Abbiamo il diritto di disconnetterci ?

da Corriere della sera

Abbiamo il diritto di disconnetterci ?

Un dilemma che è finito nel contratto della scuola e che è stato risolto inserendo il diritto alla disconnessione. Un concetto inedito.

Alessandra Arachi

ROMA Connessi o non connessi? Nell’era della (quasi) quarta rivoluzione industriale è questo il dilemma esistenziale. Un dilemma che è finito nel contratto della scuola e che è stato risolto inserendo il diritto alla disconnessione. Un concetto inedito.

Una piccola bomba che fa discutere. Il nuovo contratto prevede fasce orarie protette per poter contattare via mail o via telefono gli insegnanti. Non potranno quindi più essere reperibili ventiquattr’ore su ventiquattro. Una conquista di civiltà?

Licia Cinfriglia scuote la testa: «Prevedere il diritto alla disconnessione è a mio avviso sintomo dell’incapacità di comprendere la portata innovativa del digitale e uno dei tanti elementi di conservatorismo di cui è pieno questo pessimo contratto». Cinfriglia, membro del consiglio superiore dell’Istruzione, è una preside in aspettativa.

Curioso confrontare il suo punto di vista con quello di Ludovico Arte, preside in attività dell’Istituto Marco Polo di Firenze. «Di solito sono contrario alle norme e agli obblighi imposti dall’alto, ma in questo caso sono norme di buona educazione».

Ludovico Arte fa ammissione di colpa: «Sono io quello che di solito manda agli insegnanti le mail il fine settimana. Starò più attento, da ora in poi. Certo questa non mi sembra la cosa più importante da fare nella scuola, ma la trovo giusta».

Connessi o non connessi? È giusto che il diritto alla disconnessione sia confinato soltanto al contratto della scuola? Alessio Gramolato, pensa proprio di no, lui che da sindacalista della Cgil è responsabile del «progetto 4.0». Dice: «Siamo perennemente connessi e questo tema da un po’ di tempo è affrontato in tutta Europa. Dal punto di vista legislativo — come in Francia — oppure dal punto di vista regolativo-contrattuale, come in Germania e come sta succedendo da noi. Soltanto che da noi pensiamo di fare un passo avanti».

Il passo avanti di Alessio Gramolato è semplice: dare un valore specifico alla connessione. «Con la connessione continua negli ultimi vent’anni è aumentato l’orario di lavoro. Non sbaglio se dico che con la reperibilità continua si è incrementato del 30-40 per cento. Quindi piuttosto che affermare il diritto alla disconnessione, direi di pagare la connessione, soprattutto in quei lavori dove non se ne può più fare a meno».

E loro, gli insegnanti, che dicono? Walter Fiorentino è affezionato a mail e chat: «Credo che le potenzialità della connessione siano molteplici. E penso che avere la possibilità di dialogare fuori dall’orario e del contesto sia un beneficio e non un danno».

Fiorentino insegna latino e greco nel liceo De Santis di Roma, e non la pensa per niente alla stessa maniera di Gaia Palladino, che insegna in un paesino in provincia di Catania, Zafferana Etnea, all’Istituto comprensivo De Roberto: «Mi sembra — dice la docente — un sacrosanto fattore di protezione nei nostri confronti. Credo che questo concetto del diritto alla disconnessione sia giusto e che serva anche per far aumentare la consapevolezza nell’uso del digitale».

L’ultima parola spetta alle mamme e ai papà. A papà Gianluca Pallai, presidente dell’Age (Associazione italiana genitori) a Roma. «Credo — afferma — che il vero dramma dietro questa norma sia la mancanza di educazione. Davvero c’è bisogno di regolamentare per contratto l’uso di mail e telefono? Mi sembra il minimo sindacale della civiltà».