Il nuovo esame di stato: il dirigente scolastico e il cambiamento possibile
di Maria Grazia
Carnazzola
La Scuola Secondaria di 2^ grado
nel corso dell’appena concluso anno scolastico, ha sperimentato il “Nuovo Esame
di Stato”. Molti sono stati i commenti, le prese di posizione pro e contro, i
pareri espressi da chi dentro la scuola ci lavora, ma anche da chi il mondo
della formazione lo conosce solamente per averlo frequentato tempo addietro. A
breve, credo, il Ministero renderà noti alcuni elementi che sono stati oggetto
della relazione dei Presidenti di Commissione, così come gli esiti complessivi,
passaggio ineludibile per poter ragionare con cognizione di causa, partendo dai
dati. Nel frattempo provo a guardare
questa “novità” dal punto di osservazione del dirigente, responsabile dei
risultati dell’Istituzione scolastica, garante dei processi formativi, dotato
di poteri di direzione, di coordinamento e di controllo, strumenti e condizioni
della coerenza e della congruenza della progettazione complessiva
dell’Istituzione.
La visione, la condivisione,
l’azione.
Oggi si chiede alla scuola di
essere ancorata al contesto, di produrre saperi e competenze spendibili nella
realtà. Il nuovo Esame di Stato percorre questa strada, indicando quali oggetti
di valutazione le competenze, cioè i saperi spendibili, contestualizzati e
utilizzabili in situazioni e per scopi di realtà. Gli studenti in uscita dai
percorsi di scuola secondaria di secondo grado, Istituti Professionali e
Tecnici o Licei, riordinati dai Decreti 87,88,89/2010, rispondono a profili
culturali elevati: pensiero critico per affrontare la complessità, capacità di
individuare e risolvere problemi, strumenti per cercare e trovare autonomamente
nuovi saperi, competenze di cittadinanza attiva e responsabile nei confronti
dei propri simili, della sicurezza,
dell’ambiente fisico e culturale… è una formazione alta che si scontra
con decenni di obiettivi minimi scambiati per strumento di democrazia e di
motivazione allo studio. Gli insoddisfacenti risultati formativi, per usare un
eufemismo, testimoniati dalle indagini nazionali e internazionali, impongono
un’inversione di tendenza, un’azione che dia a tutti, ma a ciascuno il suo. Questa
è personalizzazione. E in questa direzione va il nuovo Esame di Stato che, così
come è stato delineato dal D.L.vo 62/2017 e dall’O.M. 205/2019, può essere un
ottimo strumento di valutazione complessiva delle competenze sviluppate da
ciascuno studente e dell’azione formativa della singola istituzione scolastica.
La struttura e l’organizzazione
dell’esame produrranno retroattivamente delle variazioni sulle pratiche
didattiche, valutative e di progettazione/programmazione delle singole scuole,
magari riportando all’attenzione la necessità di esercitare quella flessibilità
funzionale e organizzativa che un’autonomia mai pienamente esercitata avrebbe
richiesto. Una autonomia debole sia per le tentazioni centralistiche e le
visioni partitiche, e non politiche, dei ministri che si succedono, ma anche
per la cultura dell’adempimento che continua a caratterizzare le istituzioni
scolastiche che non sempre riescono a condividere le responsabilità culturali e
professionali in un progetto mediato e unitario. E dovrà riportare
all’attenzione anche il tema del rapporto programmazione/valutazione e dei
modelli di intervento che possono veramente incidere strutturalmente sui
processi di formazione. Non è, infatti, solamente dilatando i tempi dell’offerta
scolastica e del servizio che si incide sulla qualità degli esiti della
formazione.
Il ruolo e la funzione del
dirigente scolastico, responsabile dei risultati dell’istituzione, con poteri
di direzione e di coordinamento, garante dei processi di formazione, si
evidenziano in tutte le dimensioni: culturale, organizzativa, di indirizzo, di
gestione e di controllo delle azioni finalizzate al cambiamento necessario per
una vera formazione strategica per tutti i ragazzi e per il personale della
scuola. Tocca al dirigente rendere esplicito il modello di scuola che meglio
risponde alle esigenze di quel territorio, coniugando quanto richiesto dalla
norma con l’angolo visuale particolare di quel Collegio dei docenti,
restituendo e significando gli esiti dei percorsi posti in essere, sapendo bene
che un conto è la visione, un altro è la condivisione, altro ancora
l’attivazione dei processi da tradurre in azioni per il raggiungimento degli
obiettivi.
La scuola e la centralità
della formazione.
La concezione della formazione
cambia col tempo e si adegua alle esigenze sociali. Ma l’obiettivo primario
della scuola pubblica resta lo stesso: la formazione degli studenti; la
produttività di una scuola la si misura sugli esiti formativi, ancora prima che
sulla qualità del servizio. Le azioni organizzative, l’utilizzo delle risorse,
ogni innovazione hanno senso se costruiscono buone pratiche che, coniugando
efficienza ed efficacia, offrano uno specifico contributo al risultato
formativo. La complessità delle richieste sociali, l’eterogeneità dell’utenza e
dei professionisti che vi operano, nonché la molteplicità delle risposte
possibili, portano in primo piano la necessità di chiari indirizzi culturali e
pedagogici per interpretare i processi di cambiamento in atto che, nella loro
realizzazione, hanno bisogno di sistemi di valori, di conoscenze e di
significati condivisi. Questo, nel caso della valutazione, richiede alle scuole
pensiero forte e pratiche ispirate a valori condivisi, per passare dai dati
della misurazione ai giudizi della valutazione, giudizi che assumono valore in
relazione a quei processi e a quei valori, rispondendo a principi di coerenza,
di trasparenza e di attendibilità, richiesti dall’etica professionale e
personale prima ancora che dalla responsabilità sociale e dalla norma. Non sono
considerazioni da poco se si pensa ad alcune evidenze. Il mondo del lavoro, le
imprese, lamentano una divaricazione tra le certificazioni in uscita dai
percorsi di istruzione/formazione e le effettive competenze degli studenti; le
indagini internazionali segnalano vistose debolezze negli esiti formativi della
scuola italiana; il Mezzogiorno presenta i risultati più bassi nelle prove
Invalsi, ma voti più alti all’Esame di Stato; gli studenti, e le loro famiglie,
pretendono valutazioni positive confondendole con il diritto allo studio. La
Scuola, scuola di massa, travolta dalla discontinuità delle norme e dalla
continua richiesta di nuovi adempimenti si focalizza sugli adempimenti
trascurando le domande sostanziali, affidando alla valutazione positiva, della
quasi totalità degli studenti, una presunta inclusione sociale.
Misurazione, valutazione,
certificazione…
L’Esame di Stato ha definito, in
parte modificandoli, gli oggetti e gli strumenti dell’accertamento e i criteri
di riferimento per la valutazione degli esiti in uscita dalla secondaria di
secondo grado. In questo senso il RAV, il PDM e il rapporto di Rendicontazione
sociale potranno essere strumenti funzionali, per il dirigente, utili per
coinvolgere il Collegio dei docenti e indicare la via per il miglioramento
continuo.
Se la valutazione è un momento
strutturale della programmazione, la via può essere quella della condivisione
delle trasversalità, come la comprensione del testo, l’uso del lessico
specifico, l’argomentare, il riassumere perché l’uso cognitivo della lingua è
responsabilità di tutti, come indicato nelle Indicazioni Nazionali per i Licei
e nelle Linee Guida per gli Istituti Professionali e Tecnici. Le abilità di
studio e lo sviluppo dei processi cognitivi ad esse sottesi, vanno
consapevolmente e intenzionalmente promosse da tutti gli insegnamenti
disciplinari e da tutti valutati. L’attribuzione delle valutazioni per le
competenze disciplinari, espresse in voti dai singoli docenti, si devono
conciliare con le valutazioni espresse in livelli dal Consiglio di classe sugli
“assi” che fondano le competenze di cittadinanza. È un discorso, questo, che
deve essere affrontato con urgenza ed è compito del Dirigente Scolastico porre
il problema al Collegio dei docenti.
A livello di disciplina si
accertano le abilità e le conoscenze specifiche e il loro utilizzo; a livello
di asse si accerta la capacità di integrare le competenze disciplinari
nell’affrontare compiti o casi complessi. Uno studente potrebbe ottenere buoni
risultati nelle prove di disciplina ma incontrare difficoltà nell’integrare i
diversi saperi in un quadro di conoscenza personale, come si è visto anche
durante i colloqui dell’Esame di Stato e dalle discrepanze tra la valutazione
di ammissione all’esame e gli esiti in uscita.
Restituire con chiarezza agli
studenti gli esiti delle prestazioni, mettendo in evidenza i punti di forza e i
punti di criticità, indicando i possibili itinerari di rafforzamento, fa della
valutazione un momento chiave per l’auto-orientamento e l’autovalutazione,
formativo in ogni circostanza ed elemento di contrasto alla dispersione e alle
conseguenti disuguaglianze sociali.
Il prossimo settembre …
Il prossimo settembre i Dirigenti
dovranno certamente proporre ai Collegi l’analisi dell’andamento dell’Esame di
Stato, della convergenza degli esiti con le valutazioni espresse nello
scrutinio per l’ammissione e con gli esiti delle prove Invalsi. Sarà
l’occasione per riflettere con onestà su ciò che funziona e su cosa non ha
funzionato e che deve essere oggetto di riflessione, senza la tentazione delle
scusanti riferite alla Commissione troppo severa o alle casualità, lavorando
sui dati e non sulle opinioni. In fondo le prove scritte sono state correte
anche dai Commissari interni e la valutazione dei colloqui era espressione
dell’intera Commissione, all’unanimità o a maggioranza. Sarà l’occasione per
prendere atto che la dispersione, in un sistema scolastico dove non è fondata
la cultura della verifica misurabile del raggiungimento dei risultati attesi, è
un fatto fisiologico e non patologico e che, senza una visione sistemica della
valutazione culturale e organizzativa, rimane la certificazione legata più alla
progressione scolastica che al bagaglio culturale.
Il dirigente, come è sua
responsabilità, dovrà richiamare e indirizzare l’Istituzione che dirige a una
attenta riflessione sulle pratiche valutative, promuovendo la condivisione e la
standardizzazione degli oggetti, delle procedure e degli strumenti, nonché la
codificazione dei tempi, delle forme, delle funzioni e dei criteri. Sarà suo il delicato e importante compito,
attraverso una ben costruita e consapevole autovalutazione, di portare a una
riflessione condivisa che la qualità dei risultati degli studenti è
strettamente collegata alla qualità dell’azione formativa dei docenti. C. Pontecorvo,
ormai parecchi anni fa, scriveva che quando si parla di apprendimento si
ritiene necessario associarvi sempre il termine complementare insegnamento: si
tratta infatti di un processo di insegnamento-apprendimento (o di istruzione) che
è unico… non esprime una contrapposizione ma una necessaria complementarietà che
ha fra l’altro delle conseguenze dirette sul piano della valutazione (il suo
oggetto non è mai solo l’allievo, ma anche l’insieme del processo di
insegnamento.
La necessità di pratiche
condivise.
L’urgenza e la quantità dei cambiamenti,
presentati o percepiti come “adempimenti”, e l’impossibilità di tempi di
riflessione e di lavoro adeguati, porta i Collegi ad affidare l’elaborazione
dei documenti relativi alla valutazione e alla progettazione a ristretti gruppi
di lavoro. E’ una pratica necessaria e funzionale, a patto che tali documenti forniscano
indirizzi, strumenti e vincoli a tutti i docenti, attraverso significazioni e
condivisioni collegiali. In caso contrario diventa evidente lo scollamento tra
dichiarato e agito, tra gli atti della progettualità e le pratiche reali.
Lo si vede negli Esami di Stato,
ad esempio, confrontando il PTOF, i Documenti del 15 maggio dei Consigli di
classe, con l’andamento e le evidenze delle prove scritte e dei colloqui. Può succedere. E succede in Organizzazioni a
legami deboli come sono le Istituzioni scolastiche, dove le parti, e le
attività svolte da ciascuna di esse, hanno margini rilevanti di indipendenza.
Ma “legame debole o lasco” non significa necessariamente fragile o instabile.
Il ruolo del dirigente è anche quello di tenere insieme le varie parti
dell’organizzazione, lasciando a ciascuna spazi di autonomia in modo che
interagiscano le une con le altre, mantenendo la propria identità e
separatezza, sia essa riferita al settore didattico o amministrativo o ai
dipartimenti disciplinari o, ancora, ai docenti di disciplina all’interno dei
Consigli di classe. Tocca al dirigente scolastico fare in modo che il sistema
si adatti ai mutamenti ambientali, restando il più flessibile possibile,
conservando, come dice G.Bonazzi le innovazioni annidate nelle sue varie parti
ed evitando che un cedimento si espanda alle altre regioni del sistema, evitando
l’agire unicamente secondo il criterio concreto di sufficienza piuttosto che
secondo il criterio astratto della massima efficienza.
Tocca al dirigente,
nell’itinerario di cambiamento, indicare una visione realistica, senza cedere alla
tentazione di obiettivi irraggiungibili in quel preciso momento in quella
particolare scuola, sollecitando cambiamenti organizzativi e didattici sulla
base delle potenzialità presenti e delle condizioni realizzabili.
Per “…scelte giuste e ben fatte”.
Quali possono essere i valori e
le prospettive che orientano le scelte del dirigente scolastico nel disegnare e
guidare il cambiamento necessario e nel disegnare i compiti specifici della
scuola, nel “guidare un’impresa umana” come la definiva Cesare Scurati,
nell’incertezza e nelle complessità del presente e ancora di più del futuro?
Un notevole contributo alla
riflessione lo si può trovare nel testo di Howard Gardner “Cinque chiavi per
il futuro”. Accanto alle sottolineature che Gardner fa in tutte le sue
opere sulla necessità che la finalità
della scuola si inscriva nell’ambito dello sviluppo delle intelligenze
multiple, e quindi dei differenti profili personali di intelligenza da
valorizzare attraverso percorsi di personalizzazione di insegnamento e di
valutazione, lo studioso esprime la sua convinzione che i processi di
formazione e di alfabetizzazione culturale, cioè il sapere e il comprendere,
debbano poggiare sulla essenzializzazione dei contenuti di istruzione. Ciò a vantaggio di curricoli che promuovano la
conoscenza dei modi di pensare delle principali discipline e, per tale via, di
giungere alla comprensione del proprio mondo: “promuovere nuovi modi di pensare
per rispondere, agendo con rigore e con creatività alle richieste della società
contemporanea”. La sfida è quella di “costruire” menti sintetiche,
disciplinate, creative, etiche. Cinque sono, infatti, le chiavi che
permetteranno ai giovani di rivolgersi con tranquillità al futuro: l’intelligenza disciplinare (padronanza delle teorie
e interpretazioni del mondo); l’intelligenza sintetica (per integrare idee e conoscenze di diverse aree);
l’intelligenza creativa( per affrontare e risolvere problemi nuovi);
l’intelligenza rispettosa (per
essere consapevoli delle differenze tra uomini e culture diverse);
l’intelligenza etica (per accettare
e gestire consapevolmente le proprie responsabilità personali e professionali).
Modi di pensare, chiavi di lettura che possono guidare anche l’azione del
dirigente nella sua duplice veste di manager e di leader. Il lavoro del
dirigente scolastico, ispirato a criteri di efficienza e di efficacia, non può
prescindere da modi di pensare e di essere che gli permettano di accogliere e
di raccogliere i continui flussi di informazione per raccordarli e restituirli
in forma di decisioni, di indirizzi, di controllo e di gestione perché la
scuola sia veramente un luogo di “adeguatezza funzionale” e di eccellenza
formativa. Una leadership che dia concretezza ai cambiamenti necessari dei
comportamenti di tutti i componenti dell’Istituzione scolastica. Comportamenti
che rimandano a una leadership di tipo trasformazionale, nell’impegno sul
versante della sperimentazione e della ricerca, per dare concretezza ai
cambiamenti e alle pratiche, ancorchè inusuali, ma produttivi di risultati
apprezzabili. Questo richiede approcci
mentali rispettosi, con una forte connotazione etica, continua Gardner, di
tutte le richieste di accoglienza e di valorizzazione delle domande che
giungono da dentro e da fuori la scuola, per esprimersi in una interazione
veramente produttiva.
La professione di dirigente
scolastico richiede solide e dinamiche conoscenze giuridiche e regolamentari,
amministrative, sociologiche e psicopedagogiche, ma deve anche poggiare su una
personale idea di scuola e di percorsi professionali, da rivisitare
criticamente attraverso confronti aperti con la complessità e la specificità
delle situazioni come ad esempio quella del nuovo Esame di Stato. La
progettualità dell’Istituzione scolastica si interseca con i temi della
leadership dirigenziale, con i tempi e con i modi con cui si esercitano le
responsabilità di indirizzo, di monitoraggio, di valutazione e di
implementazione dei processi, supportate da forti competenze tecniche,
sociologicamente e pedagogicamente orientate da una gestione etica degli spazi
di autonomia. E da quell’autorevolezza che può derivare solo da solidi principi
e da gerarchie di valori che sostanzino i criteri di scelta e le direttive per
quell’etica professionale che Gardner ritiene irrinunciabile.
BIBLIOGRAFIA
C.Pontecorvo, Psicologia
dell’educazione- Conoscere a scuola, Il Mulino, Bologna 1986;
L. Fischer, Sociologia della
scuola, Il Mulino, Bologna 2003;
G. Bonazzi, Dire, fare,
pensare. Decisioni e creazione di senso nelle organizzazioni, FrancoAngeli,
Milano 1999;
H. Gardner, Cinque chiavi per
il futuro, Feltrinelli, Milano 2007;
H. Gardner, Sapere e
comprendere-Discipline di studio e discipline della mente, Feltrinelli, Milano
1999;
H. Gardner, Educazione e
sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, Erickson,
Trento 2005;
D.P.R. 87/88/89/2010;
D. L. vo 62/2017;
O.M. 205/2019;
D.M. 37/2019.
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