La crisi politica non ricada sulla Scuola. Si proceda con le misure urgenti per i precari docenti ed ATA

Roma, 22 agosto – La politica nel suo complesso è chiamata ad un atto di responsabilità evitando che le scuole inizino la loro attività a settembre in una situazione priva di prospettive rispetto all’assenza di personale stabile su decine di migliaia di cattedre e posti di personale ATA.

Per rispondere a tale emergenza il confronto fra le scriventi Organizzazioni Sindacali e il ministro dell’Istruzione, alla luce di quanto concordato nell’intesa di Palazzo Chigi del 24 aprile, ha portato alla definizione condivisa di un provvedimento d’urgenza per dare risposte alla Scuola e al personale precario, destinato a crescere in maniera esponenziale in assenza di interventi normativi.

Questo provvedimento, dopo aver avuto il via libera per la sua definizione nel Consiglio dei Ministri del 6 Agosto scorso, è ora nel “limbo” del “salvo intese”, formula che lascia margini di modifiche, ma che di fatto riconosce tempi e modi di un opportuno intervento legislativo per dare prospettive positive al mondo della Scuola.

Le scriventi organizzazioni, ampiamente rappresentative del comparto Istruzione e Ricerca, sono ben consapevoli della fase estremamente delicata che il Paese sta vivendo per la sopraggiunta crisi di governo e il conseguente impegno cui le forze politiche sono chiamate per dar vita a un nuovo esecutivo, con tempi che si prospettano in ogni caso troppo lunghi per le urgenze della Scuola.
Invitano pertanto il Presidente Conte a dare seguito al Decreto Legge che rappresenta il primo atto di quell’accordo che egli ha direttamente sottoscritto con le Organizzazioni Sindacali e che contiene le risposte che la Scuola reale richiede.

I contenuti di quell’Intesa conservano in ogni caso valenza strategica per le scriventi organizzazioni in materia di reclutamento e precariato, con l’obiettivo di contrastare la precarietà e dare giusto e legittimo riconoscimento all’esperienza di lavoro.

Nel frattempo, rendere pienamente attuativo un provvedimento che andrà comunque al vaglio del dibattito parlamentare è senz’altro da ritenersi soluzione opportuna e doverosa nei confronti di chi attende il riconoscimento di diritti e una risposta concreta al mondo della scuola al quale ogni Governo dovrebbe prestare la dovuta attenzione fino all’ultimo minuto del suo mandato.

NOMINE IN RUOLO

NOMINE IN RUOLO, DI MEGLIO: “INSUFFICIENTI E CAOTICHE” 

“Come da copione, anche il prossimo anno scolastico inizierà sotto la cattiva stella della ‘supplentite’, con il solito valzer di precari e la conseguente discontinuità didattica che si ripercuoterà sugli studenti”. È l’allarme lanciato dalla Gilda degli Insegnanti, che torna a segnalare l’inefficienza della macchina amministrativa provocata anche dal collasso degli uffici periferici, i cui organici sono ormai ridotti all’osso. 

“Alla cronica carenza di personale, adesso acuita dai pensionamenti di Quota 100, si somma la mancanza, da parte degli USR, di una linea univoca di interpretazione delle varie norme che regolano le nomine. Senza un’omogeneità nella loro applicazione – sottolinea il coordinatore nazionale, Rino Di Meglio – si rischia di ledere diritti e, quindi, di alimentare il contenzioso. La regionalizzazione dell’amministrazione scolastica, dunque, non ne ha migliorato il funzionamento”.

Notevoli, inoltre, i disordini e i disguidi che stanno contrassegnando le operazioni di nomina dei docenti in corso in questi giorni. “In molte città la situazione è critica, come ci segnalano le nostre sedi territoriali – spiega Di Meglio – A Catania, per esempio, presunti errori nella formazione delle graduatorie hanno reso necessario l’intervento delle forze dell’ordine, mentre a Venezia in alcuni casi le assegnazioni di oltre 200 cattedre sono avvenute in aule che potevano ospitare un massimo di 60 persone, costringendo tanti futuri docenti ad estenuanti attese sotto il solleone”.

“In ogni caso – conclude il coordinatore nazionale della Gilda – le 53mila ipotetiche immissioni in ruolo stabilite dal Governo non sono sufficienti per coprire tutti i vuoti di organico”.  

Il nuovo esame di stato: il dirigente scolastico e il cambiamento possibile

Il nuovo esame di stato: il dirigente scolastico e il cambiamento possibile

di Maria Grazia Carnazzola

La Scuola Secondaria di 2^ grado nel corso dell’appena concluso anno scolastico, ha sperimentato il “Nuovo Esame di Stato”. Molti sono stati i commenti, le prese di posizione pro e contro, i pareri espressi da chi dentro la scuola ci lavora, ma anche da chi il mondo della formazione lo conosce solamente per averlo frequentato tempo addietro. A breve, credo, il Ministero renderà noti alcuni elementi che sono stati oggetto della relazione dei Presidenti di Commissione, così come gli esiti complessivi, passaggio ineludibile per poter ragionare con cognizione di causa, partendo dai dati.  Nel frattempo provo a guardare questa “novità” dal punto di osservazione del dirigente, responsabile dei risultati dell’Istituzione scolastica, garante dei processi formativi, dotato di poteri di direzione, di coordinamento e di controllo, strumenti e condizioni della coerenza e della congruenza della progettazione complessiva dell’Istituzione.

La visione, la condivisione, l’azione.

Oggi si chiede alla scuola di essere ancorata al contesto, di produrre saperi e competenze spendibili nella realtà. Il nuovo Esame di Stato percorre questa strada, indicando quali oggetti di valutazione le competenze, cioè i saperi spendibili, contestualizzati e utilizzabili in situazioni e per scopi di realtà. Gli studenti in uscita dai percorsi di scuola secondaria di secondo grado, Istituti Professionali e Tecnici o Licei, riordinati dai Decreti 87,88,89/2010, rispondono a profili culturali elevati: pensiero critico per affrontare la complessità, capacità di individuare e risolvere problemi, strumenti per cercare e trovare autonomamente nuovi saperi, competenze di cittadinanza attiva e responsabile nei confronti dei propri simili, della sicurezza,  dell’ambiente fisico e culturale… è una formazione alta che si scontra con decenni di obiettivi minimi scambiati per strumento di democrazia e di motivazione allo studio. Gli insoddisfacenti risultati formativi, per usare un eufemismo, testimoniati dalle indagini nazionali e internazionali, impongono un’inversione di tendenza, un’azione che dia a tutti, ma a ciascuno il suo. Questa è personalizzazione. E in questa direzione va il nuovo Esame di Stato che, così come è stato delineato dal D.L.vo 62/2017 e dall’O.M. 205/2019, può essere un ottimo strumento di valutazione complessiva delle competenze sviluppate da ciascuno studente e dell’azione formativa della singola istituzione scolastica.

La struttura e l’organizzazione dell’esame produrranno retroattivamente delle variazioni sulle pratiche didattiche, valutative e di progettazione/programmazione delle singole scuole, magari riportando all’attenzione la necessità di esercitare quella flessibilità funzionale e organizzativa che un’autonomia mai pienamente esercitata avrebbe richiesto. Una autonomia debole sia per le tentazioni centralistiche e le visioni partitiche, e non politiche, dei ministri che si succedono, ma anche per la cultura dell’adempimento che continua a caratterizzare le istituzioni scolastiche che non sempre riescono a condividere le responsabilità culturali e professionali in un progetto mediato e unitario. E dovrà riportare all’attenzione anche il tema del rapporto programmazione/valutazione e dei modelli di intervento che possono veramente incidere strutturalmente sui processi di formazione. Non è, infatti, solamente dilatando i tempi dell’offerta scolastica e del servizio che si incide sulla qualità degli esiti della formazione.

Il ruolo e la funzione del dirigente scolastico, responsabile dei risultati dell’istituzione, con poteri di direzione e di coordinamento, garante dei processi di formazione, si evidenziano in tutte le dimensioni: culturale, organizzativa, di indirizzo, di gestione e di controllo delle azioni finalizzate al cambiamento necessario per una vera formazione strategica per tutti i ragazzi e per il personale della scuola. Tocca al dirigente rendere esplicito il modello di scuola che meglio risponde alle esigenze di quel territorio, coniugando quanto richiesto dalla norma con l’angolo visuale particolare di quel Collegio dei docenti, restituendo e significando gli esiti dei percorsi posti in essere, sapendo bene che un conto è la visione, un altro è la condivisione, altro ancora l’attivazione dei processi da tradurre in azioni per il raggiungimento degli obiettivi.

La scuola e la centralità della formazione.

La concezione della formazione cambia col tempo e si adegua alle esigenze sociali. Ma l’obiettivo primario della scuola pubblica resta lo stesso: la formazione degli studenti; la produttività di una scuola la si misura sugli esiti formativi, ancora prima che sulla qualità del servizio. Le azioni organizzative, l’utilizzo delle risorse, ogni innovazione hanno senso se costruiscono buone pratiche che, coniugando efficienza ed efficacia, offrano uno specifico contributo al risultato formativo. La complessità delle richieste sociali, l’eterogeneità dell’utenza e dei professionisti che vi operano, nonché la molteplicità delle risposte possibili, portano in primo piano la necessità di chiari indirizzi culturali e pedagogici per interpretare i processi di cambiamento in atto che, nella loro realizzazione, hanno bisogno di sistemi di valori, di conoscenze e di significati condivisi. Questo, nel caso della valutazione, richiede alle scuole pensiero forte e pratiche ispirate a valori condivisi, per passare dai dati della misurazione ai giudizi della valutazione, giudizi che assumono valore in relazione a quei processi e a quei valori, rispondendo a principi di coerenza, di trasparenza e di attendibilità, richiesti dall’etica professionale e personale prima ancora che dalla responsabilità sociale e dalla norma. Non sono considerazioni da poco se si pensa ad alcune evidenze. Il mondo del lavoro, le imprese, lamentano una divaricazione tra le certificazioni in uscita dai percorsi di istruzione/formazione e le effettive competenze degli studenti; le indagini internazionali segnalano vistose debolezze negli esiti formativi della scuola italiana; il Mezzogiorno presenta i risultati più bassi nelle prove Invalsi, ma voti più alti all’Esame di Stato; gli studenti, e le loro famiglie, pretendono valutazioni positive confondendole con il diritto allo studio. La Scuola, scuola di massa, travolta dalla discontinuità delle norme e dalla continua richiesta di nuovi adempimenti si focalizza sugli adempimenti trascurando le domande sostanziali, affidando alla valutazione positiva, della quasi totalità degli studenti, una presunta inclusione sociale.

Misurazione, valutazione, certificazione…

L’Esame di Stato ha definito, in parte modificandoli, gli oggetti e gli strumenti dell’accertamento e i criteri di riferimento per la valutazione degli esiti in uscita dalla secondaria di secondo grado. In questo senso il RAV, il PDM e il rapporto di Rendicontazione sociale potranno essere strumenti funzionali, per il dirigente, utili per coinvolgere il Collegio dei docenti e indicare la via per il miglioramento continuo.

Se la valutazione è un momento strutturale della programmazione, la via può essere quella della condivisione delle trasversalità, come la comprensione del testo, l’uso del lessico specifico, l’argomentare, il riassumere perché l’uso cognitivo della lingua è responsabilità di tutti, come indicato nelle Indicazioni Nazionali per i Licei e nelle Linee Guida per gli Istituti Professionali e Tecnici. Le abilità di studio e lo sviluppo dei processi cognitivi ad esse sottesi, vanno consapevolmente e intenzionalmente promosse da tutti gli insegnamenti disciplinari e da tutti valutati. L’attribuzione delle valutazioni per le competenze disciplinari, espresse in voti dai singoli docenti, si devono conciliare con le valutazioni espresse in livelli dal Consiglio di classe sugli “assi” che fondano le competenze di cittadinanza. È un discorso, questo, che deve essere affrontato con urgenza ed è compito del Dirigente Scolastico porre il problema al Collegio dei docenti.

A livello di disciplina si accertano le abilità e le conoscenze specifiche e il loro utilizzo; a livello di asse si accerta la capacità di integrare le competenze disciplinari nell’affrontare compiti o casi complessi. Uno studente potrebbe ottenere buoni risultati nelle prove di disciplina ma incontrare difficoltà nell’integrare i diversi saperi in un quadro di conoscenza personale, come si è visto anche durante i colloqui dell’Esame di Stato e dalle discrepanze tra la valutazione di ammissione all’esame e gli esiti in uscita.

Restituire con chiarezza agli studenti gli esiti delle prestazioni, mettendo in evidenza i punti di forza e i punti di criticità, indicando i possibili itinerari di rafforzamento, fa della valutazione un momento chiave per l’auto-orientamento e l’autovalutazione, formativo in ogni circostanza ed elemento di contrasto alla dispersione e alle conseguenti disuguaglianze sociali.

Il prossimo settembre …

Il prossimo settembre i Dirigenti dovranno certamente proporre ai Collegi l’analisi dell’andamento dell’Esame di Stato, della convergenza degli esiti con le valutazioni espresse nello scrutinio per l’ammissione e con gli esiti delle prove Invalsi. Sarà l’occasione per riflettere con onestà su ciò che funziona e su cosa non ha funzionato e che deve essere oggetto di riflessione, senza la tentazione delle scusanti riferite alla Commissione troppo severa o alle casualità, lavorando sui dati e non sulle opinioni. In fondo le prove scritte sono state correte anche dai Commissari interni e la valutazione dei colloqui era espressione dell’intera Commissione, all’unanimità o a maggioranza. Sarà l’occasione per prendere atto che la dispersione, in un sistema scolastico dove non è fondata la cultura della verifica misurabile del raggiungimento dei risultati attesi, è un fatto fisiologico e non patologico e che, senza una visione sistemica della valutazione culturale e organizzativa, rimane la certificazione legata più alla progressione scolastica che al bagaglio culturale.

Il dirigente, come è sua responsabilità, dovrà richiamare e indirizzare l’Istituzione che dirige a una attenta riflessione sulle pratiche valutative, promuovendo la condivisione e la standardizzazione degli oggetti, delle procedure e degli strumenti, nonché la codificazione dei tempi, delle forme, delle funzioni e dei criteri.  Sarà suo il delicato e importante compito, attraverso una ben costruita e consapevole autovalutazione, di portare a una riflessione condivisa che la qualità dei risultati degli studenti è strettamente collegata alla qualità dell’azione formativa dei docenti. C. Pontecorvo, ormai parecchi anni fa, scriveva che quando si parla di apprendimento si ritiene necessario associarvi sempre il termine complementare insegnamento: si tratta infatti di un processo di insegnamento-apprendimento (o di istruzione) che è unico… non esprime una contrapposizione ma una necessaria complementarietà che ha fra l’altro delle conseguenze dirette sul piano della valutazione (il suo oggetto non è mai solo l’allievo, ma anche l’insieme del processo di insegnamento.

La necessità di pratiche condivise.

 L’urgenza e la quantità dei cambiamenti, presentati o percepiti come “adempimenti”, e l’impossibilità di tempi di riflessione e di lavoro adeguati, porta i Collegi ad affidare l’elaborazione dei documenti relativi alla valutazione e alla progettazione a ristretti gruppi di lavoro. E’ una pratica necessaria e funzionale, a patto che tali documenti forniscano indirizzi, strumenti e vincoli a tutti i docenti, attraverso significazioni e condivisioni collegiali. In caso contrario diventa evidente lo scollamento tra dichiarato e agito, tra gli atti della progettualità e le pratiche reali.

Lo si vede negli Esami di Stato, ad esempio, confrontando il PTOF, i Documenti del 15 maggio dei Consigli di classe, con l’andamento e le evidenze delle prove scritte e dei colloqui.  Può succedere. E succede in Organizzazioni a legami deboli come sono le Istituzioni scolastiche, dove le parti, e le attività svolte da ciascuna di esse, hanno margini rilevanti di indipendenza. Ma “legame debole o lasco” non significa necessariamente fragile o instabile. Il ruolo del dirigente è anche quello di tenere insieme le varie parti dell’organizzazione, lasciando a ciascuna spazi di autonomia in modo che interagiscano le une con le altre, mantenendo la propria identità e separatezza, sia essa riferita al settore didattico o amministrativo o ai dipartimenti disciplinari o, ancora, ai docenti di disciplina all’interno dei Consigli di classe. Tocca al dirigente scolastico fare in modo che il sistema si adatti ai mutamenti ambientali, restando il più flessibile possibile, conservando, come dice G.Bonazzi le innovazioni annidate nelle sue varie parti ed evitando che un cedimento si espanda alle altre regioni del sistema, evitando l’agire unicamente secondo il criterio concreto di sufficienza piuttosto che secondo il criterio astratto della massima efficienza.

Tocca al dirigente, nell’itinerario di cambiamento, indicare una visione realistica, senza cedere alla tentazione di obiettivi irraggiungibili in quel preciso momento in quella particolare scuola, sollecitando cambiamenti organizzativi e didattici sulla base delle potenzialità presenti e delle condizioni realizzabili.

 Per “…scelte giuste e ben fatte”.

Quali possono essere i valori e le prospettive che orientano le scelte del dirigente scolastico nel disegnare e guidare il cambiamento necessario e nel disegnare i compiti specifici della scuola, nel “guidare un’impresa umana” come la definiva Cesare Scurati, nell’incertezza e nelle complessità del presente e ancora di più del futuro?

Un notevole contributo alla riflessione lo si può trovare nel testo di Howard Gardner “Cinque chiavi per il futuro”. Accanto alle sottolineature che Gardner fa in tutte le sue opere sulla necessità che  la finalità della scuola si inscriva nell’ambito dello sviluppo delle intelligenze multiple, e quindi dei differenti profili personali di intelligenza da valorizzare attraverso percorsi di personalizzazione di insegnamento e di valutazione, lo studioso esprime la sua convinzione che i processi di formazione e di alfabetizzazione culturale, cioè il sapere e il comprendere, debbano poggiare sulla essenzializzazione dei contenuti di istruzione.  Ciò a vantaggio di curricoli che promuovano la conoscenza dei modi di pensare delle principali discipline e, per tale via, di giungere alla comprensione del proprio mondo: “promuovere nuovi modi di pensare per rispondere, agendo con rigore e con creatività alle richieste della società contemporanea”. La sfida è quella di “costruire” menti sintetiche, disciplinate, creative, etiche. Cinque sono, infatti, le chiavi che permetteranno ai giovani di rivolgersi con tranquillità al futuro: l’intelligenza disciplinare (padronanza delle teorie e interpretazioni del mondo); l’intelligenza sintetica (per integrare idee e conoscenze di diverse aree); l’intelligenza creativa(  per affrontare e risolvere problemi nuovi); l’intelligenza rispettosa (per essere consapevoli delle differenze tra uomini e culture diverse); l’intelligenza etica (per accettare e gestire consapevolmente le proprie responsabilità personali e professionali). Modi di pensare, chiavi di lettura che possono guidare anche l’azione del dirigente nella sua duplice veste di manager e di leader. Il lavoro del dirigente scolastico, ispirato a criteri di efficienza e di efficacia, non può prescindere da modi di pensare e di essere che gli permettano di accogliere e di raccogliere i continui flussi di informazione per raccordarli e restituirli in forma di decisioni, di indirizzi, di controllo e di gestione perché la scuola sia veramente un luogo di “adeguatezza funzionale” e di eccellenza formativa. Una leadership che dia concretezza ai cambiamenti necessari dei comportamenti di tutti i componenti dell’Istituzione scolastica. Comportamenti che rimandano a una leadership di tipo trasformazionale, nell’impegno sul versante della sperimentazione e della ricerca, per dare concretezza ai cambiamenti e alle pratiche, ancorchè inusuali, ma produttivi di risultati apprezzabili.  Questo richiede approcci mentali rispettosi, con una forte connotazione etica, continua Gardner, di tutte le richieste di accoglienza e di valorizzazione delle domande che giungono da dentro e da fuori la scuola, per esprimersi in una interazione veramente produttiva.

La professione di dirigente scolastico richiede solide e dinamiche conoscenze giuridiche e regolamentari, amministrative, sociologiche e psicopedagogiche, ma deve anche poggiare su una personale idea di scuola e di percorsi professionali, da rivisitare criticamente attraverso confronti aperti con la complessità e la specificità delle situazioni come ad esempio quella del nuovo Esame di Stato. La progettualità dell’Istituzione scolastica si interseca con i temi della leadership dirigenziale, con i tempi e con i modi con cui si esercitano le responsabilità di indirizzo, di monitoraggio, di valutazione e di implementazione dei processi, supportate da forti competenze tecniche, sociologicamente e pedagogicamente orientate da una gestione etica degli spazi di autonomia. E da quell’autorevolezza che può derivare solo da solidi principi e da gerarchie di valori che sostanzino i criteri di scelta e le direttive per quell’etica professionale che Gardner ritiene irrinunciabile.

BIBLIOGRAFIA

C.Pontecorvo, Psicologia dell’educazione- Conoscere a scuola, Il Mulino, Bologna 1986;

L. Fischer, Sociologia della scuola, Il Mulino, Bologna 2003;

G. Bonazzi, Dire, fare, pensare. Decisioni e creazione di senso nelle organizzazioni, FrancoAngeli, Milano 1999;

H. Gardner, Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli, Milano 2007;

H. Gardner, Sapere e comprendere-Discipline di studio e discipline della mente, Feltrinelli, Milano 1999;

H. Gardner, Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, Erickson, Trento 2005;

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