Un contratto difensivo in una scuola ingessata

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UN CONTRATTO DIFENSIVO IN UNA SCUOLA INGESSATA

Francesco G. Nuzzaci

(Anticipiamo qui una sintesi dell’articolo che sarà pubblicato con più distesa argomentazione nel prossimo numero della rivista Scienza dell’Amministrazione Scolastica, Euroedizioni, Torino)

1. Ci siamo presi il tempo necessario per verificare la prima impressione di “copiaconforme” del CCNL per il personale della scuola (nonché dell’università e della ricerca), firmato il 19 aprile da CGIL-CISL-UIL, con l’ipotesi di accordo del 9 febbraio u.s.; e per esplorare le loro soddisfatte dichiarazioni.

L’unica novità del testo definitivo è l’apposizione della firma “tecnica” da parte della GILDA, mentre resiste ancora lo SNALS, deluso di un contratto esito di una trattativa “conclusa in maniera approssimativa e in assenza di approfondimento”, destinato ad una “manovalanza, da blandire con pochi spiccioli e soggetta alla perdita decisionale degli organi collegiali”, infine chiuso in regime di vigenza della legge 107/15 e della quale “ne ripropone tutti i difetti”. Ma è da presumere che la quinta, ed ultima, firma “tecnica” non tarderà, sempre per la medesima ragione di “potercontinuare a rappresentare il personale della scuola nelle contrattazioni integrative e nelle importanti sequenze contrattuali previste dallo stesso contratto”.

Il non lieve lasso di tempo intercorso, dopo il celere via libera della Funzione Pubblica e del MEF, è ascrivibile ad una pseudo-impuntatura della Corte dei conti, che ha dato poi il suo “placet”, necessario per il completamento della procedura dei controlli di legge, solo concedendosi l’ininfluente chiosa di censurare il “deludente” utilizzo delle risorse disponibili “quasi esclusivamente per corrispondere adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione”, senza spazio alcuno per premiare la produttività e la qualità della prestazione lavorativa, nonostante l’imperio della legge 15/09 e del relativo decreto di attuazione 150/09 (c.d. “Riforma Brunetta”).

Ma è una delusione ingenerosa, perché si è dovuto davvero raccattare un po’ di qua e un po’ di là  – dandosi mostra di una notevole dose di creatività quanto ad artifici contabili – per poter assicurare ai beneficiati i famosi ottanta euro lordi mensili, poco più di cinquanta euro netti: “un primo passo che consente di offrire migliori condizioni alle dipendenti e ai dipendenti, di proseguire nella valorizzazione e nel riconoscimento della professionalità fondamentale delle docenti e dei docenti”

A fronte di cotanta benevola elargizione a coloro che, nelle solenni ed universalmente condivise dichiarazioni sono chiamati a redimere l’umanità intera, la contropartita offerta alle sigle sindacali che li rappresentano è l’ulteriore massiva tutela impiegatizia dei fungibili “lavoratori della conoscenza”, ai quali – a dire della segretaria generale di CISL-Scuola – il nuovo contratto “non ha tolto nessuna tutela, ne ha rafforzato qualcuna, ha ridato spazio alla contrattazione a tutti i livelli”. E’ peròuna tutela preclusiva di qualsivoglia riconoscimento professionale, cui fa da contraltare una scuola ancor più ingessata.

Per il personale ATA tutto è rinviato a eventuali “soluzioni più idonee” da parte di una commissione che dovrà concludere i lavori entro il 31 luglio 2018; mentre al personale docente una dichiarazione congiunta, la n. 6, in calce all’articolato negoziale, promette che “le parti”, semplicemente e senzal’indicazione di alcun termine, “si impegnano” – un impegno che dura dal 1995, all’atto della stipula del primo contratto delpubblico impiegoprivatizzato! – “a prevedere una fase istruttoria che consenta di acquisire ed elaborare tutti gli elementi utili ad individuare forme e strumenti di valorizzazione nell’ottica dello sviluppo professionale…”

Ma, soprattutto, il celebrato “contratto di svolta…frutto di una scelta giusta eresponsabile”, che dà “certezze e dignità a più di un milione di lavoratrici e lavoratori che operano nella scuola”, ha segnato la “riconquista alle relazioni sindacali” dello spazio ad esse sottratto in progresso di tempo dalla rilegificazione brunettiana e, nello specifico, consentendo – per bocca del segretario generale di UIL-Scuola – lo smantellamento di “leggi che hanno sconvolto l’identità della scuola statale italiana”, primariamente della legge 107/15, segnata da una “logica liberista” e rilevata dalla “scuola della comunità incontrapposizione con quella burocratica e dirigista”, che ora “limita il potere dei dirigenti scolastici” perché “le decisioni sono collegiali”; cui fa seguito la rivendicazione del segretario generale di FLCGIL della “ripristinata normale dialettica delle relazioni sindacali con lo svuotamento delle parti più negative sul piano dei rapporti di lavoro della legge 150 e della legge 107”.

Se pure la riconquistata “signoria del contratto” si è resa in fatto possibile non da una lettura travisata, confusiva e corruttiva della norma di diritto positivo, bensì per il cedimento dell’Amministrazione e per la connivenza degli organi di controllo, CGIL, CISL e UIL hanno tutte le ragioni per poter gongolare, qui insieme alle altre due sigle sindacali rappresentative nel comparto, essendo riuscite ad assestare pesanti colpi di piccone alla “buona scuola” e al “preside-sceriffo” che la incarna.

2. Il nuovo contratto conferma la rigidità – e se ne mena vanto – delle prestazioni contrattualmente esigibili, sia nelle attività d’insegnamento che funzionali all’insegnamento (sempre 40+40 ore e includenti quelle impegnate per la formazione – “che resta un diritto,non un obbligo”! –, superate le quali spetta la correlata retribuzione aggiuntiva).

Rinvia ad un’apposita sessione negoziale, da concludere entro il mese di luglio 2018, la riscrittura del sistema disciplinare dei docenti, “nel rispetto dellenorme imperative di cui al D. Lgs. 165/01 e s.m.i.”, al fine di reprimere condotte antidoverose, ma non a sindacare, neppure indirettamente, la libertà d’insegnamento; con l’inconfessata speranza, nel frattempo, di poter neutralizzare la prerogativa dei dirigenti scolastici di irrogare – espressamente anche ai docenti e non più al solo personale ATA – la misura massima della sospensione dal servizio e dallo stipendio sino a dieci giorni, codificata come eccezione (“lex specialis”) proprio da quelle appena richiamate “norme imperative” di cui si professa il rispetto, ma non disperando di far valere la regola generale che facoltizza tutti gli altri dirigenti pubblici a comminare direttamente il solo rimprovero verbale e per il resto obbligandoli a rimettere gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari.

Il “vulnus” inferto alla legge 107/15 è di palmare evidenza con riguardo alle risorse, extracontrattuali, di 200 milioni di euro per il c.d. “bonus” premiale, nei commi 126-130 regolate organicamente e individuandosi con puntualità soggetti e procedure per la loro attribuzione.

Dopo che nel testo negoziale è stata inserita la contrattazione dei criteri generali di “determinazione degli inerenti compensi”, si concorda adesso la riduzione dei predetti 200 milioni di 70 milioni per l’anno 2018, di 50 milioni per il 2019 e di 40 milioni a regime: che, svincolati dalla prescritta previsione legale di destinarli al differenziato riconoscimento del merito, valgono adesso ad incrementare la voce generalizzata della retribuzione professionale(RP), anche per i docenti con incarico a tempo determinato sino al 30 giugno o al 31 agosto.

La contrattazione dei “criteri generali” in ordine ai compensi – riferiti all’intera cifra dei 200 milioni – può anche condividersi nella lettura offerta dal MIUR, pur se pare aver prodotto un capolavoro da azzeccagarbugli: si contrattano “i criteri generali per la determinazione dei compensi” previsti dal “bonus” dei docenti, non ”i criteri valutativi”, che restano nella competenza del Comitato di valutazione, così come al dirigente scolastico resta la competenza “per l’individuazione dei docenti meritevoli”.

Lo stesso non può affermarsi per lo scorporo della summenzionata quota-parte, che viola palesemente una norma imperativa, statuendo l’articolo 1, comma 196, legge 107/15 che “sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge”. Ma, “Quis custodiet custodes”?

Il saccheggio consentito a private corporazioni – secondo il codice civile e la Costituzione – di leggi votate dal Parlamento della Repubblica, legittimo rappresentante del Popolo Sovrano, continua con la rieditata libera mobilità dei docenti su singola istituzione scolastica, già sancita in un “Accordo politico” limitatamente all’anno scolastico 2017/18 per sanarsi in qualche modo i danni provocati dall’ “algoritmo” l’anno prima, poi prorogata in previsione del rinnovo contrattuale per l’anno scolastico 2018/19, con l’ “Intesa” del 22.12.17, quindi dallo stesso nuovo contratto – nell’articolo 22, comma 4 – resa strutturale, con tanto di graduatorie fatte di punteggi e di automatismi; a domanda riproponibile annualmente fino a quando non si sia ottenuta la sede richiesta, ma non prima di tre anni se tale sede la si è ottenuta: con buona pace della “chiamata per competenze” sulla base del PTOF e di che quel che resta della stessa dopo essere stata gravata da ultronee bardature in via amministrativa. Inutile precisare come si sia bellamente aggirato il divieto del comma 73, legge 107, al di cui inequivoco tenore “dall’anno scolastico 2016/17 la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli ambiti territoriali”

3. E vi è di più. Questa volta non “contra legem”,bensì con la formale legittimazione del dato normativo, sempre il plurimenzionato decreto legislativo 75/17, nel punto in cui ha voluto assicurare una sorta di “riequilibrio tra legge e contratto”; non già riespandendo le materie oggetto di necessaria regolazione pattizia; dunque andando in tutt’altra direzione rispetto a quella pretesa dalle confederazioni sindacali sottoscrittrici dell’Intesa del 30 novembre 2016: di riappropriarsi del diritto di coogestione – e di veto – sugli atti di macro organizzazione, che continuano a permanere nella sfera pubblicistica, e – soprattutto – sugli atti di micro organizzazione degli uffici e delle misure inerenti il rapporto di lavoro, gli uni e le altre sempre spettanti ai dirigenti in via esclusiva, che operano con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

Il “riequilibrio” in parola è invece affidato alle “ulteriori forme di partecipazione se previste dai contratti”. E tra di esse vi è primariamente l’ “esame congiunto”, dalla legge 135/12 (c.d. “Spending Review”) già introdotto per i rapporti di lavoro ed ora esteso all’organizzazione degli uffici.

Esso è attivabile per tutte le materie oggetto di informazione – dunque, anche per gli atti di organizzazione degli uffici e per le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro – e su tutte quelle oggetto di contrattazione, con le formalità ridotte all’essenziale, in coerenza con la sua ragione giustificativa: di “costruire relazioni stabili tra amministrazioni pubbliche e soggetti sindacali, improntate alla partecipazione attiva e consapevole, alla correttezza e trasparenza dei comportamenti, al dialogo costruttivo, alla reciproca considerazione dei rispettivi diritti ed obblighi, nonché alla prevenzione dei conflitti”, come si (ri)legge nell’art. 4, comma 1 del nuovo CCNL.

L’esame congiunto può ben sfociare in un’intesa, che in tal caso le parti dovranno eseguire secondo i principi della correttezza e della buona fede, dotati di valenza normativa. Diversamente, esso si conclude con la mera “verbalizzazione delle rispettive posizioni”.

E’ indiscutibile l’astratta positività del nuovo istituto, che nel CCNL che qui ne occupa è denominato “confronto” e volutamente appesantito nei suoi aspetti procedurali; oltretutto rendendolo obbligatorio e non già libero, ancorché (ri)fondato sulla “comunità educante”, che di per sé non dovrebbe comportare costrizioni.

Sennonché – e soprattutto – difettano in radice le consustanziali correttezza e buona fede di chi rappresenta “i lavoratori”, avendo in via previa e reiteratamente essi dichiarato – ora in modo “soft”, con un dosaggio elegante degli eufemismi, ora in maniera esplicita e non di rado truculenta – che il confronto lo utilizzeranno come un grimaldello per scardinare ancor più la legge 107/15 nei suoi elementi più innovativi e dirompenti. E, naturalmente e sempre, “perdare meno potere ai dirigenti scolastici”(sic!).

4. Con simili premesse – incassata la garanzia di non belligeranza delle superiori sfere – è agevole prefigurare sistematici interventi sul ventre molle delsistema per condizionarne l’azione, dovendo obbligatoriamente il dirigente scolastico “inviare per iscritto” ai soggetti sindacali “gli elementi conoscitivi delle misure daadottare”.

Potere esclusivo sugli atti di organizzazione e sulle misure inerenti la gestione del rapporto di lavoro, sì. Ma sospensivamente condizionato! Perché il dirigente scolastico – fosse pure per il temporaneo spostamento d’un bidello in una diversa area dell’edificio – dovrà attendere fino a cinque giorni nel caso che i soggetti sindacali, “anche singolarmente”, richiedano il confronto, che si svolge per unperiodo non superiore a quindici giornie al termine del quale è redatta una sintesidei lavori e delle posizioni emerse. Dopodiché ciascuna delle parti riassume la libertà di azione, fino al prossimo giro di giostra.

E’ questo “un contratto di svolta”, che sarebbe corretto definire un contratto “a doppia mandata sulle relazionisindacali”. Che, nel tenere perennemente sotto schiaffo la “controparte datoriale”, conduce al soffocamento dell’istituzione scolastica in una fitta rete di procedure labirintiche e dalla quale colui che legalmente la rappresenta, e ne risponde, non potrà prescindere, pur a fronte di richieste scopertamente strumentali, se non addirittura mosse da intenti emulativi. Perché il prescinderne potrebbe ben integrare gli estremi di una denuncia per comportamento antisindacale, senza che egli possa, ragionevolmente, trovare il sostegno della “sua” Amministrazione.