Il “cervello autistico”

Il “cervello autistico”:
aprire
un mondo non completamente irrelato agli altri

di Immacolata Lagreca

 

Definizione

La parola “autismo” deriva dal greco autús che significa “se stesso” e, come malattia o modello particolare di struttura psichica, si evidenzia drammaticamente per l’isolamento, l’anestesia affettiva, la scomparsa dell’iniziativa, le difficoltà psico-motorie, il mancato sviluppo del linguaggio. Il termine fu utilizzato per la prima volta nel 1908 da Eugen Bleuer, psichiatra svizzero tra i primi sostenitori dalla teoria psicoanalitica, per riferirsi ad una particolare forma di ritiro dal mondo, causata, comunque sempre, dalla schizofrenia. L’autismo come entità nosografica nasce nel 1943: lo psichiatra austriaco Leo Kanner descrisse undici bambini con un quadro clinico caratterizzato da un disturbo nel “contatto affettivo con la realtà”. Tale disturbi si traducevano in condotte di evitamento, tendenza all’isolamento e atipie comportamentali (bisogno di immutabilità).

Secondo l’ICD-10 (Classificazione dei disturbi psichici e comportamentali nell’infanzia e nell’adolescenza a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) trattasi di “una sindrome definita dalla presenza di una compromissione dello sviluppo che si manifesta prima dei tre anni di vita e da un tipo caratteristico di funzionamento anormale nelle aree dell’interazione sociale, della comunicazione e del comportamento che è limitato e ripetitivo”.

L’autismo, dunque, non è una malattia ma un disturbo grave dello sviluppo che si manifesta sotto vari aspetti e, in generale, prima dei tre anni (periodo in cui il bambino normale sviluppa le fondamentali potenzialità di apprendimento e di contatto con la realtà che lo circonda). Esso è una difficoltà a entrare nel mondo degli altri, nel mondo delle rappresentazioni condivise, che porta a non condividere le emozioni, a non esprimere intenti e a non impegnarsi in interazioni sociali reciproche[1].

 

Cosa caratterizza l’autismo

L’autismo, dunque, è una patologia con esordio precoce che ha alla base un complesso e pervasivo disturbo del funzionamento mentale e relazionale, che investe tutte le aree dello sviluppo. Le sue cause sono molteplici e la sindrome è diversa da individuo a individuo per la varietà e la gravità dei sintomi presenti. Infatti, all’interno di questo disturbo si trovano soggetti molto diversi tra loro, con gradi di alterazione sociale e disabilità cognitiva estremamente diversificati.

Le persone colpite da disturbi dello spettro autistico presentano delle caratteristiche cliniche in tre campi, si parla allora di “triade autistica”. Si osservano:

– una marcata e persistente compromissione dell’interazione sociale;

– una marcata e persistente compromissione della comunicazione verbale;

– l’assimilazione della percezione e dell’informazione, ciò che si traduce in disturbi del comportamento come in un repertorio ristretto di interessi e attività (sterotipie).

Le persone colpite da autismo soffrono di gravi disturbi nel relazionare e nel comunicare. Esse hanno difficoltà a entrare in contatto con altre persone e la loro comunicazione è perturbata. In molti casi, le persone colpite da autismo non sviluppano il linguaggio verbale, quando c’è il linguaggio presenta delle anomalie (ad esempio la persona autistica usa un tono di voce monotono, ripete in modo stereotipato parole e frasi) e in genere non viene usato in un senso comunicativo. Spesso queste persone si isolano da chi le circonda e si sforzano di mantenere intatto il loro ambiente.

Nello specifico le compromissioni qualitative dell’interazione sociale possono manifestarsi attraverso un’inadeguata capacità di cogliere i segnali socio-emozionali, in uno scarso uso dei segnali sociali e in una debole integrazione dei comportamenti sociali, emotivi e comunicativi. Le compromissioni qualitative della comunicazione sono rappresentate da un mancato uso sociale di qualsiasi capacità di linguaggio, da una compromissione del gioco inventivo e imitativo, da una mancanza di sincronia e reciprocità nell’interscambio della conversazione e da un’assenza di risposta emozionale alle stimolazioni verbali e non verbali delle altre persone.

Infine i modelli di comportamento, gli interessi e le attività appaiono limitati, ripetitivi e stereotipati e si manifestano con una tendenza a imporre rigidità e monotonia a quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana.

 

Le caratteristiche e le forme della sindrome

In breve, i “modi fare” caratteristici dei soggetti che soffrono di questo disturbo sono:

– difficoltà a stabilire relazioni con i suoi coetanei. Soprattutto in età precoce questa cosa non è molto visibile, ma con l’avanzare degli anni diventa più facile che vi siano bambini che preferiscono giochi solitari a giochi di gruppo;

– manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo)

– riso inappropriato che avviene improvvisamente e senza motivo;

– contatto oculare scarso o assente;

– apparente insensibilità al dolore;

– preferenza a rimanere solo, isolato;

– ruotare gli oggetti o giocattoli in modo ossessivo, poiché i bambini non usano i giochi in maniera funzionale;

– attaccamento morboso e inappropriato all’oggetto o a una parte di esso;

– evidente eccesso o estrema scarsezza di attività fisica;

– mancata risposta ai normali sistemi educativi.

Altri segni riguardano:

– difficoltà di coordinazione oculo-motoria;

– stati d’ansia-collera senza apparente motivo;

– mancanza di reciprocità affettiva (questo non significa che questi bambini non sono affettuosi ma mancano della capacità di esprimere tale sentimento);

– difficoltà a esprimere bisogni;

– gioco bizzarro;

– mancanza di reale paura dei pericoli (ad esempio attraversano la strada senza guardare);

– resistenza marcata al cambiamento (ad esempio, cambiando la strada per arrivare da scuola a casa, questi soggetti esternano disapprovazione).

Un ultimo segnale è rappresentato dal linguaggio, quando c’è. Esso è ecolalico, cioè vengono ripetute parole o frasi senza senso. L’ecolalia, tuttavia, può essere immediata o differita nel tempo.

Tutti questi segni possono essere profondi o lievi, vi possono essere ragazzini con tutti i sintomi, o ragazzini che ne hanno solo qualcuno. La diagnosi di disturbo autistico, secondo i criteri del DSM-IV, viene così effettuata sulla base della presenza contemporanea di una serie di sintomi, in diverse aree comportamentali della persona, riferendosi alle compromissioni nella qualità delle interazioni, e non alla loro assoluta assenza. Ovviamente in psicopatologia da un solo segno non si può inferire la diagnosi e nemmeno sulla base di alcuni segni, ma ci vuole un protocollo diagnostico estremamente rigoroso.

Ricerche hanno dimostrato che molte persone che presentano comportamenti autistici, sono affette da disordini correlati, ma distinti. Questi includono: la Sindrome di Asperger, la Sindrome di Landau-Kleffner, la Sindrome da X Fragile, la Sindrome di Rett, e la Sindrome di Williams.

La Sindrome di Asperger è la forma di autismo più nota. Chi ne è affetto si comporta in modo ossessivo ma, al tempo stesso, sviluppa capacità mnemoniche decisamente al di sopra della media. Questa forma di autismo non compromette la vita del malato, che può vivere in modo autosufficiente[2].

La Sindrome di Landau-Kleffner è la forma di autismo che appare più invasiva rispetto alla precedente. I malati, infatti, sembrano rifiutare qualsiasi contatto sociale e mostrano enormi problemi di comunicazione. Caratteristica di questo tipo di autismo è la sua manifestazione in età più avanzata rispetto alle altre forme e può non comparire fino all’età di sei – sette anni[3].

La Sindrome da X fragile (o Sindrome di Martin-Bell), invece, non è propriamente una forma di autismo primaria perché è conseguenza di un ritardo mentale causato da una contrazione del cromosoma X. Solo una parte dei disabili colpiti da questa sindrome presenta anche una forma di autismo. Tra le caratteristiche più evidenti si rileva l’iperattività[4].

Anche nel caso della Sindrome di Rett, il paziente che ne è affetto si estranea dal mondo che lo circonda. Egli non parla, rifiuta il contatto con le altre persone e spesso si muove in modo non naturale. A esserne affette sono soprattutto le donne, spesso afflitte da un ritardo mentale[5].

La Sindrome di Williams, infine, è una forma molto seria di autismo. Tuttavia, nonostante le difficoltà di linguaggio e il deficit di attenzione, chi ne è affetto non rifiuta il contatto con le altre persone[6].

 

Le cause dell’autismo

L’eziopatogenesi di questo disturbo dello sviluppo psico-mentale è molto controversa dal momento che ci sono specialisti che credono si tratti di una malattia genetica, altri che sottolineano la presenza di malformazioni cerebrali (lobo limbico, corteccia frontale, tronco encefalico), altri ancora che mettono l’accento su alterazioni a livello di neurotrasmettitori (ultimamente: le endorfine). Ci sono poi ricercatori che preferiscono pensare ad un disturbo di origine psicologica derivato, soprattutto, da difficoltà emotive insorte nelle prime relazioni con la madre:

 

le “spiegazioni” dell’autismo possono essere fornite a vari livelli: esiste un piano psicologico, e uno biologico; esistono cause evolutive, così come esistono cause immediate […]. Se analizziamo l’attuale “stato dell’arte”, dobbiamo ammettere che mancano ancora coerenza e unità tra i vari livelli esplicativi, e che nessuna delle spiegazioni fornite all’enigma dell’autismo è davvero soddisfacente e completa[7].

 

Una riflessione più globale tende a prendere in considerazione il fatto che l’autismo è un disordine che si struttura in periodi precoci nei quali si trovano in fase di “maturazione” sia il sistema biologico (cervello: per es. la corteccia frontale esaurisce il suo sviluppo neurobiologico tra il 18 ed il 24 esimo mese), sia i processi psico-mentali. Da questo deriva l’idea che l’autismo potrebbe essere un disturbo psico-neuro-biologico di tipo complesso, nel quale errori o ritardi di sviluppo biologico disturbato anche quello psico-mentale, insomma una deficienza dell’organizzazione neuronale che si manifesta durante lo sviluppo del bambino nella “triade autistica” [8].

 

Gli interventi

Data l’alta variabilità individuale del disturbo, non esiste un intervento specifico valido per tutti allo stesso modo. Si potrebbe subito affermare che, poiché l’autismo è un disturbo pervasivo, in quanto compromette il funzionamento globale del soggetto che soffre del disturbo, ne consegue che anche l’intervento deve essere quanto più possibile pervasivo[9].

Inoltre, poiché raramente è possibile ottenere la remissione totale dei sintomi, sono molti e diversi i trattamenti rivolti all’autismo[10]. Gli unici però supportati da studi scientifici sulla loro validità sono gli interventi di tipo comportamentale e quelli di tipo farmacologico.

Gli interventi più efficaci risultano spesso essere quelli effettuati in età precoce[11] e sono basati innanzitutto su un training altamente strutturato e spesso intensivo adattato individualmente al bambino. I terapisti lavorano sullo sviluppo delle capacità sociali e di linguaggio. Poiché i bambini imparano tanto più efficacemente quanto più sono piccoli, questo tipo di terapia dovrebbe iniziare il più presto possibile.

L’impiego dei farmaci è volto alla riduzione o all’estinzione di alcuni comportamenti problematici come l’auto-aggressività o di disturbi associati come l’epilessia e i deficit di attenzione, con il preciso fine di evitare ulteriori aggravamenti[12].

 

Come si può iniziare a insegnare a un bambino autistico

Il bambino autistico impara soltanto se guidato da un contesto di apprendimento ben strutturato, chiaro e prevedibile. Questo, tuttavia, vale anche, in linea di massima, anche per adolescenti e adulti.

A differenza di altri bambini o adolescenti, il bambino autistico raramente impara in modo spontaneo o incidentale o per semplice imitazione o spiegandogli solo verbalmente ciò che deve fare.

Essendo le sue difficoltà di fondo legate all’incomprensione del mondo sociale, convenzionale e simbolico della nostra realtà quotidiana e alle relative complessità di comunicazione è necessario saper discriminare ciò che è essenziale da ciò che è secondario, ciò che è astratto da ciò che è concreto. Quindi, del nostro mondo così complesso gli si possono insegnare solo semplici regole, ma non gli aspetti più compiuti, e ancora più difficilmente gli aspetti emotivi dei nostri comportamenti. Si tratta di saper individuare le priorità fondamentali per una vita il più possibile sicura e autonoma. Molto invece può imparare degli aspetti concreti della realtà.

In linea generale, valgono le seguenti raccomandazioni:

– Predisporsi sempre positivamente e adottare un modo educativo e d’istruzione stimolante ed entusiasmante

– Per iniziare, individuare un obiettivo molto semplice per il quale dimostra già qualche tentativo di comprensione, di interesse e di esecuzione.

– Evitare istruzioni verbali date con frasi molto lunghe.

– Stimolare e incoraggiare il bambino autistico nelle sue aree di talento.

– Non dare per scontato che una persona non possa fare qualcosa solo perchè ha l’autismo. Non farsi influenzare dal quoziente intellettivo persona perché è molto difficile misurarlo esattamente nelle persone con autismo.

– Parlare in modo lento, chiaro e specifico, aiutandosi anche con oggetti.

– Aver pazienza nei tempi, poiché le persone con autismo possono impiegare più tempo rispetto agli altri nel fare le cose.

– Usare un approccio positivo, evitando commenti sgradevoli e incoraggiando i comportamenti positivi con elogi verbali e rinforzi fisici (carezze, complimenti, “batti cinque, e così via).

– Non alzare mai la voce o minacciare punizioni, piuttosto aiutare il bambino (ad esempio se si è detto di sedersi e il bambino non lo fa, ripeterlo almeno un’altra volta e, se non ubbidisce, prenderlo dolcemente e accompagnarlo alla sedia).

Non chiedere di fare qualcosa, ma dire di farlo senza usare toni eccessivamente autorevoli.

– Non permettere mai che una domanda posta rimanga senza risposta. Quindi avere pazienza nei tempi di risposta e incoraggiare alla replica.

Evitare rumori molesti, risate forti e fonti di luce intermittenti.

Poiché i bambini non riescono a capire completamente e a prestare attenzione a tutte le indicazioni ambientali che annunciano che sta per avvenire una transizione (ad esempio si avvicina l’orario di uscita da scuola) devono essere avvisati quando un’attività deve terminare (“tra cinque minuti si esce, prepariamoci”) o deve iniziarne un’altra (“quando finiamo questo puzzle faremo matematica”). Allo stesso modo devono essere preparati se se sta per accadere qualcosa di insolito (inizia un temporale e si avvisa che potrebbero verificarsi lampi e tuoni) o spaventoso (“tra cinque minuti suonerà la campanella”).

– Insistere affinchè un compito assegnato sia portato a termine, aiutandosi con rinforzi verbali (“tu sei bravo, fammi vedere come lo fai”).

– Non bloccare repentinamente il bambino dal corso della sua routine se non pericolosa per sé e gli altri.

Per insegnare loro in modo efficace, dobbiamo prima ottenere la loro attenzione con piccole furbizie (Se il bambino non guarda l’insegnante e sembra distratto, aspettare e, quando egli avrà incrociato lo sguardo con l’insegnante, anche con un piccolissimo contatto oculare, occorre elogiarlo per il “bello sguardo” presentandogli contemporaneamente un’attività didattica).

– Istruire i genitori per utilizzare una strategia comune[13].


 

Bibliografia

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[1] Cfr. Pizzamiglio M. R., Piccardi L., Zotti A., Lo spettro autistico. Definizione, valutazione e riabilitazione in neuropsicologia, Franco Angeli, Milano, 2008.

[2] Cfr. H. Asperger, Bizzarri, isolati e intelligenti. Il primo approccio clinico e pedagogico ai bambini con SA, Erickson, Trento, 2003; P. Accardo, B. Y. Whitman, Dizionario terminologico delle disabilità dello sviluppo, trad. it. Armando, Roma, 2007, p. 344.

[3] Cfr. M. R. Pizzamiglio, L. Piccardi, A. Zotti, Lo spettro autistico. Definizione, valutazione e riabilitazione in neuropsicologia, Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 27-28.

[4] Cfr. P. Accardo, B. Y. Whitman, Dizionario terminologico delle disabilità dello sviluppo, cit., pp. 351-352.

[5] Cfr. K. Hunter, Sindrome di Rett, Vannini, Gussago (Bs), 2005; M. R. Pizzamiglio, L. Piccardi, A. Zotti, Lo spettro autistico. Definizione, valutazione e riabilitazione in neuropsicologia, cit. pp. 31-55.

[6] B. Dalla Piccola, R. Mingarelli, A. Giannotti, M. C. Digilio, V. Volterra, S. Vicari, Linee guida per la sindrome di Williams, «Rivista Italiana di Pediatria (IJP)», 26, 2000, pp. 244-253.

[7] L. Cottini, a cura di, L’autismo. La qualità degli interventi nel ciclo della vita, Franco Angeli, Milano, 2010, p. 58.

[8] Sulle varie teorie sull’origine dell’autismo cfr. L. Wing, I bambini autistici. Una guida per i genitori, trad. it., Armando, Roma, 2000, pp. 43-50; D. Ianes, Facciamo il punto su l’autismo, Erickson, Trento, 2009, pp. 18-21; L. Cottini, a cura di, L’autismo. La qualità degli interventi nel ciclo della vita, cit., pp. 57-60.

[9] Cfr. S. Vicari, G. Valeri, L. Fava, L’autismo. Dalla diagnosi al trattamento, il Mulino, Bologna, 2012, p. 3.

[10] National Research Council, Educating Children with Autism, Committee on Educational Interventions for Children with Autism. Catherine Lord and James P.McGee, eds. Division of Behavioral and Social Sciences and Education, National Academy Press, Washington, 2001.

[11] Cfr. sull’argomento C. Maurice, G. Green, S. C. Luce, L. Nota, S. Soresi, Intervento precoce per bambini con autismo, Edizioni Junior, Bergamo, 2005.

[12] Cfr. anche P. Kluth, P. Schwarz, Valorizzare gli interessi ristretti nei bambini con autismo. Spunti e strategie per impostare la didattica e migliorare le relazioni sociali, Erickson, Trento, 2011; D. J. Cohen, F. R. Volkmar, E. Micheli, Autismo e disturbi generalizzati dello sviluppo. Strategie e tecniche di intervento, vol. II, Vannini, Gussago (BS), 2005. Quest’ultimo saggio è la seconda parte della traduzione italiana dell’Handbook of Autism and Pervasive Developmental Disorders.

[13] Sull’argomento cfr. F. Cottone, G. Pelagatti, Insegnare ai bambini con disturbi dello spettro autistico. Attività su lettere, numeri, forme e colori, Erickson, Trento, 2012; K. A. Quill, G. Vivanti, S. Congiu, a cura di, Comunicazione e reciprocità sociale nell’autismo. Strategie educative per insegnanti e genitori, Erickson, Trento, 2007; S. Freeman, L. Dake, Il linguaggio verbale nell’autismo. Strategie di insegnamento per bambini con disturbi dello spettro autistico, Erickson, Trento, 2007.