Donne ancora avanti negli studi ma indietro sul lavoro

da Il Sole 24 Ore

Donne ancora avanti negli studi ma indietro sul lavoro

di Eugenio Bruno

C’è uno spettro che continua ad aggirarsi per l’Italia: lo squilibrio di genere che caratterizza il mondo dell’istruzione e del lavoro. E che è racchiuso in una domanda: come è possibile che le ragazze, nonostante una carriera scolastica e universitaria migliore dei ragazzi, continuino a essere penalizzate sia in termini di sbocchi occupazionali sia dal punto di vista retributivo? Un paradosso soltanto apparente visti i (pochi) miglioramenti registrati dal nostro sistema di Welfare e i (pochissimi) impegni presi in campagna elettorale dalle varie forze politiche. A rilanciare il tema ci pensano AlmaLaurea e AlmaDiploma con un focus pubblicato alla vigilia dell’8 marzo.

Lo squilibrio nasce tra i banchi…
È sin dalle medie che le studentesse dimostrano di essere più preparate degli studenti. Se è vero che il 35% le conclude con la media del 9 contro il 26% dei coetanei. Un trend che prosegue e si rafforza alle superiori. Al punto che le ragazze si dimostrano «più regolari» (il 91% non fa ripetenze contro l’85% dei maschi), raggiungono voti più alti (si diplomano in media con 78,6 contro 75,1 dei ragazzi), portano a termine più esperienze internazionali (in un rapporto di 39% a 26). E, come se non bastasse, si impegnano di più nel sociale. sono maggiori consumatrici di cultura e imparano meglio le lingue straniere.

…e aumenta all’università
Già nelle scelte di proseguire gli studi le donne hanno la meglio sugli uomini. Si iscrive all’università il 77% delle prime contro il 63% dei secondi. E la forbice al momento della laurea si allarga ancora considerando che nel 2016 le laureate sono state il 59% del totale. Per di più registrando tassi minori di fuori corso e ottenendo un punteggio medio più alto (103,4 contro 101,3). E ciò nonostante condizioni familiari di partenza più disagiate per le ragazze.

Nel mondo del lavoro il rapporto si ribalta
Fino agli stage e ai tirocini la presenza femminile resta superiore a quella maschile. Ma quando si passa al lavoro vero e proprio i rapporti di forza cambiano.E la piramide si rovescia. Il tasso di occupazione dei laureati magistrali biennali, a cinque anni dal titolo, è pari all’81% per le donne e all’89% per gli uomini. Stesso discorso per la tipologia di contratto. Il tempo indeterminato è appannaggio infatti del 61% degli uomini e il 52% delle donne. Che hanno la peggio anche dal punto di vista retributivo: a parità di ogni altra condizione guadagnano in media 159 euro netti mensili in meno dei maschi. In tutti i settori disciplinari.

Il gender gap non risparmia le Stem
Dal divario di genere non sono esenti le discipline Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Qui il maggior numero di laureati (59%) è uomo. Ma le performances migliori arrivano dalle donne: hanno un voto finale più alto (103,5 su 110, contro 101,4 degli uomini) e una migliore riuscita in termini di regolarità negli studi (il 44% delle donne li ha conclusi in tempo contro il 41% degli uomini).E lo scenario non cambia se si passa ad analizzare i tassi dioccupabilità (91% a 82 per gli uomini). Con una retribuzione media di 1.662 euro per la forza lavoro femminile contro i 1.349 euro di quella femminil.

Ancora più penalizzate dopo la nascita di un figlio
Il forte divario in termini occupazionali, contrattuali e retributivi riassunto da AlmaLaurea aumenta in presenza di figli. E lo fa in maniera esponenziale. A cinque anni dalla laurea il 90% dei papà lavora mentre per le mamme tale quota scende al 61. A fronte dell’80% registrato dalle laureate senza prole. E, come se non bastasse, a risentirne sono sia la stabilità dei contratti che le differenze salariali. Pari al 27%, sempre a favore degli uomini. Numeri che parlano da soli e che rendono ancora più assordante il silenzio dei partiti. Sia prima che dopo il voto.