G. Savatteri, La congiura dei loquaci

La Sicilia di Savatteri

di Antonio Stanca

La congiura dei loquaci è stato il primo romanzo scritto da Gaetano Savatteri. Lo pubblicò nel 2000 presso la casa editrice Sellerio di Palermo che nel 2017 lo ha riproposto nella collana “La memoria”.

Giornalista e scrittore è Savatteri. E’ nato a Milano nel 1964 da genitori siciliani. A Milano è rimasto fino a dodici anni e poi la famiglia si è trasferita in Sicilia, dove Gaetano avrebbe compiuto gli studi classici. Avrebbe pure cominciato a scrivere su giornali locali per poi diventare, una volta stabilitosi a Roma, collaboratore de “L’Indipendente” e di Tg 5.

Col tempo all’attività del giornalista si aggiungerà quella dello scrittore e nel 2000 comparirà La congiura dei loquaci. Altri romanzi e racconti avrebbe scritto Savatteri e quasi sempre si sarebbero potuti scoprire, nella sua narrativa, contenuti e forme espressive che riportavano a quella Sicilia dalla quale provenivano i suoi genitori e nella quale era vissuto per qualche tempo, ad una Sicilia sentita, rappresentata come stato a sé, con regole, leggi proprie, con propri usi e costumi, con un sistema di vita che veniva da lontano, da una storia, da una tradizione che si erano svolte, continuate da sole, diverse da ogni altra comprese quelle italiane.

Di questa Sicilia Savatteri ha voluto essere lo scrittore, ha voluto, con i suoi romanzi, offrire una serie di quadri che la riproducessero, ne fossero il riflesso più fedele.

Ne La congiura dei loquaci ricostruisce, in modo trasfigurato, un episodio realmente accaduto a Racalmuto, in provincia di Agrigento, nel 1944, quando in Sicilia erano presenti le forze alleate, americane e inglesi, sbarcate nel 1943. A Racalmuto durante la sua passeggiata serale il sindaco Ferrauto viene ucciso con un colpo di pistola sparatogli in piazza, tra tante persone. Diversamente da altre circostanze del genere tipicamente siciliane stavolta non si tace circa l’accaduto, non ci si mostra ignari ma si dice, si parla e da parte di molti. Molti affermano, sono sicuri che l’omicida è stato Vincenzo Picipò, detto Centoedieci, che vive di stenti poiché ha perso il lavoro nella miniera di zolfo ed ha una famiglia, moglie e tre figli, da mantenere. Aveva avuto, in precedenza, una lite col sindaco ed anche di questa molti si mostrano al corrente e ne fanno il motivo del grave gesto. Una “congiura” diventa appunto e Picipò viene arrestato, processato e condannato a molti anni di carcere durante i quali la famiglia avrebbe sofferto nonostante l’aiuto da parte di un ufficiale americano che, durante la permanenza in Sicilia, era venuto a conoscenza del caso ed aveva capito che Picipò non era stato l’omicida che molti avevano fatto credere. In verità Picipò non aveva il coraggio di uccidere ma il suo nome era servito per coprire le responsabilità, le colpe di quel sistema clandestino del quale il sindaco era entrato a far parte e che da tempo voleva eliminarlo. Tanto potente era quel sistema da riuscire anche a preparare, ad organizzare una situazione che lo liberasse da ogni sospetto, da ogni accusa e facesse convergere tutto sul povero Picipò tramite la “congiura dei loquaci”.

Un altro esempio di cattiva giustizia ha voluto presentare Savatteri con questo romanzo, un altro caso tipico della Sicilia e lo ha fatto costruendo, come altre volte, ambienti, situazioni, personaggi, linguaggi propri dell’isola, dando luogo ad una rappresentazione così ampia, così complessa, così articolata da poter essere soltanto siciliana. E’ questo, più di ogni altro, l’interesse dello scrittore. Più di quanto accaduto, più del “giallo” che è diventato, più dell’indagine che è seguita a Savatteri interessa dire dei tanti luoghi, delle tante strade, delle tante case, delle tante persone tra le quali tutto si è svolto, interessa mostrare come niente sia stato fatto per evitarlo o almeno correggerlo, interessa far vedere un ambiente dove anche comportamenti così gravi sono diventati una regola. Ed anche se lo fa tramite una scrittura che non diventa mai eccessivamente severa poiché sempre alleggerita da un sotteso umorismo, il suo rimane un atto di accusa, di denuncia riguardo a situazioni che si sono tanto continuate da essere diventate costitutive di certi posti, da avervi trovato la propria spiegazione e giustificazione.