G. Duby e R. Mandrou, Storia della civiltà francese

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LA RIVOLUZIONE FRANCESE E L’ETA’ NAPOLEONICA

di Giovanni FERRARI

 

PREMESSA:

Due noti studiosi, ricercatori. Storici, intellettuali francesi, Georges DUBY e Robert MANDROU; hanno analizzato in modo particolare “Histoire de la civilisation française”, pubblicato in Francia in due volumi: tome 1, Moyen Age- 16ème siècle; Tome 2, XVIème sIècIe-XXème siècle; tradotto e commentato in Italia; “Storia della civiltà francese”, da Annamaria NACCI e Anna GRISPO.

Questa storia della civiltà francese intende realizzare l’Ideale di una storia completa, a cui centro stanno non solo lo Stato, non le grandi vicende e gli episodi politici ma le strutture e i valori della cultura, dell’economia, della mentalità comune, della vita morale e religiosa. Partendo dall’unità universalistica e indifferenziata del mondo medievale, in cui le linee maestre della civiltà sbocciata a ovest del Reno e delle Alpi, poco da quelle comuni a tutta l’Europa romano-germanica, è così possibile seguire il lento delinearsi della particolare realtà francese. Una civiltà che ha ricevuto l’impulso decisivo da momenti di straordinaria creatività come il XII o XVIII secolo, quando tutta l’Europa ha tratto, della Francia, elementi fondamentali per il destino comune.

Il 1789 segna una svolta decisiva nella storia della Francia , i cui effetti coinvolgeranno l’intera civiltà europea ( se non mondiale) fino ai nostri giorni. Con la Rivoluzione francese inizia un processo controverso, discontinuo ma irreversibile, che porterà all’abbattimento dell’Ancien Regime e all’ affermazione di una società amministrata e diretta dalla borghesia, la cui ascesa ed in seguito emancipazione consentiranno il passaggio dal feudalesimo al capitalismo.

L’ affermazione dei diritti civili e delle libertà costituzionali, portatrice istanze radicalmente innovative e potenzialmente universali, troverà una concreta espressione ne! moderatismo del pensiero politico dei philosophes (sul modello del liberalismo inglese) e una piena attuazione ed interpretazione in chiave borghese. Dal 1789 al 1791 i deputati del III Stato, provenienti dalle fila dell’alta borghesia finanziaria e colta, ottengono le conquiste essenziali per la tutela dei lori interessi:

Abolizione formale dei diritti feudali: i contadini devono riscattare in denaro i diritti reali e a trarne vantaggio sono i proprietari ( nobili e borghesi) e i contadini più benestanti.

Dichiarazione dei diritti dell’uomo: espressione dell’individualismo borghese, afferma il principio della uguaglianza formale di tutte le persone di fronte alla legge, la garanzia esclusiva delle libertà individuali, la intangibilità del diritto di proprietà e introduce il principio meritocratico nell’accesso alle cariche pubbliche, appannaggio di chi possiede mezzi e ricchezze.

fine dell’assolutismo regio: concessione della carta costituzionale e nascita di uno Stato minimo, frutto di un compromesso capace di garantire ai possidenti ( aristocratici e borghesi) il potere effettivo.

Da un punto di vista economico si pongono le basi per un sistema di stampo capitalistico: liberalizzazione degli scambi commerciali, abolizione dei monopoli e soppressione delle dogane interne, in particolare, con la legge Le Chapelier vengono soppresse tutte le associazioni, padronali e operaie, considerate da ostacolo alla libera iniziativa dei singoli individui: i padroni, in assenza di responsabilità e vincoli, sanzionano un avvenire di oppressione della classe operaia, inoltre con la vendita dei beni nazionali (le terre confiscate prima al clero e poi agli emigrés), ad arricchirsi saranno soprattutto le classi più agiate.

Se da un lato si procede allo smantellamento dei privilegi fiscali e giuridici e all’applicazione della stessa legge per tutti, dello stesso regime fiscale o penitenziario su tutto il territorio, dall’altro si escludono, sotto pressioni economiche, i territori d’oltremare sottoposti alla schiavitù.

 

I nuovi potenti, sostenitori di una monarchia costituzionale su base censitaria, delegano l’azione politica ad una plutocrazia fondiaria e immobiliare a spese delle richieste di giustizia sociale ed economica del popolo.

 

Repubblicani, in virtù del tradimento regio, nel breve spazio di un anno i convenzionali montagnardi abbozzavano anche una democrazia sociale ( decreto di distribuzione delle terre: il diritto di proprietà veniva subordinato al diritto di sussistenza; un decreto che darà un’impostazione socializzante alla tradizione giacobina, ma la politica termidoriana segnava una battuta d’arresto. Si recupera il senso autentico della rivoluzione: l’ideale resta la monarchia censitaria; in assenza del Re, la repubblica può essere liberale e borghese, senza essere democratica.

Il consolidamento delle conquiste borghesi, dal 1794 al 1799, si scontrerà con le richieste democratiche del popolo e il pericolo di una restaurazione realista sostenuta dal disordine religioso. Ad alimentare sentimenti reazionari contribuirà la questione religiosa: se da un lato si riduce sensibilmente il monopolio della Chiesa nella vita sociale e politica promuovendo la libertà di coscienza, il pluralismo religioso e un’istruzione laica , dall’altro si crea una sorta d’interferenza dello Stato nella Chiesa( Costituzione civile del clero secondo i principi gallicani, si sottopongono ad un rigido controllo tutte le attività del clero impedendo ogni interferenza del Papa; i beni della Chiesa vengono confiscati e venduti all’asta; i chierici diventano funzionari dello Stato e si aboliscono gli ordini religiosi. Costretto a conservare il suo status dominante sotto un regime di repressione, il Direttorio aprirà la strada a Napoleone Bonaparte, strumento cosciente del trionfo della borghesia sull’antico regime.

ln primis è necessario assicurare la pace civile e la vittoria all’estero e Napoleone riesce ad imporsi sia ai realisti con un abile dosaggio di misure repressive e conciliative, sia ottenendo l’accordo con il Papato e la Chiesa cattolica, pilastro insostituibile dell’ordine sociale (Concordato del 1801). Il primo grande merito attribuitogli dagli ambienti degli affari ( banche e commercio) e dalla borghesia urbana, è la riorganizzazione finanziaria con la creazione della Banca di Francia e di una moneta sicura che garantisce la prosperità del paese e l’attuazione di una politica estera volta a favorire l’economia francese. La promulgazione del Codice civile sigilla le conquiste rivoluzionarie tese a favorire il predominio della classe borghese: pensato per regolamentare questioni riguardanti i contratti di proprietà, consacra l’abolizione di ogni traccia del regime feudale; garantisce la libertà del lavoro (soppressione delle dogane interne e introduzione del libretto del lavoro) che incoraggia lo sviluppo del nascente capitalismo; porta a compimento l’uguaglianza civile tramite la creazione di nuovi incarichi pubblici e la promozione della carriera militare. Infine Napoleone riafferma il principio dell’abolizione della nobiltà come ordine , ma la resuscita come classe sociale camuffandola con armi e titoli nuovi, e ne crea un’ altra a tutela e lustro del regime, ereditaria e legata al censo. Riorganizza il sistema dell’ istruzione a favore degli interessi della borghesia: si disinteressa totalmente all’insegnamento primario e la scuola inferiore torna ad essere a pagamento per i genitori: questo significa che la massa degli operai e dei contadini non puo’ far istruire i propri figli. Concentra tutta la sua attenzione sulle scuole secondarie, affidando ad esse il compito di sfornare funzionari docili, e crea un’università di Stato gerarchizzata e centralizzata, che sarebbe durata , nei suoi principi essenziali, fino al 1968. ln ambito culturale , incoraggia le scienze matematiche, la fisica, la medicina e ostacola le scienze morali e politiche. Nel campo dell’istruzione trascura gli studi di lettere, filosofia, storia moderna, scienze economiche e sociali. ln assai migliori condizioni erano le facoltà destinate a preparare puri tecnici: scienze, medicina, diritto. Una particolare cura era data alle scuole medie perché doveva preparare il gran numero degli impiegati dello stato e degli ufficiali inferiori. La caduta di Napoleone trascinerà tutta l’ Europa nel moto reazionario senza tradursi in un’ integrale restaurazione dell’ Antico regime.

ln sintesi, i protagonisti della rivoluzione e degli anni successivi Sono il re, l’aristocrazia reazionaria e il clero refrattario, portatori di istanze controrivoluzionarie; la borghesia, detentrice delle fila della rivoluzione, pronta a difendere il potere conquistato da qualsiasi attentato proveniente dall’alto o dal basso; e il popolo, che insorge, accelera il ritmo lento delle istituzioni e diventa “massa di manovra” degli interessi di potere.

Dopo il 1789 i francesi vivono con diversa intensità gli eventi rivoluzionari. I parigini partecipano quotidianamente alla vita politica grazie ai club e alle sezioni. Ciò che accade a Parigi condizionerà tutta la Francia. ln provincia, le masse popolari sono meno informate di quelle della capitale , seguono gli avvenimenti parigini Con un certo distacco e con una diversa consapevolezza della scelte politiche. Infine, la popolazione delle campagne è totalmente impegnata nelle ultime lotte contro i beneficiari dei decreti del feudali. Insomma, al di là di Parigi, l’organico rivoluzionario comincia a rarefarsi, come si evincerà dalle tendenze controrivoluzionarie a partire dalla primavera del 1793.

 

ln definitiva, l’istituzione dell’uguaglianza diventa una precisa manifestazione di classe e si concretizza nella lotta contro i privilegi dell’aristocrazia feudale: al privilegio antico del sangue si sostituisce quello “nuovo” della ricchezza. La nuova società del XIX secolo è una società senza ordini ma egualitaria più nei principi che nella realtà quotidiana: la borghesia condivide con gli antichi privilegiati una condizione di predominio. Spariscono i segni esteriori della superiorità e si comincia a delineare in modo inafferrabile (in quanto non definibile giuridicamente) la supremazia di una classe su un’altra.

 

La libertà, in nome della quale s’insediano i vari governi rivoluzionari e si conducono le conquiste dei popoli, viene intesa nella sua accezione puramente negativa (assenza di vincoli esterni, libertà da ogni forma di potere collettivo) attraverso la fondazione di un sistema giuridico e politico basato sulla difesa dei diritti esclusivamente individuali ( solidali con il diritto di proprietà e altri diritti di natura economica L’unico ostacolo all’esercizio di questa libertà è la libertà dell’altro: i rapporti umani sono, dunque, rapporti necessariamente vincolati e limitati dalla relazionalità stessa. Si profila cosi un tipo di società individualistica, segnata dalla separazione del singolo dal tessuto comunitario. LO Stato non ha altra funzione che quella di garantire questa eguale libertà, mantenendo l’ordine, e ciò equivale in pratica a lasciare che parte dei cittadini prenda il sopravvento sugli altri grazie alle loro capacità e soprattutto alla loro ricchezza. L’importante riconoscimento della libertà di pensiero e di stampa, riconosciuta di fatto a chi possiede i mezzi e ricchezze, diventa strumento di potere e viene puntualmente annullata nei riguardi della parte soccombente e riservata alla parte vincitrice. D’altro canto, sulla scia di Rousseau, pensatore illuminista solitario, la politica giacobina, forte degli appoggi popolari, proverà a realizzare una democrazia reale introducendo il suffragio universale e, grande innovazione, alcuni diritti sociali: assistenza ai poveri, agli anziani e istruzione gratuita per tutti. Sospende le libertà dei liberali perseguendo l’ideale democratico di una libertà positiva (partecipazione), intesa come autonomia, indipendenza economica e quindi culturale. L’intenzione del decreto di ventoso (redistribuzione delle ricchezze ai più poveri) è quella di dare a tutti la possibilità di essere soggetti delle iniziative delle vita politica, sociale e culturale. La democrazia giacobina fonda, dunque, la libertà su una limitazione delle differenze economiche e sociali : in questo consiste il significato profondo del suffragio universale. Tuttavia l’istituzione di una democrazia effettiva è impossibile da affermare in un momento in cui la Rivoluzione giunge a sancire il dominio borghese e l’individualismo egoistico. I termidoriani reclamano le libertà che il governo di Robespierre ha dovuto accantonare per difendere la patria dai nemici interni ( moderati, realisti, cattolici) ed esterni e tutta la politica termidoriana sarà tesa a rafforzare il potere della borghesia con l’affossamento dei principi democratici e il prevalere di egoismi e rivalità personali, Si ritorna ai principi dell’89 e alle disposizioni del 1791: introduzione del sistema censitario, liberalismo economico e intangibilità della proprietà privata. Al tempo stesso, la Convenzione montagnarda consegnerà alla Francia e al mondo un’ideale democratico: subito dopo le giornate del luglio 1830, sorge una tradizione repubblicana che si arricchisce e si differenzia prima nell’opposizione alla monarchia borghese e a Napoleone III, poi nell’esercizio del potere.

 

Infine, la fraternità, nella sua accezione universalistica o nazionalistica, sebbene alimenti, con accenti diversi, la solidarietà tra popoli, la coesione sociale, la valorizzazione delle specifiche identità culturali, entrerà troppo spesso in conflitto con la libertà fornendo l’alibi alle guerre espansionistiche e favorendo totalitarismi di destra e sinistra. L’imperialismo francese, prima repubblicano e poi napoleonico, difende la diffusione per via militare delle idee rivoluzionarie, facendone una sorta di precorritrice dell’idea attuale dell’esportabilità con la forza della democrazia, e della cosiddetta responsability to protect.

Sotto l’insegna della libertà, si procede alla conquista e alla spoliazione dei territori invasi attraverso una politica economica che subordina gli interessi dei paesi vassalli a quelli della Francia. Mentre fonda a Parigi la sua monarchia imperiale, Napoleone è l’artefice di quella modernizzazione delle istituzioni europee (sul modello francese) che susciterà, per adesione e per contrasto, la promozione dei popoli alla sovranità e provocherà al tempo stesso una strana alleanza della reazione con il patriottismo.

 

Sebbene terminata ufficialmente con il periodo imperiale-napoleonico e con la Restaurazione, la Rivoluzione francese mantiene intatte le conquiste essenziali, quelle del 1789-1791. Ha ispirato le rivoluzioni che si verificano nella prima metà del XIX secolo, dando definitivo impulso alla nascita di un nuovo sistema politico, sotto il nome di Stato di diritto o Stato liberale, in cui la borghesia diventa la classe dominante, prodromi a sua volta della nascita dei moderni stati democratici del XX secolo.

Dopo Napoleone si entra in un lungo periodo di lotte di popoli contro sovrani, di borghesi contro aristocratici, di operai contro padroni per affermare il loro diritto alla Vita, in una Francia declassata e controllata che non troverà’ più l’ egemonia smisurata dell’ Impero. Sul terreno religioso la Chiesa Romana tende a riprendere il controllo delle coscienze e delle idee dominanti incoraggiando il libertinaggio e l’ anticlericalismo. Politicamente esclusa dal continente, la Francia vivrà nel ricordo di Napoleone.

L’ epoca delle rivolte romantiche è caratterizzata da una reazione al razionalismo dei lumi in nome del sentimento, della sensibilità e della fiducia nelle verità metafisiche. Dal Confronto con l’ eredità della Rivoluzione francese scaturisce un nostalgico rivolgimento verso il passato che si traduce da un lato nell’ esaltazione della fede religiosa e dell’ istituzione monarchica (corrente tradizionalista); dall’ altro in una critica alla civiltà del progresso non tanto per i ricavi quanto per i costi che comporta. Da ciò ne consegue la presa di coscienza di un’ alienazione dell’individuo dal proprio ruolo sociale che porterà all’ avvento di nuove ideologie: socialismo, comunismo, ereditarie dell’ egualitarismo giacobino. La società e lo Stato borghese vengono sottoposti un’ attenta e disincantata analisi che individua le cause dei profondi mali sociali nel capitalismo liberista. Queste ideologie, nate in contrapposizione ai valori dell’ individualismo borghese, rivendicano la preminenza degli interessi globali della collettività su quelli dei singoli cittadini, al fine di evitare le storture economiche del regime liberista, quanto le gravi disparità politiche e sociali fra i ristretti gruppi detentori del potere economico e i vasti ceti proletari.

 

La lotta iniziata per approdare alla conquista dei diritti fondamentali dei cittadini ( innanzitutto intesi come lavoratori), ha visto il riconoscimento istituzionale di tali garanzie, ma non è stata corrisposta da una reale emancipazione umana. Se da un lato l’ impiego delle macchine nel lavoro consente un aumento della produttività in termini di velocità e resa, d’ altro canto manca di un’ adeguata riqualificazione delle risorse umane, diminuendo la necessità di impiego di personale e riducendo il valore del contributo dato dall’ apporto dell’ intervento dell’ individuo.

 

L’avvento di una civiltà tecnico-industriale aliena gli uomini dalle loro dimensioni naturali e genera una nuova forma di oppressione degli individui dando luogo ad una società tecnicizzata e massificata(sostanzialmente totalitaria, anche se rivestita di forma democratiche) nella quale l’individuo, privato di ogni potere decisionale, risulta asservito a delle élite economiche e politiche, che detengono il monopolio dei mezzi di comunicazione e il potere di influenzare e controllare l’ opinione pubblica.

A partire dal secondo dopoguerra, prende piede, in materia di politica estera, il fenomeno della decolonizzazione. Le potenze coloniali avevano giustificato il loro operato sulla base di uno scambio ‘paritario”: esse avevano il compito di portare alle popolazioni indigene la civiltà e il progresso, in cambio le colonie contribuivano con lo sfruttamento delle proprie risorse a favore dei bisogni materiali del mondo moderno. Le potenze coloniali si occuparono di creare nelle colonie un sistema sanitario, molte infrastrutture e un sistema di scolarizzazione, ma gli Europei si preoccuparono per IO più di indirizzare la coltura delle terre verso il loro esclusivo interesse, con un conseguente sfruttamento delle popolazioni locali e un’ ampia appropriazione del territorio, la costituzione di entità capitalistiche ( banche, società minerarie e commerciali) e il controllo della manodopera indigena. Tuttavia dal progresso economico, dell’ istruzione e dell’ urbanizzazione nacquero le cosiddette “borghesie indigene” che assunsero la guida del movimento nazionalista. Avendo avuto accesso all’ insegnamento occidentale, queste élite locali utilizzarono le armi intellettuali e ideologiche che avevano ricevuto per aizzare le masse popolari al fine di rivendicare la loro indipendenza.

Dopo aver conquistato l’ indipendenza rimane in molte colonie la necessità di definire una strategia di sviluppo e di acquisizione di legittimità internazionale. ln generale i nuovi Stati finiscono per essere influenzati dall’ ex potenza coloniale, l’ avvento del neocolonialismo incatena i territori coloniali nella posizione di stati clienti delle principali potenze industriali-capitalistiche, con il capitale straniero utilizzato per lo sfruttamento, anziché per il progresso, delle parti meno sviluppate del mondo.

 

L’opera, in sostanza, si muove sulla scia dell’indirizzo tracciato da Marc BLOCH e da Lucien FEBVRE. Questa storia della civiltà francese tenta di attuare, in un tema di straordinaria vastità ed Importanza, l’ideale caratteristico dalla scuola della rivista “Annales d’histoire économique et sociale”, tuttora esistente e pubblicata dal 1994 con il titolo “Annales”. Si può parlare di una storia “integrale”, capace di far rivivere nella complessità del loro intreccio i più vari aspetti della realtà in cui si muovono gli uomini e le collettività.

 

Al centro stanno dunque non solo lo Stato, ma la società, non i grandi fatti della politica ma le strutture e i valori della cultura, economia, vita morale e religiosa. Dalla differenziata unità del mondo medioevale, in cui le linee maestre della civiltà germinata a ovest del Reno e delle Alpi differiscono poco da quelle comuni a tutta l’Europa romano-germanica, è così possibile seguire il lento delinearsi della particolare realtà francese, che ha ricevuto una impronta decisiva da momenti di straordinaria creatività come il XII o il XVIII secolo, quando tutta la civiltà europea ha tratto, dalla Francia, elementi fondamentali e apporti decisivi per il comune destino. Questo libro ripercorre dunque le vicende di uno dei centri di più intensa vitalità storica che l’umanità abbia mai conosciuto, dalle sue origini prima del Mille sino ai giorni nostri, in uno sforzo di rievocazione critica sempre vigile a richiamarsi, al di la dell’esterna trama dei particolari e dei dati di fatto, ai valori umani e alle mentalità che stanno dietro di essi, e che con essi sono venute crescendo e sviluppandosi. Non è un libro di storia nel senso tradizionale. Non vi si trovano descrizioni dettagliate con nomi, date, battaglie ecc. Niente di simile ad un libro di storia manualistico. Tutt’altro. Qui si parla sì di storia, ma di ‘‘storia della civiltà”, che si muove sempre ovviamente sulla storia come generalmente la intendiamo, ma ne approfondisce un aspetto particolare. Il libro è scritto da due autori diversi, uno studioso del Medioevo e l’altro dell’età moderna, e abbraccia un arco temporale molto ampio: dall’anno 1000 fino alla Quinta Repubblica. E vi si narra come il popolo francese, a partire dai piccoli villaggi in cui viveva si sia sviluppato; di come lentamente le varie lingue che vi si parlavano abbiano ceduto il passo dinanzi quello che poi diverrà il francese; di come le campagne si siano sviluppate lentamente dal punto di vista delle colture; di come Parigi abbia cominciato ad assumere il ruolo indubbio di capitale che ancora tutti le riconoscono. Sì può senza timore di smentita dire che in questo libro, tolti i nomi importanti a cui per necessità si deve far riferimento, si può vedere come la Storia, in fin dei conti, la facciano tutti, anche gli ultimi, quelli che non si penserebbe mai abbiano potuto dare alcun contributo, ma in fondo la storia della civiltà è proprio la storia di tutti. La parte di nostro interesse va dalla Rivoluzione francese alla Seconda Guerra Mondiale e al decennio posteriore al secondo conflitto mondiale.

 

Dal 1789 al 1794 la Rivoluzione è un moto di progressione continua, abbattuto l’Ancien Regime, la costituente costruisce il nuovo, sino al 1815 quando interviene Napoleone che rilancia l’idea della conquista d’Europa (regime personale che si distacca sia dalla tradizione che dalla rivoluzione).

 

All’origine della Rivoluzione francese vi è la Grande Paura, il semplice panico popolare è all’origine di questo immenso moto sociale contro il regime feudale (non sembra vi siano altri esempi simili nella storia del mondo). La Grande Paura conduce all’esplosione di gioia con la quale il contadino s’è liberato dei pesi feudali. (Decreto della Convenzione 17/07/1793) La Rivoluzione è stata vissuta dai francesi con varia intensità, maggiormente dai parigini (che partecipano alla vita politica quotidianamente), in maniera marginale nelle campagne. Solo la questione religiosa seguita ad appassionare ed è meno drammatica di quanto la si sia creduta (la fede popolare, religiosa e politica è raccolta nei Cahier de doléances).

 

Nella Dichiarazione dei Diritti dell’uomo il termine maggiormente apprezzato dall’uomo è uguaglianza: uguaglianza fiscale (concretizzata in una migliore ripartizione delle imposte}, uguaglianza civile (apertura delle cariche a tutti e non solo ai nobili), uguaglianza amministrativa (riordinamento amministrativo della Francia: dipartimenti, circondari, cantoni…), uguaglianza economica (padroni e compagnons sono considerati pari anche se solo formalmente), uguaglianza politica (sovranità della Nazione, ma distinzione dei cittadini in attivi e passivi, ma questi ultimi non possono partecipare alla vita politica, e sono almeno un terzo. La ricchezza è la sola discriminante).

 

La Dichiarazione dei Diritti dell’uomo definisce le libertà indispensabili al cittadino. Libertà di coscienza (nessuno può essere molestato per le sue opinioni, neppure religiose). La Chiesa cattolica non può più essere quella di prima; i protestanti riottengono il loro diritto alla vita nel regno. Ma l’attaccamento dei giacobini alle libertà è provato dalle loro aspirazioni sociali incentrali sui decreti per la redistribuzione delle terre, perché non può esistere vera libertà finché il cittadino non abbia un pezzo di terra che gli dia garanzia. La democrazia giacobina è egalitaria nei principi, fonda la sua libertà su una limitazione delle differenze economiche e sociali, senza mai arrivare all’uguaglianza. Anche nei periodi successivi alla Rivoluzione si è visto quanto fosse difficile l’esercizio della libertà.

 

La tappa Napoleonica consente il trionfo della borghesia sull’Ancien Regime. Napoleone fonda a Parigi la monarchia imperiale e in Europa la Rivoluzione contro l’antico regime, egli riorganizza le finanze pubbliche, crea la Cassa di ammortamento, la Banca di Francia. Ristabilisce la pace religiosa ed il clero ritrova posto nella vita quotidiana. I francesi perdono la libertà a vantaggio di uguaglianza, prosperità economica, tranquillità religiosa. Nel 1804 perdono anche l’uguaglianza sociale, la nobiltà imperiale può assicurarsi la trasmissione ereditaria. II momento napoleonico è l’espressione di una volontà di grandezza: l’Europa occidentale e in parte centrale diventa francese (1810). L’amministrazione diventa ordinata e gerarchica. La suddivisione amministrativa fa crollare i privilegi locali e feudali ed anche i beni del clero sono secolarizzati (specialmente in Italia). La presenza francese ha fatto nascere negli Stati europei la solidarietà nazionale ed un sentimento xenofobo che mette fine alla dominazione francese.

 

La caduta napoleonica crea la restaurazione, ma in alcuni Paesi si salvaguardano le costituzioni liberali introdotte dai francesi, ed anche in Francia stessa con Luigi XVIII si rende conto che non si può tornare ad una piena restaurazione.

 

La Francia borghese può basarsi sui proprietari delle prime ferriere e delle industrie tessili. Raddoppia la popolazione, sia borghesi che nobili investono in terreni. I borghesi si preoccupano di avere un buon sistema educativo, Collegi, scuole centrali, scuole provinciali, l’organizzazione dell’università resta quella dell’impero napoleonico, tanto che fino al 1850 le congregazioni religiose reclamano per la Chiesa libertà d’insegnamento e fine del monopolio ( l’università restava ispirata allo spirito volterriano). Le principali sono la Sorbona e il Collège de France. Nel 1833 la prima costituzione all’insegnamento primario (con la legge Guizot una minoranza delle giovani generazioni comincia ad andare a scuola, sotto il controllo del clero). La borghesia francese è consapevole di avere una funzione dirigente.

 

I. Le rivolte romantiche:

La fase post-napoleonica è caratterizzata da malcontento, miseria, fame e freddo. Ogni anno muoiono tanti francesi e non solo tra le persone meno abbienti. La sconfitta di Waterloo e il tradimento colpiscono l’immaginazione. Stendhal attribuisce ai suoi personaggi ammirazione per Napoleone. Tra il 1846-47 falliscono le compagnie ferroviarie e conseguentemente banche e finanziatori. La vita agricola condiziona l’intera vita economica. La carestia, il rialzo del prezzo del grano, sono seguiti dalla crisi industriale e commerciale, dalla disoccupazione e dalla miseria, che avranno ripercussioni sugli avvenimenti del 1848.

 

Temi e stili del romanticismo francese sono: proteste contro il trionfo borghese, un rifiuto dello straniero, una reazione al razionalismo in favore della sensibilità e della fede religiosa. I romantici rimettono in onore il sentimento; Balzac vuole lavorare per la monarchia e per la religione. Sensibilità e irrazionalità prendono il sopravvento, il rifiuto della mediocrità e del grigiore, l’invocazione alle muse, l’appello al fantastico, la partecipazione alla vita soprannaturale, il genio che interroga il suo cuore.

 

II. Civiltà francese e civiltà

Il XX secolo vede un moto accelerato. Vi è la presa di coscienza della collettività che è in atto un immenso progresso (stampa, cinema, radio, televisione, automazione, scoperta degli antibiotici). Città e campagne restano comunque immancabilmente distinte. Parigi conserva la sua supremazia, vive su scala mondiale, rifugio del cittadino del mondo, sede dell’UNESCO. Nonostante le molte istituzioni unificatrici ( quadri amministrativi, educazione nazionale…) non esiste un’unica civiltà, ma varie civiltà di raffinatezza e splendore diseguali. La seconda guerra mondiale ha sollecitato un incontro senza precedenti tra diverse civiltà e culture, tra Occidente e Oriente, Europa, Asia e Africa. Il mondo visto dai francesi si amplia. E’ una guerra che coinvolge ogni francese: fame, prigionia (1.500.000 detenuti in Germania), deportazione,

l’esistenza di una linea immaginaria che taglia in due il Paese… La lotta è presente ogni giorno! Il peso dell’occupazione è stato più sentito a Nord. Il Paese è diviso tra collaborazionisti da una parte (per lo più la borghesia benestante, commercianti, industriali) e i resistenti dall’altra. La guerra ha insegnato il valore della solidarietà di tutto il mondo (una realtà più europea che mondiale). Alla fine della guerra, dopo la liberazione, si è sviluppata un’opinione favorevole delle Nazioni Unite, viste come stato liberatore, ed anche dell’URSS, e il partito comunista si è assicurato le simpatie di un quarto dell’elettorato adulto. Il primo governo francese della liberazione trasformò l’economia francese con la nazionalizzazione delle Banche, la trasformazione della Renault in azienda statale, la creazione della Sécurité Sociale per garantire assistenza per malattie, infortuni e pensioni. Alimentata dai versamenti dei datori di lavoro ha potuto contribuire a nuove attrezzature e alle pubbliche ricerche mediche. La seconda guerra mondiale ha fatto progredire il socialismo e l’economia francese passa sotto la direzione dello stato. Si risveglia anche il sentimento nazionalista, una profonda consapevolezza del posto che il Paese occupa nel mondo. É importante sottolineare che la Francia d’oltremare non è stata mai così presente ai francesi come in quegli anni del colonialismo. L’originalità delle civiltà indigene cominciano a farsi sentire, invocano i diritti della persona e dei popoli. I quadri indigeni sono incapaci di pianificare su vasta scala e la metropoli non ha mezzi economici da investire in tutta l’unione francese (manca ricchezza di uomini e di mezzi). La Francia deve far fronte a una nuova rivoluzione industriale. Le distruzioni pesano molto sui dieci anni che seguono il 1945, la fame ha ridato vita alla campagna. I governi hanno dovuto aumentare le sovvenzioni, i diritti e le tasse (per il grano). Fame e mercato nero hanno dato impulso al commercio. Il maggior carico è sulle finanze pubbliche. L’organizzazione professionale opera più per la conservazione con minima spesa che per l’ammodernamento dell’attrezzatura scientifica. Scienze, tecniche e scienze umane fanno un passo avanti, particolarmente la biologia con l’utilizzo degli antibiotici (si debellano le malattie e l’età media supera i 60 anni). Il periodo successivo alla guerra è definito terza rivoluzione industriale o rivoluzione scientifica. Dopo il 1945 la Francia ha cercato impieghi pacifici dopo la scoperta della bomba atomica (ricerche di fisica nucleare e di medicina) che hanno favorito la nascita di nuove industrie e la conseguente decongestione della regione parigina. Altrettanto sconvolgente è il progresso nel campo dell’automazione, ricerche elettromeccaniche, telefoniche e radiofoniche. L’automazione del lavoro industriale con macchine a buon mercato ha consentito la riduzione del personale operaio, la riqualificazione della manodopera, l’aumento della produzione, la riduzione dell’orario lavorativo,

un nuovo equilibrio dei salari e dei prezzi. Le macchine elettroniche, in grado di redigere i conti di 60/100 clienti, sollevano anche il problema della disoccupazione e le discussioni tra padroni e sindacati, anche per spostamenti e riqualificazioni. La consapevolezza di questo rinnovamento nazionale, sociale e tecnico scientifico è avvertita in maniera molto ineguale dai 43 milioni di francesi. Per favorire una maggiore conoscenza e informazione si ritiene necessario effettuare una riforma scolastica con l’intento di specializzare e intensificare la formazione superiore scientifica e tecnica. Con le dovute eccezioni, gran parte delle zone rurali francesi rifiuta la velocità della tecnologia, televisione, cinema e cinema non sono visti di buon occhio. Fa eccezione la radio.

Il francese è sempre più parlato e soppianta il vernacolo. La vita religiosa cattolica o protestante ha perso il suo fervore, le donne manifestano comunque osservanza, gli uomini non se ne sono staccati del tutto. Le campagne si evolvono lentamente, la chiesa, la scuola e il municipio restano i punti di riferimento. Il borgo o il capoluogo più vicino sono l’orizzonte a loro conosciuto. I passatempi: il ballo tra amici e il circo ambulante. Le cause di tale lentezza restano ovviamente di carattere economico. Fanno eccezione alcune località turistiche che si gonfiano di popolazione per svariati mesi (Vichy, Lourdes…). C’è tanta differenza nella mentalità tra il commerciante cittadino che può avvalersi dell’informazione professionale (sindacati, scuole, giornali quotidiani) e il contadino che resta chiuso negli orizzonti locali fatti di grossisti, rivenditori etc. Il cittadino prende consapevolezza dei problemi salariali, dello sviluppo o declino economico di una città o di una regione. Se una regione economica è colpita dalla disoccupazione tutta la regione ne risente. Quando uno stabilimento importante è colpito da un conflitto di lavoro tutta la città entra in causa, scoppia lo sciopero che trascina a volte tutti i lavoratori. I capitali regionali (soprattutto nel settore tessile) sono più o meno legati ai capitali europei e mondiali e soggetti a variazioni e adattamenti. Ciò trova espressione nella ripresa del risparmio e della speculazione borsistica già dal 1953. Vanno scemando le attività culturali e spirituali, aumentano quelle sportive soprattutto le squadre di football o rugby. Tutte le attività connesse sono sostenute non dall’alta borghesia ma dalla borghesia commerciale e dai medi funzionari (banchetti, manutenzione degli stadi..). I cittadini, attraverso una pluralità di sindacati, partecipano tutti ad un’ampia vita sociale che ha anche collegamenti con movimenti internazionali.

Non vi sono grandissime riforme nel settore dell’istruzione. E’ difficile valutare il peso della televisione; mentre, libri, cinema, cineclub e riviste cinematografiche caratterizzano la vita culturale francese. Ognuna delle grandi città ha la sua caratteristica peculiare (capitali monumentali e centri di intensa vita religiosa…), ma tutte ricevono dalla capitale la parte migliore (Parigi accoglie un sesto dell’intera popolazione, quasi sette milioni di francesi). Si può dire che Parigi resta il cuore e il cervello della Francia. La centralizzazione politico-amministrativa, la rete di mezzi di trasporto di ogni tipo, la concentrazione bancaria, la sede di tutte le principali società del paese, le grandi scuole e le facoltà più importanti, l’editoria, la stampa, il Centro nazionale della ricerca scientifica, sede di importanti biblioteche e musei, sede di tante culture di serra ( agopuntura cinese, nŏ giapponese). Sul piano della vita spirituale forte è l’attività dei Gesuiti (gioventù cattolica ACJF) e dei Domenicani (edizioni del Cervo). A Parigi convivono avanguardia (gruppi politici minori, trozkisti della quarta Internazionale, nuova sinistra, socialisti, repubblicani, etc.) e rinascita cattolica, una minoranza operante che lotta contro un mondo scristianizzato. È pur vero che Parigi ha quartieri e villaggi che vivono ciascuno con una funzione predominante che la caratterizza. Chi non può permettersi il vestito di Dior mostra comunque nella scelta dell’abbigliamento il riflesso dell’eleganza di Parigi. Tutta la cultura si trasmette tanto al figlio d’arte quanto al facchino. Parigi è anche al tempo stesso il più fecondo crogiuolo di una civiltà mondiale, molto lontana ancora dall’essere una realtà.

 

SINTESI STORIOGRAFICA SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE:

La Rivoluzione Francese è uno snodo fondamentale della storia europea, un evento epocale, ma anche un argomento ‘caldo’ che ha contrapposto e che continua a contrapporre i tanti storici e studiosi che dell’argomento si sono occupati.

Il dibattito sulla rivoluzione è iniziato con la rivoluzione stessa e durante tutto 1’800 si è intrecciato con la lotta politica.

Punto di riferimento per i detrattori della rivoluzione furono inizialmente Le Riflessioni sulla rivoluzione francese dell’irlandese Edmund Burke (1790), che respingeva in blocco l’evento rivoluzionario che aveva provocato un’inutile rottura con le tradizioni storiche, vero fondamento della civiltà. Vanno oltre Joseph de Maistre (1796) che nelle sue Considerazioni sulla Francia, giudica la rivoluzione come una catena di crimini contro l’ordine naturale voluto da Dio e l’abate Augustin Barruel che nelle Memorie per servire alla storia del giacobinismo (1797) elabora, per la prima volta, una teoria che avrebbe avuto grande successo: la rivoluzione sarebbe il risultato di un complotto diabolico, illuminista e massonico, contro il trono e l’altare.

Relativamente positivo, invece, il giudizio di Benjamin Constant, che introduceva una visione, anche questa destinata ad avere grande seguito, di una rivoluzione distinta in due fasi profondamente differenti: la prima, positiva, legata alle conquiste liberali del 1789; la seconda, scaturita dalla ‘deriva’ giacobina del 1793, sanguinosa e drammatica.

 

Nel corso dell ‘800, storici liberali conservatori come Madame de Staël, François Guizot, Adolphe Thiers, svilupparono questa visione di una “doppia rivoluzione”, rivendicando i risultati positivi della rivoluzione liberale dell’89. Rivoluzione liberale difesa anche da Alexis de Tocqueville, nel suo “L ‘Antico regime e la Rivoluzione”, del 1856, dove la “borghesia” è la grande protagonista degli eventi rivoluzionari.

L’ottica cambia con lo storico repubblicano Jules Michelet che per primo cominciò a porre “la folla” e il “popolo” al centro del suo racconto nella Storia della Rivoluzione (1847-53). Hippolyte Taine, Jean Jaurès, Alphonse Aulard seguirono questa linea interpretativa. In particolare Jaurès pose le basi di una lettura “sociale” della rivoluzione, come rivoluzione antifeudale, e il movimento socialista sarebbe stato l’erede delle ideologie egualitarie rivoluzionarie. Albert Mathiez, Gorge Lefebvre e Albert Soboul si sarebbero posti su questa linea, dando vita a quella che sarebbe stata definita “l ‘ interpretazione classica” della Rivoluzione Francese.

 

Nel XX secolo questa interpretazione sarebbe stata attaccata da nuovi storici: Alfred Cobban, François Furet e Denis Richet, attenti soprattutto al significato politico e non sociale della Rivoluzione e sugli elementi di continuità, piuttosto che sulle fratture.

 

Interessanti anche le riflessioni di Daniel Roche, Robert Darnton, Roger Chiartier che, con i loro studi sulla sociabilità accademica, sulla lettura, sull’alfabetizzazione, hanno spostato la loro attenzione sui rapporti tra Lumi e rivoluzione.

 

Negli ultimi decenni molte e variegate sono state le tematiche affrontate dagli storici: la storia delle mentalità, delle rappresentazioni simboliche, del linguaggio; gli studi di storia locale che analizzano le realtà sociali e politiche nelle comunità nei villaggi e nelle città francesi; l’ analisi della lotta politica di ‘lungo periodo; ecc.

 

PER CHI VOLESSE APPROFONDIRE, OLTRE AGLI AUTORI ‘CLASSICI’ SU CITATI , CONSIGLEREI LA SEGUENTE BREVISSIMA BIBLIOGRAFIA:

Benigno F., Specchi della rivoluzione. Conflitto e identità politica nell’Europa moderna, (capitolo 1), Roma 1999

Bongiovanni B., Guerci L. (a cura di), L ‘albero della rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese, Torino 1989

Burstin H., (a cura di), Rivoluzione francese. La forza delle idee e la forza delle cose, Milano 1990

Chartier R., Le origini culturali della rivoluzione francese Roma-Bari 1991

Furet F., Critica della rivoluzione francese, Roma-Bari 1980

Vovelle M., La scoperta della politica. Geopolitica della Rivoluzione francese, Roma-Bari 1995

Id—I giacobini e il giacobinismo- Roma-Rari 1998-