Didattica del latino e dislessia: che fare?

Didattica del latino e dislessia: che fare?

di Marco Ricucci

 

Solo negli ultimi anni i docenti di lingue classiche hanno presso una qualche forma di consapevolezza dell’esistenza del “problema” dislessia: nel processo di “liceizzazione” a cui la scuola italiana è andata incontro, sono giunti sui banchi del liceo molti alunni con Disturbo Specifico di Apprendimento.

Molti colleghi pensano tra sé e sé: “Ma se il ragazzo è dislessico, che senso ha iscriverlo a un liceo classico, scientifico o linguistico?”. Pare una fatica di Sisifo, e non solo affrontare l’apprendimento delle lingue morte. Qualcuno ha anche il coraggio di porre questa domanda ad alta voce. Insieme alla formazione occorre anche sensibilizzare.

Vorrei brevemente, senza pretesa di esaustività, focalizzare l’attenzione su due punti specifici della didattica del latino ad alunni DSA.

Quando parliamo di “dislessia”, ci riferiamo al Disturbo Specifico della Lettura che è identificato con il codice F81.0, secondo la classificazione contenuta nell’elenco accettato dalla comunità scientifica e usato nelle certificazioni (The ICD-10 Classification of Mental and Behavioural Disorders). La dislessia è, in questo senso, un disturbo della lettura di matrice neurobiologica per cui, negli individui in età evolutiva, l’automatizzazione delle procedure di transcodifica dei segni scritti nei corrispondenti fonologici, non avviene “normalmente”. La dislessia si può presentare insieme ad altri specifici disturbi, eterogenei, che vengono esplicitati nelle indagini diagnostiche: la difficoltà di lettura – più o meno grave – spesso si accompagna a problemi nella scrittura e nel calcolo (disortografia, disgrafia e discalculia). La dislessia, intesa come difficoltà di apprendimento di origine neurologica, si attua nell’incapacità, più o meno grave, di riconoscere in modo accurato e/o fluente le parole, poiché essa è generalmente il risultato di un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che emerge in modo inaspettato nelle abilità cognitive del bambino e al riscontro dell’impatto dell’istruzione scolastica impartita dalle istituzioni preposte.  Come fare per il latino? Anzitutto occorre che il docente ne sia consapevole e che attui una trasmissione basata sull’oralità. Il suono è importante perché arriva più direttamente all’alunno dislessico e lo aiuta a “fissare” la regola nella mente, in quanto il codice scritto non costituisce l’ostacolo, anche se esso rappresenta  la via principale  della fruizione della lingua latina: significa perciò “parlare” in latino come per l’inglese? Tralasciamo la querelle sull’uso comunicativo del latino e riflettiamo, invece, sull’utilità della ridondanza: cioè “comunicare” le regole della grammatica in un contesto significativo, trascinando con sé altre regole che non costituiscono la regola, oggetto di studio. Parole d’ordine: limitare al massimo la nomenclatura metalinguistica e puntare sull’uso concreto della regola grammaticale. Infatti, un conto è la pratica di una regolarità di un fenomeno linguistico (la regola) e un conto è descrivere, in maniera astratta, il funzionamento di esso in un ambito decontestualizzato e, di conseguenza, poco significativo e – forse – interessante. L’oralità permette l’uso vivo di una regola praticandola: non si tratta di “parlare” in latino, ma di utilizzare una lingua per un uso strumentale. Non sempre è possibile, ma dove lo è, è utile farlo.

Per la lingua latina che viene fruita prevalentemente nel codice scritto, lo studente dislessico ha necessità di un sostegno “esterno”: sulla pagina la nomenclatura della grammatica è  costituita di lunghe stringhe di parole; i termini hanno radici e suffissi molto simili perciò difficili da distinguere. Un gioco a incastro che può comportare un carico cognitivo nella elaborazione del testo latino che si attua in due piani: decodifica del testo che implica un sovraccarico della memoria di lavoro, con la conseguente perdita di informazioni ed errori frequenti, fino  a un veloce esaurimento dell’attenzione e della concentrazione. Non è che l’allievo DSA non sia capace di riflettere sulla lingua in maniera astratta, tanto da non poter imparare la grammatica che i docenti di latino – giustamente! – amano, ma che lo stesso ha bisogno di modalità diverse per “sperimentare” e per avere accesso alla lingua quando la fruisce attraverso il codice scritto, dato il suo debole processo di automatizzazione di transcodifica del testo scritto.

Il testo latino, dunque, deve divenire in qualche modo “multisensoriale” e “iconizzare” il testo è un semplice ed efficace espediente. In sostanza sarebbe buona prassi adottare una  codificazione cromatica concordando insieme agli studenti  una legenda per evidenziare con colori diversi le componenti della lingua sulle quali si intende concentrare l’attenzione.  Soprattutto la presentazione di un testo “iconizzato” costituisce un concreto sostegno all’alleggerimento del sovraccarico cognitivo del processo di astrazione metalinguistico. Ad esempio impiegare il blu per il maschile, il rosso per il femminile e il verde per il neutro oppure mettere in risalto le caratteristiche temporali o modali della congiunzione verbale (come la caratteristica –ba– dell’imperfetto indicativo o il suffisso –sa- dell’aoristo primo sigmatico) è tanto semplice quanto efficace.