Come ti insegno a scrivere

Come ti insegno a scrivere…

di Maurizio Tiriticco

…e, soprattutto, a pensare. Su “La Stampa” di oggi è apparso un interessante articolo intitolato “Italiano a scuola, si cambia, più riassunti e articoli di giornale, le proposte della commissione creata dal ministero per le medie”.

Le indicazioni che vengono date sono indubbiamente interessanti, ma non si discostano molto da ciò che un insegnante di italiano già “fa” quotidianamente con i suoi alunni di scuola primaria e di scuola media. Alludo a questi due gradi di scuola, perché è proprio nell’età che va dai 5/6 anni fino ai 14/15 circa che un soggetto apprende a “scrivere”, non solo strumentalmente, ma anche e soprattutto con il fine di comunicare pensieri, sensazioni, preoccupazioni, emozioni, analizzare situazioni problematiche, porre domande e via dicendo. Le virgolette stanno ad indicare il fatto che tutti in quella fascia d’età “imparano a scrivere”! Anche perché ormai lo scambio di informazioni via cellulare “costringe” tutti i nuovi nati a comunicare, anche e soprattutto, scrivendo! Per non dire poi del sostegno che viene offerto dagli emoticon e da tutte le diavolerie che tecnologie sempre più avanzate ci offrono.

Ma un conto è scrivere, altro conto è scrivere bene! O meglio, scrivere correttamente, utilizzando tutte le possibilità sintattiche che una lingua come la nostra offre. Il che vale, ovviamente, anche per il parlare. Ricorro ad un esempio banale, ma che rende. Un conto è che un ragazzo di 10 od 11 anni dica: “La sera, quando rientro a casa, dopo aver mangiato e aver visto un po’ di tv, rivedo i compiti per il giorno dopo e, ormai stanco, vado a letto”! Altro conto è che dica: “La sera torno a casa, mangio, vedo la televisione, faccio la cartella e vado a letto”. Il primo ragazzo possiede un codice elaborato – per dirla con Bersntein – il secondo possiede, invece, un codice ristretto.

E, in materia di codici, quindi di ricchezza semantica e sintattica, ciò che conta non è solo il numero delle parole/segni (quelle che “indicano/dicono qualcosa”, come treno, bello, scuola, casa, velocità), ma anche il numero dei cosiddetti connettivi logici (gli articoli e le cosiddette “quattro parti invariabili del discorso”: l’avverbio, la preposizione, la congiunzione e l’interiezione). Insomma, è come se ciascuno di noi portasse con sé due invisibili volumi, uno con la mano destra, in corrispondenza con l’emisfero sinistro del nostro cervello, quello che presiede alle “regole” del pensare/parlare, contare anche, ed uno con la mano sinistra, in corrispondenza con l’emisfero destro, quello che presiede alla “produzione”del pensato.

Sono tematiche su cui molto ci sarebbe da dire e da fare per “insegnare bene” nelle aule scolastiche, soprattutto in quelle primarie. In effetti, questo tipo di ricchezza si costruisce quando intercorrono relazioni positive tra una famiglia – soprattutto quando ci sia un milieu socioculturale “ricco” – ed una scuola i cui insegnanti siano all’altezza dei compiti loro assegnati. Alludo ovviamente agli insegnanti che attendono alle fasce d’età cha vanno dai 3 ai 14/15 anni, quel periodo che va dalla seconda infanzia all’adolescenza matura, nel quale soprattutto si costruisce la “padronanza linguistica”, quella necessaria a scambi comunicativi “ricchi”, sia sotto il profilo contenutistico che sotto quelle formale.

E il “parlare e scrivere bene”, come si suol dire, quando cioè viene rispettata la grammatica in tutte le sue parti, la fonologia (i suoni), la morfologia (le forme) e la sintassi (i costrutti) costituisce una conquista necessaria e preziosa non solo per la strumentazione del “leggere e scrivere”, ma anche per produrre pensieri e parole “intelligenti”, che cioè abbiano un significato e si propongano un fine.

Concludo, sostenendo che tutte le “belle cose” che la commissione ha scritto in materia di suggerimenti operativi, che poi non mi sembra che vadano oltre il sunto e saggio breve, non siano un granché rispetto alle potenzialità del nostro cervello in materia di produzione linguistica. Le strategie per far produrre lingua – e soprattutto il pensiero che la sostiene e la esprime – sono infinite. Ne ricordo solo una perché mi sono già espresso in materia (si veda in “Insegnare italiano…”), quella del “gioco delle cinque parole”: “Orco, re, principessa, castello, cavallo”, o, se si vuole, per alunni un po’ cresciutelli, “economia, religione, libertà, partiti, governo”, e chi più ne ha, ne metta…