DL Scuola e Ricerca verso l’approvazione

DL Scuola e Ricerca verso l’approvazione, ma del disegno di legge sulle abilitazioni nessuna traccia

Con il voto al Senato di domani sul Decreto Legge 126/2019 (Scuola e Ricerca) si porta a compimento il primo punto dell’Intesa sottoscritta il 1° ottobre scorso da MIUR e organizzazioni sindacali. L’iter di conversione si concluderà domani con voto di fiducia, il testo è stato blindato e dovrebbe essere approvato senza significative modifiche rispetto a quanto definito dagli emendamenti già approvati alla Camera.

Molti gli elementi positivi del Decreto, che la nostra organizzazione ha contribuito a migliorare con gli emendamenti che ha proposto e sostenuto, ma il Ministro ha assunto con i sindacati un impegno, rispetto al quale ci aspettiamo una convocazione.

Abbiamo dato fiducia a Fioramonti siglando l’Intesa e per raggiungere quell’accordo abbiamo mediato rispetto alle nostre richieste di partenza perché ci è stato assicurato che saremmo stati coinvolti nella stesura di un disegno di legge sulle abilitazioni collegato alla Legge di Bilancio di cui, ad oggi, non c’è traccia.

La partita delle abilitazioni costituisce per la FLC CGIL un punto irrinunciabile di quell’accordo.

Ci sono più di 60 mila docenti che hanno diritto ad accedere alla formazione abilitante, poiché da più di 6 anni il sistema di reclutamento ha impedito loro qualsiasi accesso all’abilitazione e alla stabilizzazione. Formare quei docenti con percorsi di qualità e abilitarli ha un valore per i lavoratori e per la scuola tutta.

Anche per questo oggi torneremo in piazza insieme a tanti lavoratori e lavoratrici e proseguiremo nell’azione sindacale unitaria.

La maggioranza ci riprova: l’educazione civica è anche finanziaria

da Il Sole 24 Ore

di Eu. B.

La maggioranza ci riprova. Nel decreto milleproroghe di fine anno dovrebbe entrare anche l’inserimento dell’educazione economica e finanziaria nella “grande famiglia” dell’educazione civica obbligatoria a partire dal prossimo anno scolastico. A confermarlo è una bozza del provvedimento che è circolata ieri e che è però suscettibile di ulteriori modifiche.

Educazione civica e finanziaria
L’educazione civica obbligatoria è stata introdotta dalla legge 92/2019 che è entrata in vigore il 5 settembre scorso. Ad anno scolastico formalmente iniziato. Per questo una nota del Miur ne ha disposto lo slittamento all’anno scolastico 2020/2021. Per effetto di una norma contenuta nel Dl milleproroghe atteso venerdì in Consiglio dei ministri – che ricalca l’emendamento alla legge di bilancio approvato in commissione e poi espunto dal testo del maxi-emendamento – i fondi a tal fine allocati presso il ministero dell’Istruzione crescono di 200mila euro per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022.

Proroga insegnanti distaccati
Ma quello relativo all’educazione finanziaria non dovrebbe essere l’unico ripescaggio di misure uscite dalla manovra 2020. Sempre all’interno del milleproroghe è rispuntata la proroga di 100 insegnanti o dirigenti scolastici fuori ruolo presso gli enti e le associazioni che svolgono attività di prevenzione del disagio giovanile oppure presso le associazioni professionali del personale direttivo e docente. Una misura che costa 1,81 milioni nel 2020 e 3,55 milioni nel 2021.


Bonus docenti, si cambia: a decidere non sarà più il dirigente scolastico

da Corriere della sera

Valentina Santarpia

Un altro pezzo della Buona scuola, la riforma di Renzi confluita nella legge 107, è stato smantellato. Sparisce il «bonus merito» per i docenti e i fondi, 200 milioni l’anno lo stanziamento, saranno «utilizzati dalla contrattazione integrativa in favore del personale scolastico, senza ulteriore vincolo di destinazione». Lo prevede un emendamento M5S a firma Moronese, riformulato e approvato dalla commissione Bilancio del Senato nei giorni scorsi. La norma è una di quelle rimaste nel «maxiemendamento» sul quale il governo porrà in Aula la fiducia. «Mi sono battuta personalmente per questa misura e da insegnante prima ancora che da senatrice sono soddisfatta del risultato raggiunto», sottolinea la capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Istruzione al Senato Bianca Laura Granato.

Cosa cambia

Che cosa cambia, in pratica? Il bonus veniva distribuito prima ai docenti sulla base dei loro meriti: maggiori progetti e coinvolgimento nell’attività scolastica equivalevano ad altrettanti punteggi merito che fruttavano alla fine dell’anno cifre tra i 200 e i 500 euro, sulla base delle indicazioni del preside. Ma proprio l’influenza del dirigente nella distribuzione del bonus era stata criticata, al punto che adesso la decisione su come distribuire quei fondi torna ai sindacati, che nell’ambito della contrattazione potranno stabilire i criteri con cui attribuire le risorse aggiuntive. Già nei giorni scorsi il bonus era stato ritoccato, per quanto riguarda la platea dei beneficiari: il bonus merito, infatti, viene esteso anche ai supplenti (non a quelli brevi), ossia a coloro che hanno sottoscritto con la scuola un contratto a tempo determinato fino al termine delle attività didattiche (30 giugno) o fino al termine dell’anno scolastico (31 agosto). Il dirigente Scolastico non avrà più alcun potere decisionale, con il bonus che verrà assegnato tramite la contrattazione d’istituto sulla base, come spiegato dalla Granato, di «criteri trasparenti, rendicontati e condivisi».

L’agitazione di mercoledì

Ma ai sindacati – che il 18 dicembre saranno in piazza per un flash mob di protesta- non basta. Secondo le 5 sigle del comparto Istruzione e ricerca, l’aumento delle risorse per il rinnovo contrattuale consente un incremento delle retribuzioni di poco superiore all’inflazione: meno di 80 euro medi mensili, ben lontano dall’aumento a tre cifre promesso a più riprese e ben lontano dagli aumenti degli altri impiegati della Pubblica amministrazione, contestano.


Addio al bonus merito per i prof, i soldi andranno nel fondo d’istituto

da la Repubblica

Salvo Intravaia

Demolito dal governo giallo-rosso un altro pezzo della Buona scuola renziana. Uno dei provvedimenti più odiati dagli insegnanti italiani: il Bonus che nella logica della riforma avrebbe dovuto premiare i docenti migliori. Secondo un emendamento alla legge di Bilancio, approvato nei giorni scorsi, “Sarà abolito il bonus docenti. Le risorse saranno spostate sul Fis (fondo d’istituto e autonomia scolastica n.d.r.,) e dunque ritornano nella disponibilità della contrattazione di istituto e dunque ai docenti – ha spiegato il sottosegretario all’istruzione Peppe De Cristofaro – Criterio che molte scuole avevano già adottato da tempo per limitare al massimo la discrezionalità dei dirigenti e dei comitati di valutazione. È chiaro però che questo non può bastare – aggiunge De Cristofaro – bisogna rinnovare i contratti per adeguare gli stipendi dei docenti a quelli dei loro colleghi in Europa”.

Una mezza rivoluzione che si ripercuote anche sull’organismo scolastico (il comitato di valutazione) che finora ha stabilito le regole per assegnare il bonus. Non è ancora chiaro se la novità, che dal 2015/2016 ha creato momenti di ulteriore divisioni tra i docenti “bravi” e quelli considerati “meno bravi”, partirà dall’anno in corso o dal prossimo. In generale infatti, le norme della legge di Bilancio si avviano dal primo gennaio. Ma per l’anno scolastico in corso le somme sono state già accreditate alle scuole. Il governo e il ministero dell’Istruzione, com’è avvenuto per l’Alternanza scuola-lavoro, potrebbe intervenire anche in corso d’anno. In questo caso si dovrebbero riaprire tutte le contrattazioni d’istituto concluse entro lo scorso 30 novembre.

L’integrazione all’articolo 28 dell’attuale disegno di legge di Bilancio (l’ex Finanziaria) per il 2020 è stata richiesta è ottenuta dalla pentastellata campana Vilma Moronse. Il cosiddetto Bonus merito è stato da sempre al centro di polemiche perché, nella maggior parte dei casi, l’erogazione del premio è avvenuta a domanda da parte degli insegnanti interessati ed è stata destinata al 30% circa dei docenti. Con cifre variabili fra i 200 e i 500 euro lordi per anno. La modifica che dovrebbe mettere d’accordo insegnanti e almeno una parte dei dirigenti scolastici vede una parte del sindacato rappresentativo perplesso.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief, “lo spostamento del bonus merito nel fondo d’istituto è un provvedimento che non coglie il cuore del problema dei compensi dei docenti e del personale Ata: i nostri decisori politici sanno bene che la priorità rimane quella di vincolare gli stipendi, ridotti ai minimi termini, al costo della vita che è più avanti di quasi 10 punti percentuali”. Mentre per Maddalena Gissi, a capo della Cisl scuola, “accogliamo con favore la novità che dirotta i fondi del Bonus nella contrattazione d’istituto, anche se da tempo rivendichiamo cifre ben diverse per l’intera categoria del personale della scuola. Diciamo che almeno questi fondi, già esistenti, verranno spesi meglio”.

Manovra, i sindacati dicono no

da Italiaoggi

Carlo Forte e Alessandra Ricciardi

Nel giorno in cui il maxiemendamento governativo sostitutivo della legge di Bilancio viene posto al voto di fiducia del senato (alla camera il testo arriverà blindato), i sindacati di scuola e università hanno annunciato lo stato di agitazione con la richiesta di conciliazione ai ministri dell’istruzione e della pubblica amministrazione. Tempo cinque giorni, per la risposta, e poi il passo successivo è l’astensione dalle attività aggiuntive e infine lo sciopero. Tra i punti chiave, la carenze di risorse per il contratto del 2019/2021, visto che quelle stanziate nella legge di bilancio consentono, a regime, un incremento delle retribuzioni di poco superiore all’inflazione: meno di 80 euro medi mensili, ben lontano dall’aumento a «tre cifre» promesso a più riprese dal ministro dell’istruzione, università e ricerca, Lorenzo Fioramonti.

Le richieste delle sigle sindacali riguardano anche la valorizzazione professionale e la perequazione retributiva rispetto al resto del personale della p.a. «Il fatto che oltre il 40% dei lavoratori del comparto beneficia dell’elemento perequativo », affermano Sinopoli, Gissi, Turi, Serafini e Di Meglio, segretari di Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda, «dimostra che le retribuzioni del comparto istruzione e ricerca sono significativamente inferiori a quelle delle altre pubbliche amministrazioni. Se le risorse stanziate per il rinnovo contrattuale sono comprensive della quota necessaria a finanziare il perequativo, l’aumento medio mensile reale si riduce a circa 70 euro». I leader dei cinque sindacati chiedono siano considerate aggiuntive rispetto a quelle occorrenti per il rinnovo contrattuale.

Molto della decisione sullo sciopero dipenderà da come evolverà la trattativa aperta a palazzo Chigi sui contratti ma anche dalle risposte di merito su precari, docenti e dsga, che arriveranno dall’istruzione.

Tra le novità più importanti introdotte dalla VII commissione del senato nel disegno di legge di bilancio (AS 1586-A), recepite nel maxiemendamento del governo, l’incremento di posti per il sostegno in organico di diritto e bonus docenti alla contrattazione integrativa di istituto. Circa 1.000 posti di sostegno in più in organico di diritto a partire dal prossimo anno scolastico. Il testo proposto dalla commissione dispone uno stanziamento di 12,06 milioni di euro nell’anno 2020, 54,28 milioni nell’anno 2021 e 49,75 milioni a decorrere dall’anno 2022. Ed è finalizzato a tamponare la situazione di incertezza che si verifica ogni anno all’atto della compilazione degli organici dei docenti di sostegno. La procedura di individuazione dei fabbisogni, infatti, prevede una prima stesura degli organici in via previsionale (cosiddetto organico di diritto). E poi, dopo avere accertato il fabbisogno reale, la compilazione dell’organico definitivo (organico di fatto).

Di anno in anno, quindi, gli alunni disabili e le loro famiglie, sono costretti a sopportare l’alea dell’assegnazione del docente di sostegno che, spesso, prevede una prima fase in cui l’assistenza viene negata o ipodimensionata in termini di ore, in sede di formazione dell’organico di diritto. E solo successivamente riescono a ottenere l’assegnazione necessaria rispetto al reale fabbisogno in organico di fatto. Non di rado, peraltro, anche nella fase dell’organico di fatto, il fabbisogno viene ipodimensionato. E ciò determina un forte contenzioso che, di solito, si evolve nell’assegnazione del fabbisogno reale solo all’esito dei giudizi intentati dalle famiglie. L’emendamento dispone l’assegnazione di circa 1.000 posti di sostegno in più già nella fase dell’organico di diritto. L’incremento, però, non comporterà un ampliamento dell’organico di fatto perché andrà a compensazione.

I 200 milioni annui destinati dalla legge 107/2015, la riforma Renzi, alla valorizzazione del merito dei docenti saranno versati nel fondo delle istituzioni scolastiche. E saranno contrattualizzati senza vincolo di destinazione. Il dispositivo è frutto di un compromesso adottato dalla commissione, che ha respinto il testo dell’emendamento originario, che prevedeva la destinazione dei 200 milioni alla contrattazione collettiva. E lo ha modificato in questo senso (28.20). Ciò vuol dire che i relativi fondi non saranno utilizzati per aumentare lo stipendio dei docenti in modo strutturale. Ma saranno destinati ad incrementare il cosiddetto compenso accessorio. Vale a dire, le attività aggiuntive che vengono programmate e realizzate nell’ambito della realizzazione del piano dell’offerta formativa. Va detto subito che anche in origine questi fondi erano destinati all’accessorio. Ma erano vincolati e venivano attribuiti sulla base di valutazioni discrezionali del dirigente scolastico. Il cosiddetto bonus docenti, dunque, resta in piedi. Ma la dotazione finanziaria del bonus non sarà fissata a livello centrale e sarà oggetto di determinazione da adottarsi a livello di contrattazione integrativa.

La novità rispetto al passato, dunque, consisterà semplicemente nella possibilità, da parte del tavolo negoziale di istituto, di destinare a questo fine lo stesso importo oppure diminuirlo o addirittura incrementarlo, impiegando risorse che prima dovevano essere necessariamente destinate ad altri scopi. In via meramente astratta, sarebbe anche possibile utilizzare queste risorse per incrementare i fondi dell’accessorio del personale Ata. «Le risorse iscritte nel fondo di cui all’articolo 1, comma 126, della legge 13 luglio 2015, n. 107», e cioè quelle per la valorizzazione del merito per i docenti « già confluite nel fondo per il miglioramento dell’offerta formativa», ma con vincolo di destinazione d’uso, «sono utilizzate dalla contrattazione integrativa in favore del personale scolastico», dunque, anche per il personale Ata «senza ulteriore vincolo di destinazione». La locuzione «senza ulteriore vincolo di destinazione», si presta peraltro ad interpretazioni non univoche. La presenza dell’avverbio «ulteriore», potrebbe indurre l’interprete a ritenere che permanga il vincolo di destinazione riguardante la valorizzazione del merito, includendo anche il personale Ata in tale accezione. La questione, però, potrebbe comunque essere risolta in sede di rinnovo del contratto collettivo nazionale.

Contratto, i fondi non bastano

da Italiaoggi

Carlo Nobilio

Ci saranno 200 milioni in più per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Lo stanziamento aggiuntivo è stato previsto dalla VII commissione del senato in sede di approvazione del disegno di legge di bilancio di quest’anno (AS 1586-A). E la misura recepita nel maxiemendamento su cui è stata posta la fiducia dal governo a Palazzo Madama. La misura riguarda anche la scuola, che comprende circa un terzo degli oltre 3 milioni di addetti della p.a. I fondi disponibili, dunque, passano da 3.175 a 3.375 milioni di euro. La somma individua le risorse a disposizione della contrattazione collettiva per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici per il triennio 2019-2021.

Allo stato attuale, dunque, i fondi per il contratto dei docenti e degli Ata rientrano nelle risorse per tutto il pubblico impiego. E ciò rischia di incrementare ulteriormente la forbice esistente tra gli importi delle retribuzioni degli operatori scolastici e degli altri dipendenti pubblici. Il pubblico impiego, infatti, è caratterizzato da sperequazioni di reddito a parità di qualifica, che vede docenti e Ata in una situazione di svantaggio rispetto agli altri lavoratori della p.a. E siccome le retribuzioni della scuola sono più basse, applicando incrementi retributivi con il criterio del medesimo coefficiente, tali sperequazioni sono destinate ad aggravarsi.

Facciamo un esempio. Se a uno stipendio pari a 1.000 euro viene applicato il coefficiente del 3%, l’incremento a regime sarà di 30 euro. Se, invece, il coefficiente del 3% viene applicato a uno stipendio di 2000 euro, l’aumento sarà di 60 euro. Il risultato a regime consisterà in uno stipendio di 1.030 euro contro una retribuzione di 2.060 euro. Il divario, che nella situazione di partenza era di 1000 euro, a regime, sarà di 1.030 euro. La forbice è più evidente tra docenti e funzionari. E cioè tra qualifiche alle quali si accede con il possesso di laurea. E si acuisce per quanto riguarda il compenso accessorio. Anche perché è prassi che ai docenti non venga pagato lo straordinario per le ore in più che vengono sistematicamente prestate nell’ambito delle cosiddette attività funzionali all’insegnamento (riunioni dei consigli, collegi docenti, riunioni di dipartimento, colloqui con i genitori, formazione ecc.). Per quanto riguarda la formazione in servizio, in particolare, mentre nel resto del pubblico impiego avviene nell’orario ordinario di servizio (ma in questo caso gli Ata fruiscono dello stesso trattamento del pubblico impiego) per i docenti, le attività di formazione obbligatoria, quasi sempre, non vengono conteggiate nel monte delle 40 ore previsto dall’articolo 29. E ciò determina, di fatto, un ulteriore deprezzamento della prestazione.

Il tutto con il risultato che la prestazione di fatto viene retribuita in misura ancora minore di quanto previsto contrattualmente. Proprio a causa della prassi deteriore di non retribuire le prestazioni eccedenti l’orario d’obbligo (si veda Italia Oggi del 26 marzo 2019). Un tentativo di ridurre la forbice a vantaggio dei docenti è stato fatto di recente, in VII commissione al senato, in sede di discussione del disegno di legge di bilancio. Nel corso della discussione, infatti, era stato presentato un emendamento per finanziare gli incrementi contrattuali utilizzando i 200 milioni annui previsti dalla legge 107/2015 per retribuire il cosiddetto bonus docenti: una forma di compenso accessorio, la cui attribuzione è nella disponibilità del dirigente scolastico, che attribuisce i compensi sulla base di criteri generali e con ampia discrezionalità.

L’emendamento (28.90 a firma di Granato, Angrisani, Floridia, Montevecchi, Botto, Romano, Croatti, Donno, Trentacoste, Vanin, Marilotti, De Petris) è stato presentato, ma durante la trattazione in commissione è stato modificato e i relativi fondi sono stati riassegnati alla contrattazione di istituto ampliandone la destinazione d’uso. La modifica, peraltro, rispondeva in parte alle richieste dei sindacati. Che, sebbene con qualche distinguo, sarebbero intenzionati a chiedere che anche i fondi della carta del docente vengano stornati e messi a disposizione della contrattazione collettiva nazionale. Allo stato attuale, infatti, queste risorse sono vincolate all’acquisto di beni e servizi finalizzati all’aggiornamento professionale. In pratica, si tratta di una sorta di erogazione liberale con onere modale, in forza della quale i docenti non possono disporne per fare fronte alle esigenze alimentari, ma devono necessariamente spenderli per acquistare beni strumentali (per esempio: libri, riviste, computer o corsi di formazione).

L’utilizzo di questi fondi per il rinnovo del contratto, invece, comporterebbe la piena disponibilità delle risorse e incrementi stipendiali con effetti strutturali sia sull’importo delle retribuzioni, sia sulla pensione e sul tfr. Resta il fatto, però, che per utilizzare i fondi della carta docente per la contrattazione sarebbe necessario un intervento legislativo ad hoc che non sembra profilarsi. Perlomeno a breve termine.

Potenziamento nell’infanzia con 390 maestri in più

da Italiaoggi

Carlo Forte

Ci sono 16 milioni di euro a regime dal 2022 per finanziare l’introduzione di 390 posti di potenziamento nella scuola dell’infanzia. Lo prevede un emendamento approvato dalla VII commissione del senato il 12 dicembre scorso, che introduce un’apposita previsione nel disegno di legge di bilancio all’esame del parlamento. I posti saranno introdotti dal prossimo anno scolastico e la ripartizione tra le regioni sarà effettuata dal ministero dell’istruzione con un decreto ad hoc. Per il 2020 è previsto uno stanziamento di 4.374.000 euro, per il 2021 16.596.000 di euro e dal 2020, a regime, 15.725.000 di euro. I fondi saranno tratti dall’accantonamento per nuove o maggiori spese o per riduzioni di entrate relativo al ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Accantonamento che sarà ridotto in modo corrispondente. La misura rischia di rendere più difficoltose le sostituzioni del personale assente. Perché la legge vieta ai dirigenti scolastici di disporle in presenza di docenti di potenziamento. Che peraltro anche, se previsti, hanno comunque diritto alla calendarizzazione del proprio orario.

Docenti precettabili, si decide

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Docenti precettabili in caso di sciopero, si va verso l’atto unilaterale del governo. Si è tenuta ieri l’ultima riunione presso l’Aran, tra i sindacati rappresentativi del comparto scuole università e ricerca e i rappresentanti dell’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni per rivedere l’accordo sui servizi minimi in caso di sciopero. Ma si è conclusa con un nulla di fatto, con ognuna delle parti arroccata sulle proprie posizioni. L’Aran, infatti, è rimasta irremovibile sulla necessità di precettazione dei docenti. E i sindacati hanno continuato a chiedere l’esclusione di questa previsione dal nuovo accordo.

Considerato che l’accordo dovrebbe essere concluso entro il 31 dicembre prossimo, dunque, si fa avanti con forza la prospettiva che il governo bypassi la contrattazione e proceda con un atto unilaterale. Ipotesi, questa, giuridicamente plausibile, ma politicamente improbabile. Specie in vista delle elezioni regionali in Emilia-Romagna.

L’adozione di un atto unilaterale in tal senso, infatti avrebbe l’effetto di rompere il delicato equilibrio costruito con costanza certosina dal presidente del consiglio, Giuseppe Conte. Che ha ripristinato la prassi ormai desueta della concertazione, per ampliare il più possibile la sfera di condivisione delle decisioni con i sindacati riguardanti le misure in materia di scuola. E che ora è stato in parte pregiudicato a causa delle misure adottate dal governo sul reclutamento. Che recepiscono solo in parte gli accordi con i sindacati. E adesso, se l’esecutivo dovesse decidere di procedere unilateralmente sulla questione della precettazione dei docenti in caso di sciopero, rischierebbe di dare il colpo di grazia al faticoso lavoro di ricomposizione delle relazioni sindacali efficacemente portato aventi negli ultimi mesi. Il tutto alla vigilia delle elezioni regionali e dell’apertura delle trattative per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Rinnovo per il quale le risorse sono già molto esigue: 3 miliardi e 375 milioni. Perlomeno stando a quanto attualmente previsto nel disegno di legge di bilancio.

Per giungere alla precettazione dei docenti in caso di sciopero, peraltro, il governo deve superare non solo gli ostacoli politici e negoziali, ma deve anche dirimere una questione essenzialmente giuridica. La precettazione, infatti, comporterebbe un vero e proprio demansionamento dei docenti interessati. Che sarebbero costretti ad operare con mansioni di mera vigilanza. Vale a dire erogando una prestazione diversa e inferiore rispetto a quella per la quale sono stati assunti.

Ciò risulterebbe in violazione delle disposizioni contenute nel codice civile e nel decreto legislativo 165/2001, che vietano espressamente al datore di lavoro il ricorso al demansionamento dei dipendenti. La necessità di rivedere l’accordo è scaturita dalla frequenza con la quale i sindacati a basso tasso di rappresentatività proclamano gli scioperi. Che mettono in allarme i genitori e, talvolta, li inducono a non mandare i figli a scuola. Salvo poi constatare che le adesioni allo sciopero siano state assolutamente trascurabili e che, quindi, le lezioni si sarebbero tenute regolarmente.

Di qui la richiesta, sostanzialmente accolta dai sindacati, di agevolare la trasmissione alle famiglie delle informazioni circa le dichiarazioni (su base volontaria) di preventiva adesione allo sciopero e sui dati riguardanti il peso delle sigle sindacali che abbiano indetto l’agitazione.

Il nuovo reato di “revenge porn”: consigli per gli insegnanti

da Orizzontescuola

di Avv. Alessia Sorgato

Avere ben chiaro i pericoli che comporta l’uso dei Social è di indubbia utilità soprattutto per gli insegnanti che vantano un’utenza costituita esclusivamente da giovani e giovanissimi.

Come ben sappiamo, ormai, per i nostri ragazzi ciò che passa in Rete è reale a tutti gli effetti, e non virtuale. Il revenge porn è un reato gravissimo, perché ha una capacità moltiplicativa senza limiti e insegue la vittima sin dove questa va a rifugiarsi: casa sua. Non si tratta di cyberbullismo, è molto più atroce perché la nudità o l’atto sessuale sono concetti che stimolano l’odio, la derisione, la presa in giro massificata, la richiesta di prestazioni sessuali ed il ricatto. Il c.d. sexting, oggi così tanto praticato dai minorenni da essere assurto ad attuale “prova d’amore”, se da un lato dimostra l’estrema immaturità che non prende la minima precauzione contro rischi di vittimizzazione, dall’altro non stimola affatto l’empatia, perché corre su fili immateriali, dove è molto difficile prendersi cura della vittima e mostrare solidarietà. Molto più “socialmente accetto” unirsi al coro degli haters.

Il 9 agosto 2019 è entrata in vigore la legge n. 69 – altrimenti detta “Codice Rosso” che ha, tra l’altro, introdotto una nuova fattispecie delittuosa molto attesa dal mondo giuridico, specialmente quello di impronta vittimologica.

Il testo comprende svariate modifiche a norme preesistenti e risulta declinato nell’ottica della celerità con cui deve avere inizio ogni indagine per un reato di violenza, soprattutto se commesso nei confronti dei c.d. soggetti deboli ossia, in primis, donne e minori di età.

Ha altresì introdotto il delitto di diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti, punendolo con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

Poiché di questo reato risultano spesso vittime (ed altrettanto spesso autori) i giovani dai 13 ai 19 anni di età, e poiché l’uso delle nuove tecnologie costituisce addirittura una aggravante (e non la modalità usuale, nonostante all’atto pratico lo sia), sembra doveroso che la scuola si prenda carico di informare i giovani sia sulle caratteristiche tecniche del nuovo delitto, sia dei rimedi da invocare una volta commesso e, conseguentemente, patito.

Il nuovo articolo 612 ter c.p. comprende cinque tipologie di azione vietata: inviare, consegnare, cedere, pubblicare o diffondere. Con una scelta assolutamente condivisibile, il legislatore ha preferito utilizzare espressioni di uso comune, che non necessitano di particolari attività di interpretazione. Le foto, o i video, a cui si allude possono essere trasmessi in qualsiasi modo, dalla busta affrancata al messaggio e-mail, sino alle pubblicazioni più generiche sui social media o le chat di whatsapp, Telegram e così via.

Per rientrare in questa categoria devono risultare “sessualmente espliciti”, quindi coinvolgere nudità, atti sessuali, erotismo e pornografia.

Il legislatore ha suddiviso il reato in due tipologie diverse, che ha distinto anche graficamente dedicando a ciascuna un comma dell’articolo: il primo punisce chiunque, dopo aver realizzato o sottratto le immagini, compie una delle cinque azioni sopra ricordate. Il secondo comma applica la stessa pena a chi fa altrettanto dopo aver ricevuto o comunque acquisito le foto o i video.

Qual è la differenza? Nel primo comma abbiamo i soggetti che chiedono e ottengono l’invio di selfie autoerotici, o che si mettono davanti alla web-cam e filmano, oppure ancora che, conoscendo le password di accesso ai device della vittima, riescono a prelevare quelle immagini clandestinamente. Nel secondo comma vengono puniti di fatto gli “inoltra”: possiamo immaginare qui coloro che, partecipando ad una chat o ad un gruppo, ricevano quei contenuti e a loro volta li inviino, diffondano, pubblichino e così via. In questa ipotesi, però, perché possano essere puniti questi – chiamiamoli così per semplicità – revenger di secondo grado bisogna dimostrare che hanno agito al fine di recare nocumento, ossia per danneggiare il soggetto ritratto.

La relazione affettiva, sia stata un matrimonio o una convivenza o un rapporto amoroso o di amicizia, è un’aggravante, e questo è intuitivo visto che proprio il partner (o ex tale) con maggiori probabilità dispone di quel genere di materiale per averlo, appunto, girato o scattato, o per aver avuto accesso a dove custodito (immaginiamo un computer lasciato acceso mentre si va a fare la doccia…).

Se la vittima è in condizioni di inferiorità fisica o psichica oppure in gravidanza la pena è aumentata da un terzo a metà.

Come difendersi? Il punto nodale della questione è il cosiddetto consenso ma su questo bisogna intendersi bene: per molto tempo, quando l’articolo non esisteva ancora, l’autorità giudiziaria ha celebrato i processi per revenge porn sulla scorta di altri reati, come gli atti persecutori e la pedopornografia, e si è fatta molta confusione tra consenso a che una certa persona riceva quelle immagini intime (sul quale ovviamente c’è piena libertà in capo a chiunque) e consenso a che questa persona poi le giri ad altri. Esistono pronunce, anche tristemente note (avendo comportato il suicidio della persona ritratta) in cui si è sostenuto che aver concesso di venir filmata durante atti sessuali, e anche di consegnare ad alcune determinate persone il video, comportasse automaticamente il permesso a pubblicarlo urbi et orbi su canali comunicativi di massa come YouTube o Facebook. Il nuovo reato punisce solo chi divulghi, quindi, senza il consenso della persona rappresentata, ossia di chi si vede in quelle foto o in quei video.

Il primo consiglio è quindi chiarire bene (meglio se per iscritto) che stiamo acconsentendo a che quella certa persona (il nostro partner, la nostra amica, ecc) ci veda senza mutande, per dire, ma non che inoltri ad altri quella nostra immagine.

Il secondo è agire in prevenzione: se sappiamo di aver girato un video e di rischiare che altri lo pubblichino, dobbiamo recuperarlo e inviarlo a Facebook che oggi dispone di un algoritmo con cui riconosce le immagini e ne blocca all’istante la divulgazione. Eventualmente ci si può rivolgere anche alla Associazione www.PermessoNegato.it , che ho fondato con alcuni amici per assistere le vittime digitali.

Terzo consiglio: se la foto o il video sono già stati pubblicati, usare il tasto “Segnala” e chiederne la rimozione al social. Se questo non si attiva entro 48 ore, scaricare dal sito www.garanteprivacy.it l’apposito modulo e domandare che il Garante si attivi sulla piattaforma. Se passano altre 48 ore inutilmente, si può adire l’autorità giudiziaria.

In tutti i casi, per la querela abbiamo sei mesi di tempo da quando scopriamo che i nostri contenuti intimi girano nel web o anche solo in chat. È bene presentarla alla Polizia Postale, che ha sedi in tutta Italia e che è strutturalmente e culturalmente il corpo più attrezzato in tema di reati informatici o comunque commessi tramite internet.

In conclusione, il dovere di vigilanza è da tenersi al massimo livello di allerta per chiunque abbia a che fare con i giovani.

Decreto scuola, forse fiducia del Governo. Scade il 29 dicembre

da Orizzontescuola

di redazione

Il Decreto scuola potrebbe giungere al traguardo con la fiducia del Governo. Sono ore importanti, in cui si decide il destino professionale di numerosi insegnanti, dai precari con tre anni di servizio, ai docenti di ruoli, ai precari di religione, agli assistenti amministrativi facenti funzione DSGA.

Sembra non esserci pieno accordo in Senato per cui potrebbe scattare la fiducia, in modo da assicurare il completamento del percorso nei limiti della naturale scadenza, fissata al 29 dicembre 2019.

Attesa febbrile da parte dei docenti, che chiedono ancora modifiche al testo.

Il PAS – le abilitazioni universitarie a carico dei docenti è uno dei nodi della discordia, ma anche il concorso riservato per gli insegnanti di religione cattolica è stato uno degli argomenti più discussi, nonché la possibilità di estendere il concorso per assistenti amministrativi facenti funzione DSGA a personale privo di laurea.

La scadenza del provvedimento è fissata al 29 dicembre, dato che il testo è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 30 ottobre 2019.

La sintesi dei principali provvedimenti contenuti nel testo

Sciopero, docenti precettabili? A decidere potrebbe essere il governo

da Orizzontescuola

di redazione

Docenti precettabili in caso di sciopero? Ancora un incontro all’Aran e poi a decidere sarà il governo.

Non si è trovata una soluzione sulla precettabilità degli insegnanti in caso di sciopero. Da una parte l’Aran, irremovibile nelle sue posizioni, che esprime la necessità di precettazione dei docenti, dall’altra i sindacati che invece non condividono la previsione, ma ritengono intoccabile il diritto allo sciopero degli insegnanti.

Ieri, come riferisce Italia Oggi, si è svolto l’ultimo incontro, conclusosi senza una soluzione. A questo punto potrebbe succedere, visti i tempi stretti, che decida il governo. Una scelta quindi unilaterale.

Sciopero, riforma: ARAN chiede preavviso su adesioni docenti

Decreto scuola: giovedì 19 sarà legge. Disattese molte richieste sindacali

da La Tecnica della Scuola

Il decreto scuola è ormai virtualmente legge: nella serata del 17 dicembre la Commissione Cultura del Senato ha concluso l’esame degli emendamenti presentati rispetto al testo trasmesso dalla Camera.
Tutte le proposte di modifica sono state respinte, il testo resta quello approvato dalla Camera.
Nella giornata del 18 dicembre il provvedimento dovrebbe arrivare in aula e, a quel punto, per evitare che gli emendamenti  vengano riproposti,  il Governo porrà la fiducia; il giorno successivo si voterà e il decreto sarà di fatto convertito in legge anche con un po’ di giorni di anticipo rispetto alla scadenza ultima del 29 dicembre.
“Il voto di fiducia – sottolinea il senatore della Lega Mario Pittoni – sancirà il via libera definitivo a un testo che da ‘salva precari’ si è trasformato in ‘ammazza precari’, con conseguente presa di distanza generale, a partire dai principali sindacati di settore per i quali era stato pensato”
“Non regge – aggiunge Pittoni – la scusa dell’impossibilità di una terza lettura alla Camera in quanto impegnata sulla legge di Bilancio. I Regolamenti di entrambi i rami del Parlamento consentono l’esame di disegni di legge di conversione di decreti-legge anche durante la sessione di Bilancio. Così stabiliscono sia l’articolo 126, comma 12 del Regolamento del Senato, sia l’articolo 119, comma 4 del Regolamento della Camera”.

Le disposizioni più controverse e contestate riguardano il concorso per gli insegnanti di religione e quello per DSGA facenti funzione, i percorsi di specializzazione sul sostegno, i diplomati magistrale, i percorsi abilitanti speciali, tutti temi sui quali i sindacati si sono dichiarati insoddisfatti delle soluzioni contenute nel decreto.

Intercultura, ancora tante opportunità con i programmi estivi

da La Tecnica della Scuola

Chiuse l’11 novembre le iscrizioni ai programmi scolastici proposti da Intercultura, sono ancora molte le opportinità previste con i programmi estivi, le cui iscrizioni sono tuttora aperte.

I programmi estivi di Intercultura si rivolgono agli studenti tra i 14 e i 18 anni e permettono di vivere un’esperienza alla scoperta di Paesi nuovi, oppure di trascorrere un periodo all’estero in una destinazione più tradizionale.

Le opportunità sono molte, con scadenze differenti a seconda del Paese di destinazione:

  • Argentina (corso di Spagnolo) – Scadenza iscrizioni: 31 marzo 2020
  • Canada (corso di inglese) – Scadenza iscrizioni: 28 febbraio 2020
  • Cina (corso di cinese) – Scadenza iscrizioni: 31 marzo 2020
  • Danimarca (corso di inglese) – Scadenza iscrizioni: 31 marzo 2020
  • India (corso di inglese a indirizzo STEM)Scadenza iscrizioni: 31 marzo 2020
  • Irlanda (corso di Inglese) Scadenza iscrizioni: 30 aprile 2020
  • Regno Unito – Galles (corso di Inglese) Scadenza iscrizioni: 30 aprile 2020
  • Russia (corso di Russo)Scadenza iscrizioni: 31 marzo 2020
  • Spagna (corso di Spagnolo) Scadenza iscrizioni: 30 aprile 2020
  • Stati Uniti – California (corso di Inglese) Scadenza iscrizioni: 30 aprile 2020
  • Tunisia (corso di Arabo) Scadenza iscrizioni: 30 aprile 2020

TUTTE LE INFO

Anno di prova docenti neoassunti, attività peer to peer

da La Tecnica della Scuola

L’anno di prova per il personale docente neoassunto è regolato quest’anno dalla nota 39533 del 4 settembre 2019, che fa ancora riferimento al Decreto Ministeriale 850 del 27 ottobre  2015 .

Il percorso formativo per i docenti neo-assunti si sviluppa in una serie di attività che dovranno essere svolte durante tutto l’anno scolastico.

Tra queste, le attività di peer to peer (formazione tra pari).

In cosa consiste

L’osservazione in classe, svolta dal docente neo-assunto e dal tutor, è finalizzata al miglioramento delle pratiche didattiche, alla riflessione condivisa sugli aspetti salienti dell’azione di insegnamento.

L’osservazione è focalizzata sulle modalità di conduzione delle attività e delle lezioni, sul sostegno alle motivazioni degli allievi, sulla costruzione di climi positivi e motivanti, sulle modalità di verifica formativa degli apprendimenti. Quindi, ad esempio, saranno oggetto di osservazione l’esposizione di una lezione in classe, la correzione delle verifiche scritte, le capacità di conversazione/discussione, la conduzione di lavori di gruppo…

Le sequenze di osservazione sono oggetto di progettazione preventiva e di successivo confronto e rielaborazione con il docente tutor e sono oggetto di specifica relazione del docente neo-assunto.

Quanto dura

L’attività da svolgere a scuola è pari a 12 ore.

Come indicato nella nota 36167 del 2015, le 12 ore sono così articolate:

  • 3 ore di progettazione condivisa;
  • 4 ore di osservazione del neo assunto nella classe del tutor;
  • 4 ore di osservazione del tutor nella classe del neo assunto;
  • 1 ora di verifica dell’esperienza.

In relazione al patto di sviluppo professionale, possono essere programmati, a cura del dirigente scolastico, ulteriori momenti di osservazione in classe con altri docenti.

Documenti utili

Sul sito dell’Indire dedicato alla formazione on-line dei docenti neoassunti, nella sezione Toolkit, sono disponibili una serie di materiali utili.

SCARICA I MATERIALI

TUTTO SUL PERIODO DI PROVA

Ocse Pisa: alcune ragioni strutturali dei mediocri risultati degli studenti italiani

da Tuttoscuola

L’indagine TALIS 2018 (Teaching and Learning International Survey), condotta dall’OCSE su 260mila insegnanti di 15mila scuole in 48 Paesi del mondo, ha confermato lo stretto rapporto che intercorre tra la qualità dell’insegnamento e la qualità dei risultati che gli studenti raggiungono nei diversi sistemi scolastici.

Ripetuta ogni cinque anni, l’indagine TALIS ha come obiettivo principale quello di raccogliere informazioni, comparabili a livello internazionale, rilevanti per lo sviluppo e per l’attuazione di politiche incentrate sui dirigenti scolastici e sugli insegnanti.

I risultati di TALIS 2018 sono raccolti in due volumi. Il primo è stato pubblicato nello scorso mese di giugno, e ha riguardato l’analisi delle conoscenze e delle competenze degli insegnanti e dei dirigenti scolastici. Il secondo volume sarà pubblicato all’inizio del 2020 e si concentrerà sulle opportunità di carriera, sulla cultura collaborativa e sulla responsabilità e autonomia dei docenti.

Per quanto riguarda l’Italia TALIS ha somministrato il questionario a un campione casuale rappresentativo di 4.000 insegnanti e dirigenti scolastici di 200 scuole secondarie di primo grado.

Alcuni dati relativi ai docenti italiani di scuola media, posti a confronto con quelli della media OCSE, spiegano bene quali sono le ragioni strutturali dei mediocri risultati poi conseguiti dai nostri studenti quindicenni in PISA.

In Italia gli insegnanti hanno in media 49 anni (44 nei Paesi OCSE) e il 48% degli insegnanti ha più di 50 anni (media OCSE 34%). I dirigenti scolastici hanno in media 56 anni (52 è la media OCSE) e il 32% dei dirigenti scolastici in Italia ha 60 anni e più, rispetto al 20% della media OCSE. In Italia il 69% dei dirigenti scolastici è donna, contro il 78% degli insegnanti (medie OCSE: 47% e 68%).

In Italia, il 35% degli insegnanti lavora in scuole dove almeno il 10% degli studenti ha un background migratorio (media OCSE 17%).

Durante la formazione iniziale il 64% degli insegnanti in Italia dichiara di essere stato istruito sui contenuti delle materie, sulla pedagogia e sulla pratica in classe (media OCSE 79%). Il 25% degli insegnanti italiani dichiara di aver partecipato a qualche attività di inserimento formale o informale al momento del reclutamento nella scuola, rispetto al 42% degli insegnanti dei Paesi OCSE.

In Italia il 47% degli insegnanti fa utilizzare “frequentemente” o “sempre” agli studenti le tecnologie per progetti o lavori in classe, dato inferiore alla media dei paesi OCSE che partecipano a TALIS (53%).

Infine il 31% dei dirigenti scolastici italiani riferisce che l’erogazione di un’istruzione di qualità nella propria scuola è ostacolata da una carenza o inadeguatezza della tecnologia digitale per l’istruzione (rispetto al 25% della media OCSE).

Con queste premesse non c’è da stupirsi se i risultati degli studenti italiani in PISA 2018 si sono collocati, per la lettura e per le scienze, nettamente al di sotto di quelli mediamente raggiunti nell’area OCSE, e solo faticosamente allineati per la matematica. Quella che risulta carente in maniera vistosa è in primo luogo la formazione dei docenti in servizio, altrove obbligatoria.