Sclerosi multipla, Cnr: un caschetto contro l’affaticamento dei pazienti

Redattore Sociale del 19.12.2019

Sclerosi multipla, Cnr: un caschetto contro l’affaticamento dei pazienti 

Personalizzabile e dotato di elettrodi, grazie a un intervento di neuro-modulazione, è in grado di compensare la distorsione comunicativa tra le regioni del cervello.

ROMA. L’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc) ha messo a punto un caschetto con elettrodi personalizzabile che, grazie a un intervento di neuro-modulazione, è in grado di compensare la distorsione comunicativa tra regioni del cervello collegata all’affaticamento del paziente affetto da sclerosi multipla. “Da molti anni, coscienti che l’affaticamento nella sclerosi multipla (SM) conta su cure farmacologiche poco efficaci e spesso accompagnate da effetti collaterali anche gravi e che si accompagna ad alterazioni della comunicazione intracerebrale, abbiamo lavorato per contrastare questo sintomo inviando segnali al cervello. Abbiamo cioè adattato a questa condizione una neuro-modulazione, una tecnica capace di modificare l’eccitabilità di regioni cerebrali, che aveva reso persone sane più resistenti alla fatica”, spiega Franca Tecchio del Cnr-Istc. “Prima di tutto abbiamo quindi cercato le regioni che nel paziente di SM comunicano peggio al crescere della fatica, poi abbiamo messo a punto un intervento di neuro-modulazione per compensare questa distorsione. In tale lavoro si è rivelato utile lo sviluppo di un caschetto adattabile che posiziona un elettrodo, conformato secondo le circonvoluzioni corticali della regione cui giunge la percezione somato-sensoriale da tutto il corpo. Dopo cinque stimolazioni elettriche transcraniche di 15 minuti al giorno mediante intervento elettroceutico personalizzato FaReMuS, molti pazienti si sono sentiti più in forze”.
Col lavoro appena pubblicato sulla rivista del gruppo Nature, Scientific Reports, sono stati indagati gli effetti cerebrali dell’intervento FaReMuS, comprendendo che la dinamica dell’attività elettrica dei neuroni cerebrali (neuro-dinamica) si altera al crescere della fatica, soprattutto nelle regioni di rappresentazione delle sensazioni da tutto il corpo. “Abbiamo utilizzato la dimensione frattale, una misura molto sensibile, che tiene conto delle forme dei segnali inviati da una regione all’altra del nostro cervello. Questa misura è nata per valutare quantitativamente sistemi complessi ove una parte ripete le strutture del tutto, per parti sempre più piccole, come succede nel broccolo o anche nell’albero, in cui rametti piccoli sono simili al ramo portante, fino alla pianta nel suo insieme”, spiega Tecchio. “In neuro-dinamica, abbiamo osservato che la dimensione frattale riesce a misurare adeguatamente le variazioni dell’organizzazione di una certa regione corticale.
Abbiamo studiato il comportamento delle regioni dedicate al controllo dei movimenti della mano destra e sinistra e alle percezioni tattili e propriocettive dalle due mani mediante un algoritmo che cerca le regioni del nostro cervello sfruttando una loro impronta digitale funzionale (Functional Source Separation, FSS). così ci siamo accorti che dopo il trattamento FaReMuS, la neuro-dinamica della regione somato-sensoriale si era normalizzata e così pure era più bilanciata la comunicazione tra le regioni motorie omologhe destre e sinistre. Queste migliorie di comunicazione intracerebrale spiegavano quasi la metà (48%) del miglioramento dell’affaticamento”, conclude Tecchio. “Possiamo affermare che una elettro-ceutica non-invasiva personalizzata sulle specifiche caratteristiche anatomo-funzionali delle regioni compromesse può essere efficace contro la fatica. Parte dell’efficacia nasce dal ristabilire la comunicazione intra-cerebrale che era tanto più alterata al crescere della fatica”. (DIRE)

DECRETO SCUOLA: NODO PRECARIATO RESTA IRRISOLTO

DECRETO SCUOLA: NODO PRECARIATO RESTA IRRISOLTO 
“Dopo un anno di travaglio, è finalmente arrivato il via libera al concorso riservato. Adesso è necessario che la macchina organizzativa si metta subito in moto, così da consentire entro l’inizio del prossimo anno scolastico l’immissione in ruolo dei precari interessati dalla procedura di stabilizzazione”. È quanto dichiara Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, commentando il voto favorevole con cui il Senato ha licenziato il decreto legge 126. 
“Quanto al concorso ordinario previsto dal decreto, resta da risolvere la questione dei tempi resi eccessivamente lunghi da meccanismi farraginosi e dal mancato esonero dal servizio per gli insegnanti che svolgono la funzione di commissari. Soltanto intervenendo su questi talloni di Achille e ripristinando i concorsi con cadenza biennale, accelerandone l’iter, sarà possibile sanare definitivamente la piaga del precariato”.
Entrando nel merito del testo, Di Meglio sottolinea due aspetti critici: il blocco quinquennale dei neo assunti nelle operazioni di mobilità, “materia che attiene la sfera della contrattazione integrativa e che, quindi, rappresenta una pesante invasione di campo rispetto alle prerogative sindacali”, e la totale assenza del disegno di legge collegato alla Finanziaria riguardante le abilitazioni, “misura promessa più volte e ad oggi inevasa”.
“Purtroppo, però, – conclude il coordinatore nazionale della Gilda – nel provvedimento mancano quegli interventi strutturali necessari per risolvere l’atavico e sempre più grave fenomeno della ‘supplentite’ che conta ancora 200mila precari, di cui oltre 170mila docenti”.

European Universities

“European Universities”: quasi 2,5 milioni di cofinanziamento nazionale del MIUR per le Istituzioni italiane della formazione superiore vincitrici del bando della Commissione Europea

Oltre due milioni di cofinanziamento del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) per le Istituzioni della formazione superiore italiana che faranno parte delle prime 17 alleanze di ‘Università europee’, si tratta di campus universitari ‘diffusi’ per rafforzare la mobilità degli studenti e del personale.

Le Istituzioni delle prime 17 alleanze di ‘Università europee’ sono state annunciate dalla Commissione Europea lo scorso 26 giugno dopo essere state selezionate attraverso una procedura basata su una valutazione di esperti indipendenti. Tra le 54 proposte presentate, solo 17 sono state dichiarate eleggibili al finanziamento. E tra queste le Istituzioni della formazione superiore italiane sono presenti in 11 Alleanze. Un riconoscimento importante della capacità progettuale delle istituzioni del nostro Paese in ambito europeo. L’Accademia di Belle Arti di Roma è partner dell’unica ‘European University’ dedicata al settore artistico.

Il MIUR nel recepire l’elenco dei progetti selezionati nell’ambito del Bando pilota comunitario, ha indicato le Istituzioni della formazione superiore italiana ammesse all’ulteriore cofinanziamento nazionale. Al fine di garantire la massima efficacia ed efficienza dell’avvio dei progetti per parte italiana il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha proceduto al trasferimento dell’intera quota parte di cofinanziamento di  2.399.812,24 euro in totale, per il triennio 2019/2021.

Tra le università italiane ammesse all’ulteriore finanziamento: l’Alma Mater Studiorum (217.000 euro), l’Università degli Studi di Milano (347.000 euro) l’Università degli Studi di Padova (250.000 euro), l’Università degli Studi di Roma La Sapienza(300.000 euro), l’Università degli Studi di Cagliari (204.000 euro), l’Accademia di Belle Arti di Roma (269.000 euro), l’Università degli Studi di Palermo (188.000 euro), il Politecnico di Torino (233.000 euro), l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata(225.000 euro) e l’Università degli Studi di Trento (163.000 euro).

Il bando pilota EAC/A03/2018 Programma Erasmus+ (2018/C 384/04), pubblicato il 24 ottobre 2018 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, è finalizzato a “rafforzare ipartenariati strategici tra gli istituti di istruzione superiore di tutta l’UE” e favorire, entro il 2024, l’emergere “di una ventina di università europee, reti di università in tutta l’UE caratterizzate da un approccio dal basso verso l’alto, che consentano agli studenti di ottenere un diploma combinando gli studi in diversi paesi dell’UE e contribuendo alla competitività internazionale delle università europee”.

In allegato la tabella dei cofinanziamenti concessi.

Cofinanziamento MIUR alle Istituzioni della formazione superiore italiane
Bando European Universities 2019/2021
AcronimoNome della alleanza/reteIstituzione della formazione superioreCosto totale
Progetto Alleanza
Richiesta di cofinanziamento
MIUR presentata
(copre un triennio)
1.1EUROPEUNA EuropaALMA MATER STUDIORUM–UNIVERSITÀ DI BOLOGNA 6.250.000,00 217.000,00
2.4EU+The 4EU+ AllianceUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO 15.471.833,00 347.700,00
3.ARQUSARQUS European University AllianceUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA 14.133.488,71 250.000,00
4.CIVISCIVIS – a European civic university allianceUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA 7.387.714,83 300.932,00
5.EDUCEuropean Digital UniverCityUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI 6.247.388,43 204.370,00
6.EU4ARTAlliance for common fine arts curriculumACCADEMIA DI BELLE ARTI DI ROMA 6.250.000,00 269.391,00
7.FORTHEMFostering Outreach within European Regions,
Transnational Higher Education and Mobility
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO 6.244.484,93 188.739,74
8.UNITE!University Network for Innovation, Technology and EngineeringPOLITECNICO DI TORINO 6.960.000,00 233.679,50
9.YUFEYoung Universities for the Future of EuropeUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA 6.562.500,00 225.000,00
10ECIUECIU UniversityUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO 6.250.000,00 163.000,00
Totale 2.399.812,24

Ancora non conclusa la vicenda della professoressa Dell’Aria

Scuola, FLC CGIL: alla fine del 2019 ancora non è conclusa la vicenda della professoressa Dell’Aria

A distanza di mesi la nota vicenda della professoressa Dell’Aria sospesa dall’insegnamento per aver consentito ai suoi studenti di esercitare la loro autonomia di pensiero attraverso l’elaborazione critica delle conoscenze, non si è ancora conclusa. La professoressa è tuttora in attesa di una piena riabilitazione da parte dell’amministrazione scolastica.
 
“Siamo costretti a prendere atto dei mancati provvedimenti di annullamento di una sanzione tanto ingiusta quanto pericolosa per la tenuta dei valori costituzionali, dall’autonomia di pensiero alla libertà d’insegnamento, di cui la scuola è espressione e garanzia” dichiara Francesco Sinopoli, segretario generale della FLC CGIL. “Sono passati mesi e ben due ministri, impegnati a parole a restituire piena dignità alla docente, riconoscendo la correttezza del suo agire e la competenza professionale, ma nel curriculum della professoressa Dell’Aria rimane la macchia di un provvedimento espressione di un clima autoritario e repressivo, fomentato e legittimato da tanta parte della politica, che trova nel Paese ampio consenso”.

La FLC CGIL denuncia la mancanza di volontà della politica e dell’amministrazione scolastica, incapaci di trovare gli strumenti per rimediare a un intervento ingiusto e sbagliato nel metodo e nella sostanza.

Il ministro Fioramonti agisca concretamente per annullare la sanzione alla prof. Dell’aria e affermi con fatti concreti il valore e la missione della scuola della Repubblica come condizione imprescindibile per la democrazia del Paese, della quale la libertà d’insegnamento è presupposto e strumento di salvaguardia.

Controlli nelle mense scolastiche, 21 aziende sospese

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

A Pescara somministravano normale olio extravergine al posto di quello biologico e di produzione italiana. Nel senese preparavano i pasti “per diete speciali” negli stessi ambienti dei pasti “convenzionali”. A Potenza un’area di manipolazione di alimenti senza glutine non aveva i requisiti igienico-strutturali. A Caserta un’autorimessa era diventata un deposito di alimenti. Ad Ancona servivano carne bovina congelata invece che fresca. Ad Udine i prodotti venivano cucinati in locali con infiltrazioni d’acqua e pareti con parti d’intonaco caduto.
Sono alcuni degli esempi delle 21 imprese di catering, che si occupano della gestione delle mense nelle scuole, di cui i Nas da settembre hanno disposto la sospensione o il sequestro per rilevanti carenze igienico-sanitarie e strutturali.

Sono stati anche sequestrati oltre 900 kg di derrate alimentari, come carni, formaggi, frutta, ortaggi, olio che erano privi di tracciabilità, erano custoditi in cattive condizioni sanitarie e
in ambienti inadeguati e destinati all’impiego nelle pietanze sebbene di qualità inferiore a quanto previsto nei contratti di fornitura. «La regolarità dei servizi erogati nelle scuole è di
fondamentale importanza perché interessa la salute dei nostri figli» ha commentato il ministro della Salute Roberto Speranza.

Con l’avvio dell’anno scolastico 2019-2020, il Comando carabinieri per la tutela della salute, unitamente al ministero della Salute, ha realizzato un piano di controllo nazionale per la verifica dei servizi di ristorazione e delle imprese di catering con ispezioni in 968 aziende di ristorazione collettiva operanti nelle mense scolastiche, di cui 198 hanno evidenziato
irregolarità, determinando la contestazione di 25 violazioni penali e 247 amministrative alle normative nazionali e comunitarie, con sanzioni per 204 mila euro.

Il monitoraggio ha riguardato i servizi erogati nelle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e private, partendo dagli asili nido fino agli istituti superiori ed accertato le condizioni d’igiene nei locali di lavoro e nella detenzione degli alimenti, la rispondenza dei menù alle clausole contrattuali previste dai capitolati d’appalto, la qualità e la salubrità degli alimenti somministrati, non trascurando la regolarità delle maestranze impiegate ed il possesso di adeguata qualifica e preparazione professionale. Le violazioni penali più ricorrenti contestate ai 27 gestori e titolari delle imprese (che sul mercato hanno un valore di tre milioni di euro) deferiti alle varie Procure della Repubblica, sono relativi alla frode ed alle inadempienze in pubbliche forniture, alla detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione ed a inottemperanze alla normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.

Secondo i Nas tra i casi di irregolarità, il più frequento l’impiego di prodotti di minore qualità merceologica rispetto a quella pattuita e dichiarata nei contratti di fornitura stipulati con i Comuni proprio per trarre «un illecito profitto lucrando sulla differenza di costo della materia prima utilizzata nella preparazione dei pasti».

Dai concorsi per 48mila prof alle «call» provinciali per le supplenze: oggi l’ok al salva-precari

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

Le assunzioni nella scuola non finiscono mai. La conferma è attesa dall’aula del Senato che è chiamata a votare la fiducia sul decreto scuola. Che in caso di esito positivo diventerà legge e andrà in Gazzetta il 28 dicembre. Il primo effetto sarà quello di riaprire (con decorrenza economica da quest’anno e giuridica solo dal prossimo) l’assegnazione delle 9mila cattedre recuperate dai pensionamenti avvenuti con Quota 100. Al tempo stesso partirà il countdown per due nuove selezioni (una ordinaria e l’altra straordinaria per i precari con 3 anni di servizio) per immettere in ruolo altri 48/49mila professori (di questi almeno 24mila a settembre 2020): i bandi dovrebbero arrivare entrambi a febbraio. In rampa di lancio, poi, un nuovo concorso per insegnanti di religione, a oltre 15 anni dall’ultimo reclutamento.

La call veloce per nominare i supplenti
Il decreto riapre le graduatorie di terza fascia (a cui le scuole attingono per nominare i supplenti per le materie in cui le graduatorie a esaurimento sono vuote) con proroga fino all’anno scolastico 2022/2023. trasformandole in graduatorie provinciali: ciò significa che gran parte degli adempimenti si sposteranno dalle segreterie scolastiche agli uffici scolastici provinciali. Al tempo stesso arriva un nuovo meccanismo, una “call veloce” per coprire più rapidamente (consentendo spostamenti anche fuori regione) le cattedre che ogni anno restano vuote al termine delle operazioni ordinarie di assunzione.

Oltre 70mila assunzioni
Tra concorsi, stabilizzazioni e sanatorie di vario tipo, il conto complessivo dei nuovi inserimenti nella scuola arriva a circa 70mila unità. Ai 48/49mila precari già citati si aggiungono, nell’ordine, la statizzazione di 11.263 lavoratori impegnati in attività di pulizia e decoro; il migliaio di capi segreteria “Dsga facenti funzione” per i quali si apre a un concorso straordinario a cui potranno partecipare coloro con tre anni scolastici di servizio dal 2011/2012; i 59 nuovi dirigenti tecnici da assumere nel 2021 (e gli 87 dal 2023). Per un totale di 61 mila unità a cui si aggiungono le 9mila cattedre liberate da Quota 100, e che nei prossimi mesi saranno coperte stabilmente.

Ampliate le categorie di precari salvati
Tra le ultimissime novità inserite alla Camera a inizio dicembre e confermate dal Senato spicca l’ampliamento della platea di coloro che potranno partecipare al concorso straordinario: saranno ammesse le candidature sia dei docenti che abbiano maturato servizio nei percorsi di Istruzione e formazione professionale (IeFP), sia di coloro che abbiano effettuato una delle tre annualità richieste dall’anno scolastico 2008/2009, sia di chi – sebbene con riserva – sta svolgendo quest’anno la terza annualità di servizio.

Bonus merito anche ai precari
Il provvedimento, 10 articoli in totale, estende poi il bonus merito (quest’anno vale 160 milioni di euro) anche ai supplenti con contratto fino al 30 giugno o al 31 agosto (lo scorso anno erano oltre 130mila). Proprio mentre la manovra su cui la Camera si pronuncerà definitivamente lunedì 23 stabilisce che lo stesso bonus andrà inserito nel Fondo di istituto. Con due conseguenze pratiche per i prof: andrà contrattato con i sindacati e potrà essere destinato anche al personale non docente.

Le misure per l’università
Una su tutte: l’aumento da 6 a 9 anni la durata dell’Abilitazione scientifica nazionale che consentirà ai 27mila aspiranti prof universitari di non vedere scadere il “patentino” già ottenuto e di partecipare ai concorsi banditi dagli atenei.

Via libera in Conferenza unificata al riparto di 249 milioni per l’istruzione da 0 a 6 anni

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

«Oggi (ieri, ndr) in Conferenza unificata abbiamo raggiunto un importante risultato: è stato approvato il riparto dei fondi destinati alle Regioni, che ne programmano la successiva erogazione ai Comuni, per gli interventi in favore del sistema integrato di istruzione da zero a sei anni di età per il 2019. Parliamo di 249 milioni di euro, in aumento rispetto ai 223 del 2018. Risorse che potranno finanziare interventi di edilizia scolastica per asili nido o scuole dell’infanzia. O ancora potranno essere usate per ridurre le rette a carico delle famiglie e per la formazione del personale docente. Siamo convinti che il diritto a una formazione di qualità debba partire dai primi anni di vita, perché l’educazione e la conoscenza sono gli strumenti più efficaci per combattere le disuguaglianze. Il traguardo raggiunto oggi consente di costruire condizioni di pari opportunità sul territorio nazionale, di sostenere le famiglie, ma soprattutto di garantire a ogni bambino il diritto a crescere al meglio». Così la vice ministra dell’Istruzione, Anna Ascani, al termine della riunione della Conferenza unificata.

«I fondi – spiega Ascani – sono ripartiti tra le Regioni, e successivamente erogati ai Comuni, in base alla programmazione che le stesse Regioni hanno curato. Il riparto è stato effettuato per 209 milioni in base a quello del 2017, che era triennale ed era stato concepito per favorire i territori carenti di offerta statale e con molti iscritti, per 30 milioni in proporzione alla maggiore popolazione che occorrerebbe servire, con l’obiettivo di portare tutte le Regioni alla media nazionale di posti disponibili per i bambini da 0 a 3 anni, per 10 milioni in proporzione alla popolazione residente tra 0 e 3 anni. Sul cosiddetto 0/6 c’è un impegno preciso che stiamo condividendo con tutti i soggetti coinvolti a vario titolo. Lavoriamo per realizzare un Paese equo, per rimuovere quegli ostacoli che non consentono il pieno sviluppo di ogni persona, così come stabilisce la nostra Costituzione».

Miur e Microsoft Italia insieme per scuola digitale e sostenibilità

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Microsoft Italia e il Miur hanno rinnovano oggi la collaborazione e siglano un nuovo Protocollo d’Intesa triennale per promuovere una cultura dell’innovazione attraverso una didattica più digitale, inclusiva e sostenibile.

La partnership, avviata nel 2015, ha visto in questi anni oltre 100 mila tra docenti e dirigenti scolastici coinvolti in percorsi di formazione e di aggiornamento su tematiche relative all’integrazione delle nuove tecnologie nelle metodologie di insegnamento a Scuola e oltre 35 mila studenti in tutta Italia partecipare a training, laboratori e workshop dedicati ai nuovi trend digitali per acquisire le competenze necessarie per affrontare i lavori del futuro.

Miur e Microsoft Italia proseguiranno in questo percorso per sperimentare nuovi modelli per l’insegnamento e l’apprendimento: l’Intelligenza Artificiale, il Cloud e l’uso di piattaforme digitali sono solo alcuni degli strumenti e delle tecnologie che consentono ai docenti di aggiornare la didattica in aula e ai più giovani di sviluppare quelle skill digitali e trasversali che sono sempre più richieste dal mercato globale.

L’accordo è stato siglato oggi in occasione dell’appuntamento “La più grande lezione del mondo”, una giornata presso il Miur in cui studenti provenienti dalle scuole del territorio laziale, docenti ed esperti Microsoft hanno esplorato insieme gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni unite e approfondito come i nuovi trend digitali possano contribuire al loro raggiungimento.

«È per noi motivo di orgoglio essere qui al ministero dell’Istruzione e rinnovare ancora una volta la nostra collaborazione, per contribuire alla crescita culturale, sociale ed economica del nostro Paese attraverso l’innovazione digitale. Le nuove tecnologie stanno cambiando il modo in cui viviamo e lavoriamo. È necessario quindi dotare gli studenti degli strumenti adeguati e consentire loro di acquisire quelle competenze che li renderanno professionisti qualificati in futuro. Non possiamo farlo da soli, il confronto con le Istituzioni è fondamentale così come sono indispensabili i docenti che hanno il compito di guidare i nostri ragazzi e aiutarli a cogliere le opportunità e i benefici generati dalla tecnologia. Insieme possiamo davvero imprimere un’accelerazione importante alla crescita del nostro Paese e alla diffusione di una cultura dell’innovazione» ha dichiarato Silvia Candiani di Microsoft Italia.

«Oggi – ha spiegato il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti – rinnoviamo un partenariato tra Microsoft e il Miur che mira ad utilizzare le nuove tecnologie in una maniera responsabile ed intelligente, perché le tecnologie possono essere quell’elemento che scardina il presente e ci aiuta a migliorare il mondo. Utilizzandole in maniera responsabile, insegnando e co-producendo con i giovani di oggi un modo diverso di concepire la società e di concepire l’insegnamento stiamo costruendo la generazione di oggi».

Il Protocollo d’Intesa con il Miur conferma l’impegno di Microsoft nel promuovere competenze digitali nel nostro Paese. Impegno che si concretizza anche attraverso Ambizione Italia, progetto più ampio di formazione, aggiornamento e riqualificazione delle competenze in chiave digitale, avviato a settembre 2018, con il quale Microsoft ha già formato 500.000 persone e che si propone di coinvolgere entro la fine del 2020 oltre 2 milioni di giovani, studenti, Neet e professionisti in tutta Italia, con l’obiettivo di contribuire all’occupazione e alla crescita dell’Italia, riducendo il fenomeno dello skills mismatch ovvero il divario tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle realmente disponibili.

Scuola e università, manca un miliardo. Fioramonti tentato dall’addio

da la Repubblica

Corrado Zunino

ROMA – I tre miliardi di euro chiesti per quattro mesi da Lorenzo Fioramonti – per la scuola e l’università italiane – non ci sono. I due miliardi per la scuola, in verità, sì: la somma delle quattordici voci approvate in Finanziaria (manca ancora il passaggio alla Camera) fa un miliardo e 977 milioni euro. Siamo a un passo dalla promessa, ecco. Ma l’università, l’università e la ricerca così importanti per il ministro professore e, a parole, per il premier avvocato, sono inspiegabilmente assenti dalla manovra 2019.

Sull’alta formazione questo governo può rivendicare tre piccoli passi in avanti: un aumento di 16 milioni di euro per le borse di studio agli studenti d’ateneo (potrebbero azzerare, con un ulteriore intervento delle regioni, la figura dell’idoneo non beneficiario), quindi altre 1.200 borse per la specializzazione medica (valore 5,425 milioni di euro) e la nascita dell’Agenzia nazionale per la ricerca (solo 25,3 milioni, però, è il suo capitale di partenza). Oltre a questo, a bilancio sono stati messi spiccioli senza un progetto: 2,5 milioni per la stabilizzazione dei ricercatori Crea (nulla per gli altri ventun Enti di ricerca), un milione a testa per due centri da insediare nel Mezzogiorno (l’Esfri per le infrastrutture di ricerca e un secondo per lo studio delle scienze religiose), 500 mila euro per la Sissa, la Scuola internazionale superiore di Trieste. No, non sarà attraverso questa Finanziaria che si rivedrà la carriera strozzata dei ricercatori, né si cambieranno le regole di arruolamento di un’accademia ingolfata nelle carriere iniziali e invecchiata in aula. Non c’è alcun respiro, in questa manovra di bilancio, sul tema più caro a Lorenzo Fioramonti: “L’università italiana, che è tra le più innovative ed eccellenti nel mondo, è sottofinanziata e sfinita dalla burocrazia”, aveva detto a Repubblica lo scorso 11 ottobre. Così resterà, dopo la Legge di bilancio 2019.

Dicevamo la scuola: obiettivo quasi raggiunto. Mancano solo ventitré milioni per portare a bilancio i due miliardi di euro “per mantenerci sulla linea di galleggiamento”. Anche qui, però, c’è davvero poco per spingere avanti la didattica, la qualità delle nostre scuole. L’88 per cento di quella cifra – ovvero 1,744 miliardi – saranno impegnati per il rinnovo del contratto di lavoro che riguarda un milione e cinquantamila docenti e 150 mila amministrativi di vario livello. Secondo le proiezioni della Federazione della conoscenza della Cgil, con questo finanziamento sarà possibile aumentare lo stipendio medio degli insegnanti di 40 euro nel 2020 e 70 euro nel 2021. Non ci sono le “tre cifre” reclamate da Fioramonti: per arrivare a un aumento a “quota 100” serviranno altri 600 milioni e, per questo, la trattativa sindacale si chiuderà a fine 2021, con la prossima Legge di bilancio. Questo ministero ha fatto tanta fatica a chiudere con soddisfazione le partite aperte e i sindacati confederali, più Gilda e Snals, hanno proclamato lo stato di agitazione: mercoledì manifesteranno davanti al Miur.

L’Educazione civica diventa (anche) finanziaria

Per arrivare alla somma indicata (quasi due miliardi di euro) abbiamo attribuito alle politiche di Fioramonti finanziamenti che, sì, finiranno alle scuole italiane, ma attraverso i bilanci di altri ministeri o enti locali. I 100 milioni per la ristrutturazione degli asili comunali – piano quindicennale da un miliardo e mezzo – sono una partita che approda, appunto, direttamente sui comuni. I 46 milioni per l’apprendistato duale sono in carico al ministero del Lavoro. I 20 milioni per portare giornali e pubblicazioni online nelle scuole sono un’iniziativa della presidenza del Consiglio. La promozione della lingua italiana all’estero (1 milione) è questione della Farnesina. Su forte spinta dell’Associazione bancaria (Abi) sono entrati in Bilancio, poi, 200 mila euro per trasformare l’Educazione civica, già trasformata in Educazione ambientale, in Educazione finanziaria e alla cultura d’impresa.

I successi rivendicati dalla viceministra Anna Ascani (Pd), si vede, non ci sono. E se è vero che la sterilizzazione dell’Iva ha frenato tutta l’impostazione della manovra economica Pd-5 Stelle, dall’altra parte la neo squadra del Miur fioramontiano fin qui non ha funzionato. Gli ambasciatori politici e tecnici inviati in Parlamento si sono dimostrati inesperti, deboli, e molti segnalano come di fronte alla battaglia della vita il ministro abbia sbagliato a limitarsi a un lavoro in Consiglio dei ministri, soprattutto con Roberto Gualtieri, responsabile delle Finanze. “La manovra si forma in Parlamento, nelle commissioni, nelle riunioni dei capigruppo di maggioranza, e in queste sedi Fioramonti non si è mai visto”.

Il ministro Cinque Stelle può attribuirsi il Decreto salva scuola, che sarà approvato in coda alle Legge di bilancio, ma non potrà immaginare moltiplicazioni economiche nel corso del 2019, neppure con il Decreto Milleproroghe. Diciamo che potrà aggiungere al curriculum i 57 milioni messi a bilancio tra 2019 e 2020 dal precedente governo gialloverde per sbloccare concorsi straordinari e portare docenti precari in cattedra: il “Salva scuola”, appunto. Il merito del suo sblocco va attribuito a Fioramonti. Anche con quest’ultimo addendo – 57 milioni – la somma delle risorse aggiuntive di scuola-università resta 966 milioni sotto gli ormai famosi “tre miliardi”.

“Zero euro agli enti pubblici, andiamo all’estero”

Lorenzo Fioramonti, per ora, organizza conferenze con la viceministra Ascani in cui annuncia la spesa di 5,4 miliardi per l’edilizia scolastica, ma quelle sono risorse già esistenti, non certo nuove, risorse che, tra l’altro, con la soppressione della struttura di missione “Italiasicura” faticano ad approdare agli istituti scolastici bisognosi.

Ancora in questi giorni il ministro ha ripetuto: “Sono un uomo di parola, se non ci saranno i tre miliardi, il minimo per un settore cruciale, lascio”. Per le riflessioni di queste ore può essere utile la lettera aperta scritta dai precari del Consiglio nazionale delle ricerche, dimenticati in questo giro. I ricercatori uniti difendono Fioramonti e fanno sapere al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e agli altri ministri: “Zero euro agli Enti pubblici di ricerca e 300 milioni dal 2022 a una sovrastruttura politica, l’Agenzia nazionale per la ricerca, criticata dalla Corte dei Conti e dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Ciò di cui vi dovreste vergognare è il non aver preso in considerazione il ruolo del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, un uomo di scienza, un nostro collega, una persona che con le sue dichiarazioni (“tre miliardi per istruzione e ricerca”) aveva espresso con forza e chiarezza inequivocabili un percorso doveroso e necessario per il cambiamento del destino dell’Italia. Non avete avuto neanche la dignità di supportare gli emendamenti di maggioranza volti a dare un briciolo di speranza ai mille precari degli Enti pubblici di ricerca. Ci avete dato l’ennesimo schiaffo, continuando a spingerci fuori dall’Italia a rivendere le nostre competenze, profumatamente pagate negli anni dai contribuenti italiani, al miglior offerente estero”.

Digitale a scuola, la vera urgenza è la formazione dei docenti

da Corriere della sera

di Marco Gui, professore associato Sociologia dei media, università Milano Bicocca

Chi avesse seguito in questi ultimi mesi le notizie della stampa che riguardano la digitalizzazione della scuola ne avrebbe tratto un senso di grande disorientamento. Il Corriere, riportando la sintesi dei risultati dell’evento “Stati Generali della Scuola digitale” del 29 novembre scorso, titolava “Digitale a scuola, si fa marcia indietro: «Troppa tecnologia»”. Solo pochi giorni dopo, Giovanni Biondi, presidente dell’INDIRE, dichiarava: «Un po’ mi viene da ridere quando qualcuno mette ancora sotto accusa i telefonini […] ormai è accertato che si debbano cambiare tempi spazi e metodi delle lezioni per soddisfare le nuove esigenze della società». E, sempre a proposito dello smartphone, le dichiarazioni degli ultimi tre ministri dell’istruzione a proposito lasciano ancora più disorientati, se messe in fila. «È uno strumento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata» (Fedeli, 12 settembre 2017) . «Sugli smartphone guardiamo con attenzione al divieto della Francia» (Bussetti, 11 giugno 2018). «L’utilizzo dei device per quanto riguarda la didattica è uno strumento fondamentale e quindi sono a favore del loro uso ma soprattutto ho fiducia nei nostri studenti» (Bussetti, 25 gennaio 2019). «È come un’arma in tasca […] È come avere una pistola e non esserne consapevoli» (Fioramonti, 9 dicembre 2019).

Al netto delle estremizzazioni, messaggi così decisi e polarizzati sono diventati sempre più frequenti negli ultimi mesi. Il motivo è l’intersecarsi di due narrazioni sulla tecnologia scolastica. Se fino a poco tempo fa era dominante e indiscusso un discorso tecno-ottimista, che ha informato le politiche pubbliche soprattutto dagli anni 2000, da qualche anno a questa parte ha preso fiato anche il racconto degli effetti collaterali della vita permanentemente connessa. Dallo scandalo di Cambridge Analytica (iniziato nei primi mesi del 2018) qualcosa è cambiato nel nostro sguardo sugli ambienti digitali, mentre i giornali sempre più spesso riportano casi di resistenza alla digitalizzazione scolastica in varie parti del mondo. Lo scontro tra la precedente – e ancora molto radicata nella scuola – visione tecnottimista e questa nuova ondata di attenzione alle problematiche emergenti del digitale, ha avuto l’effetto di una frammentazione disordinata di messaggi, che fatica a trovare un punto di incontro equilibrato. Quest’ultimo è, però, indispensabile se vogliamo ricominciare a pianificare delle politiche pubbliche sul tema.

In che direzione dovremmo andare? Avendo da poco pubblicato un libro che affronta proprio questi problemi («Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio?», il Mulino), voglio qui sintetizzare alcuni dei risultati di quel lavoro di ricerca, nonché della letteratura scientifica internazionale con cui esso si confronta.
1-L’integrazione delle tecnologie digitali nella didattica non porta di per sé a miglioramenti nelle performance scolastiche. Questo dato emerge chiaramente dalla rassegna della letteratura internazionale. L’introduzione sistematica di LIM, tablet o connessioni wireless nelle classi italiane, come in quelle degli altri paesi del mondo, non ha incrementato l’apprendimento degli studenti. Questo aumenta invece – in situazioni sperimentali – quando la tecnologia è utilizzata per supportare delle soluzioni metodologiche più efficaci. È emersa anche la grande utilità di alcune tecnologie per la disabilità e i bisogni educativi speciali. La letteratura dice che in alcune condizioni l’impatto delle tecnologie può diventare, invece, addirittura negativo.

2-L’urgenza di intervento della scuola rispetto alla digitalizzazione non è la didattica con le tecnologie ma lo sviluppo di un uso consapevole dei media. Le urgenze evidenziate dalla ricerca internazionale sull’uso delle tecnologie digitali da parte degli adolescenti sono quelle del sovra-utilizzo degli schermi, dell’incapacità di valutare correttamente le informazioni, del cyberbullismo, della gestione acritica della propria identità digitale. Su questi temi è urgente che gli insegnanti siano formati per offrire educazione all’uso dei media. Tuttavia, negli ultimi decenni, le politiche pubbliche hanno sostenuto quasi esclusivamente introduzioni tecnologiche hardware e software, oltre che formazione sui singoli strumenti. L’educazione ai media è stata pesantemente sotto-finanziata rispetto all’urgenza con cui si presenta. Tanto per capirci, l’urgenza non è usare i social per fare didattica ma discutere a scuola sulle dinamiche che si sviluppano al loro interno, sul modello di business delle imprese che li gestiscono, sulle problematiche e opportunità che presentano. Scendendo più nel dettaglio a proposito dei device mobili su cui si concentra il grosso dell’attenzione, possono essere dette con una certa sicurezza anche le due cose seguenti.

3- Lo smartphone non è uno strumento adatto a essere utilizzato con continuità nella didattica scolastica. Le ragioni sono numerose: il potenziale distrattivo, l’iperstimolazione cognitiva che comporta, le ricadute della retroilluminazione sulla vista, le sue ridotte dimensioni e la postura che si assume quando lo si usa. Non c’è convergenza sul fatto che l’introduzione dello smartphone come supporto alla didattica migliori le performance scolastiche, mentre sono numerose le evidenze sui suoi effetti collaterali. È chiaro, però, che un utilizzo dello smartphone in progetti di educazione all’uso critico dei media e in occasione di progetti didattici specifici e ben delimitati può risultare opportuno. In quest’ultimo caso, però, la scuola deve aver riflettuto prima sulle implicazioni tecniche, organizzative e giuridiche di questo utilizzo, che spesso sono sottovalutate.

4- La lettura su carta è tuttora superiore alla lettura su schermo quando si affrontino contenuti impegnativi dal punto di vista cognitivo e quando ci si voglia immergere emotivamente in una narrazione. Sono molte le ragioni che possono spiegare i risultati convergenti della ricerca su questo punto: minori distrazioni, minori risorse spese nella gestione visiva del testo (si pensi allo scrolling della pagina negli schermi), differenze nella postura e nei contesti di fruizione. Ciò non significa che in futuro non potremo avere tecnologie più reader-friendly. Oggi, però, gli schermi di smartphone e tablet non sono adatti alla lettura in profondità.

Cosa si può dire, in definitiva, a quel lettore che si fosse trovato frastornato e disorientato dalle molte opinioni divergenti e polarizzanti sulla digitalizzazione della scuola? In primo luogo, che le politiche pubbliche hanno sopravvalutato i benefici didattici che sarebbero derivati dall’introduzione della tecnologia nel sistema scolastico. Benefici di questo tipo vanno certamente ricercati in futuro, anche se con maggiore cautela e serietà valutativa e, soprattutto, senza quel carattere di «urgenza» che ha caratterizzato la retorica della corsa all’innovazione tecnologica. In secondo luogo, si può dire che non bisogna neppure fare marcia indietro rispetto all’innovazione tecnologica nell’educazione. Piuttosto bisogna riorientare la macchina in una direzione parzialmente diversa: affiancare al mero uso diretto delle tecnologie nella didattica la riflessione sulle tecnologie stesse. Prima ancora di formare studenti che studino con le tecnologie, abbiamo il dovere di preparare studenti che siano riflessivi e critici sulle tecnologie stesse, che le sappiano utilizzare in modo consapevole nella vita quotidiana e che un domani possano partecipare con competenze sufficienti anche a modificarle e a regolamentarne. Si attendono con urgenza politiche che prevedano una seria (e valutata) formazione degli insegnanti su questi temi, sia in entrata che in servizio.

Rilevazione “Dati generali”, funzioni aperte fino al 31 gennaio 2020

da La Tecnica della Scuola

Sono aperte le funzioni per l’inserimento dei dati relativi all’a.s. 2019/2020.

Lo ha comunicato il Miur, con la nota 3231 del 16 dicembre 2019.

La Rilevazione “Dati generali” è prevista dal Piano Statistico Nazionale e rientra tra le
rilevazioni con obbligo di risposta.

Interessa le  scuole dell’Infanzia, Primarie e Secondarie di I e II grado, statali e non statali, ed è accessibie sul SIDI al percorso “Rilevazione sulle scuole – Dati generali” (Area “Rilevazioni” – “Rilevazioni sulle scuole” – “Dati generali (ex Integrative) – Acquisizione Dati).

La nota spiega come compilare le sezioni, ricordando che è fondamentale verificare la correttezza dei dati già presenti in Anagrafe Nazionale Studenti, con particolare riguardo alla cittadinanza di ogni singolo alunno e all’anno di nascita e allo stato di frequenza degli eventuali alunni in “Istruzione parentale”.

La rilevazione si considera effettuata solo se completa in ogni sua parte (nella pagina di accesso alle singole sezioni lo “stato di compilazione” deve essere verde o blu).

Alla nota è anche allegata l’informativa per il trattamento dei dati, con la quale il Miur comunica che i dati oggetto di trattamento sono di tipo aggregato e riguardano gli alunni e, in particolare, le seguenti tipologie:

  • anno di nascita, anno di corso, sesso, cittadinanza;
  • disabilità;
  • ripetenze per anno di corso;
  • frequentanti le scuole carcerarie.

Sono, inoltre, oggetto di trattamento i dati sull’organizzazione della scuola (numero classi) e sul personale scolastico (solo per le scuole non statali).

La rilevazione sarà aperta fino al 31 gennaio 2020.

Educazione fisica alla scuola primaria: una priorità assoluta

da La Tecnica della Scuola

In seguito all’iniziativa lanciata da questa testata per Dillo al Ministro, la Tecnica della Scuola ha mantenuto la promessa ed ha intervistato il ministro Fioramonti per parlare di alcuni dei temi caldi suggeriti dai nostri lettori. Ovviamente le richieste e le proposte non si esauriscono ed ogni giorno sui nostri canali riceviamo riflessioni che meritano di essere portati allo scoperto.

Educazione fisica alla primaria: una necessità

Una nostra lettrice ha espresso una riflessione in merito all’educazione fisica già alla scuola primaria, a suo modo di vedere fra le priorità assolute. Ecco il contributo:

Ritengo sia utile inserire il maestro di attività motoria alle scuole primarie per avvicinare i più piccoli allo sport. Farlo significa anche dare loro gli strumenti per prendersi cura di sé stessi e cercare di prevenire la piaga dell’obesità che sta iniziando a dilagare anche nel nostro paese.

Fino allo scorso anno scolastico il progetto sport di classe ha tappato qualche buco in questo senso, ma era già stato avviato l’iter legislativo per far diventare effettivo, di ruolo, la figura dell’insegnante di motoria alle primarie.

Ora con il cambio di governo l’iter avviato rischia di rimanere in stand by per molto tempo e nemmeno il progetto sport do classe sembra, ad oggi, essere stato attivato per tamponare l’esigenza.

A rimetterci sono prima di tutto gli alunni più piccoli che in una società come quella di oggi con un ritmo di vita frenetico, l’alimentazione da fast food che ne consegue e la sedentarietà dilagante, si ritroveranno a far fronte alla piaga dell’obesità (che sta acquisendo quasi i caratteri della pandemia per quanto riguarda il numero di persone coinvolte) e a tutto quello che ne consegue come ad esempio l’aumento di morbidità e mortalità in questa popolazione.

In secondo luogo tutti gli esperti CONI formati negli ultimi 10 anni in questo senso si vedono sfumare d’avanti agli occhi quanto hanno costruito in questo decennio e per molti anche l’opportunità di un posto di lavoro.

Certo, si potrà obiettare, non saranno due ore a settimana di educazione fisica, a sanare questa situazione, ma lo Stato quali altri mezzi può avere per aiutare i suoi cittadini? Senza dubbio agire attraverso la scuola e quanto prima possibile è il metodo più efficace, e valorizzare le ore di attività motoria alle scuole primarie può essere la strada migliore da percorrere.

Concorso Infanzia e Primaria: il bando condizionato dal decreto scuola?

da Tuttoscuola

Il voto di fiducia posto dal Governo sull’approvazione del testo di conversione in legge del DL 126 – Salva precari (la fiducia è attesa per giovedì 19 dicembre) rende imminente (questione di pochi giorni) l’applicazione della nuova norma con le innovazioni previste. Uno dei primi effetti riguarderà il concorso ordinaria Infanzia e Primaria, di cui da mesi viene data per imminente la pubblicazione del bando.

Con molta probabilità, invece, quel bando concorso Infanzia e Primaria (che riguarderò anche i posti di sostegno) dovrà attendere, perché il comma 18-ter dell’articolo 1 ha previsto una disposizione, non contemplata nel testo del regolamento da cui uscirà il bando, che prevede la possibilità di presentare domanda di partecipazione al concorso per i posti di sostegno anche per candidati che stanno tuttora frequentando corsi di specializzazione per conseguirne il titolo entro il prossimo 15 luglio.

“18-ter. Sono ammessi con riserva al concorso ordinario e alla procedura straordinaria di cui al comma 1, nonché ai concorsi ordinari per titoli ed esami per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria, banditi negli anni 2019 e 2020 per i relativi posti di sostegno, i soggetti iscritti ai percorsi di specializzazione all’insegnamento di sostegno avviati entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. La riserva si scioglie positivamente solo nel caso di conseguimento del relativo titolo di specializzazione entro il 15 luglio 2020.”

Il bando concorso Infanzia e Primaria dovrà, pertanto, prevedere l’inserimento di questa disposizione.

È poco probabile che l’integrazione al bando possa essere disposta come semplice aggiunta, in quanto dovrà essere il regolamento a prevederlo. L’integrazione, quindi, dovrà partire da lì.

Legge di Bilancio alle battute finali: sindacati proclamano stato di agitazione per istruzione e ricerca

da Tuttoscuola

Un presidio con flash mob davanti al MIUR oggi, mercoledì 18 dicembre, dalle ore 17 alle ore 19. Questa l’iniziativa con cui FLC Cgil, CISL FSUR, UIL Scuola Rua, SNALS Confsal e GILDA Unams danno avvio allo stato di agitazione proclamato ufficialmente dalle segreterie unitarie a causa dei troppi nodi che restano ancora irrisolti nel momento in cui la legge di Bilancio 2020 giunge alle battute finali in Parlamento.

Dopo la riunione degli organismi nazionali al teatro Quirino di Roma, le cinque organizzazioni sindacali rappresentative del comparto Istruzione e Ricerca chiamano ancora alla mobilitazione gruppi dirigenti, quadri e RSU per ribadire con forza gli obiettivi del documento unitario redatto dopo l’evento del 20 novembre.

In testa alle rivendicazioni, l’aumento delle risorse per il rinnovo contrattuale, visto che quelle stanziate nella legge di Bilancio consentono, a regime, un incremento delle retribuzioni di poco superiore all’inflazione: meno di 80 euro medi mensili, ben lontano dall’aumento a “tre cifre” promesso a più riprese.

Le richieste delle sigle sindacali riguardano anche la valorizzazione professionale e la perequazione retributiva rispetto al resto del personale della PA. “Il fatto che oltre il 40% dei lavoratori del comparto beneficia dell’elemento perequativo – affermano Sinopoli, Gissi, Turi, Serafini e Di Meglio – dimostra che le retribuzioni del comparto istruzione e ricerca sono significativamente inferiori a quelle delle altre pubbliche amministrazioni. Se le risorse stanziate per il rinnovo contrattuale sono comprensive della quota necessaria a finanziare il perequativo, l’aumento medio mensile reale si riduce a circa 70 euro: queste – spiegano i leader dei cinque sindacati – devono pertanto essere considerate aggiuntive rispetto a quelle occorrenti per il rinnovo contrattuale. Al fine di conseguire un reale avvicinamento alla media delle retribuzioni europee, è dunque necessario un ulteriore significativo stanziamento”.

Il presidio di oggi, mercoledì 18 dicembre, punterà i riflettori anche sulle problematiche relative ai punti delle intese del 24 aprile e 1° ottobre rimasti inattuati, a partire dalla questione degli assistenti amministrativi facenti funzioni di DSGA e dal mancato avvio del tavolo di confronto sui percorsi di formazione e abilitazione. I sindacati contestano inoltre le invasioni di campo su materie contrattuali che si stanno compiendo in sede di conversione del decreto scuola, che interviene sulla mobilità del personale docente; insistono inoltre sulla necessità di rivedere la normativa generale sul pubblico impiego e di rifinanziare e rendere più flessibile la composizione e l’utilizzo dei fondi del salario accessorio. Il presidio rilancerà anche le motivazioni delle manifestazioni unitarie del 3 dicembre sulla ricerca e del 16 dicembre sull’università.