trascorrere un anno scolastico all’estero (oppure un periodo più breve, da sei mesi a alcune settimane estive) in uno dei 4 angoli del mondo dove l’Associazione di volontariato promuove da quasi 65 anni i suoi programmi educativi.
Il bando è rivolto a tutti gli studenti delle scuole superiori nati tra il 1 luglio 2002 e il 31 agosto 2005: oltre 2.200 i posti a disposizione (2.250 gli adolescenti in partenza nel corso di questa estate), 60 le diverse destinazioni, tutte ambitissime dai ragazzi questa nuova “Generazione i”, con il passaporto pronto e la valigia in mano, desiderosi di imparare a vivere in un mondo sempre più complesso e globalizzato.
Come ogni anno si rinnova anche lo sforzo di Intercultura, nonostante una congiuntura economica sempre difficile, di rendere accessibile questa esperienza a chiunque. Sono ben 1.500 le borse di studio, a totale o parziale copertura della quota di partecipazione, messe a disposizione delle famiglie. Le borse comprendono non solo l’esperienza all’estero, ma anche gli incontri di formazione, prima, durante e al termine della partecipazione al programma, una componente imprescindibile per comprendere la reale portate educativa di un periodo vissuto all’estero da adolescenti.
Circa la metà delle borse di studio provengono dall’apposito fondo di Intercultura e consentono la partecipazione ai programmi da parte degli studenti più meritevoli e bisognosi di sostegno economico (si va dalle borse totali che coprono il 100% della quota di partecipazione, a quelle parziali che coprono una percentuale variabile tra il 20% e l’80% della stessa). Le altre centinaia, tra borse di studio totali e contributi sponsorizzati, saranno messe a disposizione grazie alla collaborazione tra la Fondazione Intercultura e diverse aziende, banche, fondazioni ed enti locali. L’elenco verrà continuamente aggiornato da metà agosto in poi sul sito alla pagina http://www.intercultura.it/borse-di-studio-offerte-da-sponsor).
Gli studenti potranno iscriversi al concorso tra il 1 settembre e il 10 novembre per aggiudicarsi un posto tra i programmi scolastici proposti e una delle borse di studio. Per ricevere tutte le informazioni sui programmi, è possibile già da ora consultare sul sito i recapiti dei volontari di 159 città in tutta Italia e, a partire da settembre, l’elenco degli incontri pubblici organizzati sempre dai volontari di Intercultura.

Il RICONOSCIMENTO DEL PERIODO TRASCORSO ALL’ESTERO E L’ALTERNANZA SCUOLA E LAVORO: per gli studenti che frequentano all’estero l’intero anno scolastico, la normativa scolastica italiana riconosce la possibilità di accedere alla classe successiva senza ripetere l’anno. Il Ministero dell’Istruzione ha chiarito (nota 843/2013) che le esperienze di studio all’estero sono “parte integrante dei percorsi di formazione e di istruzione” e che sono “valide per la riammissione nell’istituto di provenienza”. (www.intercultura.it/normativa).
Inoltre, le esperienze di studio all’estero sono equiparate ai fini dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (ex Alternanza Scuola Lavoro): per riconoscerle contano le competenze acquisite e il parere del Consiglio di Classe. Il 28 marzo 2017 il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha pubblicato la Nota MIUR prot. 3355 con alcuni importanti chiarimenti sull’Alternanza Scuola Lavoro. In particolare, al punto 7 il MIUR si esprime sull’Alternanza Scuola Lavoro per “gli studenti che partecipano a esperienze di studio o formazione all’estero”. (http://www.intercultura.it/studenti/faq/).
Inoltre, al fine di fornire alla scuola gli elementi per valutare l’intero percorso seguito dallo studente, Intercultura fornirà al termine di ogni fase del programma la certificazione delle competenze acquisite (https://www.intercultura.it/studenti/fasi-del-programma/) calcolate in: fino a 30 ore per aver partecipato alle selezioni; fino a 40 ore per la formazione prepartenza che i volontari forniscono a tutti i vincitori del concorso di Intercultura; fino a 80 ore per il soggiorno all’estero e fino a 15 ore per la formazione al rientro.

60 METE NEI 4 ANGOLI DEL MONDO PER APPRENDERE LE COMPETENZE PIU’ MODERNE
Intanto sono in corso le partenze dei circa 2.250 ragazzi tra i 15 e i 18 anni di età, che nell’anno scolastico 2019-20 studieranno all’estero con un programma di Intercultura; tra di loro, si riconferma la scelta di vivere questa esperienza di formazione anche in mete insolite e alternative. Rispetto alle destinazioni più classiche come gli USA e il Canada (destinazione del 21,8% dei ragazzi per un totale di 490 studenti) o come l’Australia e la Nuova Zelanda (4,8% per un totale di 109 studenti), il 24,7% degli adolescenti ha scelto di partire per l’America latina, il 13,4% per l’Asia, l’1,9% per l’Africa (42 i ragazzi che vi trascorreranno dall’anno scolastico al bimestre: richiestissimi il Sudafrica e il Ghana, ma anche i programmi in Tunisia e in Egitto riaperti l’anno scorso dopo la loro chiusura durante la Primavera Araba). Infine il 33,4% studierà in diversi Paesi dell’Europa.
Tra le destinazioni più “gettonate” si confermano quelle dell’America latina: 555 gli studenti in partenza tra Argentina, Brasile, Costarica, Messico, Cile, Honduras, Rep.Dominicana, Paraguay, Panama, Colombia, Bolivia, Perù ed Uruguay.
Dall’altro capo del mondo, rasentano quota 100 i ragazzi che trascorreranno un anno scolastico in Cina, mentre gli altri studenti vincitori per un programma in Asia (299 in totale) saranno suddivisi tra Thailandia, Giappone, India, Filippine, Hong Kong, Indonesia, Malesia.
Chi invece ha preferito l’Europa (752 gli adolescenti in partenza) non ha scelto solamente i Paesi più classici e culturalmente simili a noi come la Francia, la Germania, l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo, il Belgio, il Regno Unito, l’Austria, la Svizzera, ma anche quelli scandinavi (Finlandia, Norvegia, Islanda, Svezia, Danimarca) e quelli dell’Est Europa (Russia, Lettonia, Rep.Ceca, Serbia, Croazia, Bosnia, Slovacchia, Turchia Ungheria, etc).


La selezione dei prof ? Come una lotteria

da Corriere della sera

Gianna Fregonara e Orsola Riva

I risultati dell’Invalsi 2019 — un diplomato su tre non capisce un testo in italiano di media complessità — ci interrogano sulle cause di un simile sfacelo e sulle possibili cure. A leggere le 117 pagine del rapporto già si trarrebbero alcune indicazioni. Per esempio: il ritardo del Sud dipende anche dal fatto che il sistema è molto meno equo che al Nord. I presidi compongono ancora le classi come cinquant’anni fa mettendo i figli dei notai in A, con gli insegnanti migliori, quelli dei commercianti nella B che è una via di mezzo, gli altri in C, coi prof meno preparati. Mentre è ormai provato che le classi miste ottengono risultati migliori: ne è una prova il successo del sistema lombardo che alle elementari parte con qualche difficoltà dovuta anche alla presenza di molti stranieri, ma poi riesce a portare tutti gli studenti sopra la media nazionale. Ha detto la presidente dell’Invalsi Anna Maria Ajello che nelle realtà difficili bisognerebbe mandare gli insegnanti migliori. Ma forse basterebbe applicare un sistema di formazione e selezione che la legge prevede ma la pratica disattende.

Su poco meno di un milione di docenti è quasi impossibile trovare due percorsi di ingresso uguali: alle elementari, a vent’anni dalla legge che ha reso obbligatoria la laurea per insegnare, c’è ancora una lunghissima lista d’attesa di «diplomati magistrali». Poi ci sono gli ex Ssis, i Tfa, i Psa e persino i furbetti che hanno preso l’abilitazione in Romania. Con il paradosso che dalle medie in su scarseggiano gli aspiranti prof, specie in matematica, italiano, sostegno: lo scorso anno non si è riusciti a trovare neanche la metà dei 57 mila insegnanti da assumere. E a settembre sarà peggio.

Negli ultimi trent’anni i concorsi, quelli veri e non le sanatorie mascherate, si contano sulle dita di una mano: uno nel 1990, un altro nel 1999, poi il mini concorso Profumo del 2012, il pasticcio del concorso 2016 riservato agli abilitati e infine i due pseudo concorsi senza bocciati banditi nel 2018 da Fedeli (per i prof) e da Bussetti (per le maestre). Nel frattempo la carriera dei futuri insegnanti si è dispersa in una giungla di acronimi dietro cui si nascondono percorsi molto diversi fra loro. Prima sono venute le Ssis, le scuole di specializzazione post universitaria volute dal ministro Berlinguer. Poi i Tfa (o tirocini formativi attivi) che duravano la metà: un anno anziché due. Nel frattempo i supplenti di lungo corso scalpitavano e si diede loro un contentino creando dei percorsi abilitanti speciali (Pas) senza selezione all’ingresso.

«Ci sono diversi modelli validi di ingresso nella professione — dice Francesco Avvisati, dell’Ocse-Pisa —: Finlandia e Germania investono sulla selezione iniziale, Singapore anche sulla formazione continua: ciò che tende ad accomunare i Paesi in cima alle classifiche è l’importanza della formazione “pratica”, cioè in classe». Mentre in Italia, come spiega Giuliano Fonderigo, professore di Diritto amministrativo alla Luiss «i problemi di finanza pubblica hanno creato periodici blocchi di assunzioni che poi hanno portato a stabilizzazioni in cui si è valorizzato di più il servizio prestato che la preparazione». È stato così per decenni: nel 2014 l’Italia è stata condannata per abuso di contratti a termine dalla Corte di giustizia europea e la cosiddetta Buona scuola ha cercato di chiudere la pratica stabilizzando in blocco i supplenti. Ma l’idea di risolvere la supplentite è finita con un esercito di nuovi supplenti: gli assunti non erano quelli di cui c’era bisogno e su 55 mila nuovi prof, quelli di matematica alle medie furono in tutto solo nove.

Come i suoi predecessori anche il ministro Marco Bussetti ha lanciato una sua proposta. «Ci vogliono procedure certe — aveva detto in autunno —. Un concorso secco cui anche i neo laureati potranno partecipare. Chi vince entra in ruolo». In palio, quasi 70 mila posti per il prossimo triennio: 17 mila per i maestri e 48 mila per i prof. Sono passati più di sei mesi e del bando per i maestri — dato per imminente — non c’è ancora traccia e quello per i prof è stato rinviato a fine anno. E comunque i posti per i neo laureati si sono dimezzati per far spazio all’ennesimo concorso facilitato per precari più o meno storici (bastano tre anni di insegnamento) ai quali, se non dovessero passare, sarà comunque concessa una tornata di abilitazioni con i Pas.

E dire che, proprio per sveltire le assunzioni, Bussetti aveva archiviato il percorso di formazione iniziale di tre anni previsto dalla Buona scuola. D’ora in poi per accedere ai concorsi ordinari basterà aggiungere alla laurea una manciata di crediti formativi in discipline didattiche e psico-pedagogiche. «Ma un conto è sapere la matematica, altro saperla insegnare — dice Giorgio Bolondi, docente di didattica della matematica all’università di Bolzano —: 24 crediti sono davvero troppo pochi, tanto più se li puoi fare anche per via telematica. Semmai, se il problema è di non andare troppo per le lunghe, si potrebbero usare già i due anni della laurea specialistica per formare i futuri insegnanti. A Bologna ci avevamo provato, ma il progetto si arenò per l’ostilità dei colleghi degli altri corsi che temevano di perdere studenti».

Riforma sostegno, caratteristiche profilo di funzionamento. Chi lo compila

da Orizzontescuola

di redazione

Approvato in via definitiva il decreto di revisione del D.lgs. 66/2017, recante norme in materia di integrazione scolastica degli studenti con disabilità.

Scarica il testo del Decreto

Vediamo in questa scheda cos’è e chi redige il nuovo documento denominato Profilo di funzionamento.

Profilo di funzionamento: cos’è

Il profilo di funzionamento (PF) sostituisce, ricomprendendoli, la diagnosi funzionale e il profilo dinamico funzionale.

Il PF è redatto dopo l’accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva, ai fini dell’inclusione scolastica, sulla base dei criteri del modello bio-psico-sociale della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ai fini della formulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Profilo di funzionamento: chi lo redige

Il Profilo di funzionamento è redatto da una unità di valutazione multidisciplinare, nell’ambito del SSN, composta da:

a) uno specialista in neuropsichiatria infantile o un medico specialista, esperto nella patologia che connota lo stato di salute del minore;

b) almeno due delle seguenti figure: un esercente di professione sanitaria nell’area della riabilitazione, uno psicologo dell’età evolutiva, un assistente sociale in rappresentanza dell’Ente locale di competenza”.

Profilo di funzionamento: caratteristiche

Il profilo di funzionamento:

  • è il documento propedeutico e necessario alla predisposizione del “Piano Educativo Individualizzato (PEI) e del Progetto Individuale”;
  • definisce anche le competenze professionali e la tipologia delle misure di sostegno e delle risorse strutturali utili per l’inclusione scolastica;
  • è redatto con la collaborazione dei genitori dell’alunno, nonché, nel rispetto del diritto di autodeterminazione, nella massima misura possibile, dello studente con disabilità, con la partecipazione del dirigente scolastico ovvero di un docente specializzato sul sostegno didattico della scuola;
  • è aggiornato al passaggio di ogni grado di istruzione, a partire dalla scuola dell’infanzia, nonché in presenza di nuove e sopravvenute condizioni di funzionamento della persona;
  • è trasmesso dai genitori o da chi esercita la responsabilità genitoriale alla scuola e all’ente locale competente, ai fini della predisposizione rispettivamente del PEI e del Progetto individuale, qualora questo venga richiesto.

Linee guida

Criteri, contenuti e modalità di redazione del Profilo di funzionamento, tenuto conto della classificazione ICF dell’OMS, saranno indicati in apposite Linee guida.

Le Linee guida:

  • dovranno essere definite con decreto del Ministro della salute, di concerto con i Ministri dell’Istruzione, del Lavoro e delle Politiche sociali, dell’Economia e delle Finanze, per gli Affari Regionali e le Autonomie, sentito l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica, da adottate entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del  decreto.
  • a fronte di nuove evidenze scientifiche, sono aggiornate con cadenza almeno triennale

Scarica il testo del Decreto

Concorso ATA, stop appalti pulizia: decreto rinviato a settembre

da Orizzontescuola

di Ilenia Culurgioni

Dal 1° gennaio 2020, 11.507 posti accantonati verranno sbloccati per l’internalizzazione dei servizi di pulizia nelle scuole.

I lavoratori, attualmente dipendenti delle ditte esterne, saranno assunti in qualità di collaboratori scolastici, come stabilito dalla legge di bilancio 2019.

Intanto, giovedì 1° agosto, a Roma, si è svolto l’incontro tra Ministero dell’Istruzione e sindacati, da cui sono emerse diverse problematiche, che fanno rinviare la pubblicazione del decreto, prevista tra fine luglio e i primi di agosto. A confermare lo slittamento del decreto è stato poi l’onorevole Luigi Gallo (M5S), attraverso un video Facebook.

Esito incontro al Miur

Durante il tavolo tra il Capo di Gabinetto, Giuseppe Chinè, e le organizzazioni sindacali confederali, è stata presentata una bozza di schema del decreto interministeriale. Lo schema verrà poi sottoposto al parere del CSPI.

I dubbi maggiori, da quanto emerso durante l’incontro, riguardano il numero di lavoratori coinvolti nell’internalizzazione. In particolare, la Cgil, rappresentata dalla segretaria confederale, Tania Scacchetti, ha evidenziato che il numero delle unità di personale appartenente agli ex lsu e appalti storici potrebbe non corrispondere ai posti previsti nell’organico ATA per la procedura di internalizzazione.

Attualmente mancherebbero i dati precisi sui numeri dei lavoratori coinvolti e sui loro requisiti.

Da una recente stima effettuata dal Ministero del Lavoro la platea interessata sarebbe infatti formata da circa 16 mila lavoratori e lavoratrici, dunque un numero maggiore rispetto a quello dei posti accantonati.

Per le organizzazioni sindacali risulta fondamentale conoscere nel dettaglio i dati, per fare in modo che nessun lavoratore resti escluso o subisca una diminuzione della propria retribuzione.

Affinché il decreto risulti adatto all’intera platea di lavoratori delle cooperative interessati al processo di stabilizzazione, le organizzazioni sindacali chiedono una stretta collaborazione con il Miur, impegnandosi altresì a fornire, tempestivamente, le proprie osservazioni sullo schema del decreto per il concorso stop appalti di pulizia. Si mira a una conclusione veloce ma anche precisa dell’intera fase di confronto per far sì che le stabilizzazioni possano avvenire entro gennaio 2020, come previsto.

Le organizzazioni sindacali hanno inoltre chiesto una serie di incontri tesi a risolvere le diverse problematiche emerse durante l’incontro, coordinati dal Ministero dell’Istruzione e ai quali dovrebbe partecipare anche il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

Decreto a settembre

A confermare il ritardo nella pubblicazione del decreto interministeriale è stato l’onorevole Luigi Gallo, il quale è intervenuto dalla festa del Mugello. Il presidente della VII Commissione Cultura alla Camera ha dichiarato: “C’è stato un po’ di ritardo, più volte ho comunicato che il decreto sarebbe uscito ad agosto insieme al bando, ma questa interlocuzione con i sindacati probabilmente produrrà uno slittamento e avremo il bando a settembre. Niente di grave, perché siamo ancora in tempo per le 12 mila assunzioni, che devono arrivare il 1° gennaio 2020”.

Requisiti

I requisiti di accesso al concorso saranno definiti dal decreto al momento della sua pubblicazione. Questi quelli principali e già noti:

servizio per almeno dieci anni (inclusi il 2018 e il 2019) presso scuole statali, per lo svolgimento di servizi di pulizia e ausiliari;
essere assunti in qualità di dipendenti a tempo indeterminato di ditte titolari di contratti per lo svolgimento dei servizi sopra detti

Il titolo di studio per accedere alla procedura concorsuale dovrebbe essere invece la licenza di scuola media, in base a quanto riferito dal sottosegretario al Miur, Salvatore Giuliano, durante un incontro il 20 aprile scorso, a Brindisi, con i lavoratori.

Procedura

Per conoscere l’intera procedura e il termine di presentazione delle domande, bisognerà attendere il bando. Come anticipato dall’onorevole Luigi Gallo, verranno valutati i titoli culturali e di servizio, e infine ci sarà il colloquio, il quale verterà sul CCNL 2016/2018, con particolare riferimento alla figura del collaboratore scolastico (mansioni, diritti, doveri, orario di lavoro).

Al termine del concorso verrà prodotta una graduatoria su base provinciale: avrà la precedenza chi ha il punteggio maggiore. Ciò significa che si può essere assunti in una scuola differente rispetto a quella di attuale servizio.

In una prima fase verranno valutate le domande pervenute e, in base al loro numero, si stabilirà, probabilmente, il tipo di contratto, se full-time o part-time.

Bussetti: parliamo di attitudini degli studenti, non solo di competenze

da Orizzontescuola

di redazione

Il Ministro Bussetti è intervenuto ieri sera a Milano Marittima per la festa della Lega Romagna e ha parlato degli obiettivi raggiunti per la scuola.

Gli obiettivi raggiunti

Sono stati riassunti così dal Ministro

“Dall’edilizia scolastica alla stabilizzazione dei docenti precari, passando per la ricerca. Per la prima volta questo governo prova a dare risposte concrete agli italiani su questi temi, con investimenti importanti. ”

e poi una frase per docenti e studenti

“Significa anche avere un’attenzione particolare per i nostri ragazzi, per i quali mi piacerebbe che si tornasse a parlare di attitudini e non solo di competenze. Aiutiamoli a tirare fuori quanto di bello hanno dentro!
Sono impegni che ci siamo presi e che stiamo mantenendo.”

Ed. Civica, docenti saranno formati. Aggiornamento Piano nazionale formazione

da Orizzontescuola

di redazione

L’introduzione dell’educazione civica come materia con voto autonomo, come riferito, è ormai legge ed entrerà in vigore dal prossimo 1° settembre.

Vediamo in questa scheda cosa prevede la legge in merito alla formazione dei docenti, ricordando dapprima le ore da destinare all’insegnamento e i docenti che se ne occuperanno.

Ed. civica: monte ore e docenti interessati

L’insegnamento trasversale dell’educazione civica è attivato nella scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado.

All’insegnamento vanno destinate 33 ore annuali, da svolgersi nell’ambito del monte orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti, senza dunque nessun incremento orario. La legge prevede che, per il raggiungimento delle 33 ore annue, è possibile utilizzare la quota di autonomia utile per modificare il curricolo.

Nelle scuole del primo ciclo (primaria e secondaria di primo grado) l’insegnamento dell’educazione civica è affidato, anche in contitolarità, a docenti sulla base del curricolo di istituto, utilizzando l’organico dell’autonomia.

Nelle scuole secondarie di secondo grado l’insegnamento è affidato ai docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, ove disponibili nell’ambito dell’organico dell’autonomia.

Per ciascuna classe, tra i docenti cui è affidato il “nuovo” insegnamento, è individuato un coordinatore che, tra i suoi compiti, ha quello di formulare la proposta di voto in decimi, acquisendo elementi conoscitivi dagli altri docenti interessati dall’insegnamento.

Formazione docenti

Sono previste apposite attività di formazione per i docenti e, conseguentemente, un aggiornamento del Piano Nazionale di Formazione, al fine di farvi rientrare le attività sulle tematiche relative all’insegnamento dell’educazione civica.

Alle attività formative è destinata quota parte delle risorse stanziate dall’articolo 1, comma 125, della legge 107/2015 per l’attuazione del Piano medesimo.

Al fine di ottimizzare l’impiego delle risorse e armonizzare gli adempimenti relativi alla formazione dei docenti, le scuole effettuano una ricognizione dei propri bisogni formativi e possono promuovere accordi di rete nonché, in conformità al principio di sussidiarietà orizzontale, specifici accordi in ambito territoriale.

Scrutini finali a.s. 2018/2019


Scuola, i dati degli scrutini: alla Secondaria di II grado il 21% degli studenti deve recuperare almeno un’insufficienza, ma diminuiscono le bocciature. Stabili le promozioni nel I grado

Diminuiscono gli studenti non ammessi all’anno successivo nella Scuola secondaria di II grado, come anche gli alunni che devono recuperare almeno un’insufficienza. I promossi crescono dell’1,1%, mentre nella Secondaria di I grado restano sostanzialmente stabili. Questo il quadro che emerge dalle rilevazioni sugli esiti degli scrutini finali della Secondaria di I e II grado e degli Esami conclusivi del I ciclo d’istruzione per l’anno scolastico 2018/2019.

La Secondaria di I grado
Gli ammessi alla classe successiva nella Secondaria di I grado sono il 98% degli scrutinati, rispetto al 98,1% dell’anno scorso. La Regione con la più alta percentuale di ammessi è la Basilicata (99,3%), seguita da Puglia (98,7%) e Calabria (98,6%). Gli ammessi all’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo sono stati il 98,4%, rispetto al 98% del 2017/2018. L’Esame è stato poi superato dal 99,5% degli esaminati, l’anno scorso i licenziati erano stati il 99,8%.

La Secondaria di II grado
Gli studenti promossi salgono al 72,2% rispetto al 71,1% dell’anno scorso. Quelli che dovranno ripetere l’anno scolastico nella Secondaria di II grado sono il 6,8%, in calo rispetto al 7,4% del 2017/2018. La maggiore percentuale di non ammessi alla classe successiva si registra negli Istituti professionali (10,4%), comunque in calo rispetto al 12,1% dello scorso anno. Scendono le non ammissioni anche nei Licei (dal 4,2% al 4%) e negli Istituti tecnici (dal 9,8% al 9,5%). Lo scoglio principale nella Secondaria di II grado si conferma il primo anno di corso, con il 10,3% di non ammessi all’anno successivo.

Le sospensioni del giudizio scendono dal 21,5% del 2017/2018 al 21%. Sardegna (26,7%) e Lombardia (25%) sono le Regioni con le percentuali più alte. Quelle con il numero minore di studenti con sospensione del giudizio sono Puglia (14,4%) e Calabria (15,4%). Rispetto alla tipologia di percorso di studio, la quota maggiore di studenti con insufficienze da recuperare si trova negli Istituti Tecnici (26,4%), seguiti dai Licei (19,2%) e dagli Istituti Professionali (16,8%).

In attesa delle verifiche sui giudizi sospesi, la percentuale dei ragazzi promossi nella Secondaria di II grado è pari al 72,2%. Il picco delle promozioni si conferma nei Licei (76,8%) mentre nei Professionali la percentuale è pari a 72,8% e nei Tecnici è del 64,1%.

Le Regioni dove si registra la percentuale più alta di ragazzi che hanno superato l’anno scolastico nello scrutinio di giugno sono Puglia (79,3%), Calabria (79%) e Umbria (78,7%). Quelle con meno promossi risultano Sardegna (63,3%) e Lombardia (67,8%).